Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: annapuff    22/02/2022    0 recensioni
Elisa una ragazza di diciotto anni, decide di raccontare una storia al lettore... cosa avrà mai di tanto importante da dire?
un piccolo racconto Broken mind
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NON CHIUDERE GLI OCCHI
Vico orchidea 95 è  questo il posto dove nasce questa storia. Il solito vico di un quartiere residenziale direte voi solo a guardarlo, sulla destra e sulla sinistra le varie ville tutte bianche, con i tetti spioventi rossi, con un giardino ricolmo di piante tenute a modo, come se ci fosse sempre una gara con il vicino di casa a chi le abbia più verdi.
All’intero di questo giardino c’era il solito garage per tenere al sicuro il proprio gioiellino di macchina, tenuta sempre in modo  accurato e lucido. Ho sempre pensato, che più fosse costosa la macchina più significasse che servisse a compensare un piccolissimo difetto, proprio lì, avete capito bene cari lettori a cosa mi riferisco, ma non lo dirò per non essere troppo volgare.
Ora chiudete gli occhi e provata a entrare con la vostra mente in questo banalissimo vico, provate a indovinate cosa, altro c’è? Mmh se proprio non ne avete idea, allora mi pare il caso, che sia io a dirvelo: ci sono i cancelli, una cosa scontata, è normale che ci siamo, ma questi cancelli stranamente non sono come le ville tutte esattamente uguali, ah no questi cancelli sono completamente diversi l’uno dagli altri. Hanno, infatti, diversi colori, uno grigio, uno bianco, uno rosso, uno verde, uno blu, uno giallo. Ogni volta che mi fermo, a guardali immagino che un arlecchino ubriaco e strafatto ci sia passato accanto con un bel secchio di vernice e li abbia dipinti tutti in quella maniera strana.
Eh si! In questo vico tutto sembra così banale e ordinario, anche quei cancelli tutti colorati lo sembrano dopo un po’ che stai lì a guardarli, ma c’è un qualcosa che non è ordinario e si tratta dell’ultima villa che si trova alla fine della via. Questa villa è completamente diversa dalle altre, ha un cancello nero come se ci fosse passato un becchino a colorarlo anziché arlecchino. La casa non è di un bianco pulito, ma più di un grigiastro dovuto al mal mantenimento e dal fattore piogge invernali che hanno lasciato lo sporco sulle varie facciate. Il garage all’interno non è fatto per una macchina, bensì per una serie di oggetti vecchi, arrugginiti e malmessi, i classici oggetti che chiunque non mostrerebbe a nessuno per come sono logori. Il giardino anch’esso si differenza dagli altri, alcuni cespugli sono secchi, alcuni alberi non potati, e ci sono delle erbacce po’ ovunque.
Sembra la classica villa non curata da anni, e sinceramente lo è. Il problema è che non so dirvi da quanti anni qualcuno non cura la mia villa, perché si! Dimenticavo di dirvelo questa è casa mia. E voi vi starete domandando sicuramente chi sei tu? Io sono Elisa la protagonista di questa storia, storia che è prettamente mia e si trova in uno spazio remoto del mio cervello.
Mi dispiace, per voi poveri lettori ma sarete costretti a sopportarmi, io da qui non me ne vado, non lascio questo piccolo spazio remoto del mio cervello che ancora mi rende viva, e al sicuro.
Si, questo piccolo spazio serve a me per potermi proteggere da tutto, e questa storia ha il compito di una medicina.
Quindi, torniamo alla storia, che dirvi ora? Esiste questo vico, esistono le ville, esiste la mia villa, e dunque esisto io! E dove mi trovo in questo momento, mmmh non ricordo! Ah si, mi trovo nella mia stanza dove la finestra è aperta e fa si che entri una leggera ebrezza d’estate, stranamente il caldo non è ancora scoppiato del tutto anche se ci troviamo a metà luglio. Io mi trovò qui in camera, dove mi preparo per poter uscire da questa orrenda prigione chiamata casa, che prima o poi lascerò per poter andare via lontano, all’università che ho scelto.
Ho da poco superato la mia maturità con il massimo dei voti, e se vi guardate intorno in questa camera vicino alla finestra, vedrete una scrivania con sopra poggiati diversi tomi, tomi pronti per essere studiati da me. Tra questi tomi ci sono: medicina generale, neurologia, psichiatria, e addirittura il DSM-5, il più importante, infatti, è il manuale che più adoro in assoluto, il manuale in cui io sono immersa con tutta me stessa.
Sapete la mia stanza mi piace molto, non ha quattro pareti bianche, no, ha le pareti colorate, ricolme di poster e di foto, e proprio lì in mezzo a tutte le foto c’è né una che mi riscalda il cuore. È una foto vecchia di quando facevo, le elementari ritrae me e Fabio, mano nella mano sporchi di fango per aver giocato fuori all’aperto durante un giorno in cui aveva piovuto.  È la mia foto preferita, perché in quel momento io ero felice, io e Fabio eravamo felici.
Sapete lui è la mia persona.
Immagino che voi lettori starete già pensando che io vi stia parlando del mio fidanzato? Si come una normalissima ragazzina di diciotto anni, innamorata che è felice con il proprio principe azzurro e le risplendono gli occhi d’amore.
Beh mi dispiace dirvelo, io non sono innamorata e lui non è il mio ragazzo.
Ed eccovi, lo sapete che vi sento lettori? Vi sento fischiare, e mi state dicendo che sono una falsa, che invento cose e mi nascondo.
Ma voi non capite! Come potreste capire ciò che sto provando a dire e che non mi date il tempo per farlo.
Fabio è mio fratello!
Ahhh! Finalmente! Ecco bravi, state smettendo con i fischi, era pure ora! Siete veramente dei lettori cattivi, che fate commenti non dovuti, prima di finire di leggere il testo da me redatto in questo preciso momento.
Dovreste proprio andare via da questo mio luogo protetto della mia testa!
Mi state facendo tornare l’emicrania. Non ve ne andrete mai, anche se mi causate dolore. Voi rimarrete qui, perché siete troppo curiosi della mia storia.
Allora io la continuo, ma badate a voi, non fate commenti inopportuni!
E anche se li farete, io non vi ascolterò, anzi da questo istante in poi non ci siete più! Farò finta che non esistiate, così come per magia.
Dove ero rimasta? Uffa!
Perché perdo il filo del discorso, c’è proprio qualcosa dentro la mia testa che proprio non va, e non mi fa essere concentrata.
Ah si! Sono in camera, e mi preparo indosso il mio vestito rosso a bretelline, molto leggero, corto fino al ginocchio, con una gonna leggera, ottimo per questa stagione. Ogni volta che faccio una giravolta, la gonna, ruota insieme con me ed è come se io mi perdessi nel mare rosso.
Mi guardo allo specchio e sorrido, mentre penso che oggi sarà una giornata indimenticabile, mio fratello mi porterà in giro per festeggiare la mia maturità e io ne sono felicissima, gli ho detto che l’avrei aspettato fuori casa. Quindi mi avviò fuori dalla mia camera, e scendo le scale felice, così da poter raggiungere Fabio.
Arrivo al piano di sotto ed ecco, di nuovo, sempre la solita storia, mia nonna seduta a terra che piange un vaso e a pezzi a terra e lei ripete le parole “è colpa di Damiano, è colpa di Damiano” mi fermo un attimo a guardarla, strizzo gli occhi infastidita, senza chiuderli del tutto.
Non si possono chiudere gli occhi, questa è la regola, e l’unica regola che mi serve per andare avanti con la mia storia.
Mai chiudere gli occhi!
Ignoro mia nonna, faccio finta che non ci sia, così la sua voce piano piano è come se diminuisse lentamente quasi a sparire dalla mia testa.
Continuo a camminare per il soggiorno ed ecco, di nuovo, sempre la solita storia mia madre si è versata il vino addosso e una macchia rossa le sporca tutto il vestito e si si fa largo sempre di più sul suo addome, la guardò per un nano secondo e poi di nuovo, strizzo gli occhi, sempre senza chiuderli del tutto. Provo a concentrarmi sul respiro e cercare di regolarizzarlo, ignoro anche lei e proseguo dritta verso l’uscita di questa prigione che è casa mia.
Arrivata quasi vicino alla porta, i miei occhi saettano sul tappeto dell’entrata, ed anche lì c’è una macchia di vino, incominciò a sentire un nodo alla gola, lo stomaco mi si accartoccia tutto, le mie mani iniziano a tremare, così afferro il tessuto del mio vestito, un odore metallico fa breccia nel mio naso. Mi ricordo che non devo chiudere gli occhi, non posso assolutamente farlo, e continuo a ripeterlo nella testa come se fosse un mantra. Ora devo solo alzare il mio sguardo dal tappeto e andare fuori, fuori dove l’aria è pulita e non sa di metallo, non ha l’odore del ferro.
Ed ecco arrivare le note della canzone puntuali come un orologio svizzero. Sempre allo stesso orario, sempre prima che io varchi quella porta.
Fammi volare fino alla luna
Fammi giocare tra le stelle
Fammi vedere che effetto fa saltare su Giove e marte

