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Autore: Kuro Iri    14/02/2022    0 recensioni
Libro 3. Sono passati molti anni, troppi, dalla vittoria della seconda Custode sulle ombre, tornate co rinnovate forze, lunghi tentacoli che avvolgono la sua terra. ora, è il suo turno di scegliere un successore, uno in grado di fermare l'Ombra.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Equilibrio'
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Leo corre. Le sue zampe lo sostengono, forti. Muove le orecchie, captando ciò che lo circonda. Si ferma vicino a un lago. Piega il capo per bere. Il riflesso che vede è quello di uno strano animale bianco dagli occhi d’argento.
“Benvenuto”
Si volta di scatto. È tornato quello di sempre. Davanti a lui, c’è una ragazza dai capelli bianchi e dagli occhi neri.
“Chi sei?”
“Eìra. Mi chiamo Eìra”

Ascoltala.
Leo non sa che fare. Non si è mai fidato della voce, ma sente che può riporre fiducia nella ragazza davanti a lui. Lei sorride, vedendo i suoi dubbi sul suo volto.
“Tranquillo. Prenditi il tempo che ti serve”
Gentile.
Già.
Eìra diventa seria.
“Non fidarti subito di chi incontrerai. Sono cambiate molte cose”
“Cosa? Che stai cercando di dire?”
Sorride. Poi la sua figura inizia a sparire.
“Te li affido. Sono nelle tue mani”
“Aspetta!”
Leo aprì gli occhi di scatto, trovandosi seduto su un letto con una mano tesa in avanti. La ritrasse e se la passò sul volto.
Chissà chi era.
Eìra. Sei forse diventato sordo per la caduta?
Simpatica come una pugnalata nelle costole.
La porta si aprì. Incrociò lo sguardo di una ragazza con un vassoio. Era vestita con una lunga gonna marrone, una specie di grembiule bianco e un corpetto ocra. La vita era sottile, il seno prosperoso, la pelle rosata, i lunghi capelli del colore della sabbia erano raccolti in una lunghissima treccia e gli occhi color ruggine lo guardavano con curiosità. Si rese conto di essere a petto nudo e di starle fissando il ciondolo che si trovava in mezzo ai suoi seni. Arrossì e abbassò di scatto lo sguardo.
“Sei sveglio”
Ben fatto, un’ottima prima impressione.
Taci, ti prego.
“Come vanno le ferite?”
“Ti hanno ripescato dal fiume, avevi tutta la spalla e parte della schiena aperte. Che ci facevi lì? Cosa ti è successo?”
Devi mentirle.
Ma mi sta aiutando…
Lascia che me ne occupi io. Per favore.
No.
La voce sospirò.
Allora dille questo:
“Stavo scappando da dei ladri, mi hanno raggiunto preso tutto e gettato nel fiume”
“Capisco. Mi dispiace davvero”
Appoggiò il vassoio col cibo su una cassettiera a fianco del letto.
“Girati, che ti cambio le bende”
Mentre la spalla era scoperta, la guardò con la coda dell’occhio.
“Avevi detto che ero messo male”
“Ah, questo. È merito degli impiastri del nostro guaritore, e del fatto che stai ronfando da una settimana. Ehi, va tutto bene?”
“No trovo la mia pietra”
“Questa?”
Dalla tasca del grembiule estrasse la catenella con la scheggia, che a quanto pareva era stata riparata. Se la mise al collo con una sensazione di sollievo.
“Grazie”
“Certo che sei starno. Perché sei così bianco?”
Leo abbassò lo sguardo.
“Non avevo mai visto dei capelli come i tuoi su un essere umano”
“Sono albino”
“Tutti gli albini hanno anche quella macchia?”
“No, questa voglia ce l’ho solo io. Una vera fortuna”
“Mi piace”
La guardò stupito. Oltre ai suoi tre amici, nessuno gliel’aveva mia detto.
“Forza, sbrigati a vestirti. Ti porto a vedere il villaggio”
“Uh?”
la ragazza sorrise.
“Benvenuto a Carstal”
Mentre la ragazza usciva, Leo sbirciò fuori dalla finestra. Non riconobbe il posto.
È un bel villaggio.
Non mi piace essere d’accordo con te.
Qualcuno bussò.
“Sei già pronto?”
