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Autore: Cattive Stelle    14/02/2022    0 recensioni
[I Bastardi di Pizzofalcone - stagioni 2&3]
Cos'è una notte insonne?
La fotografia di un'emozione, delle paure più profonde, dei pensieri più veri.
E' il rifugio delle anime più inquiete.
In questa raccolta di racconti, una notte e la dedica di una canzone per ognuno dei Bastardi di Pizzofalcone.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Contesto: I Bastardi di Pizzofalcone 2 ~ episodio 2x04  - Tango

A qualche giorno dalla conclusione del caso di omicidio della maestra di tango, Roberta De Angelis, Ottavia - rimasta particolarmente colpita dal dolore di Sofia, sorella colpevole della vittima e madre di un bambino malato - si ritrova a ripensare a se stessa, a Riccardo e all'inizio della sua nuova storia d'amore, ponendosi delle domande a cui sembra sempre più difficile trovare risposta.

 

 

 

Ottavia


♫ Se piovesse il tuo nome (Elisa)

 

 


 


I

Se piovesse il tuo nome

 

 

Di pioggia sui vetri e domande malinconiche

 

 

 

 

 

 

 

Rivolgendo stancamente gli occhi al soffitto, con la testa sul cuscino, Ottavia pensò a quanto potesse essere bello il silenzio, soprattutto di notte, ancora di più se inizia a piovere, proprio come stava accadendo in quell'istante.
Di notte, d'altronde, tutto sembra contemporaneamente possibile ed impossibile, effimero o eterno, estremamente facile o insormontabile, in un battito di ciglia.
Tutto si dilata, perde ed assume contraddittoriamente senso, lasciando chi assiste vuoto ed insonne.

Quella notte, lei se ne stava lì a fissare il soffitto con l'attenzione di un turista in fila al Louvre anche se, in realtà, quello che aveva davanti era soltanto un muro bianco, un foglio di carta intonso.

In quel momento, con solo il tintinnio della pioggia sui vetri e i tuoni al di là della finestra, rifletté su quanto sarebbe stato bello sentirsi proprio come quel soffitto: una tela completamente da riscrivere.
Non avrebbe desiderato altro che essere una pagina bianca, in modo da potersene andare senza troppi problemi e ricominciare da capo, dimenticandosi di tutto: dei vincoli, delle privazioni, dei sensi di colpa e delle proprie mancanze per sentirsi finalmente libera dopo quello che pareva un secolo.
Allo stesso tempo, però, si sentiva tremendamente in colpa nell'avvertire in modo così chiaro e senza remore quell'accenno di tanto sospirata libertà, pur standosene lì, distesa sul letto di quella camera vuota e disordinata, mentre fuori pioveva.

Ottavia pensò che una buona madre avrebbe dovuto essere altrove: nella stanza di suo figlio a rimboccargli le coperte, per esempio, oppure in salotto a convincere il marito a staccare con il lavoro per concedersi un po' di riposo.
E invece no.
Ottavia non ne aveva voglia e se ne stava là, immobile, senza fare né l'una né l'altra cosa.
Cosa direbbe la gente di una donna così? – si chiedeva.
Che è una madre degenere, una pessima moglie, un'insensibile.
Forse sì, forse no.

Ma, in quell'istante, la domanda, secondo lei più giusta da porsi, sarebbe stata: quanto si pretende da una donna?
Sì, perché nell'immaginario comune è scontato, no?
La donna deve esserci sempre, dimostrandosi premurosa, attenta, preoccupata per tutti e, meglio ancora, se dotata di spiccato istinto materno e spirito di abnegazione sempre alla porta.
E da un uomo, invece?
Si pretenderebbe lo stesso?

Evitando di rispondersi e guardandosi attorno, Ottavia cercò di recuperare nella memoria il momento esatto in cui si era rotto qualcosa, ma non ci riuscì.
Forse non ci deve essere per forza un taglio netto, un punto di non ritorno fermo, glorioso ed indimenticabile. A volte semplicemente le cose iniziano e finiscono, senza colpe e senza fare rumore. O, almeno, lei avrebbe voluto che fosse veramente così per non sentirsi in difetto nel non aver avuto la forza di mettere a letto Riccardo quella sera, per non pentirsi della moglie scostante che era diventata.

