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Autore: Zobeyde    22/02/2022    6 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE OSSA





«Devo ammetterlo» disse Blake, dopo aver mandato giù un boccone di riso. «Ero scettico riguardo la cucina cajun: non ho mai tollerato i miscugli, né le pietanze troppo speziate. Ma questo gumbo è semplicemente delizioso.»
Jim abbassò lo sguardo sul piatto, in cui lo stregone aveva accuratamente separato ogni condimento in sezioni uguali; ormai si era abituato alle sue piccole manie, ma talvolta aveva il sospetto che al suo maestro mancasse un venerdì.
Il ristorante dove aveva scelto di pranzare si chiamava Bamboula’s: aveva le pareti dipinte di viola, ventilatori di legno a soffitto e vi ristagnava un forte odore di grasso, cipolla e fumo di sigaretta. C’erano pochi avventori e una sola cameriera, una ragazza nera dell’età di Jim che trasportava enormi vassoi in equilibrio sulla testa.
«Non hai ancora toccato niente» notò lo stregone. «Puoi ordinare qualcos’altro se vuoi…»
«Quando si deciderà a dirmi in cosa consiste il suo piano?» 
Blake pulì la bocca col tovagliolo. «Non si affrontano i morti a stomaco vuoto, è una specie di regola non scritta.»
«Perciò diceva sul serio, prima?» chiese Jim, esterrefatto. «Vuole evocare uno spirito?»
«Non sarà necessario evocarlo. Sai come si dice, se cerchi un fantasma ne troverai uno.»
«E dove?»
«Nel cimitero di Saint Louis, naturalmente.»
Jim si trattenne dal sollevare gli occhi al soffitto. «Naturalmente…»
«La defunta gentildonna rispondeva al nome di Delphine LaLaurie» spiegò lo stregone. «E pare fosse stata ai suoi tempi una spietata pluriomicida.»
Ormai Jim aveva perso le speranze. «Eh, certo! Poteva mica essere una persona normale?!»
«Sebbene trovi aberranti i suoi precedenti, ciò che davvero ci interessa è un aspetto meno noto della sua vita» proseguì Blake, congiungendo le dita. «Madame LaLaurie era una strega. Una strega potente, ricercata da Arcanta.»
«Perché?»
«Per via dell’attrazione che aveva per il Vuoto» disse Blake. «Era ossessionata dal trovare un modo per attingere il suo potere, così da vivere in eterno conservando la giovinezza: si dedicò a numerosi esperimenti per riuscirci, a costo di sacrificare decine di vite.»
Jim rabbrividì; su Royal Street c’era uno sfarzoso palazzo che la gente del posto chiamava “La Casa degli Orrori”. Era diventato il quartier generale di una loggia massonica, ma aveva sentito che in passato vi dimorava una squilibrata accusata di aver sottoposto dozzine di schiavi alle torture più disparate.
«E lei vuole scambiarci due chiacchiere.»
«L’intenzione è quella.»
«Per quale motivo?» chiese Jim, sempre più angosciato. «Cosa spera di ottenere da un’assassina morta un secolo fa?»
«Un incantesimo.» Blake estrasse dalla giacca la scatola di legno intarsiato ottenuta da Angeline Laveau e la posò sul tavolo. «La mia amica è dell’idea che nessun mago o strega ancora in vita possieda memoria di questo rituale.»
«Perché lei e i suoi colleghi avete fatto piazza pulita di ogni tipo di sapere del Mondo Esterno per portarlo ad Arcanta» completò Jim, aggrottando le sopracciglia; la storia raccontata da Angeline, di come il suo maestro avesse ingannato Marie Laveau, lo aveva turbato più di quanto lasciasse trapelare. 
“Non fidarti di quest’uomo, è il Diavolo incarnato.”
In verità, l’intera faccenda, soprattutto dopo quanto aveva avuto modo di origliare poco prima, lo preoccupava terribilmente.
«Solo quello che i Decani ritenevano opportuno tramandare» replicò Blake. «Come ti accennai, sono estremamente rigorosi riguardo la censura. Per questo tutto ciò che ha a che fare con il Vuoto è andato perduto.»
«Credevo che non si occupasse di quel genere di magia.»
Lo sguardo luminoso dello stregone si incupì improvvisamente, come se una nube avesse di colpo oscurato il sole.
«Di norma, no. Ma il Vuoto mi ha portato via qualcosa di importante. Qualcosa che ho tutte le intenzioni di riottenere.»