“No, non ancora”
“Ti mando un paio di aiuti”
Quando i due aiuti entrarono, Leo espirò con violenza: il ragazzo a destra era altro due metri, con corti capelli blu, occhi neri e lunghe orecchie appuntite, il tutto su una pelle azzurra. L’altro, un po’ più basso, era viola, occhi, pelle e capelli, di sfumature diverse, ma sempre viola. Si portarono la mano destra al petto e chinarono il capo. Notò che il ragazzo viola aveva solo quattro dita per mano.
“Siamo qui per offrirvi il nostro aiuto”
“Ehm… grazie”
Rapidi, si diressero all’armadio, nel quale iniziarono a rovistare alla ricerca di vestiti adatti a lui.
“Come vi chiamate?”
“Io sono Osil, lui è Rine”
“Cosa siete?”
I due si fermarono per scambiarsi uno sguardo interrogativo, poi Rine, il ragazzo viola, si voltò a rispondergli.
“Io sono un sos-rake, lui un elfo”
“Capisco”
Bugiardo.
“Avete finito?”
“Si”
“Bene. Forza, seguimi”
La ragazza lo prese per mano e lo trascinò in giardino, nel quale un uomo stava fumando una pipa.
“Padre, noi andiamo!”
“Porta Osil e Rine con te”
Il quartetto si incamminò nel villaggio. Leo continuava a guardarsi attorno, completamente sommerso da tutti quegli stimoli così nuovi e sconosciuti. Non pensava che potessero esistere posti come quello. A un certo punto, vide un uomo percuotere un elfo con un bastone. Si protese verso Osil.
“Perché non si ribella?”
L’elfo guardò il suo simile con amarezza.
“A un servo non è permesso”
“Cosa?”
“Elfi e sos-rake sono servi al servizio degli umani. Io e Rine siamo fortunati, la famiglia della padroncina ci tratta bene, e sono molto gentili”
Il ragazzo riprese a guardarsi attorno, ma con una luce ben diversa negli occhi. L’elfo si scambiò un’occhiata con l’amico. Non avevano mai incontrato un umano così. Arrivarono alla piazza principale. Al centro si ergeva imponente la statua di un uomo in armatura. Sul suo scudo era raffigurata la scena saliente di una battaglia, nella quale figure umane si scontravano con dei mostri. Ai suoi piedi, giaceva il corpo di uno strano animale, che al ragazzo in qualche modo sembrò familiare.
Impostore…
Tu sai cos’è?
Non sono entusiasta di vederlo sotto i suoi piedi.
E tre. È la terza volta che sono d’accordo con te, oggi.
Vide la ragazza inchinarsi alla statua, per poi riprendere la sua strada. Osil e Rine si limitarono a guardarla cupi, poi la seguirono. Mentre stava per fare altrettanto, lo sguardo di Leo venne catturato da una gabbia al lato opposto della piazza.
“Cosa c’è? Hai visto qualcosa?”
“Quella cos’è?”
La ragazza si incupì.
“Quella è la Maledetta”
“Maledetta?”
“Una ragazza posseduta da ben due demoni, uno dalla nascita e l’altro da quando aveva cinque anni”
Si avvicinarono, finchè non si trovarono al finaco delle sbarre, anche se a distanza di sicurezza. Era incredibilmente grande, un cubo di cinque metri per lato. Le sbarre erano incrostate con la sporcizia che era stata lanciata all’interno. La Maledetta era sdraiata sul pavimento a pancia in su. Qualcosa riflesse la luce sul suo petto.
Leo.
Non ora.
È importante!
Non. Ora.
“Stai bene?”
“Si. Solo, non capisco cos’abbia di maledetto”
“Ehi, mostro!”
Un bambino tirò una pietra sulle sbarre della gabbia, e la ragazza al suo interno si alzò strofinandosi gli occhi e sbadigliando. Leo sobbalzò: le sue orecchie terminavano in una leggera punta, i capelli lunghi e neri, con alcuni fili verde smeraldo. Gli occhi erano leggermente più grandi del normale, e sembravano quelli di una volpe. Era ricoperta di stracci, dai quali spuntava una morbida coda nera da volpe. Al centro del petto, sopra un luminoso marchio verde, c’era uno smeraldo.
“Ma bene. Vedo che abbiamo unno straniero tra noi”
“Sai che ti è permesso parlare solo per rispondere alle domande per curare le tue maledizioni”
Sorrise rassegnata.
“Non sono maledizioni. Se solo vi degnaste di leggere la Ballata-“
Un lungo bastone si infilò tra le sbarre, colpendola alla schiena.
“Sei fortunata che oggi sia di buon umore, o avrei aggiunto l’eresia alla tua lunga lista di peccati”
“Eresia?”
