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Autore: Koa__    20/02/2022    4 recensioni
Magnus Bane è il sommo stregone di Brooklyn, ha quasi quattrocento anni ed è il potente figlio di Asmodeo, principe dell’inferno. Per secoli il suo mondo è stato in bianco e nero, illuminato da quell’unico colore che i suoi occhi sono in grado di distinguere dall’informe massa di grigiore che lo circonda: il blu. A nulla è valsa la potente magia che gli scorre nelle vene, dato che non esiste pozione o incantesimo che possa contrastare ciò che è destino debba accadere: incontrare un giorno la sua anima gemella dagli occhi come il mare. Magnus Bane ama il blu ed è certo che l’aura della sua anima gemella, ovunque essa sia, sia di quell’esatto colore. Col passare dei secoli ha iniziato però a credere di essere condannato alla solitudine. Sino a quando, una sera, mentre si dirige verso il Pandemonium, un angelo scende dal cielo e gli illumina il cammino. Allora, il mondo di Magnus esplode di mille colori.
La storia partecipa al contest: “Il filo rosso del destino - Soulmate!AU contest” indetto da Pampa309 sul forum di Ferisce la penna.
"Questa storia è iscritta agli Oscar della penna 2023, indetti dal forum Ferisce la penna"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione alla lettura: Questa fanfiction è una soulmate!AU, ovvero una storia che prevede l’esistenza delle anime gemelle. Il tipo di AU che ho scelto per Alec e Magnus vede il riconoscimento dell’anima gemella tramite i colori. Ogni individuo vede un solo colore, ovvero quello degli occhi della propria soulmate (blu nel caso di Magnus, verde e giallo in quello di Alec) sino al primo incontro, da quel momento il mondo diventa interamente a colori.
La storia è temporalmente da ambientare in prima di “Città di Ossa” e il primo incontro tra Alec e Magnus è ovviamente diverso rispetto a quello canonico.




 

 


 








 

Blue Velvet



 

“She wore blue velvet
Bluer than velvet were her eyes
Warmer than May, her tender sighs 
Love was ours”
- Blue Velvet-




 

Ovunque fosse, che figlia di un futuro lontano o perduta tra le maglie di un tempo passato, Magnus era certo che l’aura della sua anima gemella fosse blu. E a chi glielo domandava rispondeva che era assolutamente sicuro che quella vibrava delle stesse tonalità del colore di occhi che non aveva mai visto, ma che pure aveva amato con tutto quanto se stesso sin dal giorno in cui aveva capito cosa significasse essere destinati a qualcuno. Amava le sfumature più intense, come quelle scure del cobalto e del marino che a metà strada s’incontravano in quella meraviglia che era il blu di Persia, le quali si contrapponevano perfettamente alle tonalità più chiare del turchese e del ciano. Mille e più nuance che coloravano il grigiore di un’eternità nella quale, in fondo, si era sempre sentito solo. Magnus Bane era uno stregone, un’antica maledizione per dirla alla maniera di suo padre Asmodeo, potentissimo Principe dell’inferno che lui garbatamente detestava con tutto quanto il proprio cuore. Per assurdo, e nonostante la odiasse, aveva sempre pensato che quella parola descrivesse perfettamente la sua condizione: era maledetto e non c’era termine più preciso di quello per descriverlo. A che serviva vivere per sempre e avere grandi poteri, se non poteva godere della bellezza di un mondo a colori? Che gusto c’era ad apprezzare la meraviglia se gli mancava la possibilità di condividerla con un qualcuno che lo amasse per l’uomo che era? A dire la verità aveva provato a fare una qualche magia che gli consentisse di vedere un qualcosa in più, ma niente aveva funzionato perché il potere che legava due persone destinate era la forza più potente dell’universo e, a detta di molti, nemmeno un angelo avrebbe potuto spezzarla. 