Ogni parola era carica di una tale determinazione che il suo corpo sembrava attraversato dalla corrente elettrica; per un attimo, anche le sue iridi si accesero di elettricità vibrante. 
Jim non sapeva se essere intimorito o ammirato.
«D’accordo» disse, dopo un momento. «Quindi, ora che si fa?»
«Attenderemo che faccia sera» rispose il maestro. «Quando il cimitero verrà chiuso, faremo in modo che lo spirito della LaLaurie si mostri. Poi la persuaderemo a darci ciò che vogliamo.»
«E se si rifiutasse?»
«Non lo farà se le offriremo in cambio qualcosa che desidera» rispose lui. «Alla fine, si tratta sempre e solo di questo: do ut des. Dare e avere.»
Jim occhieggiò la scatola. «Quel qualcosa è chiuso lì dentro, suppongo.»
«Supposizione corretta.» Blake si volse e attirò l’attenzione della cameriera. «Il conto, s’il-vous-plait

Dovettero aspettare più a lungo del previsto per mettere in atto il loro piano. Era la vigilia di Ognissanti, festività particolarmente sentita dalla comunità creola, e una gran folla continuava a varcare i cancelli del cimitero, con offerte, fiori e lacrime da versare sulle tombe di chi non c’era più.
Il territorio paludoso su cui sorgeva New Orleans imponeva che i morti venissero seppelliti sopra la terra, per proteggerli dalle alluvioni: la maggior parte delle cappelle erano perciò dispose a schiera, come in una macabra città.
A Jim i cimiteri non piacevano per niente. Gli ricordavano quando, il giorno del compleanno di sua madre, suo padre lo faceva vestire bene e lo portava in cima a una collina a guardare una lastra bianca con inciso il nome di Abigail Thorn e la data in cui era morta. Cambiava i fiori, strappava le erbacce che vi erano cresciute intorno, dopodiché restava inginocchiato con una mano posata sul marmo liscio e freddo.
Qualche volta le parlava, altre piangeva e basta.
Quanto a Jim, non aveva un’idea precisa sulla Morte. Come molti irlandesi, suo padre lo aveva educato secondo principi cattolici, ma per quanto si sforzasse, Jim non riusciva a capire il senso di stare a fissare un pezzo di marmo in mezzo a un prato, e una parte di lui inorridiva al pensiero del corpo di sua madre mangiato dai vermi sottoterra.
Il maestro però gli aveva spiegato che, dopo la morte, i maghi continuavano a vivere attraverso il Tutto: tornavano a essere parte di quell’energia inesauribile che nutriva il mondo, e a Jim piaceva l’idea che la morte non fosse la fine, e che, ogni volta che usava la magia, sua madre fosse in qualche modo lì insieme a lui.
Il cimitero chiuse i cancelli verso le nove di sera.
Blake gettò su di loro un incantesimo che li rendesse invisibili agli occhi del guardiano, dopodiché lo guidò nella parte più antica del cimitero, dove riposavano personaggi importanti della storia di New Orleans, proprietari terrieri, politici e artisti. L’erba secca scricchiolava sotto le loro suole, mentre si muovevano nell’oscurità sempre più fitta, tra tombe e lucciole; sopra le loro teste, le nuvole erano state spazzate via, lasciando il cielo notturno libero e traboccante di stelle.
«Toh, ecco qui un vecchio amico» disse a un tratto Blake.
Si era fermato di fronte a una sontuosa scultura dalla base coperta di muschio, l’ennesimo angelo che reggeva in mano una bilancia. La targa in ottone riportava il nome di un Donald Winters deceduto nel 1860.
«Il famoso Sugarman» disse Jim, leggendo quanto riportato sulla lapide. «“Imprenditore e filantropo” …bastardo schiavista assassino suppongo non ci entrasse.»
«Ha a suo modo contribuito a far diventare questa città ciò che è» commentò Blake. «Nel bene e nel male.»
«Spero che i Winters abbiano quel che si meritano.»
«Conoscendo Angeline, credo proprio che lo avranno» disse lo stregone. «Alycia mi ha raccontato che ieri sera avete ricevuto la visita di due Accalappiatori durante una retata.»
«Li ha mandati il padre di Donnie» confermò Jim. «A quanto pare, streghe e mostri non gli fanno così schifo se può trarne qualche profitto.»
«Lo penso anche io.»
