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Autore: EleonoraParker    21/02/2022    0 recensioni
[Tian Guan Ci Fu]
Come poteva, la Devastazione, circondare ed avvolgere il Fiore senza distruggerlo?
Come poteva, il Fiore, brillare ancora di più e sollevare la sua corolla ancora più fiero, nella morsa della Devastazione?
Un'inspiegabile magia che catturava mille e più sguardi, e che avrebbe potuto continuare a farlo per mille e più anni.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti. Questa é stata la mia prima fanfiction su Tian Guan Ci Fu, scritta prima di leggere il libro basandomi solo sulla prima stagione del donghua e sui primi volumi dei manhua, quindi se c'é qualche imprecisione o incoerenza perdonate, ma ora che conosco l'intera storia non mi sembrava comunque necessario modificarla. 
Ad ogni modo, si tratta di una AU che mantiene ancora elementi magici come poteri ed immortalità, ambientata in luogo e tempo imprecisato, ma con una piccola contestualizzazione, ispirata ad una meravigliosa fanart di 拾忆Eleven_ su weibo. Non riesco a mettere link diretto quindi inserisco il link al profilo dell'artista  ( https://weibo.com/u/6449142319?tabtype=album ) ed il link dell'immagine su twitter ( credo sia un repost) (  https://pbs.twimg.com/media/E4KISFqVgAEM0AR.jpg ) .
Ringrazio moltissimo quest'artista bravissima per avermi ispirato così tanto con la sua opera ( e per continuare a farlo ancora oggi).
Detto questo, vi lascio alla lettura. 
Sotto inserisco una piccola contestualizzazione nel caso non fosse chiara la "trama di fondo" (che é davvero molto accennata)XD



Tu cherches quoi, rencontrer la mort?
Tu te prends pour qui?
Toi aussi, tu détestes la vie?
(Libertango, Grace Jones)



 
La sala era gremita, troppo perché fosse un evento come tanti.
E infatti non lo era: un tale consesso tersicorèo non si verificava forse da secoli.
La sala brulicava, di anime avide, alla famelica ricerca di attenzioni e di successo, di corpi perfetti, scolpiti da marmorea disciplina e classica armonia, in tensione costante.
Parteciparvi era un diritto, quasi un dovere, certamente un'imperdibile occasione, per ogni personalità che fosse mai entrata, o avesse anche solo avuto a che fare, con il Cerchio Celeste, l'associazione di danzatori più importante del Paese.
Parteciparvi, significava ottenere altra gloria, altro successo, altri meriti, con il semplice dimostrare di farne parte.
Avere milioni di occhi puntati addosso, attenzioni da litigarsi con tutti i presenti, bellezza, talento e ricchezza da esibire come fossero tutto quello che contasse. E per la maggior parte di loro erano, tutto quello che contasse.
E, chiusi nella muraglia del loro egocentrismo e della loro arroganza, forti del numero, di uomini e attenzioni, non avevano paura, no. Non temevano che, persino in quell'occasione, la Devastazione Cremisi trovasse il modo di raggiungerli.
Non temevano che irrompesse, come gli era solito fare, nel momento di maggior enfasi,quando tutti meno se lo aspettavano, approfittando del già raccolto entusiasmo e coinvolgimento degli spettatori per farlo suo, strappando, con la voracità delle sue secche mosse, di una precisione quasi brutale, e con i suoi abiti fiammeggianti al punto da sembrare insanguinati , la loro attenzione da chiunque ne fosse stato oggetto fino ad allora.
Accadeva sempre più spesso ormai. Lui era diventato il terrore delle piste da ballo, la Devastazione Cremisi giunta improvvisamente dal nulla per trascinarvi tutti loro con le loro preziose reputazioni.
Nessuno sapeva chi fosse, nessuno sapeva perché lo facesse.
I più stolti pensavano fosse per semplice fame di successo, quella fama che origina dall'imbarazzo dello scandalo, quel fascino proprio al mistero e all'irriverenza che conquista gli affamati di novità e meraviglia.
Qualcun altro affermava che lo facesse per vendetta, anche se non si aveva idea di quale ne fosse la causa né l'oggetto, visto che le sue "apparizioni" non parevano far preferenze tra i membri del Cerchio Celeste.
Giravano voci che fosse stato un normale ballerino, un tempo, uno poco conosciuto, per i più un nessuno, rimasto poi coinvolto nel grande disastro del Teatro Bianco, durante il quale avrebbe perso l'occhio destro che ora infatti mostrava sempre coperto da una benda nera. Ma troppi anni erano passati da allora, persino coloro che avevano visto di sfuggita quel ragazzo, quello che per ultimo era uscito dal teatro, trascinando con sé il Fiore Coronato, non potevano ricordarne i lineamenti, non avrebbero saputo riconoscerlo con certezza nella Devastazione Cremisi.
Ma, a prescindere da chi lui fosse o da quali fossero le sue motivazioni, la sua presenza non era mai gradita a nessuno. Ancora meno lo era il fatto che fosse arrivato a guadagnarsi addirittura un gruppo di ammiratori, persone che seguivano ogni evento o esibizione nell'attesa che lui si mostrasse.
Era il nemico giurato del Cerchio Celeste, scaltro ed inarrestabile come un fantasma e talentuoso come un dio; eppure, neanche lui era ritenuto tanto potente ed abile da fare irruzione indisturbato persino ad un evento come quello.
 