Mentre si allontanavano in fretta, la ragazza si avvicinò all’orecchio di Leo per spiegargli che il loro sovrano era l’incarnazione del volere divino, quindi un vero e proprio dio mandato dagli dei per governarli.
“E la Bal-“
“Sssh!!! Non nominarla mai, o sarai veramente fregato. È un testo proibito, secondo gli eretici racconta di alcune figure che per loro possono essere paragonate agli dei. Stai bene?”
“Si, sono solo stanco”
“Ti dispiace se ti lascio un momento con Osil e Rine? Devo comprare una cosa”
“Vai pure, nessun problema”
Quando non fu più a portata d’orecchio, si rivolse all’elfo e al sos-rake.
“Voi che ne pensata di tutto questo? Della ball- quella, e del sovrano?”
I due si guardarono preoccupati.
“Tranquilli, la mia è solo curiosità. E poi, se devo dirla tutta,-
Indicò la statua col pollice
-quello a me non sembra affatto un dio”
La loro preoccupazione aumentò.
“Signore, non dovrebbe parlare così!”
“è pericoloso!”
Leo sbuffò.
“Non c’è bisogno di darmi del lei, il tu va benissimo, non sono il vostro padrone. Ah, e mi chiamo Leo”
Lo guardarono stupiti.
“E ora che ho detto?”
“Scusi… posso chiederle quanti anni ha?”
Leo non rispose. Incrociò le braccia e li guardò. I due si scambiarono un veloce sguardo.
“Quanti anni hai?”
“Sedici da un paio di mesi”
“Allora… come puoi avere già un nome?”
“Uh?”
Non ne fai mai una giusta. Avanti, fa parlare me.
Per la seconda volta in vita sua, cedette il posto alla voce. I due ragazzi si accorsero che qualcosa nel ragazzo era cambiato: i suoi occhi sembravano più selvaggi.
“Vi dirò tutto, ma dovete promettere di non rivelarlo ad anima viva”
“Prometto”
“Prometto”
Si guardò attorno cona attenzione, poi si avvicnò di più ai due.
“Per quanto impossibile possa sembrare, vengo da un ltro mondo”
Con calma e attenzione, Leo spiegò tutto. Quando finì, due paia di occhi lo guardavano scintillanti.
“Incredibile”
“Vero? Ora mi potreste spiegare perché vi sembra così strano che io abbai un nome?”
“Vedi, fra gli umani vive la tradizione della Cerimonia del Nome: ogni sei mesi coloro che hanno compito sedici anni nei mesi che separano le Cerimonie ricevono il loro nome”
“Quindi lei ancora non ce l’ha?”
“No”
“Che grandissima stronzata!”
Ai due sfuggì un risolino.
“Eccomi! Scusate il ritardo!”
Quella sera, Leo non riuscì a prendere sonno. Pensò di uscire a fare due passi, per schiarirsi le idee. Dopo un po’ di svolte, si accorse di essersi perso. Improvvisamente, sentì una voce dietro di lui.
“Ehi, tu! Fermo!”
Merda!
Iniziò a correre.
Fantastico. Se ora ci prendono, è finita.
Un aiuto sarebbe molto più utile delle critiche, voce! Dimmi dove andare!
Come pretendi che possa conoscere un posto nel quale siamo arrivati solo oggi?
Allora cosa facciamo?
Non lo so.
Leo strinse i denti, maledicendo la voce tra sé e sé.
Aspetta, riconosco questo posto! Gira a destra, arriveremo alla gabbia.
Come ogni notte, la gabbia era stata sollevata da terra di qualche metro. Per una frazione di secondo, sentì una sferzata di energia simile a quella che provava le volte in cui la voce aveva il sopravvento su di lui. Le sue gambe si piegarono. Saltò. Atterrò con delicatezza sul tetto della gabbia e si accucciò. Quando gli inseguitori sparirono dietro l’angolo, tirò un sospiro di sollievo.
“Ehi, come hai fatto?!”
Si sporse e si trovò faccia a faccia con la Maledetta.
“Cosa?”
“Il salto. Nessuno ne sarebbe stato in grado”
Merda.
Colti sul fatto.
“è stato solo un caso. Ci vediamo”
“Non sei di queste parti. Da dove vieni?”
“Non sono affari tuoi”
Vide i suoi occhi brillare.
“Che c’è?”
“Finalmente…”
Decise di averne avute abbastanza per quel giorno.
“Buonanotte”
   
 
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