Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Alina_Petrova    12/02/2022    0 recensioni
Come inizia una storia?
Qualche volta è amore a prima vista – un’attrazione spontanea alla quale uno non può resistere, anche se all’apparenza i due non hanno nulla in comune. Ma se riescono trovare il coraggio di avvicinarsi l’uno all’altro, qualcosa che li unisce spunta fuori. Una stupidaggine forse, che sembra quasi uno scherzo, però non è niente male per cominciare.
Altre volte, un passo falso, parole sbagliate – tra i due si solleva un muro. Sembra difficile abbatterlo, ma con un po’ di fortuna e di buona volontà forse possono riuscirci.
Alcuni sono sempre in attesa di un incontro e altri hanno perso la speranza. Ma a cosa servono gli amici, se non per darci una spinta nella mischia?
Ci sono amori guidati dal destino.
Una storia potrebbe iniziare in un modo banale oppure del tutto bizzarro, se poi dovesse funzionare, andare avanti, durare nel tempo, dipende solo dai nostri protagonisti. Intanto, come si dice, chi ben comincia è a metà dell’opera, no?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Allora, Colum, che piani hai per oggi?» esordì Maria appena entrata
in cucina e gli si piantò di fronte, le mani sui fianchi.
Erano coinquilini da tre anni e amici del tipo culo e camicia da
sempre in pratica. Vicini di casa, avevano legato che erano ancora in
fasce, e quando verso i quindici anni d’età era uscito fuori che entrambi
avessero il debole per le persone del proprio sesso, il loro rapporto si
era rafforzato ancora di più, alimentato dal senso di solidarietà.
Affrontarono uniti la mentalità chiusa della gente di quella piccola
cittadina del Minnesota dove erano cresciuti, e appena ne ebbero
l’opportunità, sempre insieme, si trasferirono a New York dove
potevano finalmente sentirsi liberi di essere quelli che erano e seguire i
propri sogni.
«Perché? Dovrei avere qualche piano particolare?» chiese il ragazzo
del tutto confuso, che per poco non soffocò con l’ennesimo cucchiaio di
cereali alla sua uscita.
«In realtà, sarebbe un bel cambiamento», disse la ragazza,
dirigendosi verso l’armadietto per la sua dose mattutina di caffè e
biscotti. «Per quanto ancora pensi di andare avanti così, eh? Sono passati
ormai sei mesi da quando tu e Adam vi siete lasciati! Lui a questo punto
è praticamente prossimo alle nozze! E tu... cosa stai aspettando, si può
sapere?»
Non è che fosse una novità questo comportamento da ficcanaso
patentata dell’amica, aveva un carattere forte e deciso lei ed era sempre
stata fin troppo protettiva nei suoi confronti. Sopratutto da quando
Colum aveva perso la mamma alla tenera età di otto anni, a Maria
veniva naturale cercare di colmare almeno un po’ quel vuoto. Ma
nell’ultimo anno, probabilmente per il fatto che la sua fidanzata si era
trasferita da loro, l’amica aveva parecchio mollato la presa su di lui, e
anche se Colum si sentiva un tantino trascurato, provava un certo
sollievo nel essere per una volta lasciato a se stesso.
Colum chiuse gli occhi e abbandonò la testa sulle mani appoggiate
sul tavolo.
Sempre gli stessi discorsi, che vanno sempre a finire allo stesso
modo! Era davvero così difficile da capire? Non aveva più voglia di
cambiare la sua vita, i suoi gusti, le sue abitudini per nessuno al mondo,
né fingersi qualcuno che non era. Non era più disposto a fare finta che
gli piacesse ciò che in realtà lo faceva quasi vomitare – basta!
Non era stato facile per lui alle superiori, quando tanti coetanei
avevano comminciato ad uscire con le ragazze, e lui si era sentito
emarginato... un’altra volta. Soffriva per questo isolamento, ma si
consolava con le fantasie su un futuro imminente, quando sarebbe
andato al college a New York, la città dei suoi sogni. E in un certo senso,
la Grande Mela non aveva deluso le sue aspettative – la sua
omosessualità lì non bruciava sulla pelle come un marchio, ma era
piuttosto solo una delle sue caratteristiche, come colore degli occhi o il
numero di scarpe, ecco, nulla di più. Fu accettato alla Parsons School of
Design e considerando l’ambiente, ebbe opportunità di incontrare tanti
ragazzi gay, solo che...
Solo che, il suo essere contraddittorio – al tempo stesso, introverso e
diva – lo faceva sentire oppresso dagli spasimanti troppo invasivi e
trascurato da quelli troppo pieni di sé. Poi c’era il fatto che, sì, Colum
amava la moda, c’era portato, ma non era l’unica cosa che gli
interessava: adorava il teatro, amava cantare, leggere, segretamente
scriveva anche. Perciò la fissazione dei ragazzi sul mondo della moda,
come se non esistesse nient’altro, la loro superficialità, all’inizio lo
stupirono, ma con il tempo se ne stancò e alla fine si rassegnò.
Non tutti hanno da qualche parte la propria dolce metà, bisognava
semplicemente accettarlo e vivere in modo autonomo, senza pretendere
niente da nessuno e senza dare fastidio agli altri...
«Diamine, ma forse io...»
«Accidenti! Vi do fastidio... a te e Noemi?» allarmato, Colum alzò gli
occhi spalancati sull’amica. «Non avete che da dirlo, mi troverò un altro
alloggio... è difficile, sì, ma non è poi impossibile!»
Lei si girò lentamente... oh, se gli sguardi potessero uccidere!
«Colum!!! Ma sei tutto matto?!» presa dalla rabbia, Maria con tutta la
forza che aveva nel corpo gettò la caffettiera nel lavandino, producendo
un trambusto infernale. «Cosa c’entra ora questo, eh? E come potresti
darci fastidio, vorrei sapere? Sei il nostro gratuito governante, cuoco e
personal shopper, tre in uno!»
Era vero, già di natura Colum era un tipo pignolo, amante
dell’ordine e della pulizia, ma dovendo provvedere lui a curare la casa
dopo la morte della madre, era diventato pure molto bravo nel farlo.
Non gli pesava affatto, era solo una routine per lui ciò che per la
maggioranza dei ragazzi della sua età sarebbe stato un incubo. In cucina
poi era un vero esperto, uno di quelli che non si fermano mai su un
menù fisso, provando invece sempre i piatti nuovi, e ne inventano pure
dei propri – insomma, quando c’è la creatività nel sangue... Senza
parlare del suo gusto impeccabile nel vestire: Maria ne approfittava
praticamente da sempre, e la sua fidanzata Noemi, una volta trasferitasi
da loro, non aveva semplicemente altra scelta se non unirsi a lei.
