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Autore: drisinil    14/02/2022    8 recensioni
[Oisuga - contest] Oikawa Tooru e Sugawara Koushi si incontrano per caso all'estero, diversi anni dopo la fine del liceo. Quanto saranno cambiati?
N.B. contiene spoiler post-timeskip, non sulle partite del torneo nazionale ma sulle vite dei personaggi dopo il liceo.
Questa storia nasce nell'ambito della Carnival/Valentine challenge del gruppo FB "Non solo Sherlock", per la coppia e il prompt ringrazio di cuore Valentina Baschetti (https://www.facebook.com/groups/366635016782488/permalink/4712036088909004).
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koushi Sugawara, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Certo questa cosa è incredibile» dice Tooru, stappando la bottiglia con un gesto preciso. Lo scatto secco del tappo trattenuto dalle sue dita è un bel rumore.
«Già» risponde Koushi, alzando le spalle.
La birra ruscella nel bicchiere di vetro alto, spumeggiando allegramente.
Non sono allegri, loro due, a dire il vero. Si guardano con un certo sospetto ed entrambi stanno cercando di calcolare a mente da quanto tempo esattamente non si vedono. Almeno sei anni, pensa Tooru, che non ha un buon rapporto con il tempo. Koushi sa che gli anni sono più di sette, quasi otto.
La domanda vera è un’altra e nessuno dei due ha il coraggio di farla.
«Forse sono stato troppo invadente, prima… » la prende larga Koushi.
Tooru manda giù un sorso di birra e il suo viso si apre in un sorriso smagliante. «No, affatto. E’ stato solo molto inaspettato. Sei all'estero, in mezzo al nulla, uno sconosciuto ti bussa alla porta, tu apri e ti trovi davanti un tale del liceo. Roba da film di serie B.»
Koushi pensa che quel sorriso bellissimo sia fasullo. Sta facendo come fanno i bambini, quando nascondono le loro emozioni dietro sorrisi troppo larghi, parole troppo veloci e poi si svelano nelle mani contratte che stropicciano il grembiule, nei piedini incrociati, nei piccoli gesti ripetuti. Le dita affusolate di Oikawa Tooru stanno tormentando le stanghette degli occhiali, che ha appoggiato sul tavolo. Per essere uno che ha a che fare con i mass-media, non è per niente bravo a fingere.
«Insomma che ci fai quassù? Credevo che avrei passato l’inverno da solo, il piano era questo» ritenta Kouchi, mandando giù un altro sorso.
«Ho un certo talento per rovinare i piani altrui» ammette Tooru, con una strizzata d’occhio e una posa plastica. Si comporta come se ci fossero schiere di fan e paparazzi che scattano. Invece, a parte loro due, un paio di anziani che giocano a mah-jong e una cameriera cinquantenne disfatta dalla stanchezza, non c’è anima viva.
Koushi segue una goccia di condensa sul vetro del bicchiere, mentre parla: «Stamattina sono andato alle poste e lì la gentilissima signora allo sportello,mi ha avvertito che alle casette gialle - le chiamano così da queste parti - arrivava qualcun altro. Uno come te, ha aggiunto. E lì mi ha messo in crisi: che voleva dire? Maschio? Bianco? Stupido? Maestro d’asilo? Gay? Ci ho messo un po’ a capirlo, che intendeva giapponese
Tooru si è appoggiato allo schienale della sedia, rilassato, con le gambe accavallate le dita che tamburellano contro il sughero del sottobicchiere.
«Maestro d’asilo? A Miyagi?»
«Ebbene sì. Maestro d’asilo. A Myiagi. Ti pare la voce più interessante dell’elenco?»
«Sì. Di quelle che hai detto, è l’unica categoria in cui non rientro» spiega Tooru, con un altro sorriso, meno smagliante e un po’ più genuino. «Ti ci vedo come maestro d’asilo, Sugawara.»
Koushi beve un sorso e lo assapora lentamente. Niente più vezzeggiativi sparati a caso, decisamente un miglioramento.
«Ehi, siamo a novembre, che ci fa un maestro di scuola a qualche migliaio di chilometri da dove insegna?» riprende Tooru.
Koushi accenna un sorriso e manda giù un altro lungo sorso. «Ho preso un permesso, sono qui per riflettere. Che è una cosa che si fa da soli. E non con una star della pallavolo internazionale in mezzo ai piedi. Per di più una che conoscevi al liceo. E comunque, se vogliamo metterla sui chilometri, tu sei ancora più lontano dal lavoro di me. Non vivi in Argentina?»
Tooru annuisce e beve. «Cazzo, quanto vorrei una sigaretta.»
«Fai lo sportivo di professione e fumi?»