Fu per questo che, quando fece il suo ingresso nella sala, nessuno lo notò.
Rimase fermo vicino all'uscio da cui si era introdotto come fosse invisibile -come sempre-, l'occhio rosso, coperto da un'ombra, a brillare minaccioso, sondando, gelido, la scena ed i suoi attori.
Miseri, miseri attori, alla ricerca di fama e alla portata di niente.
Misero, falso Cerchio, che di celeste aveva solo il nome, che c'era da domandarsi perché lui ne facesse ancora parte.
Lui, il Fiore.
Lo sguardo scattò quando ne colse la luce, il lampo di bianco, l'aura celestiale, celestiale per davvero.
Occhi socchiusi, palpebre strette come ali di farfalla pronta a spiccare il volo, risata cristallina, leggera, fluente nell'aria, come una piuma, a ricoprire la realtà deforme di un velo di brillante meraviglia, le labbra, una curva gentile, dono d'immeritata dolcezza per il mondo, schiuse, dal profondo del pallore, nel vivo dell'Astro, contro la sua crudeltà, a guarirlo cercando di guarire sé stesso, nonostante tutte le ferite che esso gli aveva inflitto.
Come si poteva lasciar morire il fiore più bello, nella morsa di ghiaccio o sotto i raggi del cruento calore?
Come, quando lui era il miracolo, schiusosi nella corruzione, cresciuto nella solitudine, che sarebbe dovuto appassire nella gloria, tappeto della sua grazia? Lui che era rinascita e redenzione.
Come, tentare di ucciderlo, quando lo si sarebbe solo potuto accarezzare, petalo dopo petalo, con la delicatezza di chi ha tutto da perdere e nulla all'infuori di lui?
 
Mosse un passo, come se non potesse fare altro, e non potesse aspettare un momento di più.
E sussultò, il cuore impavido ed insensibile, tremò come foglia al vento, inclemente con la sua debolezza d'autunno, pervaso dalla paura di quella prima volta.
Che il mondo avrebbe potuto cessare di esistere, e lui con esso, lui per primo, se solo avesse scorto sul suo viso la più sottile ombra di avversità. Di disprezzo o di disgusto.
Ma dovette farsi coraggio, avanzare ancora, perché non aveva aspettato altro momento che questo per tutta la vita, perché la sua esistenza non aveva altra funzione che questa.
 
Più vicino, allora, poté vederlo, non più nascosto, coperto da figure senza volto, ma intero, sfavillante, nel suo fascino fine, sottile, all'apparenza delicato come un fuscello, per chi lo conosceva, come lui, indistruttibile come un diamante, stabile come una centenaria quercia contro le intemperie, la pioggia e la bufera, pur priva di foglie ma ancora dritta e fiera, silente e sublime, eppure quasi invisibile per l'occhio abituato, per la storia che passa lasciando una scia sottile, appena un anello, non ad indebolire, no, ma a renderla ancora più salda.
 