La ragazza si sedette sulla sedia accanto, gli poggiò la mano sulla
spalla e continuò con un tono molto diverso, calmo e quasi
supplichevole ora:
«Colum, io e Noemi saremmo felici di vivere sotto la tua ala
protettrice fino alla vecchiaia, ma... non è giusto! Ci fa male al cuore
vedere come passi la tua vita in solitudine, giorno dopo giorno, mentre
là fuori di sicuro c'è qualcuno tuo... qualcuno che ti aspetta! Non ti
vergogni di nasconderti da lui?» lo additò scherzosamente la ragazza,
ottenendo il suo sorriso in risposta.
«Il mio lui non esiste, Mari. Ci ho provato, nessuno lo sa meglio di
te, no? E quindi sai anche come ogni volta va a finire. Esatto! Con il mio
cuore che viene puntualmente spezzato... sono stanco e non ho
intenzione di fare più nulla, per trovare qualcuno. È umiliante,
maledizione! Se quel famoso lui esiste... che diamine? Che mi trovi lui!»
concluse Colum accompagnando le parole con un bel colpo del pugno
sul tavolo.
Maria ridacchiò, gli stampò un bacio sulla fronte e senza continuare
la discussione, si dedicò alla colazione. Conosceva l’amico come se
stessa e sapeva perfettamente che non sarebbe mai riuscita a smuoverlo
solo con le parole. Quindi, era inutile perdersi nelle chiacchiere, doveva
inventarsi qualcosa per spingerlo nella mischia. Non aveva la benché
minima idea su come agire, ma il solo fatto di aver preso la decisione di
farlo la rendeva fiduciosa.
Credeva nell’ispirazione del momento e nell’improvvisazione Maria,
proprio per questo aveva mollato la danza classica preferendo il jazz.
Quella volta le era andata più che bene – non solo poteva ora dedicarsi a
ciò che le riusciva meglio, ma era lì che aveva incontrata la sua amata, la
sua Noemi. Due ragazze erano tutto l’opposto l’una dell’altra: la scaltra
sicurezza di Maria contro l'ingenua timidezza di Noemi; Maria che era
sempre pronta ad affrontare le ingiurie della vita con le parole velenose
e i pugni, e Noemi che sfoderava uno dei suoi sorrisi sereni che
illuminavano il mondo e improvvisamente usciva fuori con qualche
perla di saggezza placando qualsiasi conflitto. Placando Maria. Era
diventata la sua ancora, il suo porto sicuro, quella ragazza bionda dagli
occhi di un azzurro quasi trasparente. Sembravano la raffigurazione
umana di Jing e Jiang – tanto diverse, ma perfettamente
complementari.
Ecco, era così che si sentiva Maria da quando Noemi era entrata
nella sua vita – completa. E desiderava con tutto il cuore la stessa cosa
per il suo amico.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Le famiglie di Maria e di Colum erano abbastanza benestanti da
permettersi di pagare le quote del college per i figli, ma affittare per
loro pure un appartamento niente popò di meno che a New York
avrebbe pesato troppo sui rispettivi bilanci famigliari, e i ragazzi stessi
non lo volevano di sicuro. Certo, esisteva anche l’opzione di vivere nei
dormitori, ma dopo una breve visita, Colum rimase semplicemente
schifato dallo stato in cui si trovava quello maschile, e Maria al volo si
rese conto che con il suo caratterino esplosivo non sarebbe riuscita a
sopravviverci nemmeno un giorno senza ammazzare qualcuna delle
ipotetiche coinquiline.
Per loro fortuna, un parente di Maria – il cugino di secondo grado di
suo padre, per essere precisi – ormai da quindici anni si era trasferito
nella Grande Mela dove gestiva un piccolo locale, e guarda caso, proprio
in quel periodo aveva bisogno di rimpiazzare una cameriera che si era
licenziata da un giorno all’altro senza spiegazioni mollandolo nei guai.
O così disse lui, quando i due ragazzi si presentarono alla sua porta in
cerca di aiuto.
Il primo giorno di lavoro fu un vero disastro per Colum. Di natura
era piuttosto schizzinoso, quello che si dice «con la puzza sotto il naso»,
e quindi rimase scioccato dallo stato pietoso della cucina e dei bagni, in
primo luogo, ma pure la sala secondo lui lasciava desiderare. Secondo
Nathan, il proprietario della trattoria, era tutto nella norma, perciò
diede a tutti e due un periodo di prova di tre settimane, fermamente
convinto che alla fine del periodo con lui sarebbe rimasta solo Maria.
E invece, il ragazzo lo sorprese non poco. Oltre ad essere
schizzinoso, qualità della quale sembrava pure fiero, Colum era
davvero cocciuto, e quando voleva raggiungere un certo obiettivo, ce la
metteva tutta. Così dopo due settimane Nathan si trovo un locale
ripulito da cima a fondo, con tutto il personale che considerava Colum
una specie di divinità della pulizia e dell’ordine e con lo chef che si
ribellava rifiutando di servire sempre i soliti hamburger con le patatine
e gli ficcava sotto il naso un piano di lavoro che prevedeva di presentare
ai clienti dei piatti delle cucine etniche, una diversa ogni mese «perché
lui e Colum credevano fosse un’idea valida».
Insomma, alla fine Nathan Costa, un uomo rude e pure spaventoso
per chi non lo conosceva bene, dovette ammettere che anche se per lui
personalmente andava benissimo tutto com’era prima, con le modifiche
e innovazioni di Colum il locale a breve iniziò ad attirare più clienti.
Così per l’inizio degli studi Maria e Colum avevano un lavoro sicuro
che gli permetteva di pagare l’affitto di un modesto appartamento, più o
meno a metà strada tra le loro due scuole. Ognuno lavorava nel
pomeriggio, un giorno si e l’altro no, alternandosi, in modo da non
recare i danni allo studio.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Quel giorno era il turno di Colum, ma le sue coinquiline passarono a
trovarlo al ristorante dopo le lezioni, come facevano spesso, per
approfittare della bontà di Nathan e riempirsi la pancia gratis. Una volta
svuotati i piatti, Maria si stiracchiò di gusto in procinto di lasciare il
locale, quando improvvisamente le venne in mente un’idea.
«Noemi, amore, potresti distrarre Colum per un paio di minuti?
Devo fare una cosuccia che lui non deve vedere. Ti avviso io poi, una
volta finito, d’accordo?» la sua fidanzata annuì con un sorrisetto
malizioso sulle labbra. «Vai, ora, devo uscire senza che lui mi noti, fai in
modo che non guardi nella mia direzione».