Seguì un lungo silenzio, durante il quale Jim sbirciò titubante il profilo adunco del maestro, parzialmente illuminato dalla luna. «Perciò, Alycia le ha raccontato della retata.»
«Ovviamente.»
«E ha... detto qualcosa su quello che è successo dopo?»
«No. Perché avrebbe dovuto?»
Imbarazzatissimo, lui si grattò la nuca. «Ecco, dopo la retata… si è messo a piovere a dirotto, e Alycia è venuta a stare da me al circo, e poi noi...ehm, ecco…»
«Alycia è una donna ormai, ed è libera di trascorrere le proprie serate come vuole e con chi vuole. Inoltre» aggiunse Blake, scoccandogli un’occhiata penetrante. «Confido tu ti sia comportato con lei da perfetto gentiluomo.»
Jim rispose con un goffo balbettio, ma lo stregone stava già proseguendo il cammino.
La sosta successiva fu un mausoleo di pietra avvolto nell’edera e con le porte serrate da catenacci arrugginiti, a custodirne per sempre i segreti; sui muri, Jim scorse frasi poco lusinghiere tracciate con vari strati di vernice e intuì che fosse stato vandalizzato più volte negli anni.
«Non c’è nome» constatò, rovistando tra i rampicanti. «È sicuro che sia questa la tomba della LaLaurie?»
«È il mausoleo di famiglia, ma il corpo non fu mai ritrovato» spiegò Blake. «Quando le autorità scoprirono i suoi misfatti, la gente di New Orleans depredò la sua abitazione e le diede fuoco, costringendola a fuggire. Nessuno ha mai saputo che fine avesse fatto.»
«Ma lei lo ha scoperto, vero?» chiese Jim.
«Ho scoperto che aveva dei parenti a Parigi, le mie indagini sono cominciate lì. Certo, non sono informazioni che si trovano sulle guide turistiche.»
La testa di Jim era in subbuglio. Parigi…era dove lo aveva condotto il primo specchio che aveva attraversato nell’ala ovest della tenuta. Così Blake era sulle tracce di quell’incantesimo da parecchio, ma ancora non riusciva a capire cosa c’entrassero lui, il Vuoto e l’Eretica in quella storia.
«Invece è sempre stata qui?»
«Marie Laveau le diede la caccia» rispose Blake. «Per vendicare gli orrori compiuti la condannò all’esistenza eterna che aveva sempre desiderato, a una non-vita nella città che aveva sporcato di sangue.»
«Non era più semplice ucciderla?» chiese il ragazzo, stupendosi della facilità con cui aveva pensato a una soluzione così estrema. Ma il mondo della magia era estremo. Tutto il resto erano soltanto sovrastrutture, come le chiamava Blake.
«Esistono molte cose peggiori della morte» mormorò lo stregone, con aria assorta.
Successivamente, tracciò con la punta del bastone un cerchio sul terreno; dal solco, si sprigionò una tenue luce azzurra, che aumentò man mano che lo stregone arricchiva la configurazione con croci e simboli.
«Abbiamo poco tempo» spiegò. «Papa Legba è il loa a guardia del Vilokan, il Regno dello Spirito: costringerà LaLaurie a mostrarsi in una forma che ci permetta di parlarle.»
Jim lo osservò con attenzione. «Lo ha già fatto altre volte? Parlare con un morto, intendo.»
Il movimento del bastone si interruppe per un istante. «Solo una, quando ero molto giovane. Entra nel cerchio.»
Jim ubbidì. Ebbe l’impressione che la temperatura fosse calata di colpo e ogni volta che respirava si formava una nuvola di condensa davanti alla sua bocca. Si strofinò le braccia, imponendosi di non cedere alla paura; quella era la prima avventura in cui il maestro lo coinvolgeva. Avrebbero affrontato uno spirito insieme, come una squadra. Blake si fidava di lui, delle sue capacità e del suo sangue freddo. Non lo avrebbe deluso per niente al mondo.
Lo stregone sedette a gambe incrociate accanto a lui. «Attendiamo» disse. «Quando LaLaurie apparirà, lascia che sia io a parlare e non nominare Marie Laveau. E soprattutto, qualunque cosa accada non uscire dal cerchio. Per nessun motivo.»
Jim annuì.
Per un lungo momento nessuno dei due parlò, mentre le ombre si allungavano e il freddo della notte si faceva così intenso che a Jim sembrava gli si fosse attaccato alle ossa. Le stelle in cielo erano più distanti che mai. 