Non gli era mai stato così vicino, e quella volta non contava, quando la vita era stata tutto ciò a cui si doveva porre attenzione, non la propria, no, ma la sua. Salvargli la vita, come lui aveva salvato la sua, quasi mille anni prima.
Quella volta, tra le fiamme distruttive ed inarrestabili, aveva potuto persino guardarlo negli occhi, ormai lucidi ed offuscati dal fumo, per un istante, e trovarvi il più grande sollievo nel vedervi ancora vita.
E trascinandolo fuori poi, aveva stretto il suo corpo, ma non aveva sentito altro che il battito furente del proprio cuore nel petto, neanche una parola di ringraziamento, neanche l'insostenibile dolore, solo quel battito che minacciava di sfondare il torace, il battito della paura, che mai piú aveva sentito talmente forte.
 
La paura gli ricordò la rabbia. Gli ricordò perché era lì, e perché era stato in tutti quei posti fino ad allora. Perché era diventato la Devastazione Cremisi.
Fermò i suoi passi.
Si guardò intorno.
Era colpa loro, di tutti loro. Loro, fanatici della religione di loro stessi, abitanti di quei corpi che avevano reso templi; dopotutto, tutto quello che avevano. 
Loro, che per tutta la vita non avevano fatto altro che tentare di sradicare il Fiore, come fosse un'erbaccia nel giardino della loro gloria, solo perché lo vedevano crescere, sempre più bello, sempre più forte e brillante, come, lo sapevano, loro non sarebbero mai potuti essere.
Loro, che quando si erano sentiti dalla sua ombra davvero troppo minacciati, avevano deciso di dar fuoco ai suoi petali.
E, con essi, ad un intero teatro.
Per questo, dopo averlo portato al sicuro, dopo averlo visto perdere i sensi, esausto ma pur salvo, non era potuto restare. Per questo aveva dovuto abbandonare l'unico luogo in cui avrebbe mai voluto essere.
Perché quel sentimento, bruciante come fiamma, ruvido come carbone ed intossicante come fumo, quel risentimento, lo avrebbe ucciso se non avesse potuto diventare vendetta.
E ci aveva messo tempo, lui, anni, a diventare ciò che serviva per rendergli onore, ma poi, quando finalmente aveva potuto distruggere quei muri di autostima, quando finalmente aveva potuto veder bruciare i loro occhi dello stesso risentimento, mentre il suo cremisi, infuocato nella danza, vi si rifletteva all'interno, era stato assolutamente certo che ne fosse valsa la pena.
E ne valeva la pena ancora adesso.
 
Smise di circondare la sala col passo sicuro ed a stento trattenuto, sollevò il pugno ancora chiuso.
Poi, liberò la creatura.
E, come sempre a quel punto, il tempo si fermò.
Gli occhi di tutti, come incantati, si fissarono su quel battito di ali lieve, su quella sagoma appena accennata, distinguibile solo per le scintille che emanava, di pura luce.
Ogni movimento si fermò nell'attesa di ciò che sarebbe stato, perché tutti sapevano, ciò che sarebbe stato, era sempre così che cominciava.
La farfalla raggiunse il centro della sala, e con un ultimo battito d'ali si trasformò in un fascio di luce, l'unico rimasto nel buio che improvvisamente calò.
Lui, allora, avanzò. Raggiunse la luce, l'allure dei suoi passi a calamitare ogni sguardo.
Prima di muoversi ancora però, si assicurò di avere ogni attenzione, ogni sguardo ed ogni risentimento addosso.
Poi si voltò.
Nel momento in cui incrociò il suo sguardo, il suo cuore sussultò ancora, solo per un attimo. Non si era permesso di incrociarlo prima, da che il suo momento era arrivato, perché conosceva quel cuore, e sapeva che non era assurda la paura che restasse da lui tanto intimorito da non permettergli più di governare la scena come avrebbe dovuto.
Ma adesso, adesso che era di fronte a lui, non poteva più evitarlo, e non voleva farlo.
Perché era lì esattamente per quello.
 