«Cooooolum, tesoro, il tatin di mele oggi è stato semplicemente
fantastico! Ascolta», Noemi afferrò Colum per il gomito, facendolo
girare verso la vetrinetta con i dolci, «potresti per favore raccontarmi
per bene, quali sono esattamente gli ingredienti necessari per quella
buonissima torta, come si chiama... Saint Honoré?» Nel frattempo,
Maria scivolò fuori dal locale, cancellò rapidamente il menu del giorno
dalla piccola lavagna nera vicino all’ingresso e altrettanto rapidamente
scrisse sopra qualcos’altro.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Nicolas camminava svelto a grandi passi lungo una strada
sconosciuta in una direzione ignota a lui stesso. Le ali dietro la schiena...
questo era esattamente ciò che ora sentiva e aveva lasciato che queste ali
lo portassero ovunque avessero voluto. L’audizione era andata alla
grande: non appena la giuria aveva visto il suo Puck, aveva ottenuto la
parte, e a tutti gli altri candidati non era rimasto altro che sperare di
diventare la sua controfigura. «Sogno di una notte di mezza estate»! La
massima aspirazione per tantissimi attori – che siano alla fine o
all'inizio della carriera poco importa – è la parte di Amleto, per Nicolas
invece è sempre stato il ruolo di quello spirito del bosco – ambiguo e
sfuggente, come lui stesso.
La finzione per Nick non era qualcosa che faceva, ma invece
rappresentava una parte integrante del suo essere. Probabilmente aveva
ereditato questa inclinazione naturale per la recitazione dalla Fantine, la
nonna materna, una vera legenda del palcoscenico parigino, che l’aveva
cresciuto fino all’età di quattordici anni. Visto che i suoi genitori,
archeologi appassionati, non si fermavano mai a lungo in un posto, e
anche quando si fermavano, spesso si trattava di qualche luogo sperduto
lontano dai centri abitati... non era la vita per un bambino piccolo
quella. Per fortuna di tutti loro, Fantine, che da poco aveva abbandonato
il lavoro al teatro accolse quel pauvre petite étoile* in casa propria e lo
iniziò alla vita bohemiana. Il ragazzo non aveva deluso la sua adorata
gran-mère**, già a sei anni affrontò le luci della ribalta e da allora non
smise più, rappresentando tutti i personaggi giovanili possibili e
immaginabili, da Pinocchio a Gavroche.
Tuttavia, in questo preciso istante Nick era pronto a scommettere
che avrebbe potuto fare le scintille nel ruolo del Lupo Cattivo della fiaba
Cappuccetto Rosso. Quella mattina, come suo solito, era in ritardo e
aveva sacrificato la prima colazione per recuperare il quarto d’ora
mancante e adesso stava letteralmente morendo di fame.
Guardandosi intorno, mentre camminava, con uno sguardo avido e
vigile, Foley, finalmente si imbatté in un piccolo ristorantino, a prima
vista piuttosto accogliente. Davanti all’entrata c’era una lavagna nera, di
quelle sulle quali scrivono il menù del giorno, e Nick si avvicinò per
curiosare, anche se a quel punto era pronto a sbranare addirittura il
cameriere insieme al suo grembiulino blu, così com’era, senza salsa e
senza nemmeno rosolarlo un po’... e con un enorme stupore dovette
constatare che era esattamente questo che offriva il menù. Il testo sulla
lavagna, accompagnato dal disegno in stile asilo nido, diceva:
Oggi il tuo cameriere è:
1. Fottutamente sexy e gay.
2. Disperatamente solo.
Come bevanda del giorno consigliamo:
“Dammi il tuo numero”
Nick si girò confuso verso la coppietta di bellissime ragazze appena
uscite dal locale come se cercasse conferma di non aver avuto le
allucinazioni causate dalla fame. La bionda e la mora, colto il suo
sguardo, contemporaneamente sollevarono il pollice e fecero un segno
eloquente con la testa verso il cameriere che in quel momento stava
prendendo l’ordine a uno dei tavolini sulla terrazza del locale.
Nicolas tirò gli occhiali fuori dal taschino della camicia e se li mise
sul naso, voltandosi in quella direzione... Caspita! Il menù non aveva
mentito, almeno per quanto riguardava il primo punto.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Con la coda dell’occhio Colum registrò un movimento veloce fuori
dalla terrazza vicino alla lavagna con il menù del giorno che aveva
aggiornato personalmente non più di mezz’ora prima, sostituendo i
piatti offerti per la colazione con quelli del pranzo. L’uomo al tavolo che
stava servendo si decise finalmente e iniziò a elencargli i piatti scelti,
perciò Colum si distrasse per un attimo dall’eventuale nuovo cliente, ma
le risate delle amiche appena uscite dal locale di nuovo catturarono la
sua attenzione. Alle risate seguì un’incomprensibile pantomima. Un
giovane uomo, alto e abbastanza carino – va bene, un vero gnocco! –
distolse lo sguardo piuttosto confuso dal menù del giorno e lo rivolse
alle ragazze e quelle, chissà perché, lo trovarono assai divertente,
scoppiando in una nuova risata. Brutto segno, Colum! – arrivò un
avvertimento dal suo subconscio. Maria e Noemi, in risposta alla muta
domanda dello sconosciuto, per qualche motivo oscuro indicarono
Colum, l’uomo si appuntò sul naso gli occhiali e... Colum fece appena in
tempo a seppellire il naso nel suo taccuino, per evitare di essere colto in
flagrante.
Andando in cucina per portare al cuoco l’ordinazione e prendere
dell’acqua e dei grissini per il cliente in attesa, Colum cercò di ricordare
cosa poteva aver scritto su quella lavagna di così strano da portare una
persona quasi allo stato catatonico e da provocare alle sue amiche un
attacco di risate isteriche. Dopo aver ripassato nella memoria i vari
punti del menù, fu costretto comunque a constatare che non vi erano
nomi di piatti particolarmente esotici o complicati. L’unico forse era
ratatouille... ma Colum amava e conosceva benissimo il francese,
quindi, difficilmente avrebbe potuto commettere un errore in quella
parola.
Una volta lasciati i grissini e la caraffa con l’acqua sul tavolo, Colum
alzò gli occhi su quel belloccio, che tuttora stava davanti alla lavagna,
come se attendesse qualcosa. I loro sguardi si incrociarono, e lo
sconosciuto, dopo un attimo di confusione, gli sorrise raggiante e con
un cenno del capo gli chiese di avvicinarsi. Colum alzò un sopracciglio
sorpreso – ovviamente, c’era qualcosa che non andava con il menù – e
si diresse verso di lui, non prima di essersi stampato in faccia un sorriso
professionalmente cordiale, in cui si poteva leggere lontano un miglio: Il
cliente ha sempre ragione!