 


Lei, l’anima gemella, l’aveva immaginata spesso. Non erano sogni premonitori, come di tanto in tanto gli capitava di fare, ma solo delle mezze fantasie buttate lì tra il sonno e la veglia. Tuttora, Magnus non sapeva se fosse uomo o donna, se mondano o stregone, se già vissuto o se invece doveva ancora nascere. C’era stato un tempo in cui la ricerca di questa persona lo aveva distrutto e ce n’era stato un altro nel quale aveva smesso di credere che potesse capitare anche a lui.
«Sarà morta» diceva alla sua amica Catarina, una delle poche che riusciva a vedere per quello che era: blu dalla testa ai piedi. «O magari nascerà quando sarò polvere» aggiungeva, fingendo di ridere per il divertimento, ma affogando al contempo i dispiaceri in un bicchiere di martini o andando a letto con la prima persona che gli capitava. Donne e uomini grigi, che si confondevano con una vita ormai monotona perché in fin dei conti neanche il sesso occasionale serviva a qualcosa, di certo non gli faceva dimenticare l’imperante solitudine dentro la quale era imprigionato. 


 

Spesso aveva la sensazione di galleggiare a mezz'aria, come se non si trovasse più davvero lì con la testa e questa fosse perduta altrove. Vagava per ore e ore in sogni che mai sarebbero divenuti realtà; fantasie eccentriche, erotiche che appartenevano a un tempo che non ci sarebbe stato. Passava le proprie serate al Pandemonium o nel loft di Brooklyn che arredava a seconda dell’umore. Si faceva strapagare dagli Shadowhunters quando questi chiedevano un favore, ma dentro seguitava a disprezzarli. Faceva un sacco di soldi anche con i propri clienti e, spesso, passava i pomeriggi con un demone in salotto che chiacchierava sempre troppo per i suoi gusti e che perdeva una strana bava verdastra che aveva sempre trovato piuttosto disgustosa. Eppure non viveva, non davvero. Il grigio era diventato insopportabile e gli era entrato fin dentro le ossa, lo asfissiava al punto che preferiva tenere gli occhi chiusi e stare a letto fino a mezzogiorno, perché sognare quell’anima dagli occhi blu era decisamente meglio che fare una qualsiasi altra cosa. Non viveva neppure le volte in cui si rendeva conto che il cuore diventava sempre più duro e che i suoi occhi si chiudevano, stanchi, al punto che quasi faticavano a restare aperti. La speranza moriva nel ritmo lento del suo respiro e nella consapevolezza amara che il risveglio portava con sé: lei, l’altra metà di se stesso, non l’avrebbe mai conosciuta.


 


