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Autore: Menade Danzante    23/02/2022    5 recensioni
[Spider-Man: No Way Home X The Amazing Spider-Man 2 | Andrew!Peter&MJ, Andrew!Peter/Gwen, Tom!Peter/MJ (implicita) | TW: menzione di morte (canonica), attacchi di panico, pensieri suicidi (accennati).]
"Non vedi gli occhi che incontrano i tuoi nel buio, ma non ne hai bisogno: tu li conosci già. Li hai visti mille volte – ancora e ancora –, nei tuoi incubi: iridi spaventate, piene di speranza e di terrore, che pregano per un aiuto.
Pregano te – ti chiedono di arrestare la caduta libera, di riempire il vuoto che le inghiotte, di non lasciarle sole a fissare la fine – prima di chiudersi, ancora a mezz'aria.
Biglie azzurre che non vedrai più se non nel ricordo.
Ma tu non vuoi che quella luce si spenga di nuovo."
[Questa storia partecipa alla challenge "Un pacchetto tira l'altro!" indetta da robs93 sul forum "Ferisce più la penna".]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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occhi

TW: menzione di morte (canon), attacchi di panico, pensieri suicidi (accennati).



Ad occhi aperti




«Ehi.»


«NO!»


«Ehi.
Gwen.»


Non di nuovo, non un'altra volta.

Non in questo universo.


«Ehi.
Ehi.»


Ti tuffi d'istinto – niente ragnatele, stavolta. Hai imparato la lezione a tue spese e non c'è spazio per un altro fallimento.

Non adesso.


«Gwen.
Ehi.»


Non vedi gli occhi che incontrano i tuoi nel buio, ma non ne hai bisogno: tu li conosci già. Li hai visti mille volte – ancora e ancora –, nei tuoi incubi: iridi spaventate, piene di speranza e di terrore, che pregano per un aiuto.

Pregano te – ti chiedono di arrestare la caduta libera, di riempire il vuoto che le inghiotte, di non lasciarle sole a fissare la fine – prima di chiudersi, ancora a mezz'aria.

Biglie azzurre che non vedrai più se non nel ricordo.

Ma tu non vuoi che quella luce si spenga di nuovo. Non puoi sopportare ancora di vederla affievolirsi man mano che si avvicina al suolo, inesorabile.

Mai più.


«Respira.»


MJ respira ancora quando la afferri – quando ti aggrappi a lei come se da questo non dipendesse la sua vita, ma la tua. Respira e reagisce – è viva: ti stringe le braccia al collo, la presa salda e sicura. Si fida di te. Sei pur sempre Peter Parker, dopotutto, e questo le basta – tu le basti: non la lascerai morire.

Ma anche lei si fidava di te, non è vero? Eri il suo Peter, l'unico e solo, colui al quale affidare la vita senza condizioni. Pensava che l'avresti custodita come un tesoro, che l'avresti preservata, che non l'avresti ridotta in mille pezzi – in quelle schegge frastagliate che ti graffiano la pelle, lo stomaco, la mente senza darti il tempo di riprendere fiato.

(Senza togliertelo mai davvero.)

Lei si fidava di te.

Dov'è, adesso? Dove l'hai lasciata?

Fidarsi non le è servito a niente.


«Ehi.
Gwen.
È tutto okay.»


La stringi forte a te quando ti riequilibri in aria, il braccio steso in avanti con la tela pronta ad agganciarsi al ferro. È il tuo territorio, il tuo dondolio: adesso sai quello che fai mentre scivoli giù, allacciato al filo con MJ che nasconde il viso contro la tua spalla.

È un lavoro facile, questa volta: l'hai presa, è al sicuro.

Ma il tuo cuore non smette ugualmente di tremare: avevi preso anche lei. Le avevi promesso che l'avresti condotta a terra sana e salva, che avrebbe fatto in tempo a partire, che sarebbe volata in Inghilterra quella sera stessa.

Promesse che non hai mantenuto, che hai infranto una ad una tra gli ingranaggi rotti di un orologio. Parole insensate, piene solo del tuo egoismo: non hai voluto fermarti, non hai voluto seguire il consiglio ragionevole di un padre spezzato, non hai voluto allontanarti.

(Ma non le sei stato nemmeno abbastanza vicino, non è vero?)

L'avevi presa.

Dov'è, adesso? Dove l'hai lasciata?

Prenderla non è servito a niente.


«Gwen, apri gli occhi.
Apri gli occhi.
Gwen, guardami.»


I muscoli delle gambe si flettono quando tocchi terra, minacciano di non tenerti in piedi, ma le braccia sono ferme a sorreggere il corpo di MJ: non la farai cadere, nemmeno da lì. È una tua responsabilità, adesso.

(E prima? Quando non lo è stata?)

