Serie TV > I Bastardi di Pizzofalcone
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Autore: Cattive Stelle    14/02/2022    0 recensioni
Contesto: I Bastardi di Pizzofalcone 2 - finale episodio 2x04 - Tango
Dopo la risoluzione del caso di omicidio della maestra di Tango, Roberta de Angelis, a Pizzofalcone arriva il Natale e con questo tutte le speranze, i desideri e le solitudini dei Bastardi che si ritrovano a combattere con i propri fantasmi e con l'immancabile nostalgia di quella notte così particolare.
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(*) Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Contesto: I Bastardi di Pizzofalcone 2 ~ tra gli episodi 2x04  - Tango e 2x05  - Souvenir

 

 

 


♫ Fix you (Coldplay)

 

 


 

 

Natali Scomodi

 

 

 


Di desideri al vento e candele accese

 

 

 

 

 

 

 

Quello era un Natale strano per i Bastardi di Pizzofalcone.
Il primo dopo la tempesta.
Era passato un anno da quella paura di essere spazzati via che sembrava essere così concreta, così imminente.
E invece, erano ancora lì, insieme.
Sempre fragili, irrimediabilmente scheggiati, un po’ meno diffidenti.
Quel pomeriggio si erano ritagliati qualche minuto per fare un brindisi tutti insieme, prima di tornare ognuno a casa sua, ai suoi affetti e alle sue mancanze.
Ma si sa, quella di Natale è una notte magica, fuori dal tempo.
Una notte in grado di smascherare in un attimo tutto ciò che si è tentato di celare per una vita intera: le paure più profonde, i sentimenti più intimi, i desideri custoditi gelosamente.


Ma forse, se ci fa stare bene, a Natale ci si può concedere qualcosa in più, finendo anche a sperare in qualcosa che sembra impossibile...

 

 

Affacciato alla terrazza del commissariato, Palma lasciò che i suoi occhi si perdessero nell’osservare quel cielo crudele e scuro che tentava di confondersi con la chiazza nera e agitata che era il mare in quella notte.
Stava lì, fermo a guardare le stelle che illuminavano quel presepe talmente bello da riuscire a fargli dimenticare, anche solo per un attimo, perché era lì, a fine turno, al freddo, la vigilia di Natale.
Quando si voltò distrattamente verso la porta della sala agenti che era rimasta socchiusa, la vide uscire e non poté fare a meno di seguirla con gli occhi, mentre si avvicinava stretta nel cappotto nero che copriva un vestito di lana caldo al ginocchio.
Arrivò lentamente e senza fare rumore, si affacciò affianco all’uomo, fingendo di guardare il buio meraviglioso che si stagliava sotto di loro.
«Scusa, non se ne andavano più. È tanto che aspetti?» - gli chiese con un filo di voce.
«Da tutta la vita» – rise lui, incrociando appena i suoi occhi.
Dopo essersi guardata intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno, Ottavia gli sorrise e si avvicinò, appoggiando la testa alla sua spalla.
Nell’abbracciarla, Palma si rese conto che quella che gli era uscita come una battuta in realtà non lo era.
La aspettava da talmente tanto che non riusciva ancora a credere che fosse successo.
Era stato tutto così veloce, improvviso, insperato.
«Stavo pensando a un anno fa» – disse lei, interrompendo i pensieri del commissario – «Chi l’avrebbe detto che saremmo stati qui? Credevo non sarebbe mai successo...»
«Non lo dire a me» – le sussurrò all’orecchio lui, mentre si abbandonava al profumo dei suoi capelli per quel bisogno continuo, che lui reputava un po’ stupido, di convincersi che lei ci fosse davvero.
«Comunque non va bene così» – continuò - «Sei troppo bella oggi e, a parte che mi distrai tutti, potrei diventare molto geloso»
«E di chi?» - gli rispose lei, alzando gli occhi verso di lui e appoggiando la fronte sulla sua guancia.
«Di tua suocera ad esempio, che ti vedrà tutta la sera così» – sdrammatizzò lui, mentre il vento incominciava a tirare insistentemente portandolo a stringerla ancora più forte.
«Promettimi una cosa…» - continuò Palma dopo un minuto di silenzio, percorrendole il profilo delle labbra con un dito - «Se ti capita di sentirti triste, se per caso mi pensi, appena puoi molla tutto e vieni da me»
Lei lo guardò per un attimo senza dire nulla, ma poco dopo nascondendo il viso nell’incavo del collo di lui, infine, annuì.
Palma rivolse uno sguardo alle stelle per l’ultima volta, sperando con tutto se stesso che una di loro si staccasse come una perla da quel drappo nerissimo per concedergli un desiderio. E, anche se non sapeva cosa chiedere, nonostante quella disperata voglia di essere esaudito, finì semplicemente ad abbandonarsi a quella notte e avvicinando il profilo al suo, la baciò.