In quell'istante, abbassò lo sguardo sull'uomo che si era addormentato poco prima sul suo seno e sentì una profonda fitta allo stomaco nel chiedersi se si sentisse in colpa anche per quello.
Ma la risposta purtroppo era "no".

Forse era inaccettabile, difficile da ammettere, ma Ottavia non rimpiangeva nulla: di non essere a casa, di dormire spesso fuori accampando una miriade di scuse e nemmeno la soddisfazione che le comportava quella leggera dolenzia alle gambe per aver passato buona parte della notte a fare l'amore con un uomo che - udite udite - non era suo marito.

Aveva provato a resistere.
In realtà, secondo lei, ci erano riusciti fin troppo a lungo.
D'altronde era innegabile che si fossero piaciuti da subito.
E poi, ogni volta che passavano la notte insieme tutto si confondeva a dismisura.
Non a caso, Ottavia aveva capito sin da subito che con lui sarebbe stato tutto diverso.
Non si conoscevano da molto, ma in fondo era come se si fossero ritrovati dopo un lungo viaggio in un'altra vita nella quale si erano già stretti, abbracciati e appartenuti legandosi indissolubilmente. Lo percepiva quando la sfiorava, ogni volta che facevano l'amore come quella sera, lei in braccio a lui, occhi negli occhi, persi uno nel respiro dell'altro.

A Ottavia non era mai successo di innamorarsi così.
Probabilmente perché in quel modo ci si può innamorare al massimo una volta nella vita e solo se si è fortunati.
A dirla tutta, faceva molta fatica ad ammettere che si trattasse realmente di un regalo della dea bendata, considerato lo scompiglio che aveva portato in una situazione già di per sé drammatica. Eppure, sebbene a tratti, quell'amore era riuscito nella difficile impresa di alleggerire e colorare tutto.

Ottavia rifletteva da un po' su quanto poteva essere beffarda la vita.
Ma non potevamo incontrarci a 20 anni? – pensava - Magari ci siamo pure incrociati al mare in estate, durante qualche esame all'università oppure alla fermata di un autobus quando eravamo ancora giovani, un po' cretini e svagati, sicuramente più leggeri. Forse eravamo distratti da altro o camminavamo mano nella mano con altre persone... Oppure, semplicemente, anche se ci fossimo conosciuti, ci saremmo stati tremendamente antipatici finendo poi a preferire altre compagnie.

Ma avrebbe potuto capitare, no? Di essere felici, di essere insieme…
Perché non era successo? Sarebbe stato tutto più facile.
E non così impossibile, perché chiudendo gli occhi, senza sforzo poteva vedere nitidamente davanti agli occhi cosa sarebbe potuto accadere.

Lei, con un vestitino leggero bianco in sangallo, i capelli in disordine finita lì per caso ad accompagnare la classica compagna di università un po' cazzara alla festa dove avrebbe incontrato il fidanzato che i genitori le impedivano di vedere. Di sicuro se ne sarebbe stata lí tutta sola, annoiata e seduta sulla spiaggia a guardare la luna, incurante della musica ottundente che riempiva fastidiosamente l'aria. D'altronde, aveva sempre preferito i lenti.

E poi lui, un ragazzo con la camicia di lino aperta e la testa per aria, a piedi nudi, una bottiglia di birra in mano, seduto pochi metri dietro di lei a seguire svogliatamente l'infrangersi delle onde sul bagnasciuga.

Ottavia, istintivamente, avrebbe fatto il gesto di guardare l'orologio, immancabilmente dimenticato a casa sulla pila di libri che stavano affollando quel finale di sessione estiva, e avrebbe sbuffato, lasciandosi cadere all'indietro sui gomiti.
«Mezzanotte meno un quarto» - avrebbe sentito alle sue spalle - «Troppo presto per andarsene e troppo tardi per divertirsi, comunque»
A quelle parole, Ottavia si sarebbe voltata, arrivando a guardare per la prima volta quel ragazzo con le maniche rimboccate e i piedi affondati nella sabbia a cui avrebbe sorriso timidamente.

Probabilmente, a quel punto, lui si sarebbe alzato per sedersi a pochi passi da lei.
Sarebbe rimasto rivolto verso il mare scuro di fine luglio e lei, invece, l'avrebbe guardato di sbieco con un misto di curiosità e sospetto finché, sempre senza staccare lo sguardo dalle onde, lui avrebbe esordito con un: «Non una gran serata, eh?»
«Non avrei dovuto essere qui» - avrebbe abbozzato lei.
«Poi il dj stasera 'n c'azzecca proprio, pensa che lo conosco pure» - avrebbe aggiunto lui, facendo scoppiare a ridere Ottavia e così, nonostante l'imbarazzo, avrebbero iniziato a parlare del più e del meno.

