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Autore: MaxB    07/02/2022    2 recensioni
Buongiorno! Dopo aver visto Arcane, in cui il rapporto tra Silco e Jinx mi ha letteralmente ossessionata, ho sentito il bisogno di scrivere un approfondimento sul loro legame, da quando si incontrano/scontrano in mezzo alle fiamme a quando Jinx diventa ciò che è.
Pertanto, saranno 14 capitoli in ordine temporale, missing moments che a mio parere potrebbero aver portato alla "creazione" di Jinx e all'affezione illimitata di Silco. Mi sono documentata bene quindi i capitoli saranno pieni di dettagli che, spero, possano spiegare diverse cose della serie e dare un contesto a come altre si sono venute a creare.
Esperimento: ho associato ad ogni capitolo una traccia musicale della colonna sonora della serie (sono 11 in totale + 3 extra da me scelte), che andrebbe ascoltata leggendo quello specifico capitolo (se ne avete voglia). In ogni caso, il capitolo e il suo titolo contengono riferimenti della canzone in questione.
Aggiornamento ogni 10 giorni circa. Spero che, se amate Jinx e Silco come me, possa piacervi questa raccolta.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ekko, Jinx
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Piccola intro: ciao a tutti, e grazie per essere qui a tentare di leggere un mio capitolo. Come avevo anticipato nelle note, questa ff sarà di 14 capitoli incentrati su Silco e Jinx, con punti di vista alternati ma comprensibili, spero, e IC, spero. La loro è una tra le relazioni che mi hanno colpita di più in assoluto, e sì che di film, anime, manga e libri ne divoro parecchi.
Detto ciò, a inizio capitolo troverete il titolo della canzone che lo "ispira". Avete assoluta libertà, ma per me potrebbe essere interessante leggere ascoltando la colonna sonora stessa della serie. Su youtube trovate anche la "1 hour version", così avete la canzone in loop finché non finite il capitolo. Penso che la colonna sonora sia spettacolare quanto la serie stessa.
Ultimissima cosa: se volete, sul mio account instagram maxb.reader troverete l'aggiornamento della ff ogni volta che la pubblico, con la copertina creata per questa storia che contiene 10 secondi di traccia audio del capitolo. Se volete dare un'occhiata, o avete domande o altro, o volete chiacchierare ossessivamente di Jinx e Silco, volentieri.
La mia speranza, anzi, il mio sogno è che qualcuno mi dica: "Sai che potrebbe essere davvero così?". Almeno, ci spero.
Abbiate pazienza. Grazie mille e buona lettura.
(Ultimissima. La canzone scelta è ovviamente quella della fine dell'atto III, quando Silco e Jinx si trovano per la prima volta).


1. Because you're a Jinx (We will return like warriors, I swear)


Goodbye - Ramsey, track 03
 
Be still, 'cause I see smoke up ahead and I got steel in my hands
We will return like warriors, I swear, that we'll find glory up ahead
Tell me
 
Where is my home?
I don't recognize the faces anymore, no
Where is my friend?
The one I've known since I was only just a kid
I think it's time to say goodbye
Goodbye, goodbye
Goodbye, goodbye, woah
 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~ 

Silco perse la cognizione del tempo seduto sull’asfalto bagnato, sotto quella torrenziale pioggia bagnata, con una ragazzina bagnata tra le braccia. Eppure il fuoco continuava a bruciare alto, a divorare tutto. Il fuoco non temeva nessuno, spesso nemmeno l’acqua, sua acerrima nemica da tempi immemori. Ma il fuoco consumava, distruggeva con prepotenza… e alla fine si estingueva, più in fretta di quanto avesse bruciato. L’acqua lo sfiniva, l’acqua lo metteva alle strette. L’acqua vinceva, avvolgendolo nel suo abbraccio silente e insidioso.
Il fuoco bruciava come Vander. Ma l’acqua si infiltrava come lui, come Silco.
Alle orecchie gli arrivava solo il rumore dello sgocciolio della pioggia, dei singhiozzi della ragazzina, che continuava a stringerlo, e del fuoco che sembrava perdere terreno poco a poco. I suoi scagnozzi non gli mettevano fretta. Sapevano cos’era successo all’ultimo che aveva osato provarci.