 


Perché a volte il Natale è crudele, ti riempie di domande e gioca a confondere passato e presente, chiedendoti quasi di rinunciare al futuro per paura di perdere quei ricordi che, per quanto faccia male, non torneranno mai più...

 

Era tutto come sempre, come tutti i Natali passati. La tavola apparecchiata per due, con la solita tovaglia, lo stesso corredo di piatti, la candela come centrotavolo... mancava solo lei.
Ma questo da un po’ ormai.
Pisanelli guardò soddisfatto il frutto del suo lavoro.
«Che dici, Carmen? Forse non è precisa come la tua però non è male, no?» - disse al vento mentre continuava a drizzare il più possibile le posate.
«Poi stasera la passiamo da soli, io e te, come una volta» - aggiunse Giorgio, continuando a mescolare il sugo e rivolgendo un’occhiata storta a quel posto lasciato insolitamente vuoto.
Negli ultimi anni, lo aveva riservato a quello che reputava il suo più caro amico, la persona a cui aveva affidato le sue confidenze, tutta la sofferenza dovuta all’insopportabile perdita di sua moglie.
Chissà se sarebbe ancora stato degno di occupare quel posto?
Chissà dov’era?
Da giorni sperava in un provvidenziale segno dal cielo, uno di quelli in cui lui non aveva mai confidato per quella tipica disillusione portata dalla deontologia professionale. Cercava disperatamente qualcosa che lo aiutasse a smentire il sospetto tremendo che lo attanagliava sul legame tra Frate Leonardo e il killer, ma la sua mente continuava a riproporgli l’immagine di quella penna. E, a quel punto, pensare che non vi fosse un’ineluttabile filo conduttore ad unire i suoi presentimenti era diventato pressoché impossibile.
Anche se in cuor suo conosceva la risposta a tutte quelle scomode domande, si sforzava di sperare con tutto se stesso che non fosse così, perché in fondo, era l’unico affetto che gli rimaneva. L’unico legame con la vita di prima, quella di sempre.
«Ma io ho te, no? Tu stai sempre qua… Vero, amore mio?» - domandò a lei, mascherando la voce rotta.
E sedendosi a tavola con i pensieri che non smettevano di vorticare, quella sera Pisanelli si chiese se davvero ci fosse qualcosa da festeggiare.

 

 

Se ve lo state chiedendo… Sì, ci sono Natali in cui non è festa. Accade quando i regali, le cene e le luci da soli non bastano e, se ci si ferma un attimo a pensare, non si può far altro che ammettere che ciò di cui si sente davvero il bisogno, a volte, non si può comprare...

 

 