Lui avrebbe detto che non si divertiva, lei che aveva accompagnato un'amica, ma che avrebbe preferito rimanere a casa a studiare.
Allora, sarebbe uscito fuori che si era concesso una serata di svago a malavoglia, costretto dagli amici, perché stava preparando il concorso per entrare in polizia. Sul viso di Ottavia sarebbe, quindi, comparsa una smorfia di stupore e iniziando a ridere gli avrebbe confidato che era la stessa strada che voleva intraprendere lei, una volta finita l'università.
Vedi le coincidenze.

A quel punto, senza preavviso, il ragazzo si sarebbe alzato causando in Ottavia un'ombra di delusione che avrebbe tentato invano di mascherare, limitandosi a rivolgergli un'occhiata di inevitabile sorpresa.
«Vado a fare una passeggiata sulla riva, vieni anche tu?» - avrebbe aggiunto distrattamente, voltandosi verso di lei.
Ottavia, un po' confusa, si sarebbe alzata, con i sandali di corda in mano e, senza alcuna logica, l'avrebbe seguito.

«A proposito, è mezzora che parliamo e non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami» - avrebbe buttato lì il ragazzo.
«Ottavia» - avrebbe replicato lei - «Ma anche tu, comunque, non me lo hai detto...»
«Che scemo: Luigi. Gigi per mamma, Luì per tutti gli altri, insomma 'na tragedia» - avrebbe sdrammatizzato lui, guardandosi i piedi.
«Comunque è una bella serata, a parte tutto» - avrebbe ammesso Ottavia - «Mi sa che, alla fin dei conti, abbiamo fatto bene a non rimanere sui libri con questo caldo, no?»
«Di certo mi sarei annoiato. Anzi, conoscendomi, sarei crollato dal sonno. Sicuramente non avrei risolto granché. E poi, non mi sarei goduto questa bella luna, non avrei conosciuto te...» - avrebbe sussurrato lui, guardandola con un mezzo sorriso per poi abbassare subito gli occhi, rimanendo a qualche passo di distanza.
Manco a dirlo, Ottavia sarebbe arrossita e, sentendo un forte senso di vuoto nello specchiarsi per la prima volta negli occhi verdi di quel ragazzo stropicciatissimo, si sarebbe inconsciamente avvicinata, in modo da camminargli a fianco con gli schizzi d'acqua sui piedi.

Di sicuro avrebbero continuato a passeggiare fino agli scogli, parlando di sciocchezze e ridendo senza motivo. E, forse, a quel punto, Palma si sarebbe girato per tornare indietro, mentre Ottavia iniziava a chiudersi nelle spalle per l'aria pungente che iniziava a tirare.
Lui avrebbe timidamente fatto cenno di allungare un braccio sulle sue spalle, dove cadevano i ricci scuri e lei avrebbe acconsentito con un sorriso. In fondo era ciò che sperava.
Senza nemmeno una parola, avrebbero continuato a camminare finché la musica non fosse tornata prepotentemente nell'aria con la voce di Sting che cantava "Every breath you take".
«Finalmente, una buona l'ha messa» - avrebbe riso lui voltandosi maldestramente, senza pensarci troppo.
Lui verso lei, lei verso di lui.
Si sarebbero fissati per una frazione di secondo, Ottavia nei suoi occhi e Palma sulle sue labbra fino ad avvicinarsi irrimediabilmente.
Così, si sarebbero baciati, come fanno i ragazzi a quell'età, con i Police in sottofondo e l'aria che sapeva di salsedine, uno affianco all'altro con la mano di lui ancora sulla spalla di lei e il cuore nelle orecchie.
Avrebbero guardato uno il cielo e l'altra la sabbia, dopo essersi separati senza fiato, ridendo per l'imbarazzo.

