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Autore: Star_Rover    27/02/2022    6 recensioni
“Non aveva nulla che ricordasse l'eroe convenzionale o il martire predestinato; era un ragazzo di esile costituzione, amante della famiglia, della natura e del volo”
Sono tante le storie di eroi dimenticati, questa vicenda è un po’ diversa, forse si dovrebbe parlare di eroi trascurati.
In memoria del Maggiore Pilota Giuseppe Cenni.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Premessa                                                  
La frase iniziale presente nell’introduzione è una citazione del Generale Giuseppe Pesce dal libro “Giuseppe Cenni – pilota in guerra”.
Ricordo che il mio unico intento è raccontare una storia. Desidero ricordare un giovane che ha dato prova di coraggio ed eroismo, che ha sognato e amato, che ha sofferto e lottato…e che alla fine i posteri hanno relegato nel lato sbagliato della Storia.
Vi chiedo di considerare questo testo per quel che è: un ritratto dal passato.
 
 
Valzer
 
Il comandante è molto giovane, la sua figura alta e snella spicca tra gli altri ufficiali. Può sembrare ancora un ragazzo con la divisa da aviatore troppo larga e i capelli arruffati sotto al berretto. Ma il suo sguardo intenso e magnetico è quello di un uomo maturo e sicuro di sé.
Sa come rapportarsi con i suoi sottoposti, ride e scherza con loro per rassicurare gli animi più inquieti. Quando sorride sul suo volto compaiono due profonde infossature ai lati della bocca. Ha il cuore di un sognatore e lo spirito di un combattente.
Ci sono momenti in cui predilige la solitudine, per riflettere, per ricordare. A volte gli capita di ripensare a quel giovane conosciuto tra i banchi di scuola [1], a quando gli parlò della sua passione e per la prima volta suscitò nel profondo del suo animo il desiderio di volare. Non sarebbe qui senza di lui, quello fu un incontro voluto dal destino.
Tutto il resto però fu merito della sua determinazione e della sua dedizione al dovere e al sacrificio. Qualità che dimostrò di possedere fin da ragazzino, quando per partecipare alle lezioni di volo correva per estenuanti chilometri in bicicletta, con la fronte madida di sudore e il volto arrossato per lo sforzo. Nonostante la fatica sorrideva con il vento che gli scompigliava i capelli e pedalava sempre più forte per avvertire il brivido della velocità.
Trascorse la gioventù diviso tra l’amore per l’Arte e la passione per il Volo, ma il cuore aveva già preso la sua decisione. Arruolato nella Regia Aeronautica, con volontà ed entusiasmo in sei mesi conquistò la nomina e il brevetto di pilota.
Poi scoppiò il conflitto in Spagna, per un giovane aviatore intrepido e ambizioso quella guerra rappresentava una preziosa occasione per dimostrare il valore sul campo. Con l’impeto e l’ardore di un ventenne partì sotto falsa identità [2], con il nome di Victor Stella attraversò il confine per portare a termine la sua missione e dar prova delle proprie capacità.
La caccia ebbe inizio con i primi duelli e inseguimenti nei cieli catalani. I velivoli sovietici erano più veloci, ma l’astuzia di un buon pilota vinse sempre sulla potenza dei motori. Scontro dopo scontro giunsero vittorie e soddisfazioni.
Seguì l’inverno e venne il giorno del disastro. Durante una missione, il cui scopo era consegnare viveri e rifornimenti a militari e civili, la formazione italiana fu investita dal maltempo. Una collisione causata dalla scarsa visibilità tranciò i piani di coda del biplano di Cenni. Il pilota fu costretto a lanciarsi con il paracadute, saltando nel vuoto prima dell’inevitabile schianto. Per lungo tempo nessuno ebbe più sue notizie.
Rimasto solo nei boschi il disperso cominciò la sua disperata marcia per la salvezza. Vagò tra le montagne per tre giorni, infreddolito, sfinito dalla stanchezza e dalla fame. Allo stremo delle forze, ancora lontano dal confine, fu inseguito e catturato dal nemico.
Restò nelle mani dei miliziani, dove i bei sogni di libertà erano intensi quanto i meno nobili desideri di vendetta. Furono sette lunghi mesi di torture e sofferenze. L’Asso dell’aria fu rinchiuso in una piccola e gelida cella come un uccello in gabbia.