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Nick ebbe un’ottima opportunità di valutare il fisico del ragazzo – di
fronte, di lato e, soprattutto, da dietro – dopo di che con soddisfazione
concluse che sì, non gli mancava niente. Ma quando quella perfezione
con il grembiulino sollevò su di lui i suoi occhi del colore del cielo
sereno di mezza estate, Foley rimase senza fiato. «Ci avrei giurato, il
mio colore preferito!» mormorò tra sé e sé con un piccolo ghigno.
«Ciao!» salutò, letteralmente palpando il ragazzo dalla testa ai piedi
con uno sguardo eloquente e forse addirittura inappropriato a quell’ora
del giorno in un luogo pubblico. Quello si irrigidì visibilmente per aver
subito una tale scansione, ma con uno sforzo disumano riuscì a
mantenere il sorriso sulle labbra.
«Qualcosa non va?» chiese educatamente, e Nick definitivamente
perse la testa. Sì, aveva una fissazione. Amava cantare e sapeva farlo
piuttosto decentemente, e adorava le belle voci melodiche, ma
soprattutto gli piaceva in una donna la voce bassa, e in un uomo, di
conseguenza, quella alta. Ma poiché era al cento per cento gay, il timbro
alto della voce in un uomo lo eccitava alquanto, soprattutto se veniva
fornito completo con un bell’aspetto! E questo cameriere emetteva i
suoni più teneri e dolci che lui avesse mai sentito. Nick
inconsapevolmente si leccò le labbra e deglutì, prima di rispondere con
la voce rauca per l’eccitazione:
«Spero che tutto sia proprio così come c’è scritto qui... certo, se il
cameriere in questione sei tu...» e puntò il dito verso la lavagna senza
staccare gli occhi dal ragazzo che si accigliò preoccupato e lo aggirò per
scoprire finalmente di cosa, in nome di Gaga, quello svitato stava
blaterando.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Quando Colum vide cosa effettivamente c’era scritto – e, per così
dire, disegnato – sulla lavagnetta al posto del solito menù... per un paio
di secondi si sentì mancare e letteralmente congelò sul posto. Poi i suoi
occhi si spalancarono, mentre il volto si infiammò. Ma solo un attimo
dopo, il rossore abbandonò le sue guance, e i suoi occhi si
trasformarono in due sottile fessure, sospettosamente simili a delle
feritoie, e Nick rabbrividì sperando di non capitare mai e poi mai sulla
sua linea di fuoco.
«Va bene, Costa... stronza che non sei altro! La tua dose di arsenico te
la sei guadagnata!» soffiò incazzato nero Colum, stringendo i pugni,
dopo di che fece un paio di respiri profondi per non pestare per caso il
primo malcapitato. Così prima di rivolgersi di nuovo a Nicolas riuscì a
riacquistare le sembianze di un individuo abbastanza equilibrato anche
se alquanto teso. «Mi scusi, normalmente non forniamo delle
informazioni false. A quanto pare, è uno scherzo di qualcuno dei
passanti».
«Quindi non sei solo?» s’informò Nick senza riuscire ad attenuare la
delusione nella voce.
«Ehmm... questo punto purtroppo corrisponde a verità. Ma tutto il
resto non sono altro che bugie», precisò irritato Colum. «Mi scusi
ancora, sistemo tutto subito», aggiunse poi prima di sparire in fretta
all’interno del ristorante.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
«Nooo... sono io che sistemerò tutto! Forse non subito... ma lo
sistemerò!» mormorò Nicolas, cancellando la scritta con un fazzoletto di
seta con sopra un monogramma ricamato a mano. Alzando lo sguardo
vide il bel cameriere tornare verso di lui a passo svelto con uno straccio
in una mano e un pezzo di gesso nell’altra. Il ragazzo deciso si avvicinò
alla lavagna, sollevò la mano con la spugna bagnata... e si girò assai
sorpreso verso Nick.
«Oh... grazie, lei...» a quel punto aveva notato nella sua mano il
fazzoletto chiaramente di un certo valore irrimediabilmente rovinato e
si sentì ancor più in imbarazzo. «Lei non avrebbe dovuto! É il mio
lavoro questo... La ringrazio tanto, ma non c’era alcun bisogno di...»
«L’ho fatto per motivi puramente egoistici», interruppe il suo
sproloquio Nicolas. «Non è che soffrissi del complesso di inferiorità, ma
sai... preferisco non avere dei concorrenti», disse giocoso strizzando
l’occhio al ragazzo che lo fissava un tantino perplesso. «Nick Foley!» si
presentò allungando la mano.
«C-Colum... Colum Dunn», istintivamente rispose quello. «I
concorrenti? Di... di cosa sta parlando?» chiese poi in ritardo.
«Come sarebbe, di cosa?» ghignò Nick, passando in modalità
«seduttore». «Sto parlando della possibilità di avere il tuo numero di
telefono come dessert, tesoro!» a quelle parole il sorriso scivolò via dal
viso di Colum immediatamente sostituito da una espressione indignata.
E pensare che cominciavi a piacermi... ma a nessuno è permesso chiamarmi
tesoro, pensò tra sé e sé, ma a voce alta disse in tono gelido:
«Come le ho già detto, signore, questa scritta sicuramente è uno
stupido scherzo di qualcuno dei passanti. In ogni caso, se desidera
rivolgersi a me, qui c’è il mio nome», e dicendo così il ragazzo puntò il
dito sulla piccola targhetta attaccata al taschino della camicia, «invece
«tesoro» o altri epiteti giocosi la prego di conservarli per quelli che si
considerano così poco da permetterglielo!» gli occhi verdi dietro le lenti
si spalancarono sorpresi e Colum, soddisfatto del risultato, si mise a
riscrivere di nuovo il menù sulla lavagna.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Nicolas per un attimo rimase senza parole, non gli era mai capitato
di essere rifiutato in quel modo – educato, ma deciso. E questo gli era...
piaciuto! La cosa l’aveva leggermente ferito nell’amor proprio, ma
decisamente fece crescere ancor di più il suo interesse. Sembrava che
per una volta gli si presentasse l’opportunità di faticare un po’ per
ottenere il premio!
Quindi, l’immagine di playboy ti fa incazzare... e cosa allora potrebbe piacerti,
Colum Dunn? Nick chinò la testa da un lato scegliendo una nuova tattica.
Quando il ragazzo ebbe finito con il menù e senza prestargli più alcuna
attenzione si diresse verso il prossimo cliente, Nicolas fece un passo in
avanti, bloccandogli la strada.