Esali respiri sconnessi, rapidi e offuscati come i tuoi pensieri che rincorrono il passato e alimentano il desiderio malato di rimanere ancorato all'illusione di essere di nuovo ai piedi della torre. È distruttivo, lo sai, ma è una sirena che per interi attimi non riesci a respingere: è lì a consumarti ad ogni sospiro, a pervadere tutto ciò che cade sotto il tuo sguardo. Nel frastuono della battaglia tutto sfuma e si trasfigura in qualcosa di cui sai già l'esito, che conosci a memoria – un ciclo continuo che si ripete, che ti confonde la vista con immagini sempre uguali a sé stesse, cristallizzate dalla colpa, dal dolore, dall'amore.

(Colpa, dolore, amore. Quando hai smesso di conoscerne la differenza?)

Ma devi tornare indietro, devi tornare al presente.

Devi: è una tua responsabilità.

(Quando non lo è stata?)

Devi, perché quello che hai tra le mani è un corpo vivo, guizzante di muscoli e adrenalina, con due occhi spalancati da ciò che resta della paura, colorati di sorpresa. Occhi nocciola che, mentre scansionano l'ambiente per distinguere realtà e fantasia, riscrivono il tuo mondo.

Stavolta ce l'hai fatta.


«Guardami.
Apri gli occhi.
Apri gli occhi, Gwen.»


MJ è viva.

Ti guarda, risucchia un respiro e non scioglie la presa intorno al tuo collo, né apre bocca, ma è abbastanza.

È viva. È viva. È viva.

Senti il pianto che quasi trabocca. Lo scacci via in un battito di ciglia: devi resistere un altro po', il tempo di considerare le nuove variabili in gioco, di assicurarti che tutto quello sia reale, che non ti verrà portato via come l'ultima volta, che non la vedrai accasciarsi mollemente tra le tue braccia da un momento all'altro, incapace di risponderti e di sentirti.

«Stai bene?»

MJ trema, gli occhi più aperti che mai, ma trova la forza per annuire. Annuisce convulsamente, il capo che rimbalza al ritmo della realizzazione che la colpisce di più ad ogni secondo che passa.

Sì sì sì.

È viva. È viva. È viva.

Ne è ormai certa quando ti dice: «Sì-sì... Sto bene.»

Non ti trattieni più: il viso ti si contrae mentre le sorridi sincero, gentile.

MJ è salva, tu l'hai salvata.

Ci sei riuscito, ce l'hai fatta.

È tutto okay.


«Gwen.»


Sei felice, lo sei davvero. Vorresti solo dimostrarlo di più, ma sei costretto a chinare il capo per non sovrapporre l'immagine di lei ai lineamenti di MJ: non lo meritano, nessuna delle due.

Ma non hai nessuna maschera a coprirti il volto. Sei aperto ed esposto: MJ sa prima ancora di chiedertelo.

«... Tu stai bene?»

Sorridi triste e fai un cenno rapido con la testa – non ti fidi della tua voce, non in questo momento. Non ti preoccupare per me, cerchi di dire mentre l'aiuti a rimettersi in piedi, sorreggendola quando le gambe sembrano cedere sotto i colpi dell'adrenalina esausta. Passerà.

Ti guarda incerta mentre soppesa il tuo assenso e decide che non ti crede, la fronte aggrottata che la tradisce senza bisogno di parole. Non gliene fai una colpa: come può fidarsi di quello che dici e fai se tu sei il primo a dubitare?

Sei sul punto di dirle che starai bene, che ne sei certo, che quello che è accaduto è stato importante, ma prima che tu abbia anche solo la possibilità di intercettare i suoi movimenti goffi, MJ ti ha già gettato le braccia sulle spalle e ti sta stringendo, incerta e affettuosa allo stesso tempo.

Il fiato t'inciampa in gola e non riesci a reprimere l'involontario scossone che ti scuote, un misto di shock e tenerezza che ti blocca i gesti per qualche secondo. Siete un po' fuori misura, lei è troppo esitante e tu troppo rigido perché stiate comodi in quella posa, ma sono pensieri fugaci, incoerenti e inutili, che corrono via non appena il calore della circostanza ti colpisce in pieno petto e tocca corde fragili, profonde, seppellite sotto strati di ruvida violenza, arrugginite dal lutto e dal dolore.

È nel momento in cui MJ mormora scuse imbarazzate e fa per spingersi via da te che finalmente il tuo corpo collabora ed evita il disastro: le avvolgi la schiena con le braccia e il primo respiro che prendi con la testa appoggiata sulla sua suona come un singhiozzo. E così il secondo, il terzo, il quarto. MJ non ti giudica, né prova più a ritrarsi: ti accarezza piano, ti dà pacche sulle spalle – ti offre la consolazione di cui hai bisogno anche se non sa, anche se non può comprendere fino in fondo.

Sfogati, ti sta dicendo. Lascia andare tutto.

E tu lo fai: il muro che ti sei costruito attorno crolla, una lacrima alla volta, e piangi senza più barriere a contenerti: il rimpianto, il sollievo, la colpa, la felicità scorrono tutti insieme, esalati a ogni respiro frantumato. Piangi come hai pianto quella notte, stretto a un corpo inerme, incapace di ricambiare l'abbraccio, ma stavolta è tutto diverso.