In quella sera di festa, in cui tutti cercano instancabilmente la compagnia, Aragona gozzovigliava come sempre, seduto a gambe incrociate sul letto come un bambino spastico nell’ardua impresa di guardare (probabilmente per la cinquecentesima volta in vita sua) "Mamma ho perso l’aereo".
Un glorioso cameo per onorare i suoi Natali d’infanzia con la zia un po’ chiatta e molto invadente che gli spegneva sempre il televisore sul più bello, i cugini che correvano per casa e l’albero altissimo che nascondeva un sacco di regali.
Quell’anno aveva preferito non passare le feste in famiglia: troppo chiasso, troppe persone invadenti, per carità.
E poi c’era Irina… un ottimo motivo per non buttare al cesso il Natale in un paesino dimenticato da Dio, no?
Tutte balle.
La verità era molto più semplice: come sempre aveva finito le ferie da tempo e quindi la scelta di rimanere a Napoli era stata quantomeno obbligata (ma non diciamolo, perché pare brutto).
E così, l’agente scelto Marco Aragona aveva deciso di riposarsi in vista del faticosissimo turno che avrebbe dovuto subire il pomeriggio seguente, come un insopportabile e ingiusto supplizio, ripiegando su un’accademica maratona di Cinepanettoni.
Certo, avrebbe potuto passare la serata con Irina e i suoi compaesani...
Per carità: allegri, gioviali e ospitali, ma, considerata l’ultima sbornia epocale che la loro compagnia gli aveva causato, Marco aveva preferito archiviare la pratica con uno sbrigativo: «Come se avessi accettato, ma sto’ a posto così, grazie mille e tante buone cose».
Comunque, in tutto ciò, una cosa buona c’era per davvero: quella mattina, difatti, puntuale come sempre era arrivata la tanto attesa paghetta natalizia da parte dei suoi e questo era un ottimo motivo per essere felici, no?
Ciò non toglieva, però, che si ritrovasse lì, sdraiato nella sua camera d’hotel, tutto solo e, suo malgrado un po’ malinconico. L’unica cosa che lo consolava era il non dover subire le angherie del padre, che, se solo ne avesse avuto occasione, avrebbe passato tutto il cenone a sbeffeggiarlo. D’altronde era sempre stata una delle sua specialità: sminuirlo ed eseguire bonifici riparatori: a ognuno il suo!
Marco fece spallucce e scacciando via il fantasma del padre, alla solita scena "clue" di quel film trito e ritrito si sforzò ancora una volta di ridere.

 

 

Ma, a volte non si può far altro che trattenere le lacrime a Natale perché per alcuni trovare la gioia sembra impossibile... E, allora, l’unico obiettivo diventa quello di scappare da tutto, cercando il rumore per non dover ascoltare se stessi, il proprio dolore...

 

 

Alex uscì dal locale e, chiudendosi la porta alle spalle, sperò di lasciare dietro di sé tutto quel rumore assordante che le era diventato insopportabile.
E pensare che lo aveva cercato appositamente quel casino… Perché, se sei fortunato, non riesci a pensare se c’è la musica a palla e, se tutti quelli che hai intorno ballano, finisce che magari il cuore te lo dimentichi.
Ma alla fine dei conti, l’unica cosa che le restava di quella vigilia, che aveva deciso di passare in modo così anomalo, era quell’acquoso cocktail a metà che reggeva in mano.
Appoggiò le spalle al muro, rivolse gli occhi al cielo e quando sentì vibrare la tasca del giubbotto, per un attimo il respiro le si fermò.
Sbloccò velocemente il cellulare e aprì subito Whatsapp.
I suoi occhi scivolarono attenti lungo una valanga di messaggi di gente che non sentiva da secoli sperando invano di incontrare in tutta quella falsità il nome di lei, ma niente.
Fu così che lesse solo decine e decine di inutili «Buon Natale» di qua e «Auguri a te e famiglia» di là, costellati di faccine sorridenti, alberelli, spumanti e Babbi Natale che ebbero come unico effetto quello di farle montare i nervi.
Ma d’altronde c’era da aspettarselo.
Era stata lei ad allontanarla, a chiuderle la porta in faccia, escludendola dalla sua vita in nome della sua intoccabile e fottutissima libertà, quella che Rosaria con la sua gelosia stava minacciando.
«Buon Natale un cazzo» – disse al vento Alex, riponendo con rabbia il cellulare nella tasca del giubbotto.
Bevve un lungo sorso dal bicchiere che abbandonò poco dopo a terra e pensando a quanto si sentisse sola e triste in quella gabbia d’oro che aveva rivendicato con così tanta forza, voltò le spalle a quell’icona di libertà che continuava a produrre solo urla sguaiate e musica assordante e se ne andò.

 

 

Perché il rumore non è del Natale, ma forse, a dirla tutta, nemmeno il silenzio lo è.
Nonostante questo, qualcuno finisce per ricrearlo attorno a sé, perdendosi nei vecchi regali e nelle gioie passate, dimenticandosi di costruirne di nuove...