Al ritmo dei respiri silenziosi, trattenuti finché era possibile, dei presenti, avanzò verso di lui, quell'unico fascio di luce a non abbandonarlo mai.
Si fermò, a pochi passi.
Sorrise, come gli era solito, senza la benché minima traccia di clemenza, ma finse questa volta, finse per nascondere lo sguardo indagatore fisso sull'espressione dell'altro, attento ad ogni suo minimo cambiamento.
Sollevò il braccio, gli tese la mano.
Come una bestia in gabbia, il suo cuore iniziò ad agitarsi tra le pareti del suo petto in quegli istanti di silenziosa attesa, sempre più impaziente, sempre più feroce, sempre più terrorizzato.
Senza lasciare mai che lo sguardo abbandonasse i suoi occhi.
Poi, sentì un tocco lieve come una piuma sfiorargli le dita, un calore che ormai mancava al proprio corpo, irradiarsi da quelle. Un sollievo fresco come vento di primavera a far vorticare la sala.
Colse la mano, che si era posata sulla sua nonostante lo sgomento e la sorpresa presenti sul viso del suo proprietario.
Ma colse anche con chiarezza, allora, appena gli parve che quel lieve contatto potesse metterlo in comunicazione con la sua stessa essenza, che non era sgomento tinto di paura o disgusto, no. Era qualcosa di più innocente, una pura meraviglia che quasi si interroga più sulla propria adeguatezza che sulla motivazione dell'altro.
E quello fu quanto bastò, per chinarsi al suo cospetto, all'altezza della sua mano, per venerarla nella rispettosa distanza di un gesto, e lasciare che fosse lo sguardo a parlare, ad urlare fin troppo, persino quello che non avrebbe dovuto.
E poi, capì di dover agire prima che l'incanto si spezzasse.
Indietreggiò, verso il centro della sala, portandolo con sé.
Lui lo seguì, senza domande o timori.
Poi, intrecciò le dita alle sue, una presa ferma a cui facilmente quelle di entrambi si adattarono, e l'altro braccio ebbe l'ardire di appropriarsi del privilegio di circondargli la vita.
E allora, quando la stoffa rossa si unì a quella bianca della camicia dell'altro, la concretezza del tutto, costantemente sognato da secoli, per tutta la vita, lo colpì come un'onda, e scivolò via in un brivido.
Si cristallizzò, poi, in un battito di ciglia, e parve quasi volare dal suo occhi a quelli dell'altro, diventando lì scintilla.
Una scintilla...tutto ciò che mancava a che la danza avesse inizio.
Quello fu il segnale.
La musica partì e loro con essa.
E cosa accadde, allora, pochi dei presenti avrebbero saputo descriverlo, dopo.
Fu lampo e fiamma, fusione estatica e dolorosa separazione, elettricità a far brillare il sangue, come riflessi sulla stoffa cremisi, ombre ad affondare nella luce, come pieghe in quella -più morbida- bianca.
Furono passi, sincroni come se non avessero fatto altro che quel rincorrersi e fuggirsi per tutta la vita, talmente veloci da essere quasi indistinguibili, così puliti da riscrivere i canoni della danza, che parve fossero i loro stessi corpi a scomporsi e ad assemblarsi nuovamente, ridefinendosi in forme sempre nuove e mutevoli, che duravano a volte solo la frazione di un battito di ciglia.
Non vi era tregua, non vi era respiro, solo frustate fluenti di capelli nell'aria a definire il loro ritmo.
 
E c'era sdegno, disprezzo, persino terrore -sotto l'innegabile ed inevitabile meraviglia che tutto sbiadiva- intorno, ma non riusciva a raggiungerli, poteva corrodere solo ciò che era all'esterno di quell'invisibile bolla che ormai li aveva avvolti, che a volte escludeva persino la musica e lasciava solo i passi, e quella tensione sottile condivisa da due sguardi, che sola era sufficiente per tenerli in movimento, e tenerli vivi.
In alcuni momenti, sembrava un sogno.
Come poteva, la Devastazione, circondare ed avvolgere il Fiore senza distruggerlo?
Come poteva, il Fiore, brillare ancora di più e sollevare la sua corolla ancora più fiero, nella morsa della Devastazione?
Un'inspiegabile magia che catturava mille e più sguardi, e che avrebbe  potuto continuare a farlo per mille e più anni.
 