Devo solo poter volare, farlo come nella canzone, provo a canticchiarla mentre cerco di regolare il mio respiro ormai affannoso, e così alzò lo sguardo dal tappeto mentre continuo a cantare, passo oltre la macchia e il tappeto.
Sono finalmente fuori di casa. Smetto di cantare, e tutto svanisce, la casa, la canzone tutto è andato via. Questa volta sono stata brava, sono stata molto brava, sono riuscita a uscire, sono poche le volte in cui ci riesco.
Prendo una boccata d’aria aperta, fermandomi per un attimo per poi correre lungo tutto il vialetto sempre senza chiudere gli occhi così da poter uscire dal cancelletto nero e ritrovarmi in strada.
Ed eccolo lì, lui mio fratello, corro da lui, il sorriso appare sul mio volto e finalmente ritrovo le sue braccia ad accogliermi.
“Mi sei mancato” dico raggiante quasi in lacrime per via della troppa felicità che sento.
“Io sono sempre qui” mi dice lui mentre mi accarezza una guancia dolcemente e io mi perdo nel suo sorriso, nel suo angelico sorriso.
“Le va un ballo signorina?” dice allontanandosi leggermente da me e porgendomi una mano che io afferro velocemente mentre annuisco sorridente.
Ed ecco la canzone ripartire, ma questa volta sono felice di ascoltarla.
Sei tutto ciò che ho sempre atteso, tutto ciò che venero e adoro
In altre parole, per favore fa che sia vero!
Mi faccio stringere di più, felice come non mai di trovarmi tra le sue braccia, mentre lui mi fa volteggiare e insieme balliamo, e ridiamo.
Appoggio la testa sul suo petto, sentendomi finalmente al sicuro, che mi rilasso e pertanto smetto di pensare e faccio quello che non dovrei fare mai chiudo gli occhi.
 