 

 

Lojacono rientrò in casa e si chiuse la porta alle spalle. Dopo gli auguri con i colleghi era fuggito via di corsa sperando che i negozi fossero ancora aperti.
Come al solito, infatti, si era ridotto all’ultimo a scegliere il regalo per Marinella che, fortunatamente, si era unita al cenone a casa di Chanel, concedendogli un piccolo margine di intervento per rimediare.
Ma d’altronde, se c’era una cosa che gli era sempre mal riuscita era nasconderle i regali, sin da quando era piccola. L’unico modo che aveva per mantenere il segreto era o nasconderli molto in alto in un armadio dove non poteva arrivare a dispetto di una curiosità incontenibile, oppure comprarli all’ultimo minuto, come era successo anche quella volta.
L’ispettore si recò infatti in camera da letto, aprì l’anta dell’armadio e allungò un braccio su una pila di maglioni di lana, frugando nel tentativo di ritrovare il pacchetto che conteneva l’ambito cellulare nuovo per quell’adolescente distratta che aveva la malsana abitudine di romperne o perderne all’incirca uno al mese.
Non era stato molto fantasioso forse, ma di sicuro sarebbe servito, come le scarpette da danza che aveva rimediato all’ultimo minuto. Marinella non le aveva chieste, probabilmente perché sapeva che in quel periodo non navigava nell’oro, ma dopo averla vista ballare all’ultimo saggio, persino lui che era tutt’altro che un esperto, si era accorto di quanto non fosse possibile continuare a consumare sul parquet paia e paia di malconce scarpe da ginnastica.
Al ricordo della figlia che ballava con quel giovanotto vestito da mimo, Lojacono avvertì immediatamente una pugnalata forte e chiara allo stomaco che cercò di mascherare con una lieve smorfia.
Non c’era niente da fare, nonostante ora l’avesse sotto gli occhi ogni giorno, non riusciva proprio ad ammettere che stesse diventando una donna e che prima o poi inevitabilmente qualcuno gliel’avrebbe portata via, allontanandola un po’ da lui.
E forse non sarebbe stata l’unica, ad abbandonarlo.
Ripose i due pacchetti sotto l’albero, di cui accese rapidamente le lucine colorate, e si abbandonò stancamente sul divano.
Pensò a Laura, a quella storia che non trovava pace.
Non l’aveva più sentita da quando aveva preferito lo spettacolo della figlia ad un weekend insieme.
Certo che almeno un messaggio... - aveva pensato Lojacono che da un po' non sapeva bene cosa fare, stretto tra due fuochi.
Era una sensazione a cui non era abituato che non la faceva stare tranquillo, però, quella volta si era concesso il lusso della stanchezza. Aveva ammesso a sé di essere sopraffatto dalle cose, affaticato da quella vita che sembrava non riservargli altro che brutte sorprese e perciò aveva preferito passare la palla, non decidere.
Guardando gli addobbi dell’albero di Natale che luccicavano in quella casa vuota, si chiese quante vigilie sarebbe stato disposto a passare da solo per i suoi ripensamenti, per il bene di Marinella o per Laura ed i suoi tormenti, che non era mai riuscito a interpretare.
Preferì non rispondersi e, anche se da sempre la odiava profondamente, per distrarsi da tutto quel silenzio di cui si era circondato, controvoglia accese la tv, restando in attesa.

 


Si sa, c’è chi odia aspettare e chi non ne è proprio capace.
Ma il Natale, si sa, è il re delle attese; sono quelle che lo rendono prezioso nella sua costante irraggiungibilità… Così a volte, a Natale, i regali più belli, specie se li abbiamo smarriti, non arrivano da soli e si può solo sperare che tornino...

