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Autore: MercuryGirl93    23/02/2022    7 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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II Lavanda
 
Una bellissima fata di nome Lavandula nata fra le lande selvagge della montagna di Lure, aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri. Lavandula, un giorno, si mise a cercare un bel posto dove andare a vivere e iniziò a sfogliare un libro di paesaggi. Ad un certo punto, si fermò sulla pagina della Provenza e cominciò a piangere alla vista delle povere terre aride e incolte. Ecco allora che tutte le sue lacrime caddero sulla pagina e finirono per macchiarla. Cercando di nascondere il danno fatto, la fata si asciugò i magnifici occhi blu ma provocò ancora più danni, spargendo le gocce di lacrime dappertutto sulla pagina. Disperata, la fata prese un grande pezzo di cielo blu sulla Provenza per dimenticare tutte le macchie. Da quel giorno, la lavanda cresce in quelle terre e le fanciulle bionde di Provenza hanno gli occhi blu con scintille color lavanda, soprattutto quando in estate, al calar della sera, si mettono a guardare il cielo che scende sui campi di lavanda in fiore. *
 
-Mamma!
Il grido terrorizzato di Albertina rimbombò per tutta la casa.
-Che succede pulce? - le chiese Federico, entrando nella stanza della piccola, ma senza prestare particolare attenzione: era più concentrato ad infilare i bottoni nelle asole della sua camicia a quadri.
-C’è un ragno! - continuò la bambina, spaventata, saltando sul suo lettone dalla trapunta rosa confetto. I cuscini e i pupazzi facevano su e giù seguendo il ritmo dei suoi salti, e alla fine si sparpagliarono sul pavimento.
Federico non si sentiva particolarmente sensibile davanti ai problemi della bambina. Ma, del resto, il mondo dei bambini lo aveva sempre vissuto con distacco. Non si immedesimava nelle loro paure, non le comprendeva, e, conseguentemente, non era mai stato capace di fornire reale supporto a sua sorella davanti a queste piccole cose.
-Ah sì, dimenticavo che la colonia si trova proprio dentro la tua casa delle bambole.
L’unica cosa che gli restava da fare era essere sé stesso, il sarcastico Federico.
La bimba era sull’orlo delle lacrime a quella rivelazione. –Mamma! – strillò ancora.
Federico si spazientì davanti a quelle urla di intensità crescente. -Ma non frignare Alberta, sono solo ragni- la scacciò lui con fare annoiato.
Lacrime calde bagnavano le guance paffute della bambina, ma Federico era insensibile anche davanti a quello.
-Ma potrebbero mordermi.
-Sciocchezze- minimizzò. –Al massimo possono zampettarti su per le braccine ed entrarti nel naso e nelle orecchie.
Le afferrò il polso sottile e le fece avanzare due dita su per il braccio. Alberta gridò ancora, ma Federico trovo che la reazione della sorellina, questa volta, fosse divertente.
Non contento, prese la ragione di tante grida dal davanzale. –E poi scusami, - proseguì imperterrito nella sua tortura psicologica, agitandole sotto il naso l’animaletto. –non lo trovi adorabile?
-Federico! – tuonò sua madre entrando nella cameretta.
Per Albertina fu come vedere un angelo sceso dal cielo: saltò in braccio alla madre e continuò a piagnucolare spaventata.
-Perché devi essere così crudele? – lo rimproverò Simona.
Federico sembrò indifferente allo sguardo di fuoco della madre. –È solo un ragnetto.
-E lei ha solo sei anni, perché non la lasci in pace?
-Ma dai, è solo una frignona, dovrà pur capire che è una cosetta assolutamente innocua- sbuffò lui, pronto a ritornare all’attacco con la sua piccola arma ad otto zampe.
Esasperata, Simona ordinò alla figlia di scendere giù in salotto a vedere un po’ di televisione. Consapevole che di lì a poco avrebbe ricevuto una strigliata, Federico si sentì già annoiato per la cosa.
-Devi smetterla di comportarti in questo modo con Alberta- lo sgridò, infatti, la madre, puntandogli un dito contro.
-In quale modo?
-In questo modo… Così…- gesticolò. –Sei crudele.
Federico le voltò le spalle, pronto ad andare via. –Sì, lo hai già detto.