«Ehmm... mi dispiace, non volevo offenderti! In realtà, non è affatto
il mio stile...» Nick incrociò le dita dietro la schiena e cercò di ricordare
la gaffe più vergognosa della sua vita per richiamare un po’ di rossore
sul viso, il che gli riuscì, a giudicare dalla insolita sensazione di calore
sulle guance. «Vedi... Colum, sono tremendamente timido, e conoscere
qualcuno per me è sempre stato un problema... soprattutto se si tratta di
qualcuno così carino come te... ecco...» disse, mormorando queste eresie
tutto d’un fiato e osservando di sottecchi la reazione della preda, e
quando il ghiaccio negli occhi blu di fronte iniziò a sciogliersi, Nick si
congratulò per aver scelto la direzione giusta. «Io, vedi... ho solo cercato
di applicare la tattica di un mio amico. A lui... non so come fa, ma a lui
funziona sempre! Così ho pensato di provarci. Ma sembra non faccia
per me, eh?» proseguì sulla stessa strada rincarando la dose con un
musetto esageratamente triste, strappando persino un sorriso a Colum,
e si segnò mentalmente ancora un punto. «Mi dai qualcosa da mangiare?
Ho tanta fame...»
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Colum strinse le labbra per non ridere. No, non era un ingenuo, solo
che come la maggior parte di noi, Colum aveva la tendenza a credere a
ciò a cui voleva credere. Così con un piccolo sorriso invitò il nuovo
conoscente a seguirlo.
«Beh, mettiamo che mi hai convinto... fino al prossimo scivolone»,
disse Colum, facendo poi accomodare Nick al tavolino e
consegnandogli il menù.
Colum fece già per ritirarsi lasciando a Nicolas un momento per
scegliere i piatti, ma quello lo fermò e praticamente lo costrinse a fare
l’ordine al posto suo seppellendolo sotto una montagna di complimenti
e giustificandosi con la sua assoluta ignoranza nella cucina francese, che
lo chef del locale aveva imposto per questo mese. Dovette di nuovo
incrociare le dita, ma di brutto, sperando che nel momento in cui
Colum avesse scoperto le sue origini, questo dettaglio potesse essere
solo un motivo per farsi insieme due risate.
Per tutta la cena Nick si era comportato in maniera impeccabile,
senza lasciarsi sfuggire tuttavia qualche occasione di abbagliare Colum
con un sorriso, quando i loro sguardi si incrociavano da lontano, o di
sfiorargli la mano, quando Colum passava vicino al suo tavolino.
Nicolas addirittura si lanciò dall’altra parte della sala per raccogliere la
penna scappata delle dita del bel cameriere – che chiaramente aveva
apprezzato il gesto, anche se si imbarazzò visibilmente. Nick non aveva
nessuna fretta di lasciare il locale, così al momento del dessert, la sala si
era praticamente svuotata, e Colum accettò più che volentieri il suo
invito a riposare un po’, gustando insieme una crème brûlée.
Una parola tirava l’altra, la conversazione leggera su tutto e niente
andava avanti liscia come l’olio... Fin troppo liscia! – pensò Colum. Tutto
sembrava procedere a meraviglia, ma, qualunque cosa dicesse, qualsiasi
opinione esprimesse, Nick concordava con tutto. E per di più con un
quasi malsano entusiasmo. All'inizio era addirittura piacevole –
finalmente aveva trovato qualcuno con gusti simili ai suoi – ma dopo
un po’ nella mente di Colum si insinuò un certo sospetto.
«E i musical! No, dimmi, a chi al giorno d’oggi potrebbe interessare
quella lagna?» lanciò l’esca per controllare la sua teoria.
«Esattamente! Al tempo dei supereroi e della grafica digitale... è
acqua passata ormai!» abboccò l’altro.
«E se avessi detto che il musical rappresenta il meglio dell'arte
teatrale e che Broadway è l’amore di tutta la mia vita? Ti saresti messo a
cantare le lodi a sir Andrew Lloyd Webber?» chiese improvvisamente
serio Colum con sarcasmo.
Nicolas, che chiaramente non si aspettava un tiro mancino del
genere, si bloccò a bocca aperta, sbattendo le palpebre. Cazzo, ho esagerato!
– gli balenò in testa. Colum si alzò in piedi con un sospiro pesante.
«Beh, anche un risultato negativo è pur sempre un risultato! Ma se
permetti una curiosità, Nick Foley, chi sei di professione?»
«Sono un attore», sparò quello senza pensarci.
«Ah! Questo spiega molte cose!» scoppiò Colum in una risata che
sapeva poco di allegria. «Però, non riesco ancora a capire, a cosa ti
serviva mettere su tutto questo spettacolo? Ti ha ingaggiato Maria?» si
accese una lampadina nella testa di Colum.
«Maria? Chi è Maria?» lo fissò Nicolas sinceramente perplesso.
«Ma se non è per lei... sul serio, non capisco – perché l’hai fatto?»
allargò le braccia Colum.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Perché, Nick, spiegalo a lui, e già che ci sei anche a te stesso, perché ti dai da fare
così tanto con questo ragazzo? – si chiese Nicolas.
In realtà, era un comportamento del tutto atipico per lui, non aveva
mai prima d’ora avuto bisogno di tirare fuori le sue capacità
professionali per ottenere ciò che voleva da un ragazzo, bastava il suo
fisico asciutto e slanciato, il suo sguardo seducente e le sue movenze
aggraziate di uno che ha passato metà della vita sulla pista da ballo. E
allora... cosa c’era di diverso in questo ragazzo di fronte a lui – sì, era
carino, comunque Nicolas aveva già avuto a che fare con dei modelli
che sembravano degli Dei scesi dal Olimpo, ma se l’era sempre presa
comoda, se otteneva subito un sì, bene, se no – amen. Invece con
Colum, per qualche motivo sentiva un bisogno impellente di conoscerlo
meglio.
«Io... lo so ti sembrerà stupido, ma il fatto è che... mi sei piaciuto!
Tanto! Subito...» rispose insicuro come se si sentisse imbarazzato per le
proprie parole, guardando negli occhi di Colum che lo scrutavano con
diffidenza. Colum fece per parlare, e Nick, temendo di essere interrotto,
continuò in fretta: «Sono partito male, ho sparato un sacco di fesserie e
mi sono spaventato... avevo paura che non mi avresti più dato un’altra
possibilità, capisci? Ho immaginato così chiaramente che ti girassi e te
ne andassi via... che non mi avresti più considerato come qualcuno con
cui avresti potuto anche solo semplicemente chiacchierare o che magari
avresti potuto frequentare, con cui saresti potuto uscire per un
appuntamento. Era come se vedessi sollevarsi tra noi un muro di
cemento armato, ancora qualche secondo e non sarei più stato in grado
di abbatterlo!» Nick scosse la testa con un sorriso dispiaciuto. «Sai, tutto
questo l’ho capito solo ora... prima invece ho agito d’istinto! Avevo
bisogno di trattenerti a qualsiasi costo, e non ho trovato nulla di meglio
che sfruttare le mie competenze professionali e semplicemente... far
finta di essere qualcuno che potesse piacerti. Capisci?»