E Silco non aveva fretta, mentre osservava il corpo dilaniato di Vander davanti a lui, e il luogo che era stato il suo quartier generale per anni che crollava a pezzi, lasciando solo cenere fradicia, poltiglia, sulla strada. Uccidere Vander era stato il suo obiettivo per anni, da quando il fratello lo aveva pugnalato alle spalle. Anzi, non alle spalle. Dritto in pieno viso. Le sue mani come coltelli serrati intorno alla gola.
Era stato il suo obiettivo, e la sua paura. Come gli aveva detto poche ore prima, aveva continuato a meritare il suo rispetto. E quel cancerogeno seme d’affetto che provava per lui non se n’era mai andato del tutto, piantato troppo in profondità dentro se stesso per poterlo estirpare alla radice. Si rifiutava di pensare che quell’affetto albergasse nel suo cuore, lo disgustava. Erano i sentimenti, spesso, a rendere vulnerabili le persone.
A renderle deboli com’era diventato debole l’imbattibile Vander.
A rendere così impensabile l’idea di un tradimento, e a renderlo così doloroso quando si verificava.
Perché alla fine dei conti avveniva sempre. Il tradimento. E bruciava come il suo occhio sinistro, un male che mangiava da dentro, come le tossine che gli deturpavano il volto.
Vander era morto.
Non c’era più nessuno a frapporsi fra lui e lo scopo della sua vita, lo stesso scopo che una volta aveva condiviso con Vander. Con quello che era stato suo fratello.
Non c’era più nessuno a mettersi in mezzo tra lui e la violenza brutale necessaria per il cambiamento. La violenza che in tanti temevano, che in pochi capivano, e che solo lui era in grado di eseguire.
Non c’era più nessuno a dividerlo dal suo scopo.
La ragazzina singhiozzò di nuovo contro di lui, seppellendo il viso nel suo petto.
Com’erano strani, i meccanismi difensivi di una persona. Era facile considerare nemico qualcuno, ma quando si rimaneva soli al mondo, abbandonati, era quasi naturale afferrare l’unica mano tesa nel buio. Non importava a chi appartenesse. Poteva essere la mano dello stesso nemico che aveva sterminato i propri amati, faceva poca differenza. Peggio del tradimento, peggiore del bisogno di vendetta, c’era la solitudine.
Poco importava che Silco avesse contribuito ad uccidere Vander, che quella ragazzina considerava un padre. Gli altri due ragazzi erano morti. E sua sorella l’aveva abbandonata.
Era sola. Completamente sola.
Una scena già vista. Un dolore già provato.
Vander lo aveva pugnalato, quasi strozzato. Sua sorella l’aveva schiaffeggiata.
Vander lo aveva lasciato solo, aveva cambiato rotta, abbandonato il loro ideale. Sua sorella se n’era andata.
Vander lo aveva tradito. Anche sua sorella, senza nemmeno voltarsi indietro.
Senza nemmeno preoccuparsi di lui. Non aveva la fama di benefattore, Silco. Semmai di carnefice. Spietato. Eppure la figlia di Vander non tornava indietro per salvare la sorella.
Quanti anni poteva avere la ragazzina che gli piangeva addosso? Non più di dieci. Otto? Nove? Non si era mai interessato dei bambini, non li aveva mai considerati.
Ne aveva uccisi alcuni.
Eppure… era come se ci fosse un legame, tra lui e quella bambina. Non era dovuto al fatto che era la figlia adottiva di Vander. Non sentiva un dovere di quel tipo.
Era più… un senso di comunione. Avevano vissuto entrambi l’abbandono. Il voltafaccia delle persone più fidate. Sapevano quanto male facesse.
Erano simili.
Silco ricordava il dolore di quando era scappato da Vander. Non quello fisico, non il bruciore del volto scarnificato, dell’inquinamento delle acque che lo mangiavano vivo, la gola gonfia e arrossata e livida per il soffocamento. No, il dolore che provava era dieci volte peggiore, gli martoriava l’animo, gli impediva di respirare e di ragionare.
Era un dolore fantasma, un dolore che non si sarebbe potuto curare. Una traccia indelebile che lasciava una ferita incapace di cicatrizzare.
Silco non si considerava buono. Era disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi. Era questo a renderlo forte. Ma non avrebbe mai augurato a nessuno di provare quel senso di vuoto, quella devastazione interiore.
Non ai nemici, a cui preferiva infliggere morti di ogni tipo, o torture, se poteva ottenere qualche informazione utile.
Di sicuro non a quella ragazzina… innocente.
Lui voleva di meglio per i vicoli. Per la Città Sotterranea.