«No. Ma non significa che non vorrei fumare. Specie se non mi sto allenando.»
«Perché non ti stai allenando?»
«Sei un impiccione. L’ho sempre pensato. Educato. Gentile. Intelligente. E impiccione.»
Koushi annuisce, con un sorrisetto. «Intelligente non proprio. Ma grazie per averlo detto. Poteva andarmi peggio. Aspetta, com’è che mi hai chiamato quella volta? Mi aveva fatto ridere… Mister Freschetto? Mister Ariafresca?»
«Mister Freschezza. Me lo ricordo bene, a dire il vero. Mi aveva colpito come era cambiato tutto appena sei entrato in campo.»
«Ci credo che era cambiato tutto, rispetto a Kageyama ero una pippa. Non per niente, lui alle olimpiadi e io all’asilo.»
«Rispetto a Kageyama, caro mio, siamo pippe un po’ tutti. Ma la tua squadra, con un mostro di alzatore, era in apnea. Sei entrato tu, e tutti hanno iniziato a respirare. Dei bei respiri lunghi, di quelli che ossigenano i cervelli e fanno smettere alla gente di fare stronzate. Ci ho ripensato varie volte, a quel momento.»
«Addirittura?»
«Mn. E’ un effetto che uno vorrebbe avere, in campo, a tutti i livelli.»
«Essere impiccioni è un requisito» sorride Koushi, guardando le bollicine che risalgono lungo il bicchiere. Non è triste, ma neppure allegro. Però nel suo sorriso c'è una luce che non si spegne.
«Mi sento portato, per quello» ride Tooru.
Sta ridendo di se stesso e quella risata è vera. Koushi alza gli occhi e la bellezza dell’immagine nel suo complesso lo colpisce. Il ricamo di ombre sugli zigomi, la luce che colpisce uno degli occhi, in bilico fra l’essere chiaro e scuro, si riflette su una traccia umida in mezzo alle labbra, sfiora il collo, arriva sulle mani e si spegne nel bicchiere.
E’ sempre stato bello, Oikawa Tooru. Vanitoso al limite dell’insopportabile. Ma bello senz’altro. Adesso è qualcosa di più, una bellezza scolpita da eventi che Koushi non riesce a immaginare. «Possiamo ignorarci, se vuoi» propone. «Intendo, nei prossimi giorni. Non serve che usciamo, o che ci sentiamo. Ci siamo incontrati per caso, stiamo facendo una bevuta in onore dei vecchi tempi, ma non dobbiamo fare amicizia per forza.»
«Quanto ti trattieni?» domanda Tooru.
«Fa differenza?»
«Forse. Se riparti fra due giorni, possiamo prenderci un’altra sbronza e poi arrivederci e grazie, Se stai qui sei mesi, magari è meglio se evitiamo.»
«Rimango altri venti giorni. Tu?»
«Un mese. Anche io sono qui per riflettere.»
Koushi cerca di individuare la puzza di bugie, ma gli occhi di Oikawa sono bassi, le sue mani quiete.
«Che succede fra venti giorni?» chiede Tooru, con leggerezza, come fosse una domanda banale, sul meteo o sull’orario dei treni.
«E sarei io l’impiccione? E poi cosa ti fa pensare che succeda qualcosa?»
«Come lo hai detto.»
«E come l’ho detto?»
«Come uno che deve andare al patibolo. Come se dovessi costituirti. Hai accoppato qualcuno, Suga-chan? Un genitore molesto? Un fidanzato infedele?»
Oikawa Tooru parla con gli occhi. E’ un talento. Koushi li segue ipnotizzato.
«Sto scherzando, Sugawara. Non fissarmi in quel modo. Non devi mica dirmelo per forza.»
Koushi sposta lo sguardo sulla finestra. Fuori è buio fitto. Si intravedono le cime degli alberi piegate dal vento.
«Fra un mese mi sposo» dice. E sorride. Ancora. L'amarezza fatta luce.
Tooru appoggia il bicchiere. Sbatte gli occhi due volte. «Congratulazioni» augura, formale. «Lo conosco il fortunato?»
Koushi prende un’arachide dalla ciotola intonsa e se la infila in bocca. «La fortunata si chiama Honma Sosuke e non credo proprio che tu la conosca.»
«Ma… »
«Ma cosa?»
E’ chiarissimo cosa avrebbe da dire, la parola gay non gli è sfuggita di certo. Ma a Koushi non piacciono quelli che insinuano e che sottintendono. Se il grande Re vuole obiettare qualcosa, che abbia il coraggio di dirlo a voce alta.
«Niente» si fa indietro Tooru. «Congratulazioni, di nuovo.»