«Ormai non ha molta importanza, in realtà, e sai perché? Perché mi
risulterà parecchio difficile d’ora in poi credere anche a una tua singola
parola», Colum si strinse nelle spalle deluso. «E pensare che al primo
sguardo mi eri piaciuto...»
«Davvero?» disse Nicolas con la speranza nella voce.
«Davvero... ma poi hai parlato...» tagliò corto Colum, girandosi per
andarsene.
«E se ti invitassi a cena?» ci provò ancora Nick.
«Io non vado a cena con chiunque!» gli rispose sopra la spalla l’altro.
Nicolas strinse i denti e si alzò in piedi, non sapendo cosa fare.
«Non riuscirai a liberarti di me così facilmente! Dovrai servirmi
pranzi, finché non accetterai il mio invito a cena! Parola di scout!» disse
con tono di sfida.
«Che cos’è, una minaccia?» sollevò un sopracciglio Colum. «Allora
sappi che non mi hai spaventato! Se non hai notato questo locale è un
ristorante, quindi un luogo pubblico, divertiti finché non ti sarai
stufato».
E con questo si salutarono.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Tornato lì il giorno successivo, Foley scoprì che Colum non c’era,
dal momento che lavorava al ristorante a giorni alterni. Ma questo
rimase l’unica informazione che era riuscito a tirare fuori dai colleghi di
Colum. Alla sua ingenua domanda circa il motivo di tale ostilità, il
proprietario del locale, un tipo rude con il cranio calvo e un filo di
barba, ghignò in maniera un po’ inquietante e rispose, senza tanti
complimenti puntandogli dito contro il petto: «Perché non mi fido del
tuo bel faccino, Ciccio!» e prima che Nick riuscisse a dare voce a tutta la
sua indignazione, aggiunse: «E perché me l’ha chiesto Colum».
Su questo non c’era niente da obiettare, e Foley si ritirò a mani
vuote, sperando di ottenere di più l’indomani.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Colum invece, dopo che Foley se n’era andato, per qualche tempo
ebbe un leggero attacco di rimorsi di coscienza, chiedendosi se non
fosse stato troppo duro con un ragazzo che stava solo cercando di fargli
la corte. Ti faceva la corte, come no! L’importante è crederci! Quello che voleva è
scoparti – né più, né meno! – intervenne la vocina acida nella sua testa. E
allora? Non guasterebbe nemmeno quello! – rispose lui. E poi? Che ne sarebbe di te
dopo? Tu non sei il tipo da una scopata e via, Colum, lascia perdere! Colum
sapeva che questa era l’amara verità e che avrebbe dovuto
assolutamente stroncare ogni altro approccio di quel ragazzo
semplicemente per salvaguardare la propria incolumità emotiva. Sul
serio? Credi che quello gnocco verrà ancora a cercarti? – ridacchiò di nuovo la
vocina nella sua testa. No... in realtà non ci credo – dovette ammettere
Colum, rimettendo con cura il grembiule e il taccuino nell’armadietto.
Tornato a casa, non tentò subito a strangolare Maria, che lo stava
aspettando nel soggiorno pronta al peggio, ma invece andò in silenzio
dritto nella sua stanza dove si chiuse a chiave, spaventando la ragazza
non poco con quel comportamento. Quando, dopo quasi un’ora di scuse
continue mescolate a bestemmie in spagnolo e disperate variazioni di
«Apri questa dannata porta immediatamente, altrimenti la sfondo, al
diavolo!», la porta si aprì giusto di un dito e dall’interno Colum le disse
piano con la voce assonnata e incolore: «Mari... basta che mi prometti di
non tentare più di organizzare la mia vita privata», non le rimase altro
che annuire docilmente e ritirarsi.
Il giorno successivo, tra le lezioni alla Parsons, il corso di cucina
vegetariana, lo yoga e altre mille cose da fare, Colum si dimenticò
completamente del ragazzo dagli occhi verdi conosciuto il giorno
prima. Soltanto quando arrivò al ristorante il mattino successivo e vide
quella benedetta lavagna, deglutì con difficoltà, mandando giù il brutto
groppo in gola al ricordo, e si mise a lavorare, tornando lentamente alla
normalità. Almeno, fino al momento in cui, all’una spaccata una
familiare silhouette slanciata apparve sulla porta del locale. Con un
delizioso mazzetto di violette in mano.
Questa volta davanti a Colum si presentò la terza versione di Nick
Foley: il ragazzo si dimostrò un vero gentiluomo, attento e premuroso,
alternando, tuttavia, questo comportamento impeccabile con dei
commenti sarcastici, delle battute davvero divertenti e alcuni aneddoti
della propria vita. Un’ora e mezza volarono, e mentre pagava Nicolas,
senza troppa speranza comunque, tentò di rinnovare il suo invito.
«Pronto per uscire a cena con me?» a cui ricevette un prevedibile No!
«Una goccia riesce a scavare una pietra!» rispose allegro, facendo
l’occhiolino a Colum.
«Vedremo...» disse quello scettico.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Da quel giorno, esattamente la metà delle giornate di Colum
acquistarono colore: il verde smeraldo degli occhi di Nick, che
sembrava vedessero lui soltanto, il bianco splendente dei suoi sorrisi e
tutto l’arcobaleno dell’immancabile mazzetto di viole, di mughetto o di
semplici fiori di campo. Di volta in volta Colum imparava a conoscere
sempre meglio questo ragazzo e senza nemmeno rendersene conto gli
stava permettendo di sbirciare nella propria vita. E ogni volta l’arrivo di
Nick gli provocava un sorriso sempre più sincero e gli diventava sempre
più difficile rispondere di «no» all’ormai tradizionale invito a cena.
Finché un giorno...
«Wow, Colum! Camicia viola? Sul serio? Chi vuoi sedurre?» Maria
chinò la testa di lato e lo fissò divertita con lo sguardo interrogativo.
Inaspettatamente per lei, invece di sentire un velenoso « Non sono fatti
tuoi!» rimase investita da un sorriso raggiante dell’amico.
«Oggi gli risponderò di «sì», annunciò solennemente Colum.
«Augurami buona fortuna!»
«Evviva! Era ora, sai! Stasera io e Noemi ci fermiamo un po’ al club,
quindi almeno fino alle due l’appartamento è a tua completa
disposizione, porcellino!» l’amica gli schioccò un bacio veloce sulla
guancia e senza lasciargli del tempo per una replica indignata, sparì
dietro la porta.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Tredici zero cinque.
Colum con tutte le sue forze cercava di non essere nervoso, dicendo
a se stesso che cinque minuti di ritardo erano una sciocchezza, che gli
imprevisti succedono, che loro due non si erano nemmeno mai messi
d’accordo per un’ora precisa... Ma in quasi due mesi Nick non aveva mai
tardato nemmeno di un minuto, e in fondo Colum sapeva cosa
significasse. Non era Nicolas che aveva fatto tardi... era lui! Aveva esitato
troppo a lungo, e Nick semplicemente si era stufato di aspettarlo.