Paonazza, sua madre insisté. - Guardami quando ti parlo, Federico, non ho finito!
Da tempo, aveva tolto a sua madre anche il lusso di sgridarlo, non si sforzava neanche di darle la parvenza di ascoltare, perché non lo faceva. Non aveva niente da imparare, da quella figura genitoriale. Sapeva quanto questa cosa facesse soffrire Simona, e forse proprio per questo motivo insisteva in questa linea comportamentale, per punirla.
-Senti, mamma, non me ne frega niente. Era solo uno stupido ragno e lei è una frignona, fine della discussione.
La madre, nonostante tutto, non demorse: -No, non è finita! Come pensi che tua sorella possa fidarsi di te se la torturi continuamente in questo modo?
-Fiducia?
Simona sembrò felice di aver catturato il suo interesse. –Già, fiducia, è proprio di questo che si tratta: non hai notato che Alberta si rivolge sempre a me, per qualsiasi cosa?
Federico minimizzò. - Questo è perché passa molto più tempo con te che con me.
Poi realizzò Simona stava facendo solo un altro tentativo di scalfirlo - l’ennesimo – mettendo di mezzo la sorella per appellarsi a qualcuno che non aveva motivo di punire.
-Per lei non sei un punto di riferimento come fratello maggiore.
Federico, esasperato, si passò una mano sul viso. –Senti, se stai cercando di rifilarmi il tuo stereotipo di famiglia felice sei fuori strada.
Un muro di mattoni, che preso a spallate non si scalfisce, se mai danneggia la spalla che cercava con disperazione di buttarlo giù: era questa l’aria che si respirava tra madre e figlio.
-Federico, non ti comporti come un fratello… Sei… Sei come qualcuno con cui è costretta a stare insieme ma la cui presenza la infastidisce di continuo.
-Mamma, in tutta sincerità, non me ne importa niente di queste stronzate.
Un tonfo, il suono dell’ennesima porta sbattuta in faccia.
-È diffidente perché non sa mai quale tortura hai in serbo per lei! - proseguì Simona, sbattendo i pugni contro la porta del figlio. –Smettila di torturarla e guadagnati la sua fiducia.
Pensò con un sorriso amaro che sua madre era l’ultima delle persone nella sua vita a potergli impartire lezioni su come guadagnarsi la fiducia.
 
Alberta, che piangeva perché non voleva salire sulla giostra, neanche se l’avesse accompagnata Federico, voleva solo la mamma, che minacciava i bimbi dispettosi di chiamare la madre, non Federico, che non credeva al fratello maggiore quando gli raccontava le favole, ci credeva solo se era la madre a raccontarle.
Di certo, la persona in cui riponeva maggiormente la sua fiducia era mamma Simona, ma lui cosa poteva farci? Non era colpa sua se non riusciva ad ispirare fiducia alla sorellina di sei anni. E aveva altro a cui pensare che entrare nella psicologia dei bambini.
I problemi di fiducia familiare che la madre gli aveva sbattuto in faccia potevano aspettare, si disse spingendo la porta del Bangladesh.
-Mi dai una birra, Andrea? - disse, appoggiandosi sul bancone con la stessa disinvoltura che userebbe nell’appoggiarsi al tavolo della sua cucina.
-Fede! - lo salutò l’omone che trafficava con le bottiglie, agitando le grosse mani pelose per aria. –Te le porto al tavolo, bello?
-No, devo andare.
-Che c’hai, una donzella che ti aspetta?
Gli porse la bottiglia, pulendo il bancone con uno straccio leggermente lurido. Federico pagò e con un cenno del capo si congedò, senza neanche rispondere alla domanda.
La birra era deliziosamente ghiacciata, quello che ci voleva in una calda serata estiva. Andò a berla in riva al mare, dove credeva di potersene stare un po’ in pace.
-Sei in ritardo. – brontolò una voce familiare, esasperata come non mai.
-Perché, avevamo un appuntamento? – borbottò Federico, tirando fuori dalla sua borsa il blocco da disegno, senza neanche fare lo sforzo di sollevare lo sguardo verso la figura che cercava di richiamare la sua attenzione.