A un tratto, davanti al mausoleo apparvero delle luci: erano di un azzurro pallido, lugubre, troppo grandi per essere lucciole. Compirono un paio di giri, per poi unirsi in un unico bagliore che assunse sembianze umane. 
Blake si alzò in piedi.
«I miei omaggi, madame» disse, sollevando il cappello con un profondo inchino. «Magnifica serata, non trovate?»
Delphine LaLaurie era più giovane di quanto Jim si aspettasse; una bella, annoiata damina con un’elaborata acconciatura bionda e uno sfarzoso vestito di taffetà azzurro che la faceva somigliare a una bambola.
«Tetra, come tutte le mie serate» replicò lei, trattenendo con la mano guantata uno sbadiglio. «Con chi ho il piacere di parlare?»
«Mi chiamo Solomon Blake e questo qui è il mio assistente, James Doherty» presentò lo stregone. «Siamo vostri ammiratori.»
Jim scoccò al maestro un’occhiata perplessa, ma con una piccola gomitata lui gli intimò di tenere la bocca chiusa.
La dama si aprì in un sorriso radioso. «Una visita assai gradita, allora. Non ne ricevo molte, in verità.»
«Che ingiustizia! Una donna così affascinante dovrebbe avere uno stuolo di corteggiatori.»
Delphine emise una risatina. «Oh, in passato ne ho avuti! I miei tre mariti – che riposino in pace! – non facevano che ripetermi che fossi un’autentica perla del Sud.»
«Erano tre uomini di buon occhio.»
La nobildonna era assai vanitosa e come tutte le donne vanitose amava parlare quando veniva adulata; Blake era un esperto nell’ottenere dalle persone ciò che voleva e stava sapientemente giocando quella carta.
«Da dove venite, se posso domandarlo?» chiese il fantasma.
«Dall’Europa, mia signora.»
«Oh!» fece lei, tutta interessata. «La mia famiglia venne qui dall’Irlanda molte generazioni fa, sapete? Io però non ci sono mai stata.»
«Che fortunata coincidenza!» Blake batté una mano sulla spalla di Jim. «Il mio amico James è irlandese!»
Gli occhioni azzurri della dama si soffermarono su di lui con curiosità, mettendolo a disagio. «Sì, ehm, lo era mio padre. Ma nemmeno io ci sono mai…»
«Sembrate due signori a modo» disse Delphine, in tono lezioso. «Vi offrirei volentieri qualcosa se me lo permettete, in segno di amicizia.» 
Su quelle parole, l’ambiente intorno a loro cominciò a cambiare: le lapidi, i mausolei e l’erba incolta, persino il cielo notturno svanirono in un paio di battiti di ciglia, e si ritrovarono tra le pareti di un salottino borghese, stipato di mobili barocchi e ninnoli.
Delphine adesso sedeva di fronte a loro in una comoda poltroncina e stava versando del tè usando un servizio di porcellana.
Se era un’illusione, pensò Jim, era maledettamente ben costruita: avvertiva il tepore del fuoco che crepitava allegro nel camino e il profumo del tè e dei pasticcini era invitante. 
«Prego, servitevi» li esortò. «Così potrete raccontarmi un po’ di voi e dell’Europa.»
Jim guardò il maestro senza sapere che fare, poi però si accorse che gli occhi della dama per un momento avevano indugiato sul cerchio luminoso ai loro piedi. E allora capì il suo gioco: voleva indurli a lasciare la Configurazione.
«Oh, la vostra offerta è troppo gentile, ma abbiamo cenato da poco» disse Blake, con un altro inchino educato. «In verità anche noi abbiamo molto da chiedervi: sappiamo che oltre a essere una dama di mondo, siete stata anche una grande maga.»
Delphine sospirò in maniera affettata e mise il broncio. «Il mio adorato Jean non approverebbe che ve ne parlassi: lui era contrario ai miei esperimenti, ma é raro che i banchieri non siano contrari a qualcosa. E gli uomini non sembrano tollerare che le donne si dilettino con le arti magiche.»
«Era un uomo della sua epoca» replicò Blake, comprensivo. «Ma oggigiorno le cose sono cambiate: gradirei enormemente saperne di più sui vostri studi. Sarebbe formativo anche per il mio allievo.»
Delphine parve rallegrarsene. «Avete sentito parlare del Vuoto, immagino. Ai miei tempi era considerato un tabù dalla comunità magica.»
