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Autore: Soul of Paper    28/02/2022    6 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 70 - Calore


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Ca- Calogiù!”

 

Si staccò per prendere un respiro fortissimo, perché era completamente senza fiato.

 

Per fortuna si erano alzati dai sanpietrini ma poi Calogiuri l’aveva intrappolata tra il suo corpo e la ringhiera della passerella e l’aveva baciata in un modo che… altro che le ginocchia! Le gambe le cedevano.

 

Ma lei aveva ben altro in mente.

 

Solo che quell’impunito continuava a riprendere a baciarla. Se ci fossero stati i fotografi avrebbero potuto farci un film intero sopra.

 

Per fortuna erano solo baci ma la stava facendo impazzire e non andava bene, non in quel momento.

 

“Calogiù, e dai… su… che ne dici se mo ci leviamo di qua?”

 

“Come vanno le ginocchia? Perché le mie sono ancora un poco doloranti e deboli…” rispose lui, con lo sguardo da impunitissimo, un sorrisetto che le fece venir voglia di trovare il primo angolo nascosto e fare cose impronunciabili.

 

Ma non avrebbe mai osato, ovviamente, non in centro città.

 

“E dai, Calogiù!”

 

“Tutta colpa tua, dottoressa. Però… se mo andiamo a casa a… proseguire il discorso… forse forse…”

 

“In realtà… la serata è ancora lunga, maresciallo. Sempre che tu sia in… condizioni,” le scappò da ridere, perché lo sentiva benissimo che non lo era propriamente, “se no, possiamo sempre andare a prendere un po’ di ghiaccio secco alla farmacia di turno.”

 

“Imma!” ruggì, in quel modo che causava in lei effetti collaterali ancora peggiori.

 

Ma, almeno in una cosa, c’era una fortuna nell’essere donna.

 

“E dai, maresciallo. Che ti vuoi perdere il resto della sorpresa?”

 

“Non ci arrivo vivo alla fine della sorpresa, dottoressa.”


“In effetti in rigor mortis già ci stai,” lo sfottè, in quella che era una delle sue battute preferite.

 

Calogiuri fece un altro sospiro e scosse il capo, in quel modo che usava solo con lei.

 

“Va beh… ho capito…” borbottò lui, estraendo il telefono dalla tasca - per fortuna posteriore, “troviamo sta farmacia. Ma ci entri tu.”

 

“Ovviamente, Calogiuri, ovviamente.”

 

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“Lorenzo!”

 

Aveva fatto appena in tempo ad aprire la porta e a farlo entrare, che Bianca gli era corsa incontro e gli era saltata in braccio, “ma allora stai bene?”

 

“Perché?” domandò lui, confuso.

 

“Ha… ha visto l’inizio dell’operazione ma non la fine, quindi temeva che non fossi venuto negli ultimi giorni perché ti eri fatto male, credo,” sospirò Irene, scuotendo il capo.

 

La verità era che, per fortuna, sia lei che Lorenzo erano stati impegnatissimi, e da un lato menomale, perché non aveva avuto proprio voglia di rivederlo, subito dopo alla tizia di Bari.

 

“Ma quella che stava con te è tornata a casa sua?”

 

Ecco, ti pareva! La voce dell’innocenza!

 

“Chi?”

 

“Intende la tua collega dei reparti speciali di Bari,” sospirò, non potendo ovviamente fare nomi, “l’ha notata subito pure lei, si nota facilmente, del resto.”

 

“Ah. No, è tornata a Bari giorni fa,” rispose Ranieri, un poco stupito ma anche divertito.

 

“Senti, non sorridere che qua la situazione è drammatica, non lo senti?” cambiò volentieri il discorso, anche perché aveva i timpani quasi rotti.

 

Francesco era da un’ora buona che piangeva interrompendosi pochissimo e, se come minimo i vicini l’avrebbero voluta uccidere, lei figuriamoci, ci si sarebbe quasi prestata volentieri a farsi linciare pur di non sentirlo più.