Per la nazione di Zaun.
- Darren, vai a cercare il dottor Singed, da qualche parte sotto il crollo. Trovalo e portalo fuori se è ancora vivo. Altrimenti non mi interessa. E se è capace di ragionare, che visiti Sevika.
Con un grugnito d’assenso, Silco vide Darren sfilargli davanti con Sevika in braccio. Serviva il suo uomo più grosso per trasportare quel macigno di donna di Sevika, che incrociò il suo sguardo mentre spariva dentro l’edificio in fiamme.
Si rivolse poi al biondo senza cervello, estremamente obbediente: - Zantik, vai ad aiutarli.
Rimasti soli, con la ragazzina ancora immobile tra le sue braccia, Silco si rivolse a Mome. La donna con i capelli neri, anonima e piacevolmente silenziosa, una maga dei coltelli. Perfettamente in grado di fare piazza pulita da sola. – Mome, tu dirigiti al Last Drop. Fai che sia sgombro per il mio arrivo. E chiamami il responsabile delle aste, voglio solo lui lì dentro.
Come aveva detto: piacevolmente silenziosa. La donna se ne andò senza proferire parola, senza il rumore di un passo sull’asfalto. Ma Silco sapeva che avrebbe eseguito gli ordini. Come gli altri.
La paura induceva alla lealtà più dell’affetto.
Chiunque può tradire, quando non c’è nulla di concreto a legare due persone.
La paura invece perseguita, toglie il sonno, mozza il respiro, paralizza. Spinge a voler fare di più, a voler fare meglio, per essere apprezzati.
La legge del più forte. Silco non dubitava della lealtà dei suoi uomini, perché erano loro a fare il lavoro sporco per lui. Sapevano a cosa andava incontro chi si rivoltava, pertanto non si azzardavano nemmeno a pensarlo.
Silco accarezzò i capelli cerulei della ragazzina, prima di iniziare a muoversi, facendole capire che doveva spostarsi.
- Do-dove vai…? – balbettò, permettendogli però di mettersi in piedi.
Non le doveva alcuna spiegazione. Non le doveva nulla. Sarebbe stata una palla al piede.
Invece si chinò verso di lei, osservò i suoi occhi azzurri resi viola dal riflesso del fuoco sulle iridi, occhi ingenui e pieni di solitudine e speranza.
Le tese quella mano che nessuno aveva mai teso a lui.
- Vado a fare una commissione. Vuoi venire? O vieni con me, o resti qui, ma non tornerò una seconda volta.
Una mano non rimaneva tesa a lungo.
La ragazzina l’afferrò subito, alzandosi e seguendolo.
Non si staccò più dal suo braccio.
 
Silco andò a prelevare dei soldi da un nascondiglio sicuro di cui nessuno era a conoscenza. Fidarsi dei suoi uomini era un conto, essere stupidi un altro.
Allora perché ci aveva portato la ragazzina?
Soppesò il sacchetto di monete in una mano. Erano abbastanza. Si assicurò di non essere seguito e uscì dal rudere che apparteneva a lui, anche se nessuno lo sospettava. Una vecchia catapecchia abbandonata vicina al molo, vicina a dove si ergeva fino a poche ore prima il suo quartier generale. Il percorso per arrivarci era così tortuoso che anche i più solerti si sarebbero stufati di pedinarlo.
Non si diventava il capo di qualcosa se non si manteneva il cervello sempre all’erta, sempre pronto a pianificare, a progettare la prossima mossa e a tracciare il percorso da seguire. Le scorte di shimmer su cui il dottore aveva lavorato erano andate quasi tutte distrutte, forse senza il quasi. Ora che avevano trovato la miscela giusta, e che gli effetti collaterali erano stabili, il dottore ci avrebbe messo meno tempo a replicarla. Ma serviva spazio. Serviva tempo. E tempo e spazio spesi a vuoto non portavano denaro. La mancanza di denaro portava al fermo delle operazioni. Sarebbe stato un passo indietro nel programma.
Ecco perché doveva impadronirsi del Last Drop, avere una base operativa e una fonte di entrate. Quel bar non era una miniera d’oro, ma ci si poteva lavorare, cambiando un po’ di regole. Introducendo un po’ di permissivismo, parola che a quanto pare Vander sembrava evitare come la peste.
Perbenista del ca…
- Dove stiamo andando?
La ragazzina gli strinse ancora di più il braccio. Silco non pensava che una bimbetta potesse avere quella forza.