«Ne abbiamo sentito parlare. Sembra offra doni immensi a chi ne attinge potere.»
«Ma non tutti conoscono lo Scambio Equivalente» cinguettò Delphine, con un’altra risatina. «Impone che per ottenere qualcosa dal Vuoto sia necessario sacrificare qualcosa che abbia pari valore.»
Blake si era fatto molto attento. «Una contropartita.»
«Esatto!» esultò Delphine, battendo le mani come una bambina. «E allora mi sono chiesta: se gli stregoni sono vincolati alle leggi del Tutto, che li condanna a invecchiare e morire…come posso aggirare questo ostacolo? Cosa posso dare in cambio al Vuoto per poter godere della mia vita e della mia giovinezza in eterno?»
«Altre vite» disse Jim, senza pensarci due volte. «Le vite dei suoi schiavi.»
Delphine lo fissò, e il sorriso giocoso assunse una curvatura che mal si addiceva al suo viso da bambola. «Giovanotto perspicace.»
«Siamo privi di pregiudizi» si affrettò a specificare Blake, lanciando a Jim un’occhiataccia. «Come tutti gli studiosi.»
Delphine recuperò il sorriso, ma i tratti del suo volto si erano induriti. «Comprendo.»
«E se posso domandarlo, in cosa consiste lo Scambio Equivalente?» chiese Blake, la cui voce gentile tradiva una crescente bramosia. «Come avete ottenuto il potere del Vuoto? Perché lo avete ottenuto, no?»
Delphine fece tintinnare il cucchiaio nella tazzina da tè. «È stato il mio più grande successo e la mia maledizione. Ero preparata ai rischi, quello sì. Ma non tutti possiedono la vostra apertura mentale: fui additata come una folle, capite? Venni addirittura accusata di aver violato i diritti umani!»
«Perché, non è così?» intervenne Jim, trattenendo a stento la collera. Pensò ad Arthur, a Joel, a tutti quegli uomini e donne morti e sfruttati nei secoli e sempre per lo stesso motivo. Ma pensò anche alle ultime parole che lui aveva rivolto ad Arthur e si odiò con tutto se stesso.
«Erano schiavi!» esclamò Delphine, assumendo un’espressione ferita. «E soprattutto erano Mancanti: che importanza ha la loro vita effimera in confronto ai traguardi che la magia può raggiungere? La conoscenza non ha prezzo per i maghi.»
«Ma lei un prezzo lo ha pagato» obiettò Jim, gelido. «È rinchiusa in questo cimitero da quanto, un secolo?» 
Accanto a lui, Blake si tese. 
Delphine assottigliò i begli occhi. «Vi ha mandati lei, non è vero? Marie Laveau! Quella squallida fattucchiera continua a volersi prendere gioco di me?» 
«Avete completamente frainteso, mia cara» disse Blake precipitosamente. «Siamo qui per…» 
«Voi non siete miei ammiratori» affermò Delphine, guardandoli con diffidenza. «E non siete miei amici. Qual è il vero motivo per cui siete venuti qui stanotte?» 
«Per lo Scambio Equivalente» disse Blake, perché ormai tanto valeva giocare a carte scoperte. «Voglio quell’incantesimo e voi siete la sola a conservarne memoria. Quindi vi chiedo di condividerla con noi.»
«Così che Marie Laveau possa sottrarmi anche questo!?» strillò Delphine e scagliò la tazzina contro il muro illusorio; lo schianto e l’esplosione di cocci che ne seguì però erano molto reali. «Lei è sempre stata invidiosa di me, della mia bellezza e del mio talento! Ecco perché mi ha condannata a marcire qui!»
«No, l’ha condannata perché era un’assassina» disse Jim con disgusto.
Oltraggiata, Delphine si portò una mano al petto. «Ragazzo insolente! Accusi me di essere un’assassina? Il tuo maestro è al corrente di ciò che hai fatto?»
Jim si pietrificò all’istante. Persino Blake parve colto di sorpresa. «Questo non è…»
«Non glielo hai detto, vero?» Di nuovo, le belle labbra della donna si incurvarono in quel sorriso malevolo. «L’incendio, le urla…lo rivedi ancora nei tuoi incubi; anche se provi a sfuggirgli, il passato è sempre lì che ti osserva.»
Jim si accorse di avere il fiato corto, come quello di un animale in trappola, mentre incrociava lo sguardo stupefatto del maestro. «Io…io non…»
«Adesso basta» tagliò corto lo stregone, guardando torvo Delphine.  «Dacci quell’incantesimo e ce ne andremo. Non sentirai più parlare di noi.»