 

 

Mentre fuori iniziava ad avvicinarsi la mezzanotte, Romano cullava da quasi un’ora la piccola Giorgia nella cameretta colorata della casa famiglia piena zeppa di giocattoli e bambini eccitati dal Natale che stava arrivando.
Scostando le tende della finestra che dava fuori, Francesco pensò di aver fatto la scelta giusta a passare di lì quella sera. Tutti quegli occhi gioiosi, pieni di sorpresa e tutte le risate di quei mostriciattoli che correvano di qua e di là senza sosta erano riusciti ad alleggerire quella festa che, per lui, da un paio d’anni era diventata un vero e proprio macigno.
Forse non era bello ammetterlo, ma in realtà, era da molto più tempo che la magia di quella festa non riusciva più a scalfire la massiccia armatura che si era costruito nel tempo per sopravvivere a tutta la sporcizia a cui era costretto ad assistere giorno dopo giorno.
E poi, senza girarci troppo intorno, non era certo un segreto che Francesco non fosse mai stato un sentimentale... Anche se, in quel momento, chiunque ne avrebbe lecitamente dubitato, vedendolo lì con un orsetto di peluche in mano, a guardare con gli occhi innamorati quella bimba che si stava addormentando sulle sue spalle larghe.
«Hai visto com’è bella la luna stasera?» - le chiese dandole un bacio su una guancia, mentre Giorgina continuava a stropicciarsi gli occhioni azzurri.
Francesco pensò a quanto avrebbe voluto regalargliela quella luna, pur di vederla felice, di saperla al sicuro, di assicurarsi che tutti i suoi sogni si sarebbero avverati.
Guardando ancora un po’ quel cielo nero pensò a Giorgia, quella grande, a cui qualche giorno prima aveva affidato il suo, di sogno.
Francesco sapeva che non avrebbe potuto consegnarlo a mani migliori, ma, nel contempo, credeva di non meritarselo, di non essere degno di una seconda possibilità.
In quel momento, Romano abbassò gli occhi sulla bambina che si era addormentata tra le sue braccia. La distese nella culla e le avvicinò quell’orsacchiotto di peluche, il regalo di quel suo primo Natale, nella speranza che i giorni che l’aspettavano in futuro sarebbero stati migliori rispetto a quello scomodo inizio di vita che le era toccato.
Le rimboccò il lenzuolino, le accarezzò la testa e si chiese se fosse davvero per tutti il lusso di una seconda possibilità, per dimostrare qualcosa a chi si ama, per cambiare.
Ma guardando Giorgia dormire, la risposta non poteva che essere…

 

 

Sì, perché a volte a Natale non si desidera altro che una certezza, una verità per arrivare a sentirsi al sicuro, per avere la forza di sognare qualcosa di bello anche se fa terribilmente paura...

 

 

Ottavia se ne stava lì da minuti interi, appoggiata stancamente alla parete del corridoio, a contemplare l'albero di Natale che brillava nella sala vuota e buia.
Si voltò a guardare la porta della sua camera come un condannato con la sua prigione.
All'idea di condividere il letto con quell’uomo che, da ormai chissà quanto tempo, reputava un estraneo e di cui aveva evitato lo sguardo tutta la sera, si sentiva morire.
Per il freddo, Ottavia si strinse nelle spalle guardando il soffitto, mentre nella sua testa continuavano a rimbombare senza tregua quelle parole che non riusciva ad allontanare in alcun modo e che la tenevano sveglia: «appena puoi, molla tutto e vieni da me».
Facendo qualche passo disordinato, si ritrovò sull'uscio della cameretta di Riccardo che dormiva alla luce flebile della lampada rimasta accesa sul comodino.
Come se fosse bastata quella luce a farlo sentire meno solo, a togliergli qualsiasi paura…
Stette a guardarlo immobile, come faceva da sempre, sin da quando era piccolo e aveva paura che da un momento all'altro sparisse, che non fosse vero, che glielo portassero via.
Anche se, da qualche tempo, in realtà era lei a sentirsi in procinto di andarsene da un minuto all’altro. Sì, era proprio lei, la donna egoista che avrebbe preferito scomparire senza fare troppo rumore, pur di non spendere un altro solo minuto lì dentro a rimpiangere una vita che non esisteva ancora, ma che voleva da sempre.
A quel pensiero, mentre il viso le si rigava di lacrime, Ottavia si avvicinò al letto e si infilò sotto alle coperte, abbracciando Riccardo.
Si sforzò con tutte le sue forze nell’intento di riconoscere quel profumo, il suo, quello di quando lo aveva stretto la prima volta tra le braccia.
Ricordò quanto lo aveva voluto, aspettato, di quante volte lo aveva immaginato.
Gli accarezzò i capelli, cercando disperatamente di capire a chi somigliasse, ma non ci riuscì. Sapeva solo che era suo e che quell’amore, nonostante il dolore avesse sempre sovrastato le gioie, non si poteva perdere, non si poteva spezzare.
Ma l’infelicità, le catene? - si domandò stanca tra sé, continuando a sfiorare Riccardo – Almeno quelle, si possono rompere… oppure no?
E ricordando la dolcezza di quell’abbraccio che l’avrebbe protetta, a sua volta, da tutta quella paura, da tutta quella tristezza, scacciò le lacrime dai suoi occhi.
Così, ancora stretta al suo bambino, spense la luce e finalmente si addormentò.

