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Autore: Spoocky    18/02/2022    2 recensioni
1804, Napoleone sta espandendo le sue mire su tutta l'Europa, una spia inglese inviata in Spagna viene a conoscenza dei suoi piani e cerca di riportare in Patria le preziose informazioni. Ma qualcuno lo ha tradito.
Riuscirà il messaggio ad arrivare al destinatario?
Genere: Angst, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Periodo Napoleonico
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Non sono morta, scusate!
Sono solo molto impegnata con lo studio ed il lavoro, per cui questa storia - a cui voglio dedicare il giusto tempo ed attenzione - avrà uno sviluppo molto lento, mi dispiace.
Ad ogni modo, ecco finalmente il secondo capitolo. Se tutto va come spero, il terzo dovrebbe arrivare entro fine marzo.


“Mettetelo qui sul tavolo. Fate piano, mi raccomando, piano.”
Il giovane inglese era ancora avvolto nel pastrano del suo superiore, il cui lembo ne copriva pudicamente l’inguine, ma lasciava intravedere un corpo deperito, straziato da piaghe e lividi a diversi stadi di guarigione: i suoi aguzzini avevano usato la mano pesante.
Le mani sottili, che sporgevano appena dalle larghe maniche del pastrano, erano incrostate di sangue secco, i polsi erano nascosti dalla stoffa, che copriva i tagli causati dalle catene, profondi quasi fino all’osso, ma profondi lividi scuri si susseguivano fino alle nocche. Sui fianchi e sulle spalle, già coperti di lividi, s’intravedevano dei tagli profondi e sottili, segni inconfondibili di un flagello in cuoio usato con brutale maestria.
Nonostante ciò, il giovane era stato adagiato sulla schiena e Miguel, che stentava a capirne il motivo, ne ebbe ragione appena si chinò sul suo torace, costellato di lividi. Il petto s’alzava e s’abbassava ad intervalli irregolari, con evidente fatica per il poveretto, e ad ogni esalazione corrispondeva un raschiare sinistro: “Sono i polmoni, vero?”
Padre Antonio smise per un momento di trafficare con i suoi strumenti e si voltò verso il ragazzo: “Gli hanno spezzato le costole.” Annuì “E deve anche aver preso freddo. Sarei molto sorpreso se nei prossimi giorni non sviluppasse una polmonite.”
“Vivrà, Padre?” chiese preoccupato il giovane osservando il corpo inerte del ferito.
“E’ nelle mani di Nostro Signore.” Rispose il frate, ma lo disse con un sorriso rassicurante, come se ciò bastasse a garantire la sopravvivenza del giovane sofferente “Ed Egli guiderà le nostre mani affinché possiamo curarlo.” Aggiunse, porgendo all’altro un grembiule di cuoio.

Voltarono con delicatezza il ferito su un fianco per sfilargli il pastrano.
Il tessuto, però era aderito alle ferite, attaccandosi alla carne viva. Forte di decenni d’esperienza, Padre Antonio non si scompose, ma intervenne bagnando il tessuto con abbondante acqua tiepida. Bertrand sussultò e gemette, ma non riprese conoscenza.
 Standogli così vicino sentirono chiaramente i rumori che produceva respirando e s’accorsero che le sue labbra avevano una lieve sfumatura violacea, che nulla aveva a che vedere con i lividi.
Miguel ne sapeva abbastanza da capire che non era un buon segno, ma riuscì a domare un poco le proprie preoccupazioni quando, dopo aver vuotato l’ultimo bacile d’acqua sporca, il profumo delle erbe medicinali poste ad essiccare sul camino sostituì l’odore ferroso del sangue.