Lei però rise. «Andarvene? E perché mai? Quaggiù è un tale mortorio e la serata ha acquisito una piega interessante!»
E poi, il buio calò su di loro come il coperchio di una bara.
Jim sentiva nella bocca il sapore della bile. Non vedeva più niente. «Signor Blake?» gracchiò. «Signore…!» 
Una risata echeggiò spettrale in ogni direzione.
“Il ricordo dei nostri peccati”, disse la voce di Delphine, dentro la sua testa.  “Sono loro la vera condanna.”
Una luce infuocata divampò alle sue spalle.
Jim sentì il sangue farsi di ghiaccio. Ogni fibra del suo essere gli stava urlando di non guardare, ma il crepitare delle fiamme aumentava, così come il calore e le urla disperate…
Le urla di suo padre. Le urla di Arthur, di O’Malley, di Vanja, Margot, di tutti i suoi compagni del circo.
Erano chiusi lì dentro, nel fienile che bruciava luminoso nella notte. Sarebbero morti tutti.
No…!
L’erba ai suoi piedi si accese di rosso, un cordone incandescente che serpeggiava tracciando una scritta:
 
ASSASSINO


Qualcosa in lui si sgretolò.
Le gambe cedettero, e Jim cadde in ginocchio con la testa tra le mani. Strinse gli occhi con forza, coprì le orecchie per non vedere, per non ascoltare….
Il Vuoto sa quello che hai fatto.
No, non era stata colpa sua. Era stato un incidente, aveva perso il controllo…
Hai ucciso tuo padre.
«Non volevo!» gemette, i singhiozzi che gli spezzavano la voce. «Papà, non volevo…»
Sì che lo volevi. Volevi liberarti di lui. Volevi che sparisse, che la smettesse di importi le sue stupide regole. Che non si mettesse più tra te e la magia…
«NO!»
Le porte del fienile si spalancarono con uno schianto, e delle figure uscirono in massa avvolte dalle fiamme; Jim vedeva la pelle sciolta che si staccava dai loro volti, le mani piene di vesciche che si protendevano per afferrarlo.
«Era quello che volevi» disse uno di loro, e Jim riconobbe con orrore la voce di Arthur.  «Essere un grande mago, liberarti anche di noi…» 
«Non è vero!» urlò Jim, spruzzando saliva e muco dappertutto. «Non volevo farvi del male! Mi dispiace, mi dispiace!» 
«Jim, guardami! Non è reale!» 
Il volto di Solomon Blake gli ondeggiò davanti. Sentì le sue mani afferrarlo con forza per le spalle, strattonarlo, e la sua voce rimbombare nelle orecchie. Jim si divincolò per ritrarsi, per nascondersi dai suoi occhi spalancati.
«L’ho ucciso!» ansimò, dondolando avanti e indietro tra le sue braccia, come ubriaco. «Io…io l’ho ucciso, con la mia magia…»
«Non ascoltarla, tu non hai ucciso nessuno.»
«Sì, l’ho fatto!» urlò Jim, disperato. «Ho ucciso mio padre! Perché voleva impedirmi di usare la magia…!» 
Lo aveva detto. Il grande segreto era stato rivelato. 
Finalmente era libero.
Jim spinse via Blake bruscamente e vomitò.
Scosso da spasmi violenti e madido di sudore, non riuscì a far altro che continuare a piangere, in preda all’angoscia. Blake non lo lasciò andare.
«Tuo padre è vivo» disse lo stregone, anche lui affannato. «Tom Doherty è vivo, nella vostra fattoria e aspetta il tuo ritorno…»
«Sta mentendo!» 
«Non sto mentendo» esclamò Blake, continuando a tenerlo stretto. «Ci sono stato, l’ho visto e ho parlato con lui. Tuo padre ti vuole bene, Jim, te ne ha sempre voluto. Aspetta da anni che torni a casa e non smetterà mai di aspettarti.»
Senza riuscire più a controllare i singhiozzi, Jim premette il volto sulla sua giacca. Gli stava sporcando il completo di muco e vomito, ma lui non ci badò.
«Mi dispiace» balbettò, incapace di dire altro. «Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…»
«Va tutto bene» disse Blake. Continuò a stringerlo, a cullarlo mentre le convulsioni lentamente si placavano. «Sei una brava persona, Jim.»