- Andiamo a casa, ragazzina.
 
Come previsto, il Last Drop era vuoto all’arrivo di Silco. La ragazzina si staccò appena prima di varcare la soglia del bar, come se avesse capito da sola ciò che doveva fare. L’immagine che doveva dare. Eppure esitò, sembrava terrorizzata. Si colpì una volta la testa sotto l’occhio inflessibile di Silco, mosse le labbra senza emettere un suono. Forse stava per crollare.
Silco non degnò di uno sguardo Mome. A lei andava bene. Sapeva che, quando Silco guardava qualcuno, non era di sicuro per tessere le sue lodi. Essere ignorati era una benedizione, un complimento.
Tirò fuori il sacchetto di monete e lo spinse contro la pancia dell’uomo che aveva detto a Mome di chiamare. Si sarebbe occupato lui della vendita del bar, una volta accertato il decesso del proprietario.
Be’, Silco gli aveva facilitato il compito. Probabilmente gli aveva dato anche troppi soldi, ma non voleva rogne.
L’uomo parve capire.
- Le porterò l’atto di compravendita domani.
Si dileguò.
Al suo posto, entrarono Sevika sorretta da Zantik e Darren con in braccio il dottore.
Silco non lasciò trasparire il sollievo alla vista del dottore vivo. Con mezzo viso carbonizzato, ma vivo. Lui sapeva meglio di chiunque altro che anche alle ferite peggiori si poteva sopravvivere. Non era… affezionato al dottore. A dire il vero, non si fidava nemmeno tanto di lui. Era un uomo di scienza, e in nome della scienza si potevano commettere tante atrocità quanto quelle perpetrate in nome della violenza. Gli scienziati erano fedeli alle loro scoperte, alle loro ricerche, al progresso. Erano come cani obbedienti finché il padrone dava loro carta bianca… ma rimanevano cani, e i cani spesso nascondevano la fame e i denti affilati.
Silco non era il tipo da fare moine, non chiese come stessero. Né loro se lo sarebbero aspettato.
- Il bar aprirà all’orario convenuto. Quando arriverà il barman mettetelo sotto torchio, non tollererò alcun tentativo di ribellione. Se recalcitra, trovatene un altro. Facciamo capire ai vicoli che chi comanda ora non è un debole che ha paura di ribellarsi e di agire.
I presenti annuirono e si misero all’opera: Mome e Zantik fecero un sopralluogo del bar, mentre Darren seguì Silco e la ragazzina al piano di sopra, con il dottore e Sevika.
Silco si infilò nella prima stanza che trovò: un ambiente spoglio con dei tavoloni vuoti, forse una sala che Vander usava per le riunioni. O per le bevute di qualche gruppo che chiedeva privacy.
- Mettetevi qua – ordinò, passando oltre.
Si fermò sbigottito quando vide che la ragazzina lo aveva preceduto e stava aprendo la porta della stanza successiva. Ci entrò come se sapesse cosa ci avrebbe trovato dentro. Come se fosse casa sua.
E lo era, si rese conto Silco.
La seguì all’interno. Era una stanza enorme con una vetrata intarsiata che di giorno avrebbe proiettato luce all’interno con la forza di due soli. Molto di classe. C’erano una scrivania e un letto. Doveva essere la camera di Vander. Un’altra porta laterale conduceva ad una stanza usata come armeria. Silco non riuscì a trattenere un sorriso che divenne una smorfia. Puoi togliere un uomo dai vicoli, ma non puoi togliere i vicoli dall’uomo. Vander aveva rinunciato alla violenza, a quella vita, vero? Eppure dormiva accanto alla sua vecchia personalità.
Quello sarebbe diventato il suo ufficio, decise. L’armeria, la sua camera da letto.
La bambina si arrampicò sul grande letto, si rannicchiò, strinse un cuscino.
Poi, docile come si era sdraiata, lo lanciò lontano e urlò, un urlo potete come Silco non ne aveva mai sentiti.
- Fa male, vero, ragazzina?
Lei si asciugò le lacrime e il naso con la manica, si girò verso di lui. Non era mai successo, nemmeno in tempi più sereni, tempi in cui tutto sembrava realizzabile con suo fratello di fianco, tempi di sogni da giovani e di clemenza, che si sentisse toccare tanto dallo sguardo di un bambino.
La ragazzina scosse la testa, assentì, ma non rispose. Si girò verso una cornice accanto al letto.