«A te capita sempre così, quando ti annoi?» - gli avrebbe chiesto lei, sperando di essere smentita.
«Quasi mai» - avrebbe detto lui scuotendo la testa e, malgrado una disarmante timidezza, non avrebbe resistito a voltarsi verso di lei ancora una volta.
Le sue braccia sarebbero scivolate sulla schiena della ragazza fino a cingerle i fianchi, le avrebbe scostato un riccio da davanti al viso e guardandola sarebbe finito a baciarla di nuovo.
Ottavia, senza pensarci, si sarebbe stretta forte a lui, rimproverandosi un po'... perché no, non era da lei baciare uno sconosciuto, in una sera così, fidandosi ciecamente e facendosi portare via da un'emozione inaspettata.

Senza accorgersene, quella notte si sarebbe conclusa così, stando abbracciati ancora e ancora, seduti sulla spiaggia a guardare le stelle smezzandosi una sigaretta.
Giusto il tempo che gli amici tornassero a reclamarli e sarebbero tornati ognuno a casa propria, ognuno nel suo letto, a chiedersi cosa fosse realmente successo, se mai sarebbe continuata.

Di lì a qualche giorno, Ottavia avrebbe lasciato senza pensarci due volte il ragazzo che da poco aveva iniziato a frequentare e Palma avrebbe casualmente iniziato a passare tutte le sere sotto il portone di lei che si era miracolosamente rivelato di strada, pur essendo dall'altra parte della città. Sarebbero poi seguiti i lunghi pomeriggi caldissimi trascorsi in biblioteca a ripassare assieme e ancora i fine settimana al mare, i lenti sulla spiaggia la notte di Ferragosto e un milione di baci che li avrebbero portati a una maldestra prima volta nella cameretta di lui un'afosa sera di settembre. L'estate sarebbe quindi finita così, nell'immancabile angoscia di un ritardo, loro due insieme davanti a un test di gravidanza negativo con il viso quasi deluso di Palma e la soddisfazione di Ottavia nello scoprire che anche lui, in fondo, desiderasse una famiglia.
Dopo poco lei avrebbe festeggiato la laurea e, a breve, insieme sarebbero entrati in polizia. A quel punto, magari si sarebbero sposati, sarebbero arrivati i bambini e con loro le notti insonni, i ciucci, le ansie, i pianti, i sorrisi, decine e decine di giocattoli sparsi per casa.

Chissà se sarebbe nato lo stesso Riccardo?
Forse sì, forse no.
Magari avrebbe avuto gli occhi di un altro colore, i capelli più ricci, le fossette più accentuate, un altro nome.
Di sicuro sarebbero stati figli diversi, di due genitori diversi che magari si sarebbero amati o odiati di più, chissà.

Un tuono fece tornare Ottavia bruscamente alla realtà, distaccandola da quella fiaba innocente che infestava la sua testa. Capì presto che non era giusto chiedersi se, dall'incontro con un altro uomo, quel bambino sarebbe nato comunque oppure no, anche se non aveva mai smesso di sperare in un Riccardo che li avrebbe potuti riempire di chiacchiere, che avrebbe cantato a squarciagola mettendo la musica a tutto volume e che, magari, avrebbe anche litigato furiosamente con lei per una nota sul diario o la camera in disordine.
Ma non era così.
Non era mai stato così.
E lei non sarebbe mai riuscita a spezzare quelle catene che le appesantivano le caviglie, i polsi, il cuore.

Non poteva nemmeno escludere che sarebbe successo lo stesso anche con lui affianco.
Magari si sarebbe fisiologicamente allontanata da qualsiasi uomo con cui avesse condiviso una sofferenza del genere.
Da tempo, infatti, Ottavia si tormentava chiedendosi se con Palma sarebbe stato diverso.
Ma cosa avrebbe potuto tenere uniti loro due, che era mancato nel suo matrimonio?
La tenerezza, la passione?
La comprensione, la complicità?
Oppure semplicemente l'amore.
Quell'amore che, a quel punto della sua vita, dubitava di aver vissuto prima di allora.
Ma un sentimento, seppur forte come quello che avvertiva in quel momento sotto la pelle, sarebbe comunque bastato? - si chiedeva.