Si, sembrava un sogno, uno dei suoi tanti. Quelle visioni che, sin da che era solo un bambino, affollavano la sua mente di notte, e troppo spesso anche di giorno, perché, si sa, una volta guardato il sole, la sua luce resta negli occhi per sempre.
Visioni, sogni di essere come lui, all'inizio, come quella bianca divinità che gli aveva salvato la vita. Più che altro ricordi, di come fosse sempre stato a guardarlo, fin dal principio, nel suo volteggiare armonico e lieve, nelle lingue di stoffa che attorno gli si sollevavano come fossero petali schiusi dalla primavera, una nuova nascita ogni volta che i suoi piedi sfioravano il legno della pista, e da esso allora si separavano, iniziando il loro celestiale rito; ricordi di come poi l'idolo si fosse fatto realtà, di come si fosse avvicinato, interrompendo bruscamente quella sua ascensione, come se non fosse importante, come nessuno avrebbe mai fatto, per salvare la sua vita, come se lui contasse, come nessuno aveva mai creduto.
Aveva scacciato, con la sua lucentezza, i demoni fin troppo reali che miravano a distruggerlo, lo aveva, per un magico attimo, distolto dal dolore e dall'eterna solitudine, per poi andar via con il più dolce e sincero dei sorrisi, senza chiedere niente, pronto ad affrontare tutto, eventualmente anche a perdere tutto ciò che aveva faticosamente guadagnato, solo per lui, per chiunque avesse avuto bisogno, per quanto insignificante egli avesse potuto essere.
Aveva reso la sua esistenza unica e speciale, facendo di sé stesso la ragione di quella. 
E cosa avrebbe potuto desiderare di più allora, il bambino, che essere come lui, della sua stessa luminosità e generosa grandezza?
Non aveva mai smesso di osservarlo, da allora, di seguirlo persino.
Ma poi, i sogni erano cambiati. E ne capiva il perché allora come non mai, tenendolo cosí vicino da cogliere il suo fiato leggermente corto, sentendo le sue mani delicate stringere la sua camicia con disperazione, quasi aggrappandovisi.
Con il tempo, aveva smesso di voler essere come lui. Quando si era accorto di come il mondo lo trattava, di come lo minacciava costantemente e non lo riconosceva mai, aveva capito che ciò che realmente desiderava era proteggere, lui, essere qualcuno di diverso dal resto del mondo, qualcuno in grado di salvarlo da esso, di non farlo più essere cosí solo.
Aveva capito di voler essere con lui, per l'eternità.
E le visioni di luce accecante si erano trasformate in fuoco che lentamente consuma, da essa alimentato, e fumo che annebbia e forse dissolve quel sogno nella sua impossibilità, quando il cielo sembrava troppo scuro o il riflesso nella pozzanghera troppo grigio perché lui potesse anche solo avvicinarsi all'altro.
Eppure, non aveva mai demorso. Mai per un attimo aveva deciso di rinunciare; neanche quando l'istinto più impellente ed il pensiero principale erano diventati la vendetta aveva dimenticato del tutto quel fragile e meraviglioso sogno che prometteva salvezza e felicità eterna.
E adesso era lí per fare, finalmente, il primo passo verso di esso. Perché non importava quanti anni fossero passati, o quante cose fossero successe nel frattempo, esso sarebbe sempre rimasto immutato.
E forse, durante tutto quel tempo, lui era finito sempre più in basso, ma non poteva, non voleva ignorare la consapevolezza che forse adesso meritava di realizzare quel sogno.
 
Sentì le sue dita flettersi attorno alle proprie,  mentre il suo corpo vorticava lontano da lui, e, per quell'istante, significò tutto.
Significò il non volerlo lasciare allontanare anche quando apparentemente non vi era rischio di non poterlo più riavvicinare.
Significò il non darlo per scontato, ed il non dar per scontata neppure la sua natura, che di certo tutti gli altri non avrebbero esitato un istante a repellere e furiosamente allontanare.
E mai, mai, in tutte quelle irruzioni ormai diventate quasi abituali, con tutto il successo e la fama che gli portavano, mai si era sentito tanto potente, mai tanto in alto, cosí superiore ad ogni altro essere vivente.
A suo confronto, perdevano significato dei ed imperatori.
Perché lui, anche se solo per quel momento, possedeva la bellezza.
E non era la bellezza dei lineamenti dell'altro, o il suo corpo snello e flessuoso, o la sua insuperabile abilità, quella che si vantava di possedere, no. Era la purezza del suo animo, la sua stessa esistenza, cosí fragile ed indistruttibile, rinchiusa e libera al tempo stesso, a costituire, per lui, pura bellezza.
La più vera.
Non avrebbe potuto chiedere di più, in questa vita od in un'altra, della gratitudine ancora leggermente sorpresa racchiusa nei suoi occhi, della passione custodita in ogni sua mossa, quasi al suo servizio, una totale accettazione che pareva non curarsi delle loro identità, ma solo della fuggevole affinità che le loro anime avevano trovato in quel momento, durante quel ballo, cosí travolgente da far sanguinare il cuore al pensiero di essere destinato, prima o poi, a terminare.
 