Koushi annuisce, Tooru sospira.
«Capita» dice Tooru dopo un silenzio interrotto dal rumore di noccioline ruminate molto elegantemente.
«Cosa?»
«Di trovarsi prigionieri. E sbattere la testa contro un muro, sperando che si spacchi. Il muro. O la testa, anche meglio.»
«Alludi al mio matrimonio? Non credo che… »
«Alludo alla mia cazzo di vita.» Tooru ha parlato con livore, ma il suo viso è calmo. Una calma determinata e algida.
«Ah» commenta Koushi. «Mi dispiace.»
«Di cosa?»
«Che la tua vita sia del cazzo. Pensavo che fosse del cazzo la mia, ma tu mi sembri messo peggio.»
«Sei sempre stato così onesto, Suagawara? Mi parevi un debole.»
«Sono flessibile. E poi sono cresciuto. Ho preso un sacco di batoste. E il mio lavoro è cercare di tirare su gente che non abbia una vita del cazzo già a tre anni. Magari un po’ sono cambiato.»
«Parecchio» commenta Tooru, sollevando gli occhi.
Koushi si sente guardato. Per la prima volta, da quando si è trovato di fronte Oikawa Tooru con l’asciugamano alla vita e i capelli grondanti, un paio di ore prima. Poteva anche vestirsi, per andare ad aprire la porta.
Fa differenza, essere guardato sul serio. Gli occhi di Oikawa hanno vita propria. Parlano, pensano, indagano, scrutano. Stanno guardando lui e anche dentro di lui.
«Questa birra fa schifo» dice Tooru, mandando giù l’ultimo sorso.
«Vero.»
«Vuoi scopare?»
«Cosa?»
«Hai capito. E’ una proposta. Sessuale. Non mi sembri il tipo da bar equivoci, togliendoti l’anello sulla soglia. Quindi, non penso che avrai molte occasioni da “sì lo voglio” in poi. E non mi va per niente di pensare ai miei casini stanotte. Una scopata è meglio. Sei diventato molto più interessante di un tempo. Carino lo eri già allora. Mi sembra perfetto.»
Koushi ha le sopracciglia sollevate, gli occhi allargati, ma, prima di rispondere, ritiene opportuno finire di masticare. Con calma.
«Grazie» dice. L'educazione prima di tutto. «Ma non credo sia il caso. Le scopate occasionali con i vip rendono la mia vita ancora più del cazzo.»
Tooru sorride. Un sorriso vero. Autentico. Una faccenda da vertigini e capogiro. Koushi si appoggia con le mani ai braccioli della sedia, tanto per sicurezza. Qualche volta lo ha visto in tv, sui canali sportivi, ma non rende nemmeno la metà.
«Potrai scrivere sul curriculum che hai rifiutato di venire a letto con me. Credo che valga mille punti di integrità morale. E tremila di eterosessualità.»
«Se l’eterosessualità funzionasse a punti, sarebbe molto pratico.»
«Se uno scopasse con chi gli pare, senza farsi dei problemi, sarebbe ancora più pratico.»
«Sai che ho sempre pensato che tu fossi bisessuale? Ti trascinavi dietro quel codazzo di groupie adoranti…»
«Ognuno usa la mimesi che ha.»
«Mimesi? Ma non hai detto poco fa che sei un tizio pratico, che scopa con chi gli pare?»
«Se. Ho detto se. Il mio PR manager - vada a farsi fottere - sostiene che la bisessualità è la mia migliore amica. Mi consente di tenermi strette le groupie, milf vogliose comprese, e farmi beccare con la lingua in bocca a qualche ragazzone, se dovessi avere un’improvvisa defaillance di discrezione.»
«Quindi sei qui per punizione, perché in bocca al ragazzone ci hai messo qualcos’altro?» suggerisce Koushi, ridendo con gli occhi. «Oppure ti sei tolto dalla circolazione per difenderti dalle milf vogliose?»
Tooru scoppia in una bella risata, franca, sonora. «Che stronzo, Suga-chan. Sono qui perché mi hanno fatto una proposta di lavoro, e io non so se la voglio accettare.»
«Non ti conviene?»
«Mi conviene.»
«Ma… »
«Te lo dico se ti fai baciare» mercanteggia Tooru. Si passa una mano fra i capelli, sorride e non sorride, gioca con una nocciolina rigirandola fra le dita.
«Fai sul serio?»
«Sempre.»
«Okay. Ho bevuto troppo. E sono troppo curioso. Un bacio. Uno. Non sono un ragazzone, ma una lingua in bocca posso gestirla.»
Tooru sorride. «Impiccione del cazzo.»
Koushi mima un bacio a fior di labbra. «Che lavoro?»