Annamaria Saccone, braccia incrociate al petto, sopracciglia aggrottate e aria annoiata. Il profumo di albicocche dei suoi lunghi capelli biondi gli arrivava aggressivo come non mai al naso, sospinto dalla leggera brezza marina.
-Te ne dimentichi sempre – brontolò la ragazza, come se dovesse rivendicare qualcosa che in realtà non le apparteneva per nulla.
Finalmente, Federico la guardò. -Me ne dimentico perché non me ne importa, Anna – sbuffò, intento a disegnare. – E soprattutto perché non puoi pretendere niente da me, lo sai.
La ragazza parve rilassarsi un attimo, finalmente. Si sedette accanto a Federico, cercando tuttavia di mantenere la distanza necessaria a non metterlo a disagio. Si abbracciò le gambe lunghe, lasciate nude dal pantaloncino corto di jeans.
-Ho visto Marco con Federica, ieri sera.
Ecco la ragione di tanta agitazione, si disse Federico.
Da sempre, Annamaria andava dietro a quel cavernicolo del suo amico Marco e, per qualche bizzarra ragione, si era pure riservata il diritto di rovinargli le serate in cui decideva di dedicarsi al disegno sciorinandogli le sue struggenti sensazioni davanti alla condotta di Marco.
Non gli era mai importato di essere di supporto per nessuno, tanto più per una vicina di casa insistente che lo aveva incoronato suo psicologo senza neanche chiedergli il consenso, eppure si ritrovava puntualmente incastrato in quelle conversazioni a quattr’occhi con Annamaria Saccone.
-Sai com’è fatto. – tagliò corto, un po’ cinico. Non voleva sbilanciarsi né a difendere Marco né a consolarla.
Con la coda dell’occhio studiò il viso della ragazza. Pur essendo buio, colse perfettamente la tristezza nei suoi occhi castani, la piega triste che le labbra carnose avevano.
-Dopo che si è fatto pure quella semi-analfabeta funzionale, sono più che convinta di farmi avanti pure io – disse la ragazza, motivata, anche se Federico sapeva che tutta quella apparente sicurezza celava una ragazza timida, impacciata, insicura, non certamente il tipo del suo amico Marco. Se la sarebbe mangiata in un sol boccone, ne avrebbe fatto ciò che voleva, e poi l’avrebbe scaricata, come accadeva puntualmente.
Federico rise. -Sicuramente lui non si tirerà indietro, ma non nel modo che credi tu.
Annamaria, però, oltre ad essere perseverante con Marco, aveva anche una fiducia nel suo prossimo di cui Federico non riusciva a capacitarsi, neanche sforzandosi.
-Guarda che si comporta così solo perché non ha conosciuto la persona giusta – lo difese lei.
-E saresti tu? – la incalzò lui, senza scollare gli occhi dal suo foglio da disegno.
Gli sembrava di aver vissuto quella conversazione come minimo un altro centinaio di volte, sempre con lo stesso incipit, svolgimento e conclusione. Annamaria era una sciocca innamorata di un’idea che si discostava grandemente dalla realtà effettiva: Marco non era una persona di cui fidarsi dal punto di vista sentimentale.
Federico, consapevole che la sua serata di tranquillità era ormai andata a monte, si alzò dalla sabbia, chiudendo il suo blocco da disegno. Afferrò la sua borsa e ripose le sue cose già incamminandosi verso casa; magari lì avrebbe trovato tranquillità.
Annamaria gli andò subito dietro, senza demordere.
-Aspetta Federico!
Lui sbuffò, ma non rispose.
-Facciamo sesso o no? - insisté lei, sempre seguendolo.
La naturale prosecuzione dello sfogo di Annamaria, gelosa marcia delle ragazze con cui Marco andava a letto, era fare sesso con Federico. Si trattava di rapporti occasionali senza alcun coinvolgimento che si concedevano forse per noia, forse per mancanza di qualcosa di meglio, forse per sfogare un po’ della rabbia repressa che entrambi avevano, anche se per ragioni diverse.
Federico si voltò a guardarla. Annamaria era indubbiamente bella, con i suoi tratti nordici e la sua pelle candida, ma non gli suscitava neanche lontanamente alcun tipo di curiosità, nessun brivido. Non gli smuoveva proprio niente dentro.