Dopo un’ora Colum smise di lanciare sguardi pieni di speranza in
direzione della porta d’ingresso ogni volta che qualcuno entrava. Il resto
della giornata aveva lavorato come un androide, servendo i clienti in
regime di pilota automatico, con un sorriso saldamente incollato sulla
faccia, in cui non c’era neanche una goccia di vita.
Al suo ritorno, aveva trovato le ragazze ancora a casa e alla legittima
domanda di Maria «Cosa è successo?», si permise finalmente di rilassarsi
e di sfogare tutta l’amarezza accumulata. Il club fu naturalmente subito
sostituito da un bel pigiama party con gelato a volontà e il Moulin
rouge, che faceva da sottofondo, mentre le ragazze facevano di tutto per
insultare Nicolas al meglio, e Colum, al contrario, lo difendeva
incolpando solo se stesso. Alla fine, tutti e tre si addormentarono nello
stesso letto, meno male che l’indomani era domenica.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
«Ehi, Nick! Su, dai, un piccolo sforzo! Niiiick!» – Thad, un suo amico
di lunghissima data, che viveva nell’appartamento proprio a fianco al
suo, emise un lamento disperato e ricominciò a scuotere l’amico per le
spalle, cercando di svegliarlo, possibilmente senza procurargli dei danni
fisici nel farlo. «Nick, ascolta, capisco che stai di merda, ma io devo
andare al lavoro... e non posso andarmene, fino a quando tu non mandi
giù le tue dannate medicine! Quindi, dai, svegliati!»
Era il terzo giorno ormai che Nicolas era bloccato a letto con la
febbre intorno a 39° e con le tonsille gonfie piene di placche bianche.
Thad, ovviamente, non aveva visto personalmente tutto questo orrore,
ma così gli aveva assicurato un altro loro amico, Jeff, che quell’anno
aveva iniziato il tirocinio in ospedale, e Thad gli credette ciecamente e si
incaricò di seguire scrupolosamente Nick in modo che prendesse tutte le
medicine prescritte. Il che non era un compito facile, dato che la febbre
scendeva appena per un’oretta, per poi tornare, trasformando l’amico in
un inerme essere delirante. Comunque, in mezzo a tutte quelle fesserie
che Thad si dovette sorbire in quei due giorni e mezzo, una parola –
anzi, un nome – sembrava avesse un legame con la realtà, perché
rappresentava una certa costante, alla quale il cervello fuso dalla febbre
di Nicolas tornava con una sorprendente regolarità.
Colum.
Nick lo chiamava, cercava di giustificarsi, gli spiegava qualcosa...
«Ecco, bravo!» esultò Thad una volta ottenuta finalmente una debole
reazione da lui. Poi aiutò l’amico a tirarsi un po’ su e gli portò il
bicchiere con la medicina diluita alle labbra. «Bevila... a piccoli sorsi.
Oggi non ho proprio tempo per cambiarti il pigiama e le lenzuola, se
me lo rovesci di nuovo!»
«Thad?» sussurrò rauco Nick, dopo aver svuotato il bicchiere.
«Quant’è che sto così... che giorno è?» chiese terrorizzato, spalancando
gli occhi all’improvviso.
«Lunedì. Sei malato da più di due giorni. E questa è stata la tua
prima domanda sensata in tutto questo tempo, complimenti!» rispose
entusiasta Thad, facendo un tentativo di alzarsi. Un tentativo fallito,
perché Nicolas si aggrappò a lui con tutte le sue forze, anche se piuttosto
ridotte ora, e rimase praticamente appeso sulla maglia dell’amico.
«Cazzo... porca miseria... fanculo! Avrà pensato che mi sono arreso!
Due pranzi... ho perso due pranzi! Non mi vorrà più vedere! Accidenti...
non voglio nemmeno pensare cosa si sarà immaginato, quanti drammi
ci avrà costruito sopra... oh, e lo ha fatto, lo conosco!» imprecò Nick
sottovoce, alla fine alzando in aria l’indice, mossa per la quale dovette
mollare la presa sul colletto di Thad, quindi perse l’equilibrio e quasi
cadde dal letto».
Questo spiegava molto.
«Lui sarebbe Colum?» domandò Thad, risistemando con fatica sui
cuscini l’amico che non collaborava affatto.
«Come fai a saperlo?» domandò Nicolas subito teso guardandolo con
sospetto.
«Mentre blateravi nel sonno, mi è capitato di sentire questo nome un
centinaio di volte di sicuro! Forse di più, non ho contato. Ti sei preso
una bella cotta, eh?» gli strizzò l’occhio Thad. Nick arricciò il naso, già
pronto a negare tutto, ma poi incontrò lo sguardo divertito dell’amico e
cambiò idea.
«Peggio!» confessò. «Sembra quasi che sia... come si dice... beh, mi
sono...»
«Innamorato?» suggerì Thad con una piccola risatina.
«Esatto! Proprio quella parola! Ma non ho mantenuto una promessa,
e ora ce l’avrà con me a morte, penso».
«Dai, Nick... non è mica colpa tua, hai delle attenuanti. Lui capirà!
Avanti, chiamalo, prima che la febbre ti salga di nuovo!» Thad allungò a
Nick il suo cellulare, ma quello soltanto scosse la testa sconsolato.
«Non ho il suo numero... non ero ancora riuscito a meritarmelo»,
l’amico lo fissò confuso, e Nicolas agitò una mano in aria. «Una lunga
storia! Ascolta, Thad, mi faresti un favore?» Nick di nuovo allungò la
mano verso il colletto della sua maglia, già parecchio deformato, ma
Thad si ritrasse in tempo. «Va bene, va bene, non lo farò più, mi
dispiace! Andresti da lui, Thaddy, per favore, ti prego! Digli che
compenserò i pranzi persi con le colazioni... ti spiego tutto dopo!» gli
assicurò Nick in risposta allo sguardo completamente perso dell’amico.
«E io cosa ci guadagno?» chiese prima di arrendersi Thad.
«Come nelle favole... un dì avrai bisogno di me e allora..?» suggerì
Nick, scarabocchiando l’indirizzo del ristorante su un pezzo di carta.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
«Buona sera! Mi scusi, potrei vedere mister Colum Dunn?»
voltandosi spaventato dalla frase così ufficiale, Colum si trovò nel
mirino di uno sguardo intenso di un paio di occhi neri che lo scrutavano
attentamente. Davanti a lui c’era un giovane uomo dalla carnagione
olivastra e dai capelli scuri, con lineamenti vagamente simili a quelli di
Maria, di sicuro anche nelle sue vene scorreva del sangue ispanico.