In quel momento Nathan, che era rimasto immobile e silenzioso sul tavolo, con asciugamano steso pudicamente attorno alla vita, si mosse come per voltarsi su un fianco. Il movimento gli provocò una fitta lancinante nella schiena mentre alcune delle ferite si riaprirono con uno strappo della pelle. Diede un grido di dolore e forse sarebbe anche caduto a terra se Padre Antonio non fosse accorso a sostenerlo. In un inglese molto stentato riuscì a convincere il suo paziente a stare fermo e calmarsi, non gli avrebbero fatto del male.
Nathan aveva solo un vago ricordo di Conrad che lo portava via dalla prigione, un’immagine al confine tra sogno e realtà. Quando però vide la premura negli occhi dell’uomo che lo sorreggeva, e riconobbe i sai dei francescani, capì di essere al sicuro. Era comunque allo stremo delle forze, e s’accasciò sul braccio che lo sosteneva.
I suoi ansiti sfociarono allora in un doloroso attacco di tosse.
Vedendo la schiena del giovane, ridotta a brandelli dalla frusta, sussultare e coprirsi di sangue fresco ad ogni colpo di tosse, Miguel non riuscì a trattenere un brivido d’orrore. Recitando il rosario, meditava due volte a settimana i Misteri del Dolore, compresa la Flagellazione e la Crocifissione di Cristo, ma quella che aveva davanti era carne viva. Un uomo come lui, che sanguinava e soffriva per la crudeltà di altri.
Mentre Padre Ramirez sorreggeva il poveretto, aiutandolo a riprendere fiato, Miguel iniziò a tamponare le sue ferite, premendovi sopra uno straccio per arrestare l’emorragia
.
Nathan gridò per il forte dolore e, subito dopo, un altro accesso di tosse lo travolse. Padre Ramirez lo strinse a sé per impedirgli di farsi male ma, sentandosi contenuto, il giovane tentò disperatamente di divincolarsi, fino a crollare ansante contro il petto dell’uomo, che si stava prodigando per calmarlo, senza successo. Crollò per mancanza di forze, più che di volontà.
Quando lo distesero di nuovo sul tavolo, adagiandolo sul fianco con un asciugamano sotto la testa, tentò di rannicchiarsi, senza riuscirci.
Padre Antonio si chinò su di lui e gli asciugò il sudore con una pezza: “Va tutto bene, ti stiamo curando.”
In un momento di lucidità, Nathan riconobbe l’accento e, con voce flebile, chiese in spagnolo: “Dove mi trovo?”
Il frate gli accostò una tazza d’acqua alle labbra: “Sei nel monastero di Sant’Agostino, figliolo. Sei al sicuro, non preoccuparti: il tuo amico ti ha accompagnato qui.”

Tutti i pezzi andarono al proprio posto, rendendogli il quadro completo, e Nathan poté tranquillizzarsi. Data l’esperienza appena passata, non si sentiva a proprio agio con il giovane monaco alle sue spalle che gli puliva le ferite sulla schiena. Cercò di non dare troppo peso a quel disagio, concentrandosi sul respiro nel tentativo di tenere a bada il dolore, ma anche respirare era molto doloroso.
Sapeva per certo di avere delle costole rotte, le aveva sentite spezzarsi sotto i colpi dei suoi aguzzini, e aveva sentito il respiro farsi più difficile mentre pendeva inerme dal soffitto, nudo ed indifeso sotto la gragnuola di colpi che lo tartassava. Le fratture da sole potevano giustificare la fatica che faceva a respirare, ma sentiva un peso sui polmoni che nulla aveva a che vedere con le ossa rotte.
Suo malgrado emetteva un rantolo ad ogni esalazione e prendere fiato gli era difficile. Stare sdraiato sul fianco di certo non lo aiutava, anche se capiva che era l’unico modo per medicare la sua schiena flagellata.
Percepiva vagamente un camino acceso nella stanza, ma continuava a sentire freddo e il dolore non lo abbandonava. Aveva la testa pesante e si sentiva confuso, come ubriaco, e gli sembrava di essere sospeso in una fitta nebbia.
Si chiese dove fosse Conrad, se stesse bene, ma soprattutto si preoccupò per le informazioni che trasportava: sarebbero state fondamentali per le sorti dell’Inghilterra e, se anche non aveva rivelato nulla ai suoi torturatori, perderle sarebbe stato un danno altrettanto grave.
Gli tornò in mente Conrad che raccoglieva il suo panciotto da terra e apriva la toppa dei pantaloni, estraendo il biglietto in essa contenuto, un’immagine troppo vivida per essere frutto della sua mente sconvolta.
Trasse un sospiro di sollievo, che però degenerò subito in un feroce attacco di tosse.
Ogni sussulto del suo torace gli provocava una fitta di dolore lancinante e riprendere fiato gli divenne impossibile.
Il monaco di prima gli bagnò di nuovo le labbra e gli disse qualcosa, presumibilmente per tranquillizzarlo, ma non capì una parola.
Sentì gli occhi roteargli nel capo, poi perse la consapevolezza di tutto.