Era in procinto di tirarsi indietro, come era accaduto altre volte, poi qualcosa cambiò. Gli balenò in testa il ricordo di Emma, una perfetta sconosciuta, che tuttavia era molto più stimolante di chiunque altra avesse conosciuto negli ultimi tempi, Annamaria inclusa.
Il pensiero di lei lo spinse a dire di sì alla ragazza che aveva di fronte.
 
Raccolse dal sedile dell’auto la sua scarpa; gli si era sfilata nella foga del momento.
Mentre si allacciava le Converse, Federico pensò che abitualmente non c’era trasporto con Annamaria, ma quella volta il pensiero di Emma aveva cambiato le carte in tavola.
Realizzò che anche la ragazza al suo fianco aveva la stessa opinione a riguardo, sebbene non sapesse il motivo per cui il sesso era stato così diverso.
Ancora nuda, i lunghi capelli biondi a sfiorarle i seni, lo studiava curiosa.
-Ma a cosa pensavi? – lo interrogò.
Federico non si preoccupò neanche di inventarsi una scusa per giustificarsi.
- È un modo per dirmi che di solito non ti soddisfa?
Annamaria sorrise. -Di solito è appena passabile, e lo sai anche tu – Lo sapeva. – Ma oggi è stato fantastico, direi, o no?
Lei si sporse verso di lui, con il bagliore della curiosità ancora negli occhi, pronta a sondare qualsiasi cosa gli potesse spiegare il perché. Federico afferrò i pantaloncini di lei e glieli tirò; non le avrebbe dato la soddisfazione di concordare con lei per nulla al mondo, non era da lui.
-Non ti ci abituare, Anna, questa è stata l’ultima volta – disse, e scese dalla macchina.
Era prassi ammonirla in quel modo, anche se entrambi erano consapevoli che non sarebbe stata l’ultima volta. In fondo erano così simili: entrambi smarriti, confusi, non consapevoli di cosa volessero in realtà… Era così naturale cercarsi, per quei piccoli momenti di sfogo; difficilmente ci avrebbero messo un punto.
Mentre si incamminava verso casa, le mani nelle tasche dei pantaloni, sentì la macchina di Annamaria accendersi in lontananza, e partire verso la sua stessa direzione. Lei lo superò, senza offrirgli passaggio, probabilmente stizzita per le risposte che lui le aveva riservato.
Poco importava, per Federico, tra qualche giorno lo avrebbe cercato comunque. O magari l’avrebbe cercata lui, anche se accadeva più di rado. Sfogarsi, di tanto in tanto, gli faceva piacere, ma non era una cosa che ricercava spesso.
Un rumore lo strappò da quei pensieri. In cima ad un albero, le foglie si muovevano bruscamente, sebbene non ci fosse vento. Sembrava che un gatto fosse rimasto incastrato in cima e cercasse di venir giù. Un gatto, o una ragazza abbastanza agile da riuscire a salire e scendere senza problemi.
Emma venne giù con un salto felino e Federico rimase leggermente perplesso.
Si chiese cosa ci facesse in cima ad un albero e come fosse possibile che non l’aveva mai vista in vita sua, ed ora la incontrava per la seconda volta in due giorni.
L’ironia della sorte gli fece scappare una risatina, che risuonò nel silenzio della sera. Emma lo sentì e si voltò stupita; quando però lo identificò la sua espressione divenne perplessa.
- Che stavi facendo lassù? – le chiese avvicinandosi.
Emma ridusse gli occhi verdi a due fessure, le guance le si gonfiarono leggermente mentre la bocca sottile si piegava in una smorfia. -Allora devo pensare sul serio che sei una specie di stalker. – Fece lei incrociando le braccia al petto.
La diffidenza da parte di lei era palpabile, ma il caso era il responsabile del loro incontro, e Federico si chiede per quale strano motivo la sua strada fosse di nuovo incrociata con quella di lei.
Qualcosa gli ribolliva dentro a guardarla, l’aveva pensata tutto il giorno, e quell’ossessione deliziosa era culminata con Annamaria, poco prima. Buffo che adesso lei fosse proprio davanti a lui.
-O magari si tratta di una coincidenza.