«Davvero commuovente» commentò la voce soave di Delphine. «Tieni a quel ragazzo più di quanto tu voglia ammettere. Così giovane, innocente…proprio come Jonathan, vero?»
«Sta’ zitta» sibilò lo stregone.
«O come i tuoi allievi» continuò la voce, con crudele dolcezza.  «Credevano ciecamente in te! Erano convinti che li avresti protetti. Lo hai fatto?»
L’abbraccio di Blake si fece così serrato da togliergli il respiro.
«Non sei riuscito a salvarli» sussurrò Delphine. «Come non hai salvato la tua Isabel. Ah, il grande Solomon Blake: il più scaltro, il più potente, sempre il migliore in tutto…che distrugge chiunque lo ami. Credi sia per questo che tua figlia preferisce odiarti…?»
«Basta!»
Un bagliore bianco esplose negli occhi di Jim, accecandolo e un’ondata di potere intensa e bruciante squarciò il buio come un fulmine. Non bastò. Le tenebre si richiusero in un istante, sibilando come un nugolo di insetti famelici. 
Il respiro di Blake era diventato accelerato, mentre, in piedi dentro il cerchio luminoso, scagliava lame di fuoco a raffica per tenere lontana l’Oscurità, popolata da cose vive e affamate. I suoi capelli erano arruffati, gli occhi spalancati e febbrili. Era la prima volta che Jim lo vedeva così… fuori controllo.
«Sol.»
Lo stregone si bloccò.
Dal buio erano emersi dei volti pallidi; giovani con indosso uniformi blu e argento, che fissavano lui e Blake con occhi vuoti e tristi. Poi, in mezzo a loro, apparve una donna con grandi occhi scuri, carnagione color miele e lunghi capelli neri. Per un attimo, Jim la scambiò per Alycia, tale era la somiglianza; la donna vestiva abiti di epoca vittoriana, e guardava lo stregone con un sorriso caldo e pieno d’amore.
«Vieni con me, Sol» disse gentilmente, tendendogli una mano. «È tutto finito. Torniamo a casa.»
Atterrito, Jim guardò il maestro, che adesso sembrava ingaggiare una lotta contro se stesso. Lo stregone emise una specie di lungo sospiro tremante. E poi, mosse un passo fuori dal cerchio.
«Signor Blake!»
Nel momento esatto in cui varcò il confine luminoso, le acque nere del Vuoto si sollevarono intorno allo stregone. Lui non sembrò accorgersene, mentre avanzava arrancando per annullare la distanza che lo separava dalla donna; la struggente lotta di un naufrago per raggiungere la terraferma…
Jim si lanciò su di lui e lo afferrò per la giacca. «Mi ascolti» gridò, tirandolo indietro. «Dobbiamo tornare nel cerchio! Lo ha detto lei..!»
«Lasciami!» ruggì lui.
«Torni nel cerchio!» ordinò Jim. Schivò per un soffio una gomitata diretta al suo naso. «Non è reale! Dobbiamo ottenere quell’incantesimo, se lo ricorda? È per questo che siamo qui!»
Continuò a tirare la giacca del mago, mentre i tentacoli neri del Vuoto si allungavano per bloccargli le caviglie. Li avrebbe inghiottiti vivi entrambi.
Poi, mentre erano impegnati in quella colluttazione, qualcosa scivolò fuori dalla tasca di Blake e cadde a terra.
Una scatolina di legno.
Jim la afferrò prima che il Vuoto sommergesse anche quella.
«Ecco!» urlò contro l’Oscurità, tendendola con entrambe le mani. «Prendi questa e lasciaci in pace!»
Sollevò il coperchio.
Fu come se qualcuno avesse rimosso il tappo a una gigantesca vasca da bagno, perché il buio defluì vorticando e la volta stellata del cielo tornò ad aprirsi sopra di lui. Erano di nuovo nel cimitero, circondati dalle tombe. Jim non avrebbe mai pensato che la loro vista gli potesse dare un tale sollievo.
Delphine era nell’esatto posto in cui era apparsa loro, immobile con le braccia abbandonate lungo il corpo.
«Me l’avete riportata» disse in un sussurro.
Jim in realtà non aveva idea di cosa le stesse mostrando. Guardò anche lui il contenuto della scatola e rimase di stucco. 
Erano ossa.
Piccole ossa bianche e lucide, ridotte a pezzetti.