 

 

A Natale a volte ci si arrende, si arriva a un punto della notte in cui si fanno i bilanci e ci si guarda attorno. A volte, non è tutto come lo avevamo sognato, non abbiamo ricevuto ciò che avevamo chiesto, ma malgrado questo, in fondo non manca niente...

 

Lojacono stava steso sul letto in allerta, attanagliato dai pensieri e da quel radar attendibilissimo che spinge i genitori con i figli fuori casa a vegliare tutta la notte.
Sentì il cuore alleggerirsi tutto a un tratto quando udì le chiavi girare nella toppa e la porta chiudersi poco dopo, senza troppa accortezza.
Si sedette sul letto e rimase in attesa per godersi un rituale in grado di provocargli un mezzo sorriso dei suoi, un po’ storto, per mascherare l’inevitabile tenerezza.
Fu così che con le orecchie tese, pochi secondi dopo riconobbe, immancabilmente, i passi di Marinella che sgattaiolava nella sala per poi fermarsi un attimo, sicuramente davanti all’albero di Natale.
L’ispettore si mise a ridere quando sentì il classico rumore di chi agita i pacchetti per tentare di capire ciò che c’è dentro per l’irrefrenabile curiosità. Lo aveva sempre fatto, sin da piccola, quando scorrazzava ad orari improbabili per casa la mattina di Natale in quel suo pigiamino rosso a righe che anno dopo anno diventava sempre più corto.
La sentì riporre tutto sotto l’albero velocemente, facendo scricchiolare allegramente la carta da regalo, per poi zompettare fino alla sua camera.
Prima di spegnere l’abatjour pensò a Laura, si chiese dove fosse, come stesse, con chi. Pensò a cosa sarebbe venuto in futuro o a cosa gli sarebbe mancato, ma in quel momento ricordò il rumore dei pacchetti di Marinella e, ammettendo a se stesso che a quella musica non avrebbe mai rinunciato, si arrese al fatto che almeno per quella notte forse andava bene così.

 

 

Sì, spesso si finisce per accontentarsi a Natale e a rifugiarsi nelle tradizioni per soffrire di meno, per non dover ammettere che qualcosa è cambiato oppure semplicemente perché certi momenti non si possono e non si devono dimenticare...

 

 

Allo scoccare della mezzanotte, in casa di Pisanelli la sveglia trillò, facendo trasalire l’anziano vice-commissario, sonnecchiante davanti al televisore.
A qualcuno sarebbe parso uno spavento inutile, ma era un rito e, in quanto tale, andava onorato, come sempre.
Si sistemò gli occhiali sul naso e si diresse trascinando i piedi verso il presepe che aveva costruito con la solita cura nei giorni precedenti sul ripiano dello scrittoio.
Aprì un cassetto, afferrò la statuina mancante e con un leggero tremore alle mani sistemò Gesù Bambino nella mangiatoia.
Si voltò nella speranza di poter sorridere a qualcuno che lo rassicurasse che, anche quel Natale, malgrado la posizione diversa di qualche casetta, della neve non perfetta, quel presepe fosse un po’ più bello di quello dell’anno precedente.
E anche se la sala era vuota, al ricordo di quella bugia che, per quanto si sforzasse, le era sempre riuscita malissimo, lui sorrise lo stesso.