Quella era una notte qualsiasi del mese di maggio ed era triste, piovosa e anche vagamente malinconica in certe sfumature che la facevano apparire ancora più grigia di quanto non fosse mai stata. La primavera era orribile e Magnus la detestava, odiava tutti i rosa e i giallo di fiori di cui non poteva godere appieno. Li annusava e chiudeva gli occhi, nella speranza di riuscire a immaginare ciò che a malapena era in grado di comprendere. In quella tarda sera senza colori tirava un vento freddo, la pioggia cadeva battente e l’aria sapeva schifosamente di smog. Quando era uscito di casa per andare al Pandemonium, ben deciso a camminare, si era detto che i vicoli di Brooklyn somigliassero in maniera impressionante a certi angoli della Parigi di inizio novecento. Magnus la ricordava bene e probabilmente era un illuso a rivederla in un luogo e un tempo così tanto differente, eppure pareva non importargliene, intanto che con la mente andava indietro nel tempo e riviveva trame della sua vita come se fossero state un vecchio film in bianco e nero. C’era Catarina, in quei ricordi e anche Ragnor, i suoi amici fidati. C’era Camille, lei che lo aveva fatto a pezzi, lasciando ben poco di buono nella sua anima marcia. Non avrebbe dovuto pensare a lei, si disse poco prima che il clacson di un'auto in lontananza suonasse, facendolo sobbalzare. Si diede dello sciocco, intanto che riprendeva il proprio tragitto, avrebbe dovuto accelerare il passo se non voleva rovinare lo straordinario completo che aveva addosso. In fondo, il look era una delle poche, magre consolazioni in una vita altrimenti piatta. Quella notte, Magnus Bane portava una giacca di velluto blu che gli stava d’incanto. Era la sua preferita, l’aveva vista su di un manichino nella vetrina di una boutique di Venezia, un paio di decenni prima e se n’era letteralmente innamorato. Ed era strano che gli piacesse così tanto perché non aveva poi molti vestiti di quel colore. Oh, era del tutto assurdo, ma con il tempo aveva imparato a distinguere una tonalità dall’altra, teneva targhette su ogni abito così che potesse abbinarli nella maniera migliore e questo perché il suo gusto nel vestire era talmente sopraffino, che voleva che tutti quanti ne godessero. Un tantino vanitoso, oltre che pretenzioso, come gli ricordava Raphael alzando gli occhi al cielo. Ragnor invece malediva il giorno in cui gli aveva detto di vestirsi un po’ meglio, quando lo aveva portato via dalla custodia dei Fratelli Silenti. E quindi usava rosso e oro, verde, rosa e giallo e il tutto abbondando con strati su strati di glitter che metteva persino tra i capelli. Il blu, però, era per i giorni speciali. Era per quelle serate trascorse con le persone che amava, a fare qualcosa d'importante come dire addio a un vecchio amico. Quando Will era morto, Magnus si era vestito di blu. In quella notte di maggio, però, lui era solo e non c’erano amici da salutare una volta e per sempre, non interessanti compagnie con le quali trascorrere un paio di ore piacevoli. Neanche sapeva per quale ragione si fosse vestito in quella maniera, ma era come se uno strano sentore lo avesse spinto a scegliere quel completo e a uscire di casa. Si trattava di un impulso vero e proprio, assolutamente inspiegabile che aveva caricato il suo passo di frenesia. Non voleva davvero andare al Pandemonium, ma sapeva di dover andare avanti e quindi ora camminava per le strade di Brooklyn, con un ombrello tra le mani e troppi, tristi, pensieri a divorargli la mente. Lui e quella giacca di velluto blu notte con pantaloni della stessa tonalità, una camicia bianca e dell’ombretto celeste glitterato sulle palpebre. Procedeva con una mano infilata nella tasca dei calzoni e l’altra avvinghiata al manico ricurvo di un ombrello, perché appena aveva sentito un paio di gocce di pioggia aveva schioccato le dita e uno di quelli gli si era materializzato tra le dita. Doveva essere giallo, si era detto subito o magari era rosa, ma di una tonalità chiara: aveva notato infatti che in simili occasioni il grigio tendeva quasi al bianco. Intanto che procedeva non guardava davvero avanti a sé, preferiva fissare il marciapiede e la maniera intrigante con cui le gocce di pioggia rimbalzavano sull’asfalto. Fu per questo che non lo vide arrivare e che a fatica si rese conto di cosa fosse successo. Sentì soltanto un gemito di dolore e percepì il corpo di un’altra persona a pochi fiati da lui, quindi si rese conto che aveva conficcato la punta dell’ombrello nell’occhio di qualcuno. Dopo averlo spostato da un lato di modo che questo toccasse terra, vide un ragazzo piegato su se stesso con le mani a coprirgli il viso.
«Ti sei fatto male?» domandò, facendosi avanti di un passo o due.
«No, è tutto a posto. Non ti preoccupare» mormorò questi, tirandosi meglio in piedi e raddrizzando la schiena. Accadde allora e, cielo, fu come morire e risorgere al tempo stesso perché quando il ragazzo tolse le mani dal proprio viso e i loro occhi si incontrarono, il battito del cuore di Magnus Bane si fermò. E quando accelerò lo fece d’improvviso, in maniera forsennata, galoppando come uno stallone imbizzarrito. Eccola, pensò, era lei. Era l’anima gemella e aveva l’aspetto di uno stupefacente ragazzo.


 