Padre Antonio adagiò la testa del ferito sullo straccio che gli faceva da cuscino: “Poveretto.” sospirò, scuotendo il capo “Non ce la faceva più. A che punto sei, Miguel?”
“Ho finito, padre. Non sanguina quasi più.”
“Bene, molto bene. Possiamo iniziare a ricucirlo.”
Sciacquarono ogni sua ferita con aceto e spirito di vino prima di riavvicinarne i labbri e richiuderli con la stessa cura che usavano per rilegare i testi sacri. Terminata ogni sutura, Padre Antonio tamponava la pelle livida con un unguento oleoso per lenirne i traumi, prima di applicare una garza per proteggerla.
Fasciarono con cura il torace del ferito, prestando particolare attenzione alle costole danneggiate, e lo ridistesero sul dorso. Gemette mentre lo spostavano, ma dopo quel primo momento sembrò respirare meglio.
Mentre gli spalmava un medicamento sulle nocche spaccate e sulle ulcere rimaste al posto delle unghie, Miguel si ritrovò a pensare ad un’icona della Deposizione che aveva dipinto e, dopo un breve calcolo, realizzò con orrore che avevano saltato le Lodi.
“Scusate, Padre.”
“Dimmi, Miguel.”
“Non è peccato mancare la Liturgia?”
“Un uomo della Samaria, che era in viaggio, lo vide e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo.[1]” Recitò il frate, senza alzare lo sguardo dalla ferita che stava medicando “Non è forse Parola del Signore?”
“Sì, Padre.”
“Allora medita su questo, mentre la metti in pratica: perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuto a visitarmi.[2]
“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.[3]” Concluse Miguel, rimettendosi al lavoro.

Le ferite al torso, per quanto terribile fosse il loro aspetto, erano solo una parte di quelle che straziavano il corpo del povero Nathan.
Le sue spalle erano rigide per essere state costrette troppo a lungo in una posizione innaturale e forzate a reggere tutto il peso del corpo. Le massaggiarono con un balsamo all’arnica ed applicarono degli impacchi caldi, ma erano certi che avrebbero continuato a dolere ancora a lungo.
Come i polsi, anche le caviglie presentavano dei gravi segni di costrizione.
Stinchi e ginocchia mostravano abrasioni profonde quasi fino all’osso, e le piante dei piedi erano coperte di lividi profondi e tagli come solo una canna rigida poteva lasciarne.
I suoi aguzzini non dovevano avergli lasciato un momento di respiro, e il fatto che aveva resistito a tanto aveva dell’incredibile.

I monaci ebbero un bel da fare a medicare, lenire e fasciare ogni ferita, livido e piaga. Quando finirono era ormai mattino inoltrato.
Cercando di non strattonarlo troppo, gli infilarono una morbida tunica in cotone, che copriva quasi del tutto le fasciature. A parte le mani bendate, il respiro irregolare, e il volto pesto, sembrava che dormisse.
Miguel intinse una spugna nell’acqua tiepida ed iniziò a lavargli i capelli, e Padre Antonio gli rasò con cura il viso. Piccole attenzioni volte a restituirgli la dignità che i suoi carcerieri avevano cercato di portargli via.
 


Nell’ala opposta del monastero, Conrad Hancock passeggiava avanti e indietro nella stanza che gli avevano messo a disposizione. I suoi pesanti stivali di cuoio rimbombavano nella cella dell’abate di un secolo prima, ma aveva frequentato il monastero abbastanza a lungo da sapere che gli spessi muri di pietra avrebbero impedito che il suono disturbasse le attività dei monaci.
Era la camminata nervosa di un leone in gabbia.
Non solo era profondamente turbato per gli eventi della notte precedente, le condizioni in cui aveva trovato il suo agente non lo lasciavano tranquillo, ma anche per il contenuto del foglio che reggeva tra le dita. Prima di essere catturato, e ridotto in fin di vita, Nathan era riuscito a portare a termine la sua missione, la prima parte almeno.