Lei raccolse una borsa ai piedi dell’albero che fino a poco prima Federico non aveva notato, e si incamminò.
-Non ci ho mai creduto alle coincidenze – fece lei, squadrandolo. – Penso piuttosto che mi segui, come stai facendo ora.
Non si era neanche accorto di essersi incamminato dietro di lei, come attirato da una calamita.
-E come non potrei, sei così ipnotica – si sbilanciò. Lo aveva detto con un tono sarcastico, ma in realtà non mentiva affatto.
Lei lo ignorò.
-Hai la puzza di sesso addosso, è disgustoso. – brontolò con fastidio.
-Che olfatto delicato hai.
Un’altra caratteristica da registrare su di lei. Federico realizzò quanto fosse infastidita in quel momento. La sua lingua non lavorava in velocità come aveva fatto la sera precedente, quando gli aveva vomitato addosso una serie di informazioni sconnesse sulla sua vita, forse pensando che non lo avrebbe più rivisto.
-In realtà ti ho visto scendere dall’auto di quella ragazza – concluse lei.
-Quindi sei tu che mi spii – constatò lui, sorpreso.
-Non volontariamente, non mi importa nulla di te, Federico.
Lui realizzò che lei ricordava il suo nome, e a quel punto comprese che l’inspiegabile attrazione che sentiva per lei forse era ricambiata, nonostante lei stesse facendo resistenza e diffidasse da lui in maniera chiara.
Emma inciampò su un sassolino, una delle infrandito che portava ai piedi per poco non la fece cadere rovinosamente per terra.
Federico si sporse per aiutarla, porgendole la mano. Lei, sguardo di fuoco e orgoglio di ferro, scansò la sua mano, aggiustò le ciabatte e stringendo orgogliosamente la sua grande borsa proseguì. Sembrava intenzionata a non concedergli nessun momento di contatto, né fisico né intellettuale.
Non voleva demordere. - Che ci hai fatto con il gelsomino?
La risposta fu breve, incolore: -Ci devo ancora pensare.
-E un po’ di fiori a tuo nonno li hai dati?
-Sì.
-Gli sono piaciuti?
-Sì- Fu la risposta, fredda come la sabbia che avevano sotto i piedi.
Le chiacchere che avevano animato il breve tempo trascorso insieme la sera prima non c’erano, nonostante i deboli tentativi di Federico. Emma, in quel momento, non sembrava la stessa ragazza.
Buffo come per una volta non fosse Federico il muro da abbattere.
La guardò, ed Emma fece lo stesso, entrambi apparentemente disinteressati alla persona che avevano di fronte. Solo all’apparenza, perché la curiosità di Federico era ormai incontenibile e conoscere quella ragazza era la sua missione.
-Ci stai provando?
Sì, forse, sentenziò lui nella sua testa. Provare a conoscerla, per lo meno.
-Cosa te lo fa pensare?
-È così? - insisté lei, incurvando le labbra sottili per la prima volta.
-Non per adesso- ribattè lui, ed era sincero. –Stavo cercando di fare conversazione.
-Tentativi fiacchi di fare conversazione, direi.
Federico fece spallucce. –Tu non ci stai provando nemmeno.
Una scintilla eloquente in quegli occhioni verdi. –Sei tu che ci stai provando, non dimenticarlo. Sei tu che mi segui, sono io la tua ossessione.
Emma rise, e così anche lui. –Beh, potresti ignorarmi.
-Ci stavo provando – sentenziò lei.
-Ma non ci riesci, dico bene? – la sfidò lui. -Per questo sei scesa dall’albero quando sapevi che stavo passando di qui. Potevi restare lassù, aspettare che fossi lontano, e venire fuori dopo, dal momento che mi avevi visto. Invece volevi che ti sentissi perché volevi parlare con me. Quindi siamo pari, no?
Emma si fermò di colpo e si voltò a guardarlo, spiazzata e stupita. Federico, attento osservatore, l’aveva scalfita. Alla fine, forse per alleggerire la tensione tra loro, scoppiò a ridere.
-Mi piaci, sai? – gli sorrise, compiaciuta di quell’intesa strana che si era creata tra loro. -Ma non mi ispiri fiducia.
Federico non demorse. -Al momento.