 

 

Non è sempre facile fare finta di niente e sorridere quando è Natale, perché anche se si tratta di una notte piena, spesso sono propri i vuoti, quelli che di solito si nascondono meglio, a farsi sentire...

 

 

Aragona rispose con un sorriso ebete l’ultimo messaggino di Irina che gli faceva per la millecinquecentesima volta gli auguri.
«E ti credo, con il regalo che le ho fatto!» - si compiacque da solo, mentre iniziava a sbadigliare sonoramente.
Ricordando inorridito la cifra astronomica che aveva speso per quel gioiello a forma di cuore, ringraziò la provvidenziale iniezione di liquidità nel suo conto corrente da parte dei genitori.
Per non smentirsi mai, tra l’altro, la madre poco prima lo aveva chiamato, ovviamente con il solito, leggendario tempismo di famiglia, interrompendo (come da copione) la sua scena preferita (sempre la stessa, mi raccomando), per augurargli buone feste da parte di tutti.
Ed era partita la solita patetica tarantella:
«E quanto sarebbe bello se fossi qui che ci sono gli struffoli» di qua...
«Certo che un giorno di ferie potevano pure concedertelo, mica salvate il Mondo» di là...
e poi «la zia Nunzia dice che sei uno scostumato che non ti presenti manco a Natale»…
Ripercorrendo quelle parole, Marco non poté evitare una smorfia nel ricordare il modo sbrigativo con cui la madre, al telefono, gli aveva fatto gli auguri anche da parte del padre, senza passarglielo.
Non che gli dispiacesse: lo sanno tutti che, tra uomini, quei convenevoli stucchevoli non sono altro che perdite di tempo sciocche, smancerie inutili che di certo non muovono il Mondo...
E fu così che, mentre scorrevano i titoli di coda del solito film interrotto almeno 200 volte nella medesima serata, Aragona crollò di sonno con la bocca spalancata al soffitto, ricordando i Natali di quando era bambino, pieni di regali e poco altro.

 

 

Perché in fondo ciò che prende il sopravvento a Natale è la ricerca della serenità che, spesso e volentieri, dipende solo da quella di chi si ama...

 

 

Romano chiuse la telefonata senza fretta: era Giorgia.
Avevano parlato poco, giusto il tempo di farsi gli auguri, ma Francesco ne era comunque felice... sapeva quanto le costava.
Rimase a guardare fuori dalla finestra, pensando a Giorgia, sia alla piccola che alla grande, entrambe preposte a custodire una sua grande speranza, due donne a cui stava affidando completamente il suo futuro.
Da un lato, c’era Giorgia grande, quello che era stato l’amore della sua vita, quello che aveva trascurato e maltrattato tanto e a cui ora stava affidando il destino suo e della bambina che gli aveva inconsapevolmente cambiato la vita.
E dall’altro la piccola, che non poteva sapere che enorme regalo gli avesse fatto, arrivando così, come un uragano, senza preavviso, spazzando via quel poco che c’era prima per riscrivere poi tutto da capo con parole inimmaginabili, del tutto nuove e bellissime.
In cuor suo Francesco ringraziò Luca, l’educatore della casa famiglia, che, nonostante fosse la Vigilia, aveva fatto uno strappo alla regola per concedergli di trascorrere un po’ di tempo con la bambina.
Il giorno dopo sarebbe stato di turno e l’ultima cosa che voleva era che la piccola si sentisse abbandonata, ancora una volta sola… Anche perché non lo era e forse, grazie ad un enorme regalo di Giorgia, non lo sarebbe stata mai più.

 

 

Perché bisogna ricordarsi sempre di avere cura del proprio cuore, soprattutto se è Natale e si ama incondizionatamente.
Può fare brutti scherzi il cuore in quella notte, perché non accetta distanze, anche se spesso, a coprirle tutte, un abbraccio solo non basta...