Magnus aveva visto tutte le cose blu che c’erano al mondo: il cielo, certi dipinti di Monet, le acque dell’oceano più profondo e quelle più cristalline del mar dei Caraibi. Avrebbe potuto citare a memoria ogni tonalità di ombretto azzurro prodotta da Sephora e, in effetti, uno dei motivi per cui adorava la sua amica Catarina era per quella sua pelle perfettamente blu, ma non aveva mai visto gli occhi di nessuno. Ammirava con sfacciataggine il piumaggio di certi uccelli tropicali e teneva sempre un cestino di mirtilli sul ripiano della cucina, perché quelle piccole palline blu gli piacevano davvero tanto. Spesso, invece, con la magia catturava farfalle dalle ali turchesi, amandole e poi lasciandole volare subito via. Eppure non aveva mai visto il colore degli occhi di qualcuno perché a incrociare i suoi c’erano sempre state iridi grigie. Anime spente, senza vita, le stesse che con il tempo avevano iniziato a intristire anche la sua, di anima. Quelli sui quali aveva posato lo sguardo, erano occhi blu come il mare in tempesta. Blu come i pigmenti che aveva visto usare a certi pittori della Parigi della Belle Epoque. Erano blu come i fiori dell’iris, come la giacca che ora portava. E poi ci furono capelli neri, ma di un nero tanto intenso che non aveva mai visto prima e c’era pelle bianca, quasi d’argento. Due guanciotte rosa e labbra rosse come ciliegie mature. C’era lui, alto e splendente che sembrava brillare di luce propria. Era giovane e bello come non credeva nessuno potesse essere per davvero. Lui che, aveva notato, aveva la pelle imperlata di cicatrici e tatuaggi: era uno Shadowhunter che adesso lo guardava con quegli occhioni sgranati e la bocca aperta per lo stupore.
«Lo sapevo!» lo sentì esclamare, esultante. «Sapevo che eri uno stregone» continuò poi e nella voce aveva un entusiasmo quasi fanciullesco, una gioia esplosiva e immensa che gli fece vibrare un qualcosa dentro al petto.
«Cioè» riprese lo Shadowhunter, «Jace diceva che capivo male e che può sembrare che il verde abbia certe sfumature più scure che sembrano oro. Non faceva che ripetermelo, perché nessuno vede due colori, ma era davvero oro e quale essere umano ha gli occhi di quel colore? Non potevi che essere uno stregone.» Per un singolo, brevissimo istante, Magnus non poté non domandarsi se per lui fosse una delusione. Ne aveva viste troppe nel corso dei secoli per non sapere con certezza che tra i Nephilim e i Nascosti non correva buon sangue, anche per questo non aveva proprio pensato che la sua anima gemella sarebbe potuta essere uno Shadowhunter. Aveva visto Tessa e Will, un tempo, ma loro erano sempre stati un’eccezione e come tale aveva considerato quell’unione. E quindi, preda di quei tormenti senza senso, tacque e basta intanto che quel giovane entusiasta lo guardava con i suoi occhioni sgranati.
«Sei davvero tu?» mormorò Magnus, allungando una mano verso di lui come a volergli sfiorare i capelli. Quel ragazzo era alto quanto lui e aveva dei ciuffi ribelli che gli ricadevano sulla fronte, ne toccò qualcuno con la punta delle dita, ma subito le ritrasse spaventato.
«Da quanto ti aspetto...» aggiunse poi, forse parlando più che altro con se stesso.
«Alec» lo interruppe, annuendo con decisione intanto che il sorriso si allargava sul suo volto e quel delizioso rossore diventava ancora più intenso. «Alexander Lightwood.»
«Magnus Bane» soffiò fuori con voce divenuta assurdamente roca. Era l’incredulità, a farla tremare. Erano quei centinaia di anni di solitudine che si rompevano d’improvviso, come un vaso di cristallo che finisce sbadatamente a terra. Era la bellezza di quel giovane favoloso, che sembrava così puro e innocente da farlo ammattire. Ancora il cuore gli tamburellava nel petto, ancora il sangue scorreva con vigore come mai lo aveva sentito prima. Aveva la convinzione che ogni più piccola vena del corpo si fosse dilatata, quasi a volergli infondere ancora più energia. E proprio non riusciva a distogliere gli occhi dai suoi, intanto che la mente gli ricordava che nulla, nemmeno quei certi dipinti di Monet, gli fossero mai sembrati così belli.
«Sommo stregone di Brooklyn e tua anima gemella, a quanto pare» concluse, poco dopo, stirando un sorrisino appena accennato a cui seguì una risatina sommessa. Era, il suo, un divertimento lievemente ironico, liberatorio come di chi poi, una volta finite le risa, tira un grande sospiro di sollievo. E nel mentre che sorrideva guardava Alexander con fare incantato, azzardando a toccargli per davvero una guancia, che accarezzò con la punta delle dita senza neppure rendersene conto. Lui ebbe un singulto e quindi sospirò, fremendo appena. Buffo, in quel suo respiro rilasciato con tremore, Magnus ebbe la sensazione che anche lui lo stesse aspettando da un’eternità.
«Lo senti anche tu, vero?» gli domandò Alec d’improvviso. C’era ancora entusiasmo e incredulità, mescolati assieme in un qualcosa di spaventosamente familiare. In tutti quei quasi quattrocento anni di vita, non ricordava di aver mai provato nulla di simile. «È come se qualcosa fosse andato a posto, qui» disse, indicando un punto non ben precisato al centro del petto, premendo forte contro la maglietta di un verdone tenue, consunta su maniche e colletto. Ora che ci faceva caso, Alec aveva indosso la divisa da combattimento degli Shadowhunter e un grande arco d’argento era agganciato alla sua schiena, oltre che a una paio di spade angeliche sistemate nella cintola dei pantaloni. Lui sembrò accorgersene perché arrossì ancora di più e si grattò la nuca, balbettando per l’imbarazzo.
«Io stavo… cioè, avevo finito la ronda e… ecco stavo tornando in istituto e pioveva…»
«Piove ancora, Alexander» gli fece notare Magnus, stirando le labbra come in un sorriso storto. Guardando in alto si rese conto che la pioggia continuava a cadere su di loro e che la bella giacca di velluto blu che si era lisciato con tanta cura prima di uscire di casa, era completamente fradicia. La cresta ingellata perfettamente e a cui tanto teneva, era ormai afflosciata da un lato e forse il trucco gli era persino colato sulle guance. Era probabile che avesse persino i calzini bagnati, ma era come se non importasse davvero perché Alexander aveva ragione, c’era qualcosa di diverso là dove c’era il cuore. Si era sentito confuso, come stordito per un istante e poi il mondo era diventato a colori, ma a colori per davvero. Ed era assurdo, e strano. E c’erano il rosa, il giallo, il verde e l’arancione che, per tutti i diavoli, era proprio orribile!
«Io abito qua dietro, ti va di venire da me?»
«Sì!» annuì Alec frettolosamente «certo che sì, vengo volentieri.» 