-Al momento, sì. - mugugnò lei in conferma, strofinandosi con le dita sottili il mento.
-Eppure, ieri sera non ti sei fatta problemi a spiattellarmi dettagli sulla tua vita che non mi interessava sapere – la incalzò lui, sempre con quel leggero tono di sfida che poco prima le era piaciuto.
Lei annuì, più rilassata. –Questo è vero.
-Ma...?
-Non sapevo che ti avrei rivisto, non era nei programmi, e spiattellare quattro sciocchezze ad un estraneo non è la fine del mondo se dopo non devi conviverci.
Questo era chiaro a Federico. Sua madre lo diceva sempre: un estraneo è l’ascoltatore migliore che puoi trovare. Non sa chi sei, non ti giudica, dimentica in fretta ciò che gli dici perché non lo rivedi più.
-Quindi sei a disagio perché so delle cose di te. Per questo non ti fidi.
Lei non rispose, ma lui sapeva di aver c’entrato perfettamente il punto della questione.
-Magari – la incalzò. – Possiamo costruire questa fiducia non incontrandoci più per caso, ma concordandolo, l’incontro.
Emma mugugnò, ma non rispose alla domanda.
Vederla fare così la difficile un po’ creò del fastidio in Federico. -Sei un po’ complicata, sai?
-Non sai quanto, caro. – gli sorrise piccata. -Però tu vuoi tutto e subito, mi sa; tendenzialmente la gente è diffidente, soprattutto durante i primi incontri.
Continuava a tirare la corda invisibile della pazienza di Federico, per giocare con lui, per sfidarlo così come lui aveva fatto con lei.
Federico mugugnò: -Cosa sei, un’aspirante psicologa o un’esperta di relazioni sociali?
-Suvvia, sforzati di essere più gentile.
-Lo sono, con te. – ed era vero. Il suo essere così affascinante lo continuava a spingere verso di lei, altrimenti avrebbe già rinunciato da un pezzo a quella conversazione.
Emma rise. -E allora con gli altri come fai? Che brutto atteggiamento.
Quella frase suonò stonata sulla bocca di lei, che non lo conosceva nemmeno.
Si erano parlati solo una volta, eppure aveva la presunzione di aver capito con chi avesse a che fare. E la cosa peggiore era che in qualche modo aveva c’entrato il punto.
 
Federico la guardò allontanarsi nel buio della notte.
Emma non aveva voluto che lui la accompagnasse fino a casa e lui non le aveva imposto la sua compagnia come la sera precedente. Probabilmente, in lui era rimasta della delusione data dal fatto che lei non avesse accettato di rivederlo. Si piacevano, e questo lo sapevano entrambi, le cose potevano essere più facili per entrambi.
Mentre percorreva il corridoio in punta di piedi, si accorse che non tutti in casa stavano dormendo.
Uno spiraglio di luce proveniva dalla cameretta di Albertina, la cui porta era accostata. Dall’interno si sentiva la voce della bambina, una serie di sussurri e piagnucolii.
-Alberta? – la chiamò.
La piccola sussultò vedendo il fratello fare il suo ingresso nella cameretta. Era sul suo letto, seduta sopra una pila di cuscini e pupazzi, i capelli scuri un groviglio incontrollabile.
Federico provò una sincera tenerezza davanti a quell’immagine.
La bimba si portò un dito sulle labbra. –Zitto, o la mamma si sveglia.
Si chiuse la porta alle spalle, il più silenziosamente possibile. –Che stai facendo?
Lo investì in pieno viso un forte odore di fiori, così forte e penetrante che se lo ritrovò pure sui vestiti. Era come se fosse stato cosparso su ogni singolo oggetto in quell’ambiente un bagnoschiuma alla… Lavanda?
-Cosa vuoi? - disse la bimba immusonita, incrociando le braccine. Evidentemente era ancora seccata per quello che era successo poco prima.
-Perché sei ancora sveglia a quest’ora? - Dopo una rapida occhiata all’ambiente si accorse che la camera era a soqquadro, i giocattoli sparsi per terra a formare una barricata davanti al letto. –Che stai combinando?
-Shh! - gli fece la bambina. –Sveglierai la mamma!