 

 

Ottavia si stese sul letto, abbracciandosi a lui.
Poggiò la testa sul suo cuore, godendosi il calore del maglione grigio che aveva indosso. Mentre lui le accarezzava la schiena in silenzio, pensò a quanto avrebbe desiderato che a dividerli fosse stato solo un corridoio e non mezza città.
Aveva pianto tanto nelle ore precedenti… Si vedeva, anche se aveva smesso da un po’, cercando di mascherarlo in tutti i modi possibili.
Durante la notte aveva combattuto con quei pensieri, provando a resistere, ma non ci era riuscita e, alla fine, aveva rispettato quella promessa, disattendendo sé stessa.
«Se mi pensi, molla tutto e vieni da me» e così aveva fatto, in quella mattina strana, accampando una scusa improbabile dopo aver dormito tutta la notte abbracciata a Riccardo. Perché, in fondo, voleva soltanto sentirsi vicina alle persone che amava, senza essere costretta a scegliere.
Era chiedere troppo? Forse sì.
Forse non era proprio possibile, non le era concesso.
E avvicinando lentamente il viso a quello di lui, cercò disperatamente di ricomporre il suo cuore, spezzato per metà in quella stanza e per l’altra metà ovunque fosse Riccardo.

 

 

D’altronde, la pace è l’unica cosa che conta, a Natale. La chiedono tutti, pregando, cantando o stando in silenzio, ma spesso (o meglio sempre) è la meta più difficile da raggiungere...

 

 

Alex aprì la porta di casa con l’alcol che le scaldava ancora lo stomaco e stanca si lasciò scivolare lungo lo stipite fino al pavimento.
Tirò nuovamente il cellulare fuori dalla tasca, iniziò a scrivere le parole di un messaggio che cancellò ancor prima di inviarlo e per la rabbia lanciò quel fastidioso aggeggio che trillava in continuazione a terra.
Dovrebbe esistere un armistizio obbligatorio per tutte le guerre, quando è Natale – pensò Alex, contemplando il telefono riverso sul pavimento a un metro da lei – Bisognerebbe poter mettere tutto in stand by almeno per questa notte e dimenticarsi di tutto, sospendere le incomprensioni, tutti i conflitti. Poi si vede...
E mentre una lacrima scioglieva il trucco nero che iniziava a colarle lungo la guancia, realizzò amaramente che purtroppo, almeno per lei, quella notte non sarebbe stato così.

 

 

Ma anche se la notte è già trascorsa e la pace ancora non c’è, non importa.
Spesso e volentieri, ci si arrende a Natale, anche se non è finita davvero.
Perché a Natale si spera, sempre e soltanto.
Per sé, per gli altri, per qualcosa di vicino o lontano, di banale o impossibile, per tutto ciò che è bello o potrebbe diventarlo...

 

 

In quella mattina di Natale strana e uggiosa, Palma fissava la luce della candela accesa sul comodino che tremava davanti ai suoi occhi.
Abbassò lo sguardo su di lei, abbracciata a lui.
Sapeva che sarebbe stata un’evasione breve, che tutto si sarebbe ridotto ad un effimero momento di dolcezza prima di fingere di nuovo che andasse tutto bene, in quei giorni di festa in cui è per tutti un po’ d’obbligo.
Quando aveva aperto la porta e l’aveva trovata lì sul pianerottolo, i solchi delle lacrime sul suo viso gli avevano spezzato il cuore…
Ma, contemporaneamente, tenerla tra le braccia, anche se per poco più di un’ora, era tutto ciò che desiderava, il più bel regalo che avrebbero mai potuto fargli.
Non si erano parlati, non era necessario.
Voleva un riparo dalla pioggia battente di quella tristezza e lui glielo aveva dato.
Appena entrata nella stanza aveva acceso la candela che le piaceva tanto, si era stretta a lui e l’aveva baciato appena nel vano tentativo di tenere fuori tutto: il freddo, la nostalgia, quel desiderio di una vita diversa, talmente fragile da non poter essere nemmeno espresso.
Il commissario guardò ancora una volta quella fiamma così piccola e flebile e cercò disperatamente di infilarci dentro tutte le speranze che aveva per sé e soprattutto per lei.
Forse erano troppo belle, troppo ingombranti per una luce così piccola e indifesa, ma in quel momento non poteva far altro che crederci e con un solo soffio incerto, la candela finalmente si spense.

 

 

 

 

 

   
 
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