Stavolta tra le tue braccia c'è vita, e l'hai salvata tu.


«No, ti prego.
Ti prego.
Ti prego.
Non ce la faccio senza di te.»


Perdi il senso del tempo molto in fretta e una parte di te non vorrebbe recuperarlo più, ma quando MJ ruota una spalla come può, a fatica, ti costringi a non ignorare il segnale e a tornare alla realtà – alla Statua della Libertà che perde pezzi, all'urgenza della battaglia, alla pazienza di una giovane donna che ti concede l'opportunità di esternare il tuo dolore come se non le pesasse.

Sei Peter Parker, dopotutto. Non il suo, no, ma lei sa come esserci anche per te. È calmante, senti che potresti diventarne dipendente, ma non puoi. Non puoi approfittarti così di lei. Non ne hai il diritto, né la forza – non vuoi schermarti dietro un'altra illusione.

Lo devi a MJ.

Lo devi a Gwen.

Lo devi a te.

Quando ti schiarisci la gola e accenni un passo indietro sai che è la cosa giusta da fare.

«Sta diventando imbarazzante, vero?»

«... Un po'.»

«Giusto. Io– Uhm, forse è meglio che torni su, loro–»

«Sì. ,–»

«– potrebbero aver bisogno di me, insomma...»

«– certo.»

Annuisci, le mani sulle sue spalle in una stretta consolatoria (per te), rassicurante (per lei): sto meglio, le fai sapere silenzioso, lo sguardo annacquato che ritrova un po' di mordente. Devo tornare a salvare il mondo.

«Bene. Mettiti al riparo. Non rischiare più di morire per stanotte, okay?»

«... Okay. Starò al sicuro.»

«Bene, bene. Ottimo.»

Le stringi il braccio un'ultima volta prima di lasciar scivolare via le dita e asciugarti velocemente le lacrime, un sorriso sul volto a comunicarle che va tutto bene: sto meglio, non è successo niente, non ti preoccupare per me.

«MJ.» Ti guarda – occhi grandi, aperti, confusi. «Grazie.»

Non capisce del tutto, non può. Fa un cenno affermativo con la testa, ma è chiaro come il sole che non ha idea di cosa sia accaduto veramente, di che cosa le abbia fatto meritare la tua gratitudine dopo che le hai salvato la vita. Non sapresti esprimerlo nemmeno tu a parole, ma in fondo anche tu sai che non è razionale. È un miscuglio di sensazioni che rincorri, che arrivi a toccare solo per un momento, un attimo prima che si disperdano di nuovo in un generale senso di intrepida pace, di lutto, di rivalsa.

Grazie, grazie, grazie.

Il volto di Gwen ti appanna i pensieri per un istante – di nuovo, ancora e ancora. Stavolta non opponi resistenza, non lo accantoni. Rimane lì, fantastico, accanto a quello di MJ.

«Grazie.»

Il sorriso che ti illumina il viso è genuino, come le tue lacrime – come la tua riconoscenza, come il tuo dolore. Sorridono anche loro, l'una tanto vicina da potersi sfiorare, l'altra lontana e abbagliante, come solo la memoria sa restituire ciò che è stato.

Sbatti le palpebre e Gwen non c'è più – di nuovo, ancora e ancora –, ma MJ resta.

Resta anche quando non la vedi più, mentre dondoli sulle impalcature verso la battaglia – mentre la presenza è tutto ciò che conta e l'assenza non è più un problema.

Non in questo universo, almeno.


In questo universo tutti vivono.









Angolino di Menade Danzante:

Salve!
Questa storia partecipa alla challenge Un pacchetto tira l'altro! indetta da robs93 sul forum Ferisce più la penna. In particolare, a darmi modo di sviluppare questo spaccato introspettivo è stata la citazione presente nel mio pacchetto, ovvero:Pronunzio il tuo nome | nelle notti scure, | quando sorgono gli astri | per bere dalla luna | e dormono le frasche | delle macchie occulte. | E mi sento vuoto | di musica e passione. | Orologio pazzo che suona | antiche ore morte. || Pronunzio il tuo nome | in questa notte scura, | e il tuo nome risuona | più lontano che mai”. (da "Potessero le mie mani sfogliare la luna" di Federico García Lorca). Ho voluto riprendere il tema del nome pronunciato nella notte con le parole che Peter dice in The Amazing Spider-Man 2 e che ho voluto riportare per intero come un supporto al presente in cui No Way Home è ambientato.
Spero tanto di non aver snaturato i personaggi e di non essere stata troppo sconnessa: non è stata una scena facile da trattare e mi auguro davvero di averle reso onore in qualche modo, anche minimo.
Grazie di cuore a chiunque sia arrivat* fin qui a leggere!
Un abbraccio!

Menade Danzante

   
 
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