Durante la sua reclusione resistette a duri interrogatori e non tremò davanti al plotone d’esecuzione, che fallì nel tentativo di intimorirlo.
La Croce Rossa Internazionale raccolse poco più di uno scheletro per riconsegnarlo ai suoi compatrioti in uno scambio di prigionieri. Cenni raggiunse Marsiglia in condizioni pietose, talmente consunto e deturpato che il suo migliore amico stentò a riconoscerlo.
Fece ritorno un uomo devastato nel corpo, ma non nello spirito. I suoi grandi occhi azzurri ripresero a brillare alla vista del cielo. Ma quel fisico che aveva resistito a crudeli privazioni e brutali percosse avrebbe continuato a portare i segni di quella terribile esperienza.
La sofferenza perdurò nel periodo di forzata convalescenza. Il sogno alato sembrava ormai svanito, ma un animo così irrequieto non poté restare a lungo lontano dal volo.
Quando la guerra lo richiamò in Patria egli rispose prontamente al suo dovere.
La sfida della Luftwaffe venne accolta con fervido entusiasmo e spirito competitivo. Ai suoi comandi lo Stuka si librò in aria con inconsueta grazia ed invidiabile leggerezza. I tedeschi ammirarono stupiti quello spettacolare volo acrobatico all’aeroporto di Graz.
Così nacque l’amore per il volo in picchiata e lo Stuka divenne un inseparabile compagno di battaglia sui fronti di Jugoslavia, Grecia e Libia.
Con il tempo il bombardiere tedesco non ebbe più segreti per un pilota esperto e competente. La celebre Picchiata Cenni, tanto lodata e imitata dagli americani, non fallì il suo primo tentativo sulle acque di Corfù.
Sacrifici immani richiesero le azioni su Malta, l’isola delle mine, ogni sforzo fu ripagato dal successo di Pantelleria.
Ma la guerra non consiste solo in azione e adrenalina, a volte bisogna convivere con il silenzio e la solitudine. Lo sa bene un pilota che dovette affrontare lunghi voli notturni, senza confini all’orizzonte. Avvolto nell’oscurità, sorvolando l’ignoto, avvertendo sotto di sé soltanto il vuoto e la profondità del mare. Lì, sospeso nel nulla, lottò contro il tempo e contro se stesso. E oltre quell’oblio, al termine della notte, non scorse altro che i lampi di una nuova battaglia.
Eppure né le tenebre, né le condizioni sfavorevoli, né le angosce della guerra gli impedirono mai di decollare per la missione assegnata, per quanto ardua e pericolosa. Ad attrarlo fu sempre un sentimento atavico, il fascino dell’impossibile e il desiderio di superare ogni limite. Fu disposto ad affrontare ogni avversità per adempire al suo dovere.
Questo è il passato del comandante che ora ammira l’orizzonte pilotando alla testa dei suoi uomini. È consapevole della situazione che diventa sempre più drammatica. Cadono i compagni, aumentano gli avversari. È una lotta impari per numeri, armi e risorse. Ma come egli stesso ha sempre sostenuto: nelle difficoltà uomini di valore e coraggio non possono far altro che continuare a combattere.
Il cielo è limpido e azzurro sopra il nostro mare: e allora Valzer ragazzi![3]

 
 
 
In memoria del Maggiore Pilota Giuseppe Cenni (27 febbraio 1915 – 4 settembre 1943).
Fu il più giovane comandante di Stormo della Regia Aeronautica, insignito della medaglia d’Oro e di sei medaglie d’Argento al valor militare.
Caduto in azione di guerra nel cielo del Mediterraneo all’età di ventotto anni.
 
 
 
Note
[1] Il giovane che introdusse Cenni al volo fu il pilota Adriano Mantelli. I due mantennero una duratura amicizia basata sulla stima e il rispetto reciproco. Combatterono insieme in Spagna e fu lo stesso Mantelli ad essere inviato a Marsiglia per recuperare il compagno rilasciato dopo sette mesi di prigionia.
[2] Cenni partì come volontario e fu tra i primi dodici piloti di caccia italiani a combattere sul fronte spagnolo. Poiché l’Italia risultava neutrale all’inizio del conflitto egli fu costretto ad arruolarsi nell’Aviazione Legionaria sotto il falso nome di Victor Stella.
[3] Chiamata radio che Cenni dava alla 239ª Squadriglia Autonoma Tuffatori e che divenne un motto per lui e i suoi uomini.
  
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