Federico calciò un paio di bambole. -Se non mi spieghi che stai combinando grido così forte che non sarà solo la mamma a svegliarsi. – la minacciò giocosamente.
Sul punto di scoppiare a frignare per la rabbia, Alberta lo fissò.
-Sei cattivo! - si lamentò Alberta, scalciando a vuoto. –Sei cattivo Fede! Non voglio che la mamma mi scopra!
La pila di cuscini crollò, e la bambina cadde sul letto, la faccina paffuta sprofondata sulla trapunta.
-E perché no?
Alberta si tirò su. –Perché altrimenti non sarei coraggiosa come lei.
Federico rise, ma la bambina lo guardò, gli occhi scuri grandi e lucidi. –Ti prego non le dire nulla.
Fu come se accendesse un interruttore che fino a quel momento era rimasto spento. La sguardò supplicante della sorellina risvegliò il bisogno di fare qualcosa per lei, qualcosa di buono e giusto.
Federico si sentì un po’ in colpa per come l’aveva trattata, dopotutto era soltanto una bambina.
Pensò anche ad Emma, a quello che gli aveva detto.
-Ma no, non glielo dico- la rassicurò lui, sedendosi al fianco della piccola, cercando di creare un ponte di fiducia che non c’era mai stato e di cui la bambina sembrava necessitare.
-Davvero? - Alberta sembrava sorpresa.
-No, te lo prometto.
Allungò un mignolo verso la piccola, perché sapeva che il suo modo preferito per suggellare una promessa era stringerlo. Tra il sorpreso e lo stranito, Albertina glielo strinse.
-Di cosa hai paura? – la incoraggiò ancora una volta.
Gli occhietti piccoli celavano qualche riserva, ancora. - Prometti di non ridere?
-E quando mai l’ho fatto?
-Sempre! - sbuffò la bimba. –Ridi sempre di me, sei cattivo.
Federico scosse la testa. –Prometto di non ridere, mano sul cuore.
Alberta sorrise felice. Mise le mani a coppa davanti la bocca e si avvicinò all’orecchio del fratello.
I suoi capelli avevano un profumo ancora più forte di quello della stanza circostante. Sempre lo stesso odore, sempre la lavanda.
-C’è il ragno, dentro la casetta delle bambole. Ha portato tutti i suoi amici.
Allontanatasi di scatto, gli scrutò il viso severa, un’espressione che ricordava in tutto e per tutto la madre. Cercava di capire se Federico tenesse fede alla promessa di non ridere.
Federico le diede corda. –Davvero?
-Sì! - annuì la bimba, soddisfatta che il fratello avesse mantenuto la sua promessa. –Non posso dormire, vogliono pizzicarmi le dita dei piedi con le loro zampette pelose – disse spaventata.
Federico comprese che era colpa sua se la bambina aveva così tanta paura, e si sentì ancora più in colpa.
-Oh, tesoro- fece lui, accarezzandole i capelli, fin troppo profumati. –Non lo faranno.
Il gesto stranamente paterno sorprese Alberta. –No?
-No. Stavo scherzando quando dicevo quelle cose oggi pomeriggio. – la rassicurò.
La bambina sembrava sorpresa per i gesti di affetto.
-Lo vedi che sei cattivo- incrociò le braccia al petto. –Mi prendi sempre in giro.
Federico scosse la testa. –Prometto di non farlo mai più.
La bimba mugugnò. –E cosa faccio con i ragni?
-Secondo me non c’è nessun ragno nella casetta delle bambole.
-Come fai a saperlo? Io li ho visti!
-Vuoi che controlli?
Albertina annuì.
La casa delle bambole era impolverata, disgustosamente rosa e piena di mobili ricavati da oggetti della casa. Di ragni non c’era traccia, era solo una suggestione della bimba per quello che lui stesso gli aveva detto qualche ora prima. Cosa che lo fece sentire estremamente in colpa.
-Nessun ragno- sentenziò alla fine, raccattando un paio di giochi da terra.
-Io però li ho visti Fede…
Lo sguardo della piccola diceva tutto: quella sera non avrebbe dormito se non fosse stata completamente certa che non c’era niente a minacciare i suoi piedini.
-Se vuoi resto qui con te, per stasera.