«Buona sera. Sono io Colum Dunn... c’è qualche problema?» chiese.
«No... cioè, sì! Cioè... il problema c’è, ma non è suo. Il mio nome
Thad Greenwood, sono un amico di Nick Foley». A Thad bastò vedere
come a quelle parole lo sguardo di Colum all’istante divenne triste e
abbattuto, per dare ragione a Nick – il ragazzo decisamente era un
disfattista coi fiocchi! Quindi, non volendo prolungare il suo tormento
interiore, continuò subito. «Nick mi ha letteralmente supplicato in
lacrime di venire da lei e di portarle le sue più sentite scuse. E di dire,
cito testualmente: «Prometto di compensare i pranzi persi con le
colazioni». Mi sembra proprio così, se non erro... ha un senso?» Colum
annuì debolmente torturando con i denti il labbro inferiore.
«Ma... cosa gli è successo? Perché ha mandato lei? E perché solo oggi?
Cioè... certo, lui non mi deve niente... ma io... ho pensato, che non mi
volesse semplicemente più vedere...» solo dopo averlo detto, Colum
sentì l’ondata d’imbarazzo investirlo in pieno e avvampò di colpo sotto
lo sguardo intenerito di Thad. Uno vale l’altro! – si lamentò mentalmente
quello.
«La situazione è estremamente banale. Ha preso una brutta tonsillite
ed è rimasto a letto con una febbre da cavallo, quasi incosciente, da
sabato mattina fino a stasera. Appena tornato in sé, è andato in panico,
dicendo che aveva perso qualcosa e che «Oh, mio Dio! Colum non mi
perdonerà mai! Corri da lui, Thad, spiegagli tutto!» Più o meno così»,
perso nel suo racconto, il ragazzo non si era reso conto che Colum
invece di rimanere davanti a lui, stava correndo tra il bar e la cucina
raccogliendo velocemente il necessario e senza fermarsi per un secondo
salutava frettolosamente i colleghi: «Devo scappare, chiudete senza di
me stasera!»
«Dov’è?» esalò Colum, stringendo al petto un thermos dalle
dimensioni notevoli. Thad in silenzio tirò fuori dalla tasca le chiavi
dell’appartamento di Nick e scrisse su un tovagliolo il suo indirizzo.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Cercando di non fare rumore, Colum aprì la porta ed entrò in punta
di piedi nell’appartamento, immerso nel buio e nel quasi totale silenzio.
Quasi, perché il suo udito acuto riuscì a percepire dei deboli gemiti
sofferenti, e quindi andò avanti seguendo i suoni.
Nick era accucciato sul bordo del letto, abbracciandosi con le mani e
tremando visibilmente dal freddo, perché la coperta era scivolata sul
pavimento. Probabilmente, mentre la febbre scendeva, lui aveva sentito
troppo caldo, e quindi l’aveva scalciata. E ora poverino batteva i denti,
ma non riusciva a svegliarsi per recuperarla. A Colum si strinse il cuore
a quella vista, quindi si affrettò a raccogliere la coperta e la adagiò
delicatamente su Nick, facendo attenzione di rincalzarla perbene da tutti
i lati. Bastò un minuto, e il ragazzo si rilassò e smise di lamentarsi.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Mezz’ora dopo Nicolas si svegliò sentendosi abbastanza pimpante...
insomma, per lo meno, meglio rispetto ai due giorni precedenti, dei
quali in realtà non ricordava nulla. Ancora prima di aprire gli occhi, con
sorpresa sentì dei rumori in cucina, e una volta scollate le palpebre,
pensò che la temperatura gli doveva essere di nuovo salita, perché nel
vano della porta era distintamente disegnata la sagoma di colui che non
poteva essere altro che il frutto del suo cervello in fiamme. Gemette
frustrato e ricadde sul cuscino, chiudendo gli occhi.
«Niiiick! Non fare il furbo con me, ho visto che ti sei svegliato!» lo
chiamò la voce familiare, e le dita fresche delicatamente gli tolsero la
frangia dalla fronte. Che bel sogno! – pensò Nick e sorrise, seppellendo il
viso nel palmo della mano appoggiata sulla sua guancia. Però, a quanto
pareva, non l’aveva solo pensato, ma anche detto ad alta voce, perché in
risposta suonò una risata leggera, e la stessa voce aggiunse: «Non sono
un sogno, non ci sperare! Alzati, pelandrone, la pappa è pronta!» solo
allora Nicolas finalmente capì, che quello che stava succedendo era la
realtà, e quindi saltò su a sedere spalancando gli occhi di colpo.
«Colum? Come hai... come hai fatto ad arrivare qui?» gracchiò lui e
immediatamente strinse gli occhi per una fitta dolorosa alla gola.
«Thad... è lui che mi ha trovato e mi ha dato le tue chiavi. Ma ora
farai meglio a parlare di meno e ad ascoltare di più... e a obbedire!»
disse Colum col tono fintamente severo. «Mi hai fatto preoccupare...
taci! La colpa è anche mia, dovevamo da tempo scambiarci almeno i
numeri dei cellulari. Il mio è appeso sulla porta del frigorifero, a
proposito», il viso di Nick si illuminò di un sorriso raggiante, e Colum
distolse lo sguardo imbarazzato. «Sai, stavo per risponderti di «Sì»
sabato scorso... nel senso, se mi avessi invitato a cena! E tu hai rovinato
tutti i miei piani!» lo rimproverò scherzosamente, dandogli un leggero
pugno sulla spalla. «Quindi, vorresti ancora cenare con me?» chiese e
Nick annuì con vigore. «Allora alzati, la cena è servita!»
°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Nick si fermò sulla soglia, stentando a riconoscere la propria cucina.
Prima di tutto, perché adesso tutto intorno regnavano mai visti prima,
pulizia e ordine. E poi, la tavola era apparecchiata per due, e in mezzo ai
piatti e alle posate c’erano due candele eleganti che creavano
un’atmosfera sorprendentemente accogliente e romantica. Colum
spostò per lui una sedia e gli mise davanti un piatto di brodo decorato
con un rametto di prezzemolo, che emanava una straordinaria
fragranza.
«Mi dispiace, mister, ma oggi non potrai mangiare nulla, tranne
liquidi tiepidi!» lo avvisò Colum arricciando il naso.
«Questa è una sciocchezza! La cosa terribile è che non potrò baciarti
per concludere in bellezza la serata!» sussurrò Nick, abbassando
tristemente le spalle.
«Se farai il bravo e mangi tutto, potrai! Sulla guancia. Ma prima –
cena!»
웃 유
* pauvre petite étoile – (francese) povera stellina
** gran-mère – (francese) nonna
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Alina_Petrova