Silco la osservò accarezzare la foto sul comodino, una foto di Vander con altri cinque ragazzini, di cui una era lei, l’altra sua sorella. Gli altri due erano quelli che non erano mai scappati dal conservificio crollato, uno non l’aveva mai visto.
Non sapeva come interagire con una bambina, non era abituato a sentirsi a disagio. Però c’era una catena di comando, una gerarchia da rispettare, ed era meglio insegnarglielo subito. Sarebbe anche potuta rimanere casa sua, ma le regole erano cambiate, e doveva rendersene conto subito.
- Puoi restare, purché tu non mi dia fastidio e non intralci i miei piani. Immagino tu abbia una camera qui, no? Puoi tenertela, cibo ce ne sarà dato che è un bar. Alla fine basta questo per vivere, cibo e un tetto.
Era un’offerta più che generosa, soprattutto perché non le chiedeva nulla in cambio… soprattutto perché non le doveva nulla, eppure non la buttava per strada, abbandonata a se stessa.
Ma lei non rispose. Sembrava non averlo nemmeno sentito. Cominciava col piede sbagliato…
- Hai capito, ragazzina? – chiese, più aspramente di quanto intendesse.
Meglio così, tanto valeva che capisse subito.
Si girò verso di lui con gli occhi lucidi di lacrime e… determinati. Silco increspò la fronte, assottigliò l’unica palpebra che gli restava, mentre l’occhio malato rimaneva fisso su di lei, immobile. C’era una forza dentro di lei, un potere che chiedeva solo di esplodere. Era… pericolosa. Era un animale selvatico, che poteva rivoltarsi contro il proprio carceriere. Ma poteva anche diventare la più fidata delle bestie, se addomesticata.
Era lo sguardo di chi non si faceva mettere i piedi in testa e, fintanto che quella volontà non intralciava il suo cammino, Silco lo apprezzava.
- Non mi chiamo “ragazzina”.
Silco chiuse l’occhio, respirò. Le si avvicinò, svettando su di lei, guardandola dall’alto. Lei non parve minimamente intimidita. Non si piegava facilmente. Era una creatura ferita, ma non debole. Non inerme.
Si chinò fino ad essere alla sua stessa altezza.
- Come ti chiami, allora?
Parve esitare. – Pow-Powder.
Sarcasmo. – Pow-Powder?
La ragazzina raddrizzò la schiena. – Powder.
Bene. Che riprendesse il controllo. Che capisse chi era, chi voleva essere. Forse poteva tornargli utile. Di sicuro non gli sarebbe stato di nessuno aiuto una bambina piagnucolante in cerca di coccole. Non da lui, non era assolutamente concepibile.
- Sicura di voler tenere quel nome? È il nome della vita che hai appena perso, no? Il nome con cui ti chiamava tua sorella prima che ti abbandonasse.
La ragazzina si rabbuiò, si strinse i capelli, gemette. Si raggomitolò su se stessa, ondeggiando.
Instabile. Decisa, ma instabile.
- Non l’ho fatto apposta, volevo solo aiutare. Volevo solo… io… la mia bomba ha funzionato. Lei ha detto che avrebbe funzionato, ma non è stata felice. Lei…
Poi urlò, sdraiandosi e calciando l’aria. Silco si spostò appena in tempo, perplesso.
La bomba… Aveva causato lei l’esplosione? Quell’immensa distruzione, la morte della sua cavia e le ferite del dottore, il crollo del suo quartier generale, la perdita di quei due ragazzi… erano opera sua?
- Hai fatto esplodere tu il mio covo? Dove hai trovato una bomba del genere?
La ragazzina, Powder, si rimise a sedere, guardandolo terrorizzata. Si mise in piedi sul letto e lo abbracciò.
- Non mi cacciare. Ti prego, non mi lasciare.
Silco non rispose all’abbraccio, era troppo impegnato a ragionare. – La bomba. Dove l’hai presa?
- L’ho cre-creata io. Ha funzionato. Vi ha sempre creduto che avrebbe funzionato, ma non è stata felice! – gridò scostandosi, dandogli le spalle. – Che senso ha dirmi che avrebbe funzionato se poi mi abbandona nel momento in cui succede?! Io non porto sfortuna!!
Seguire i suoi ragionamenti era difficile. L’unica cosa chiara in tutto quel discorso era il fatto che quella bomba micidiale l’aveva creata lei.
- Quanti anni hai?