Arriva subito il buio a portarlo via di nuovo, così velocemente che non faccio in tempo a salutarlo o anche solo a capire che se ne sia andando di nuovo.
Una serie d’immagini si fanno largo nella mia testa. Vorrei poter urlare con tutta la mia voce: No! Non le voglio! Non le voglio vedere! NO!
Ma dalla mia bocca non esce un suono, loro s’insinuano così prepotentemente e io non posso fare niente, non riesco a fermarle, non sono abbastanza forte. 
Tutto incomincia a tornare.
I ricordi tornano.
Un tizio incappucciato esce dal mio cancello mi urta, io cado a terra, mi sbucciò un ginocchio.
La porta di casa è aperta la luce è accesa, sul tappeto un corpo riverso a terra macchie liquide, macchie di sangue che sporcano tutto il tappeto.
Il divano, e mia madre con la testa inclinata di lato, i capelli a coprirle il volto, il vestito bianco tutto pieno di sangue all’altezza dell’addome.
Mia nonna a terra con dei vetri rotti ai suoi piedi che ripete come una cantilena urlando “è colpa di Damiano” e ripete solo quello.
Mi sento come se mi trovassi su una montagna russa, la testa gira, la nausea si fa largo e mi sento soffocare come se non avessi aria nei polmoni e non riuscissi più a respirare.
Tutto ciò è così straziante, e impossibile da sopportare e io non riesco, non riesco a gestirlo!
Così decido di aprire gli occhi.
 
Epilogo:
Nel grande salone bianco in sottofondo c’era Fly to the moon di Frank Sinatra, era stata una dottoressa a metterla, con la speranza che rallegrasse un po’ l’ambiente, era consona pigiare il tasto play e mettere sempre musica di sottofondo quando si trovava nel salone ad osservare tutti i ragazzi presenti lì dentro.
Si avvicinò a un tavolo, dove si trovava seduta una ragazzina di circa ventitré anni, schiena leggermente ricurva propensa verso il tavolo e con i capelli biondo cenere che li ricadevano tutti sulla schiena in modo disordinato, indossava un vestito rosso ed era concentrata su un foglio dove continuava a disegnare con foga, come se da quel disegno dipendesse la sua intera vita.
“Elisa, cara che cosa stai facendo?” chiese con gentilezza la dottoressa sedendosi accanto a lei, ma senza toccarla minimamente. Elisa alzò la testa di scatto si guardò in torno leggermente impaurita, guardò la dottoressa per due secondi capendo chi fosse. .
“Ah e lei” disse sospirando con voce monocorde, per poi torna con gli occhi al foglio e prendere il carboncino per dedicarsi alle sfumature.
“Si sono io, che cosa disegni di bello?” chiese la dottoressa provando di nuovo a instaurare un dialogo cercando di mostrarsi rilassata e calma.
“Questi siamo io e Fabio, guardi stiamo danzando sulla luna, come nella canzone” disse Elisa con voce molto vuota concentrandosi su un’ombra con lo sguardo e lasciando il carboncino.
“Come ti senti oggi?” provò a chiedere la dottoressa in modo delicato.
“Come ogni giorno, Fabio viene a trovarmi?” chiese lei alzando lo sguardo sulla dottoressa leggermente incuriosita inclinando la testa leggermente di lato, aspettando un si come risposta, un sì che non capiva non sarebbe mai arrivato.
“Mi dispiace, non può venire oggi” disse la dottoressa dispiaciuta.
I vari dottori avevano provato a dirle che il fratello era morto, così come la madre, ma la ragazza aveva avuto una crisi isterica, erano ormai cinque anni che Elisa si trovasse lì nell’istituto, ma ancora non aveva fatto nessun progresso, anzi si era creata un mondo tutto suo fatto di scritti e di disegni per fuggire da ciò che aveva trovato un giorno d’estate di cinque anni prima tornando a casa.
 
Angolo dell'autrice:
é un piccolo esperimento per mettermi alla prova! Non siate troppo crudeli! 
Kiss 
 


 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: annapuff