«Jeanne» sussurrò la LaLaurie, gli occhi lucidi di pianto. «La mia piccola, dolce Jeanne…»
E, a un tratto, Jim capì. Era quella la vera condanna di Delphine LaLaurie, la punizione inflitta dalla Regina del Vudù per tutte le vite che aveva spezzato inseguendo il potere…
Esistono cose peggiori della morte.
«È sua figlia» disse Jim. «Sono i suoi resti, vero?»
Vicino a lui, Blake sembrava essere tornato in sé.
«Marie voleva che passassi l’eternità da sola» disse, la voce ancora affannata.  «Senza la tua famiglia accanto.»
Delphine soffocò un singhiozzo.
«Dacci l’incantesimo» disse lo stregone. «E riposerai qui per sempre accanto a tua figlia.»
Delphine si asciugò le lacrime col dorso della mano.
«Va bene» acconsentì alla fine. «Ve lo darò.»
Con cautela, Jim posò a terra lo scrigno.
Blake invece tirò fuori il suo grimorio e si armò di penna. Jim rimase a fissarlo mentre sedeva su un sarcofago accanto alla LaLaurie e lei gli spiegava per filo e per segno come attuare lo Scambio Equivalente. Blake era così concentrato nell’ascoltare e trascrivere ogni sua parola che sembrava non esistesse nient’altro al mondo.
Alla fine, richiuse il grimorio con un sospiro esausto.
«Vieni» disse a Jim. «Andiamo via da questo posto.»
Ancora scosso, il ragazzo annuì, ma prima di seguirlo lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle: Delphine era ancora di fronte al mausoleo, ma insieme a lei adesso c’era una bambina pallida e dai capelli biondi. Le loro risate risuonavano vive tra le tombe.
Jim affiancò il maestro.
«Non se lo meritava» disse. «Avremo fatto la cosa giusta?»
«Non spetta a noi punire o assolvere» disse Blake. «Si è trattato di una pura e semplice compravendita.»
Per un po’, si limitarono a camminare l’uno accanto all’altra costeggiando i muri di marmo delle cappelle, ciascuno chiuso nei suoi pensieri, in lotta coi propri demoni. Poi Jim si schiarì la gola:
«Credo di doverle delle spiegazioni. Su quello che è successo in New Jersey e su mio padre…»
«Non occorre che mi spieghi nulla» disse lui. «LaLaurie si sbagliava, il Vuoto non sa proprio niente. Tutto ciò che fa è dare forma ai nostri peggiori tormenti.»
«Lei ha sempre saputo cosa accadde quella notte alla fattoria, vero?»
Lo stregone smise di camminare.
«Quello che so è che non sei un assassino» disse con voce ferma, guardandolo negli occhi. «E che se non fosse stato per te questo cimitero oggi avrebbe due ospiti in più.»
«Quelle persone» disse Jim dopo un momento. «I ragazzi e quella donna…»
Una contrazione gli percorse i muscoli del volto. «Mia moglie Isabel e i miei allievi» spiegò. «Su una cosa Delphine ha ragione: sono pessimo a proteggere le persone. E l’ho dimostrato anche stasera.»
Jim infilò le mani nelle tasche.
«Be’, non si può dire che non mi abbia messo in guardia sul fatto che la magia mi avrebbe portato un sacco di problemi.»
«Forse avrei dovuto rimarcare meglio il concetto.»
«Forse avremmo dovuto affrontare questa cosa a stomaco vuoto.»
Blake scoppiò a ridere: una risata autentica, la prima da quando lo conosceva. Probabilmente era colpa della stanchezza, o della nottata piena di incubi che li aveva mandati un po’ fuori di testa, ma anche Jim si ritrovò a ridere, solo che poi la risata di Blake si trasformò in un attacco di tosse, così forte che dovette sorreggersi a una lapide.
«Wow, si vede che non ci è abituato» commentò Jim divertito, ma lo stregone stava ansimando come se non riuscisse a trovare abbastanza aria. Si artigliò il petto con le dita.
«Signor Blake…» mormorò Jim.
Blake mosse un passo verso di lui. Vacillò. Si raddrizzò. Aprì la bocca, ma tutto ciò che ne uscì fu uno spruzzo di sangue nero.
«Solomon!»
Lo afferrò al volo mentre cadeva in avanti con tutto il peso, come una marionetta a cui fossero stati recisi i fili. In preda al panico più totale, Jim continuò a scuoterlo e a chiamarlo, ma il maestro non rispondeva più. Aveva perso i sensi.
  
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