Le informazioni che aveva ricevuto, prima che qualcuno lo smascherasse e lo consegnasse agli spagnoli, confermavano i peggiori timori di Sir Joseph Banks: Napoleone stava mettendo in atto dei preparativi concreti per invadere la Spagna. Fino all’ultimo, gli agenti del Servizio Informazioni della Corona avevano sperato si trattasse di una voce infondata, ma il corso maledetto si era dimostrato, ancora una volta, ben più avventato di quanto supponessero.
Hancock non riusciva a farsene una ragione. Il territorio spagnolo era un ginepraio di relazioni precarie ed antagonismi in cui nessun condottiero dotato di buon senso avrebbe voluto mettere piede. Eppure, era proprio quello che Bonaparte puntava a fare nel prossimo futuro.
Per come la vedeva Hancock, le possibilità erano due: o Napoleone era uscito di testa e, ebbro delle vittorie sul Continente, voleva tentare l’ennesima impresa all’apparenza impossibile, oppure – ed era l’ipotesi peggiore – disponeva di armi e strumenti di cui non erano a conoscenza e che gli avrebbero assicurato la vittoria anche in quel caso.
Se le cose stavano così, l’Inghilterra sarebbe stata l’unica potenza in grado di arginare la tracotanza di Bonaparte e le informazioni in loro possesso sarebbero state la chiave per permettere il contrattacco.

Tutto questo, però, era di là da venire.
I Francesi non sarebbero stati pronti prima di alcuni mesi, in quel momento la questione più importante era cercare di capire chi avesse tradito e a che punto della catena degli informatori si trovava. Era impellente capire di chi si potessero ancora fidare e di chi no.
Sul fatto, invece, che le notizie reperite da Nathan fossero attendibili non aveva dubbi: non l’avrebbero torturato per recuperarle, altrimenti.
Con una lunga carriera da agente alle spalle, Hancock era riuscito a farsi un’idea della situazione. Qualcuno, piuttosto in alto nella catena degli informatori, aveva cercato di rimangiarsi la parola data, ma l’aveva fatto in ritardo, quando ormai il meccanismo era già stato avviato. Chiunque fosse quella persona, era arrivata dannatamente vicina a raggiungere il suo scopo: se quelle informazioni vitali erano giunte a destinazione lo si doveva solo alla tenacia del giovane Bertrand, e alla rapidità del loro intervento perché se fosse morto – e, visto lo stato in cui era, sicuramente sarebbe morto prima di parlare – i suoi carcerieri non avrebbero impiegato troppo tempo a capire cosa nascondesse e dove.
Erano stati fortunati.

Hancock interruppe il suo passeggiare e tese l’orecchio, cercando di capire se i monaci avessero finito di medicare il suo agente e se lo stessero portando in stanza.
Niente.
Del resto, anche se erano passate ore dal loro arrivo, non c’era da stupirsi che ci volesse del tempo: le sue ferite erano gravi e i monaci dovevano dedicarvi la giusta attenzione.
Quando sarebbe stato in grado di parlare, magari avrebbe potuto aiutarlo a ricostruire il quadro completo, ma per ora l’importante era che si riprendesse abbastanza da affrontare il viaggio di ritorno. Lasciarlo lì, per quanto il monastero fosse un luogo sicuro, avrebbe voluto dire voltargli le spalle e non meritava un trattamento del genere, non dopo quello che aveva sofferto.
Del resto, bisognava pure aspettare che il suo torturatore parlasse, ma per quello, se conosceva Rafael e i suoi consanguinei, ci sarebbe voluto molto, molto meno.
 

 
Sotto lo sguardo attento di Padre Ramirez, due confratelli trasportavano la lettiga su cui giaceva Nathan Bertrand, avvolto in una coperta, come in una processione li seguiva il giovane Miguel, con tutto il necessario per la stanza del malato.