Powder si girò. Tirò su col naso. Divenne piccola. – Sette.
- Come hai imparato a fabbricare bombe? Chi ti ha insegnato?
Si strinse nelle spalle, quasi fosse timida. – Mi piace creare quel genere di cose. Non so menare come Vi, né sono grossa come Claggor, volevo aiutare a modo io.
- Hai inventato quella bomba senza un minimo di conoscenza della materia? – chiese ancora, sempre più stupefatto.
- Prima non avevano funzionato – rispose lei. Sembrava calmarsi mano a mano che parlava. – C’ero quasi, ma questa notte è stata la prima volta. Ha funzionato!
Rise saltando sul letto, all’improvviso giubilante. Poi si fermò.
- Io non porto sfortuna… - borbottò. – Io non sono Jinx!!*
Silco l’afferrò per il braccio, spaventandola. Non era sua intenzione.
- Cosa stai dicendo?
Powder deglutì. – Mylo mi diceva sempre che porto sfortuna. Le missioni andavano sempre male quando c’ero io. E… mia sorella mi ha detto… che sono Jinx, prima di…
Si afferrò di nuovo la testa con il braccio libero, poi liberò anche l’altro e se le strinse al petto, ricominciando a piangere.
- Io non porto sfortuna, io non porto sfortuna io…
- E se fosse sempre stato questo il tuo posto? – le domandò Silco, serafico. Doveva incanalare quell’instabilità, doveva plasmarla e definirla. Doveva trasformarla, renderla sfruttabile. – Se tu portassi sfortuna… ai nemici? Se fossi effettivamente Jinx? Potrebbe non essere una debolezza, ragazzina, ma un potere.
Powder lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Come se avesse capito una cosa importante.
- Porti scompiglio, porti caos. Distruzione. A me sembra un bene. Bisogna essere stupidi per non comprendere l’importanza di un diversivo, o di una bomba mirata. Potresti diventare l’incubo dei tuoi oppositori. A me il tuo sembra un potere, non una maledizione. Non una sfortuna.
La ragazzina gli si avvicinò, lo fissò negli occhi. Non si soffermò su quello malato, lo guardò proprio in viso, come se fosse capace di leggergli l’anima.
- Non… porto sfortuna?
- Solo se lo vuoi. Siamo noi a decidere per noi stessi, sempre. E tu? Vuoi lasciare che le parole di quella traditrice di tua sorella definiscano chi sei? Ti sminuiscano?
I suoi occhi si indurirono. Si focalizzarono.
Sembrava che avesse capito qual era il suo scopo, il suo posto nel mondo. Sembrava che avesse capito che non erano anime costrette a subire i colpi della vita.
Potevano tornare da guerrieri.
Potevano dire addio al passato. Era tempo di dire addio.
- No.
- Come ti chiami?
Una nuova identità. Un punto di inizio. La possibilità di tirare fuori del potenziale, di scoprire chi era veramente.
Un nuovo nome. Una bandiera, il punto di congiunzione tra il passato e il futuro.
Le ultime parole che le aveva detto Vi, un’ombra appartenente ormai al suo passato.
E ciò che sarebbe diventata in futuro.
Il tutto condensato in quell’unico istante. Nel presente.
La ragazzina abbracciò Silco, che di nuovo non si ritrasse al contatto. Nessuno lo toccava. Era un gesto intimo, un’azione che nessuno si sarebbe mai azzardato a tentare. Lui era il capo, lui era intoccabile. Però tra le braccia magrissime di quella bambina scoprì un tepore che non aveva mai sentito tra le braccia di nessuna donna. In nessuna stretta di mano tra uomini, per quanto fosse vantaggioso un accordo.
Sembrava… il riempimento di un vuoto. Qualcosa di incontaminato, da proteggere.
- Jinx. Io sono Jinx.
Silco la strinse a sé a sua volta, sapendo nel profondo, nello stesso luogo in cui aveva albergato l’affetto per Vander, che non l’avrebbe più lasciata.
Attirò a sé un’anima abbandonata come lui, trovando la guarigione di cui non sapeva di avere bisogno. E offrendola anche a lei.
Abbracciò per la prima volta sua figlia.
 
 
 
* “Because you’re a Jinx” in originale. “Perché porti sfortuna.” Le parole che Vi ha rivolto a Powder prima di allontanarsi, fine atto III.
Jinx: iettatura, persona che porta sfortuna, sfiga.
 
  
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