E riprendeva il passo, e si rafforzava la stretta, ed ogni mossa aveva più slancio, più verità e meno stanchezza, e ogni respiro si faceva più vivo, ogni vicinanza più sentita ed irrinunciabile, ogni nota più dolorosa, passo verso l'inevitabile fine, per questo più disperata, costringendo ogni parte di loro ad immolarsi all'altro come se fosse l'unico modo per fare che quel momento, quella danza, non finisse mai.
Perché forse un sentimento avrebbe generato un miracolo. O forse una tale felicità avrebbe consumato ancora più in fretta tutto ciò che restava di quel sogno.
E ovviamente non poté impedire quella fine, perché il tempo era contato, lo era sempre, per lui e le sue "esibizioni", sapeva quale era il limite da non superare per non perdere l'effetto desiderato e l'intera partita, ma poté estraniarli da essa - rinchiudendoli nella sola dimensione dei loro corpi che, per quegli ultimi attimi fatali, fu tutto quello che rimase- al punto che questa li colse in un breve momento di stasi non destinato a durare, pronto a sciogliersi in un nuovo passo, e che pure fu costretto a cristallizzarsi, in capelli che ricaddero sulla schiena, mani strette, corpi a contatto, una vita tenuta con delicatezza eppure decisione, ed espressioni estatiche ormai sull'orlo dell'oblio ad adornare i loro visi. Di totale abbandono, la prima, ricolma di una fiducia ormai cieca e profonda al punto da essere incredibile. Di consapevole meraviglia, la seconda, un'intera essenza catturata in quella di un altro essere, una perdizione attesa e ricercata, affamata di carne e di spirito, di labbra e di sguardi, di libertà di passione e prigionia di sentimento.
Dolce, dolce prigionia!
Bello, degno, morire nella sua cella, logorati da mille e più momenti come questi, lontani dal resto del mondo, che scomparisse pure!
Iniziò ad allentare la stretta, a sforzarsi di rompere quel legame, solo quando realizzò, con indicibile sacrificio e responsabilità di dolore, che non potevano restare lí, come avrebbero forse voluto, per sempre, respirando la vita dell'altro, sentendo il suo petto battere e contrarsi, cercando di svolgere ancora le sue funzioni vitali nonostante fossero ormai cosí in secondo piano rispetto a tutto il resto, contro il proprio, fino a non comprendere più di chi fosse il cuore che si sentiva, cosí forte, non comprendendo che non era solo uno, ma erano due.
D'un passo più lontano, no, non era questo il momento di perdere il coraggio.
Dopotutto aveva sempre saputo che quel primo passo avrebbe anche potuto farlo sprofondare nelle sabbie mobili della solitaria disperazione, che lo avrebbe sicuramente fatto, quando se ne sarebbe dovuto poi privare.
Ma ciò che occorreva tenesse a mente, l'unica cosa che poteva ancora tenerlo vivo, era che non era davvero finita. Era stato solo l'inizio, e non era stato lui a dargli il via. Era stato l'altro, con la sua fiducia ed i suoi sguardi aperti, privi di barriere; con il suo darsi in ogni parte di sé, senza dubbio o motivazione, seguendo il solo istinto del talento che riconosce il suo simile,  nel solo nome di ciò che da sempre li aveva uniti: una danza.
Però, seppur certo possibile, tenerlo a mente non poteva essere facile, quando perse il suo calore, e sentí di star perdendo lui, perché la luce é troppo fine da afferrare, e può fuggire, rapida come un lampo, cosí come restare ad illuminare tutta la vita.
Fu tentato per un attimo di chiudere gli occhi, perché sentiva di non poter fare un altro passo fintanto che avesse avuto il suo viso lí, cosí vicino, cosí raggiungibile, eppure cosí intoccabile, impossibile da afferrare. Ma vi rinunciò, perché se già avrebbe dovuto aspettare e forse soffrire per sempre per vedere ancora quella bellezza, non poteva permettersi ora di perdersene un solo fremito o sospiro. Nessuna piccola variazione degli amabili lineamenti.
 