 

Tanto che aveva dovuto rassegnarsi a chiamare Ranieri.

 

“Dai, non ti preoccupare, vedrai che ce la facciamo a calmarlo.”

 

“Auguri!” sospirò, avviandosi con lui verso la camera da letto, “perché io ho esaurito le idee.”

 

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“Ma… ma… questo è…”

 

“Il locale di ballo da sala, sì, Calogiuri. Ora che hai ehm… ghiacciato i bollenti spiriti, non vedo modo migliore di farteli ritornare, piano piano, lentamente ma inesorabilmente, che standocene qualche ora appiccicati a ballare, come ai vecchi tempi.”

 

“Tu mi vuoi proprio uccidere prima di celebrare il matrimonio, dì la verità!” scherzò, anche se dire che fosse commosso sarebbe stato riduttivo.

 

Gli piaceva tantissimo organizzare sorprese per Imma. Ma riceverle, con il carattere di lei, era ancora più speciale. E poi… con tutto quello che era successo, era da capodanno che non erano più andati a ballare e comunque non da soli ma con Mariani e-

 

Era meglio non pensare a Conti in quel momento: non voleva rovinarsi la serata.

 

Le prese il viso tra le mani e la baciò, per l’infinitesima volta quella sera ma… ma, per quanto in certe occasioni le parole venissero fuori da sole, non ce n’erano abbastanza per esprimere quello che provava per lei, l’amore, la gratitudine, tutto.

 

“Pure tu non è che ci stia andando giù leggero, Calogiuri. Che io sono pure più vecchia di te, te lo ricordo.”

 

“Sì, e intanto con questa scusa mi sotterrerai, dottoressa…” sospirò, dandole un bacio, stavolta sulla fronte.

 

“Allora, entriamo? Anche se non sono sicura di ricordare bene come si fa. Che qua facevano molto spesso il tango.”

 

“Magari dovevamo accettare la proposta di fare le lezioni.”

 

“Sì, così come minimo tutta la classe avrebbe voluto ballare con te, maestra per prima. Ma che so’ matta? E poi… e poi mi ci vedi a muovermi in un’aula piccola, piena di uomini sudati con la crisi di mezza età e di donne truccatissime per fingere di non avercela ancora?”

 

“Non lo so. Perché quando balliamo insieme, io vedo solo te. Anzi, pure se non balliamo insieme.”

 

“E poi sarei io quella che t’ammazza a te, eh?” gli chiese, con voce roca e gli occhi di nuovo lucidi.

 

Travolto da un bacio veloce ma comunque non di certo un bacetto, anzi, che temeva di dover fare di nuovo una visita d’urgenza alla farmacia, si lasciò trascinare più che volentieri verso l’ingresso.

 

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“Non funziona. Sei qua da un sacco e non funziona!”

 

Cominciava ad essere veramente disperata: anche Ranieri le aveva provate tutte ma Francesco si calmava al massimo per qualche minuto, il tempo per riprendere fiato e voce, e ricominciava.

 

“Proviamo a chiamare Imma?” propose infine lui, in quella che era la resa definitiva.

 

Era tardi, molto tardi, ma erano disperati loro e pure la povera Bianca, che era in camera sua con i tappi a cercare di dormire..

 

Prese il cellulare e selezionò il contatto di Imma.

 

“Il cliente non è al momento raggiungibile, si prega di riprovare più tardi, grazie!”

 

La voce metallica fu il peggiore degli incubi che si materializzava, ma provò l’ultima spiaggia: Calogiuri.

 

“Il cliente non è al momento raggiungibile, si prega di riprovare più tardi, grazie!”

 

Il panico, il panico totale.

 

“Sono tutti e due non raggiungibili,” annunciò, pensando che ora sì che non sapeva più che pesci pigliare, "staranno festeggiando, beati loro!”