«La nazionale. Argentina. Naturalizzarmi.»
Koushi apre la bocca, e poi la chiude. Se avesse voluto un consiglio, lo avrebbe chiesto.
«Beh? Sembra che ti abbia detto che mi hanno offerto di pulire i cessi dello stadio. Puoi anche essere un po’ stupito…»
«Sei ancora vanitoso, vedo. Cosa devo dirti? Vuoi un gridolino entusiasta? Ohhhh! Bravo Oikawa, tu sì che sei il grande Re!» Koushi simula un applauso senza sonoro. «Ma scusa, sei un cazzo di professionista al livello internazionale, vuoi sentirti dire bravo da uno che come mansione principale pulisce il moccio dai nasi? E poi, dai, mi pare chiaro che qui non è il prestigio, in discussione.»
Koushi sa di aver bevuto troppo, e mangiato troppo poco. Per questo le parole escono così facilmente. Per questo l’idea di baciarlo inizia a non sembrargli malvagia.
Tooru invece è lucido e quel tizio onesto e coraggioso lì davanti, adesso lo vuole proprio baciare.
«Voglio sapere che ne pensi.»
«Vuoi che sia sincero o che sia gentile?»
«Tutti e due?»
«Posso dirlo gentilmente, ma non farà tanta differenza.»
«Spara.»
«In Giappone, se ci tornassi, la nazionale non penso proprio che ti prenderebbe. C’è Kageyama titolare da tre anni, e c’è Miya. Quello ossigenato, non mi ricordo mai qual è dei due.»
«Atsumu.»
«Giusto. Atsumu. Quello fastidioso. Anche se la federazione non volesse punirti, comunque finiresti in panchina. Che non credo proprio sia quello che vuoi. Quindi, vedi tu. Se rifiuti per lealtà, devi metterti in testa che è una lealtà unilaterale. Una faccenda da samurai, questione di meiyo
Tooru stappa un’altra bottiglia. Beve mezzo bicchiere, senza prendere fiato. «Detta così sembra persino romantico.»
«Cazzo, è romantico. E’ una delle cose più romantiche che si possano fare, amare una persona, o un paese, anche se non ti ricambia. E sacrificarti per la purezza dei tuoi sentimenti e per l'onore. Ma è pure inutile e masochistico. E a me il masochismo è sempre sembrato idiota.»
«Disse lo sposo.»
«Non parlare di cose di cui non sai un cazzo!»
Oikawa alza le mani «Okay, scusa. Il masochismo fa cagare. Lo so. Ma quando ero lì con la penna in mano, davanti al contratto… niente, non ci sono riuscito. Ho chiesto un po’ di tempo per pensarci.»
Koushi annuisce.
Tooru beve, gettando indietro la testa, con gli occhi socchiusi. Il suo pomo d’adamo si muove, goccioline di condensa gli scivolano lungo le dita.
Koushi abbassa gli occhi. Li chiude, li riapre. Si alza, si annoda la sciarpa al collo e prende il cappotto.
Tooru lo guarda interrogativo, mentre appoggia il bicchiere.
Koushi si fruga in tasca, apre il portafoglio, mette un po’ di banconote a caso sul tavolo. Sono straniere e la conversione, con l’alcool in corpo, è troppo difficile. Fa oscillare le chiavi dell’auto di fronte al naso di Tooru.
«Andiamo. Il resto me lo dici a casa» dice Koushi.
Tooru è perplesso, si alza, si infila la giacca e gli occhiali. «A casa?»
Koushi si volta, gli afferra il bavero della giacca e lo bacia. Un bacio a tradimento. Breve. Morbido. Caldo. Un po’ languido, ma solo un po’. Un bacio perfetto, a dirla tutta. In pubblico.
Koushi non sembra turbato: «A casa. Mia o tua. Fa lo stesso. Tanto sono due catapecchie identiche e distano venti metri. Mi devi anche spiegare perché uno pieno di soldi come te si è ridotto a un posto del genere. Che hai da guardarmi così?»
Tooru è imbambolato. Sorpreso. Non è molta la gente che riesca a stupirlo.
Anche i due anziani che giocano a mah-jong sono sorpresi. Pure la cameriera.
Sugawara Koushi sorprende.
E bacia bene. E ha un sorriso incantevole, sempre pronto a spuntare fuori, facendo sponda fra gli occhi e le labbra. E sa cosa significa romantico. Lo sa sul serio. E ha detto di no a una scopata. Con convinzione, un vero no.
Tooru, uscendo dal locale, spera che cambi idea. Nel frattempo, gli prende la mano. E gli sembra di avere ancora diciotto anni, e una vita del cazzo, ma forse non così tanto.
   
 
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