Ma quando sentí il primo, sommesso, vociare provenire da un angolo, si convinse finalmente che era tardi e che doveva lasciarlo andare, o il suo duro lavoro si sarebbe trasformato in fumo, e così la vita dell'altro, l'unico che avrebbe dovuto proteggere.
Così fece un altro passo, un altro ancora, ognuno a scavare solchi più profondi nel suo cuore, costringendo l'altro ad allungare le braccia pur di non lasciare quelle mani ed interrompere il dolce contatto che esse creavano.
Poi, nell'ultimo istante, sorrise, e questa volta non mentí. Era il suo vero sorriso, quello, che solo lui avrebbe mai potuto vedere.
Vi era gratitudine, all'interno, vi era ammirazione evolutasi in devozione, e soprattutto una promessa.
La promessa di trattenere quel sogno tra le palpebre per sempre, senza mai smettere di provare a realizzarlo.
Poi, con pochi passi, scomparve nell'ombra da cui era venuto.
 
Da allora, si diffuse un nuovo detto ed una nuova storia, perché quanto accaduto, per quanto strano ed ancora piú inaccettabile di prima, visto che, tra tutti loro, la Devastazione Cremisi sembrava aver scelto chi risparmiare dalla sua fiamma, come in realtà aveva sempre fatto, sebbene tutti fossero stati troppo concentrati su loro stessi per accorgersene, era stato innegabilmente straordinario e meraviglioso.
Da allora, lui ebbe un nuovo nome, divenne 'la Devastazione Cremisi che cercò il Fiore', perché aveva scelto all'interno del Cerchio, ed, inspiegabilmente, aveva scelto il più debole, e questo non poteva che diventare storia. Per una volta, aveva rinunciato ad avere tutte le attenzioni. Per una volta, il Fiore era diventato il più importante.
E quando le luci tornarono, e questi tornò in sé, lentamente risvegliandosi dalla trance in cui quel sorriso lo aveva misteriosamente gettato, trovò la forza di sollevare ed aprire quella mano che, senza che lui ne fosse stato cosciente, era rimasta chiusa, serrata su qualcosa.
Trovò, sul palmo chiaro, una farfalla evanescente.
E con occhi pieni di stupore e meraviglia, ed un sorriso nascente, la vide dissolversi in polvere chiara e brillante che ricadde, compatta, nella sua mano, a crearvi un anello, forse ad urlare una promessa.
-Tornerò.-
 
 
 
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Qualche approfondimento sulla trama, se non si fosse ben compresa.
Quando Hua Cheng era un bambino, Xie Lian si era fermato nel bel mezzo di una sua esibizione importante per salvare il piccolo Hua Cheng da qualcuno che probabilmente lo stava maltrattando (per ragioni sconosciute). Da quel momento Hua Cheng crebbe seguendolo ovunque (e iniziò anche a ballare), finché un giorno qualcuno diede fuoco al teatro dove si esibiva Xie Lian per ucciderlo (molto probabilmente per invidia). Hua Cheng lo salvò ma giurò di vendicarsi dei colpevoli, così... alcuni anni dopo, divenuto un grande ballerino, iniziò ad interrompere le esibizioni più importanti dei membri del "cerchio celeste" (quelli che  avevano provato uccidere Xie Lian), mettendoli in ombra con il suo incredibile talento. Fino al giorno in cui decide di mostrare finalmente la sua presenza a Xie Lian e di ballare con lui.
Non é eccezionale come trama, ma era giusto per dare un contesto alla cosa. In realtà volevo solo descrivere questo tango e le emozioni che, ballandolo, hanno potuto provare.
Vi ringrazio molto per aver letto!
La storia é presente anche in inglese su ao3, dal momento che qui non avevo trovato la sezione ( che spero sarà aperta presto).

 
 
 
   
 
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