Si pentì subito della proposta: non sapeva se sarebbe riuscita a sopravvivere con quell’odore così penetrante sotto il naso per tutta la notte.
Soppesando l’offerta del fratello, Alberta si guardava le manine.
Alla fine, decise che la presenza del fratello maggiore era sufficiente a scacciare il pericolo degli animaletti ad otto zampe.
-Bene- disse Federico. –Ma prima sistemiamo un po’ la stanza, che dici?
La sorellina sembrava un soldatino mentre lo seguiva per la cameretta, aiutandolo a mettere a posto i suoi giochi. Non avevano mai fatto niente insieme, tanto meno sistemare una camera o passare la notte nello stesso letto.
Alberta, in un primo momento restia a stendersi accanto al fratello, lo abbracciò nel sonno, un sorriso dolce e tranquillo stampato nel visino innocente.
Federico ripensò a Simona, a quello che aveva detto prima su Alberta, e, per esteso, a Emma. Lo aveva irritato con quei suoi discorsi sulla fiducia. Di solito, era quello l’effetto che gli faceva chi aveva ragione.
Chiuse gli occhi, ripensando al modo in cui le labbra di lei si muovevano, accarezzando le parole come se fossero petali di fiore. Il profumo di lavanda in cui era immerso diveniva meno intenso, fino a scomparire mentre sprofondava in un sonno senza sogni.
 
-Federico.
Un bisbiglio, e un mugugno infastidito in risposta. Tentò di rigirarsi sul letto, ma lo spazio a sua disposizione era inferiore rispetto al solito.
-Federico, alzati.
Pesanti come macigni, le palpebre si schiusero contro voglia. La stanza era buia, un respiro costante a farle da colonna sonora. L’odore di lavanda, prima così insistente, sparito.
Simona guardò il figlio con un sorriso e gli fece cenno di uscire.
Il ragazzo si alzò controvoglia, sfuggendo ad una presa che fino a quel momento non si era sentito addosso. Albertina mosse la manina, alla ricerca di un corpo che aveva appena abbandonato il suo letto. Rassegnata, si raggomitolò tra le lenzuola, e con il sorriso sulle labbra fragola continuò a dormire serena.
-Va a dormire in camera tua tesoro, sei stato bravo- disse Simona, accarezzando il viso stanco del figlio.
-Sì- sbadigliò Federico. La notte in un letto che non era il suo non era stata per niente riposante, eppure si sentiva soddisfatto.
-Buonanotte tesoro.
-Mamma- la chiamò il ragazzo, prima di entrare in camera sua. –Cambia bagnoschiuma ad Alberta, quell’odore di lavanda è soffocante.
Simona, confusa, scosse la testa. –Alberta non ha un bagnoschiuma alla lavanda.
Ma Federico aveva già chiuso la porta.
 
Il fiore di Lavanda assume diversi significati. La tradizione narra che questa pianta avesse effetti miracolosi contro i morsi dei serpenti: strofinata sulle ferite, dopo essere stata lasciata macerare in acqua, aveva proprietà antiveleno. Nonostante ciò, all’interno dei cespugli di Lavanda si pensava facessero i nidi proprio i serpenti. Per questo motivo, alla Lavanda si è attribuito il significato di diffidenza. Infatti, curare una ferita provocata dal morso del serpente bisognava avvicinarsi con molta cautela proprio alla pianta che fungeva da antidoto. Inoltre, intorno ai cespugli di Lavanda ci sono sempre molte api e calabroni attirati dal profumo intenso, ai quali bisogna prestare attenzione quando ci si avvicina.
[www.ilgiardinodegliilluminati.it]
 
*Fontewww.nelsen.it


Buona sera a tutt*. Anni fa pubblicai questa storia con un profilo diverso - ormai cancellato - insieme ad altre che ormai conservo solo nel mio computer. Ho deciso di riesumare il mio lavoro nella speranza di non farlo finire totalmente dimenticato. 
Sto cercando di rimaneggiare il testo che avevo scritto in passato, ma l'idea di base è rimasta e spero vi piaccia. 
Cercherò di essere il più costante possibile nella pubblicazione, nella speranza che qualcuno dia uno sguardo e si incuriosisca. 
   
 
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