 

“Anche noi abbiamo una cena in sospeso, no?” le ricordò lui, con uno sguardo che era tutto un programma e che in passato era stato il suo più grande tallone d’Achille, “ormai Calogiuri è scagionato, il mio lavoro sul maxiprocesso dovrebbe essere finito e… una sera di queste, potremmo-”

 

“Ma a che serve, eh?” sbottò, più brusca di quanto avrebbe voluto essere, ma aveva i nervi a fior di pelle, tra l’orario, il casino e tutto quello che era successo negli ultimi giorni, “tanto tu a breve devi tornartene a Bari e poi chissà quando ci rivedremo. Anzi, sono già sorpresa che stai ancora qua e che non abbiano già reclamato la tua presenza.”

 

Per un secondo ci fu un attimo di silenzio straordinariamente perfetto: Francesco, forse stupito dal cambio repentino di tono, si zittì del tutto, tanto che udì Ranieri deglutire un paio di volte.

 

E poi lo vide aprire la bocca e-

 

“In che senso devi tornare a Bari? Ma con quella là?”

 

Le prese un colpo e si voltò: era stata Bianca a parlare ed aveva evidentemente sentito tutto, a giudicare dal modo in cui le tremava la voce e dalla faccia delusa e triste ma pure arrabbiata, le braccia incrociate in un modo che le ricordava terribilmente se stessa.

 

Altro attimo di perfetto silenzio, Ranieri che pareva molto in imbarazzo, anche se un poco divertito, cosa la fece incazzare triplamente. Non c’era niente di divertente, niente, nel trauma che avrebbero dato a Bianca ed era anche colpa sua, per non aver bloccato prima quella frequentazione.


“Tra qualche giorno devo tornare a Bari, sì, ma perché ci sono i miei figli e alcune cose importantissime da sistemare.”

 

“Ma io e Irene non siamo importanti, allora?”

 

Il tono e gli occhioni di Bianca, pieni di lacrime, furono peggio di ore di urla di Francesco.

 

“Ma certo che siete importanti! Tornerò presto a Roma e-”

 

“E non è vero, ho capito! Sono quelle cose che dite voi grandi, per farci stare buoni. Tu hai i tuoi figli e io e Francesco siamo solo un lavoro per te!”

 

“Bianca, non-”

 

Ma Bianca, con un’aria incazzosissima e i lacrimoni agli occhi, si era voltata e, a passo marziale, era tornata nella sua stanza, sbattendo la porta dietro di sé.

 

Una scena che non avrebbe mai pensato di vedere da lei, almeno non prima dell’adolescenza.

 

“Irene, io-”

 

“Adesso è meglio che vai e… e che in questa casa non ci torni più. Bianca si è affezionata troppo ed è meglio non darle altre illusioni e che si abitui all’idea che… che tu non ci potrai essere, non come la figura paterna che è evidente che a lei manca.”

 

“Ma-”

 

“Niente ma: è la verità e lo sai pure tu. E comunque Francesco adesso è tranquillo e… e credo che tra qualche giorno potremo affidarlo ad Imma e a Calogiuri, che tanto le acque si stanno calmando con i giornalisti e… e loro saranno felici di occuparsene e lui di stare con loro. Quindi… missione conclusa, capitano: torna a casa.”

 

Non avrebbe saputo dire se fosse più la rabbia o la voglia di piangere. E se fosse più arrabbiata con lui o con se stessa per essersi rimessa in quella posizione ed averci coinvolto Bianca, soprattutto.

 

Ranieri rimase un attimo paralizzato e a bocca aperta, poi gli sembrò di vedere una lacrima nei suoi occhi, lui che non piangeva quasi mai, ma non lo avrebbe saputo dire con certezza assoluta, perché dopo un “non finisce qua!”, sparatole deciso, dritto in petto, si voltò e se ne andò, lasciandola con un vuoto in gola e la testa che scoppiava.

 

Non finisce qua, ma intanto te ne sei andato! - pensò, perché alla fine i fatti, solo i fatti contavano. E su quelli Ranieri era sempre stato a dir poco carente, oltre che incoerente.

 

Si voltò e guardò la porta di Bianca, chiusa, chiedendosi se fosse il caso di andare da lei, per accertarsi che stesse bene.