In quell'istante la mente le ripropose, a tradimento, l'immagine dello sguardo disperato di Sofia De Angelis qualche giorno prima, nel momento in cui era stata arrestata.
Non era stato un caso indolore per nessuno, di sicuro non per Ottavia comunque.
Aveva confessato davanti a lei e, di certo, non per uno strano scherzo del destino.
Lo aveva fatto perché l'aveva sentita vicina, forse si era addirittura fidata per le sue parole, riconoscendo in lei il suo stesso dolore e sperando così che potesse capirla.
E infatti la capiva, come nessun altro.
In quel frangente, chiunque avrebbe pensato che si trattasse di uno stratagemma, uno di quei trucchetti che i poliziotti usano nei telefilm per far crollare il sospettato di turno, spingendolo ad aprirsi, a dire tutto ciò che sa.
Ma in quel caso no.
Quello che aveva detto a quella donna completamente distrutta era, in realtà, soltanto ciò che avrebbe voluto sentire lei. In quei minuti interminabili, sperò disperatamente che quel discorso valesse anche per sé, né più né meno. Per concedersi il lusso di mancare ogni tanto, per non sentirsi in colpa nell'ammettere di essere fallibile.
Nell'osservare quella donna, Ottavia si era chiesta fin dove poteva condurre quel dolore straziante, quell'impotenza insopportabile nei confronti di un figlio malato, per cui non si può fare nulla se non esserci sempre.

Guardandosi attorno in quella stanza vuota, i suoi pensieri si scagliarono su quella vita tanto beffarda e dispettosa da portare una madre, la cui unica e grande paura è quella di perdere un figlio, a non riuscire più a mantenere il controllo, finendo così per lasciarlo solo sul serio.
Immaginò cosa volesse dire arrendersi a non poter proteggere un pezzo di sé così inconsapevole e indifeso, in un Mondo crudele che non prevede la fragilità e non ammette debolezze, senza poter fare nulla per cambiare il corso delle cose.
Con timore si chiese fin dove si sarebbe potuta spingere in lei quella sofferenza, dove l'avrebbe portata, cosa gli avrebbe impedito di fare, se l'avrebbe costretta a rinunciare a qualcos'altro oltre a tutto ciò a cui aveva sacrificato fino ad allora, che poi si riduceva alla sua vita per intero, a tutta se stessa. Qualcosa che di sicuro non avrebbe avuto indietro mai più, ma che forse non era più disposta a lasciar andare.

Ma, per fortuna, almeno per quella sera, quel flusso inesauribile e disperato di domande che non trovava risposte era destinato a interrompersi.
Bastò, infatti, solo il fruscio morbido delle lenzuola scure e con un sospiro, Ottavia chiuse gli occhi per abbassare ogni tipo di resistenza a quell'uomo, da poco sveglio e abbracciato a lei, che stava iniziando a baciare dolcemente il seno dove si era addormentato.
Così, mentre la sua testa si alleggeriva e il cuore si allargava battendo sempre più forte, stretta in quelle braccia si sentì improvvisamente protetta, a casa.

E quando ormai il Mondo fuori, per lei, sembrava non esistere più, lui risalì lentamente lungo il collo di lei fino a soffermarsi sull'angolo della bocca.
Incontrando finalmente il suo sguardo, Ottavia gli accarezzò i capelli per poi discendere piano sulla guancia.
Con la pioggia che batteva sui vetri e il lenzuolo che li avvolgeva a stento, si guardarono negli occhi per un istante che sembrò durare cent'anni.
Sospirando, l'uomo si avvicinò dolcemente fino ad annientare le distanze, sfiorando appena le labbra di lei con le sue.
Lui si allontanò subito quasi per accertarsi che quel momento fosse vero.

Come a pregarlo di non smettere, Ottavia schiuse gli occhi, fronte contro fronte mentre una lacrima le rigava irrimediabilmente il viso.
Palma, steso su di lei, fece scivolare teneramente una mano per sfiorarle la spalla con la punta delle dita e, percorrendo il braccio, arrivò a intrecciare le dita alle sue.
Istintivamente, lo strinse ulteriormente a sé, continuando ad accarezzargli la schiena con la mano libera.

Giunti fin lì, a quella tentazione senza ritorno, Palma, non riuscendo più a resistere a quell'incastro perfetto, consumò lentamente quei pochi centimetri che li separavano e iniziò a baciarla ancora.
E mentre il suo corpo si abbandonava completamente a lui, senza più né difese né riserve, Ottavia si rese conto, con una punta di amarezza, di avere tutte le risposte che cercava.

Chiudendo gli occhi, sperò che quel momento così effimero potesse bastare.
Bastarle, sì.
Durando per sempre.

 

 

 

   
 
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