 

L’ombrello che aveva in mano era giallo, Magnus pensava che fosse proprio bello. Anzi, a dire il vero ogni aspetto di New York sembrava esserlo e Brooklyn non gli pareva più tanto simile alla Parigi dei suoi ricordi. Intanto che camminava in direzione dell’appartamento dove avrebbe dato a se stesso e ad Alec una bella asciugata, prima di rubare una tazza di tè a qualcuno con un gesto elegante della mano inanellata, che Alec si era ritrovato a fissare per lunghissimi istanti, si rese conto che la sua vita era cambiata in un battito di ciglia. Un attimo e tutto era diverso, aveva qualcuno ed era meraviglioso. Non sarebbe stato per sempre, in effetti quello fu il primo pensiero sensato che gli attraversò la mente, appena dopo essersi reso conto di avere un’anima gemella mortale. Era uno Shadowhunter e in genere i Nephilim muoiono in giovane età, ma che fosse tra cinque o cinquant’anni, lui sarebbe invece rimasto tale e quale. Ci sarebbe stato un futuro nel quale il grigio sarebbe tornato nella sua vita, lì a offuscare quanto di bello era appena riuscito a trovare. La viscida malinconia che per secoli gli era rimasta aggrappata addosso lo attanagliò ancora per un attimo, ma quella volta a salvarlo ci fu il sorriso di quel ragazzo d’argento e per la prima volta in tutta la sua patetica eternità, Magnus decise che non voleva pensare a ciò che di brutto sarebbe accaduto. C’era Alexander al suo fianco, con lo stupore negli occhi e lui, Magnus Bane, antica maledizione del Principe dell’inferno Asmodeo, capì che avrebbe potuto anche vivere unicamente di quella sola meraviglia da qui sino ad altri mille anni.




 


Fine





 

*Blue Velvet, mi ha ispirata sia per il titolo che per la citazione che per le atmosfere del testo. BOBBY VINTON-BLUE VELVET - YouTube

 

Note: La storia è stata scritta per il contest: “Il filo rosso del destino - Soulmate!AU Contest” indetto da Pampa309 sul Writing Games, il forum della penna (che vi consiglio di visitare). Nonostante io mi sia iscritta mesi fa, ho impiegato tanto tempo prima di mettere giù una bozza. Ho avuto seria difficoltà a decidere quale fosse il prompt migliore, alla fine ho scelto di raccontare il primo incontro con Alec perché avrebbe dato alla storia un’atmosfera più malinconica che personalmente mi intrigava.


Ringrazio Pampa per aver indetto questo contest stupendo, è la primissima volta in vita mia che mi approccio alle Soulmate!AU, quando ho letto i prompt e ho visto che ce n’era uno che parlava del colore degli occhi mi sono detta che era fatto apposta per loro.


In settimana tornerò qui con una long Malec nuova nuova, intanto grazie a tutti per essere arrivati sino a qui.
Koa

 
   
 
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