Lo portarono nella stanza adiacente a quella di Conrad. Una delle poche ad avere un vero letto, già pronto con lenzuola pulite e coperte, e un camino, in cui già ardeva un fuoco vivace.
I monaci adagiarono con cura la barella a terra, scoprirono il giovane e, maneggiandolo con la stessa cura che avrebbero usato per una reliquia, lo deposero sul letto, rimboccandogli con cura la coperta sulle spalle.
Sul comodino al capezzale, Miguel posò un catino con una brocca d’acqua, alcune pezzuole pulite, ed un bicchiere per permettere al giovane di dissetarsi se ne avesse avuto bisogno.
Congedati i barellieri, Padre Ramirez s’attardò al capezzale del ferito per controllargli il polso, rapido ma più regolare di quando era arrivato sul suo tavolo, e la temperatura della fronte. Sotto i lividi, la pelle del ferito era pallida, fredda, e madida di sudore. Sintomi di una grave perdita di sangue e di uno stato di profonda sofferenza, anche se l’assenza di febbre lasciava ben sperare.
Gli aggiustò addosso le coperte e si rialzò, lasciandolo dormire.

Qualche colpo leggero alla porta annunciò l’arrivo di Conrad.
Padre Ramirez lo accolse con rispettoso sussiego: “Prego, agente, accomodatevi: lo abbiamo appena messo a letto.”
“Vi ringrazio, padre.” Lo salutò l’inglese, dirigendosi al capezzale del giovane “Come sta?” domandò poi, chinandosi sul suo viso pallido e immobile. Una mano sospesa a mezz’aria, come se volesse toccarlo, per offrirgli conforto o accertarsi che fosse davvero ancora vivo, ma si trattenesse per paura di fargli del male.
Padre Ramirez gli si pose alle spalle, le mani nascoste nelle profonde maniche del saio, incrociate sul petto: “Siete arrivati appena in tempo. E’ molto grave: poche ore ancora, e per lui non ci sarebbe stata più speranza.”
Conrad annuì in silenzio, lo sguardo fisso sul volto del suo subordinato e la fronte aggrottata per la preoccupazione, ma le sue spalle si raddrizzarono un poco, come se avessero lasciato andare parte del peso che vi gravava sopra.
Vedendolo più tranquillo, il frate continuò: “Ha perso molto sangue, e sofferto molto, ma è molto forte: ce la farà.”
“Tra quanto sarà in grado di viaggiare?”
Padre Ramirez si strinse nelle spalle: “Se non s’aggrava, dovrà restare costretto a letto per almeno un paio di settimane. Il che è un bene, per voi: vi permetterà di guadagnare tempo mentre si calmano le acque.” A quel punto, però, il frate s’accorse dell’espressione cupa che adombrava il volto dell’agente e si sporse addirittura a mettergli una mano sulla spalla “Non abbiate timore: qui siete al sicuro, e il nostro giovane amico sta ricevendo le migliori cure. Ha solo bisogno di riposare.”
Conrad annuì di nuovo, e il frate si sentì finalmente tranquillo a lasciarlo solo con il ferito.
Chiamò con sé Miguel e si chiuse con discrezione la porta alle spalle.

Rimasto solo, Conrad sedette al capezzale di Nathan.
Le coperte erano già lisce come se gliele avessero inamidate addosso, ma passò comunque la mano in corrispondenza del suo petto, come per lisciare delle pieghe inesistenti.
Gli posò le nocche su una tempia, e il giovane emise un lieve gemito, piegando il capo nella sua direzione, come a cercare un maggiore contatto. Il gesto si trasformò allora in una vera e propria carezza, con cui Conrad gli scostò dolcemente i capelli dal viso: “Tranquillo, Nathan. Siamo al sicuro, adesso. E’ finita.” Il giovane emise una specie di sospiro tra i denti, sapendo per esperienza che la sua voce lo stava tranquillizzando, Conrad continuò “Va tutto bene, Nathan, tranquillo. E’ finita. E’ finita.”

 
Note:
[1] Luca 10, 33-34
[2] Matteo 25, 35- 36
[3] Matteo 25, 40
  
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