 

Ma Bianca aveva anche bisogno dei suoi spazi, lo sapeva.

 

Quindi si avvicinò piano alla maniglia, la socchiuse e disse, con la voce più calma che riusciva ad avere, anche se tremava comunque un po’ troppo, “se ne è andato. Se vuoi… puoi dormire con me stanotte. Io intanto torno a letto.”

 

Ma Bianca non rispose e quindi, pur lasciando la porta socchiusa, per sentirla meglio, tornò verso la sua di camera.

 

Francesco si era addormentato: assurdo ma vero.

 

O almeno così sembrava, perché, quando si infilò nel letto accanto a lui, aprì quegli occhi scuri, in un modo che le fece presagire un altro giro di urli che non avrebbe sopportato, ma si limitò a starla a guardare, come incuriosito.

 

“Che cos’è? Ti piace quando la gente alza la voce? Ti ricorda Imma?” gli chiese, ironica, non con il tono basso che usava di solito con lui, ma più deciso, e lui fece una specie di sorriso ancora mezzo sdentato e poi li richiuse, tornando a dormicchiare.

 

Forse aveva scoperto l’arma segreta con lui, proprio quando non serviva più.

 

Ma del resto, la totale assenza di tempismo era una costante nella sua vita.

 

Da sempre.

 

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“Mmmm…”

 

Infastidita dalla luce improvvisa, serrò gli occhi, rifugiandosi ancora per un attimo nel petto di Calogiuri.

 

“Mi sa che questo è il segnale che ci dobbiamo levare di torno, dottoressa,” le sussurrò lui, seguendo le parole con un bacio dolce sulla guancia che quasi la fece commuovere, di nuovo, “anche se resterei sempre così, ma-”

 

“Ma ci possiamo stare anche a casa,” concluse lei per lui, aprendo gli occhi e tornando alla realtà, cioè che erano una delle tre coppie ormai rimaste, “prima però… bombolone al Pincio? Che abbiamo già bruciato molto ma bruceremo ancora, Calogiù, in tutti i sensi.”

 

Per suggellare la promessa, gli morse l’orecchio, provocando un gemito buffo quanto tenero.

 

“Per fortuna che siamo in taxi, dottoressa, perché non so se sono in grado di guidare dopo questa nottata.”

 

Le venne da ridere: lo sapeva che lo aveva torturato parecchio, ballando mooolto vicino e mettendocela tutta per cucinarselo a fuoco lento, fino all’ebollizione.

 

“Eh va beh, Calogiù… l’attesa aumenta il desiderio, no?”

 

“Appunto. Mi sa che di bomboloni qua ce ne vorranno due, per darmi le forze.”

 

“Tutti quelli che vuoi, basta che poi non ti abbiocchi, maresciallo, perché potrei ucciderti, se solo ti azzardi.”

 

“Guarda, dottoressa, quello è l’unico rischio che non corro… grazie a te!” ruggì lui, stringendola in un modo che le diede conferma che sì, l’unico rischio che correva il povero Calogiuri era una visita d’urgenza dall’andrologo.

 

“Eddai, maresciallo, ne varrà la pena, te lo prometto! Ne varrà molto la pena, moltissimo.”

 

“Finiremo prima di mezzogiorno o ci conviene prenderli pure d’asporto i bomboloni?”

 

“Chissà… magari pure un paio di maritozzi con la panna per… farne buon uso, capisci a me!”

 

Il ruggito nell’orecchio che presumibilmente era un “Imma!” carico di frustrazione, fu l’ultima cosa che sentì prima di essere sollevata di peso e praticamente trasportata fino al guardaroba, tra una risata ed un “Calogiù!” e l’altro.

 

Quanto le era mancato, tutto!


Anche se, fuori dal locale, non appena chiamato il taxi, sarebbero dovuti tornare alla saggezza e alla prudenza.

 

Ma, per qualche minuto, poteva ancora godersi la profondissima leggerezza che solo lui sapeva donarle.

 

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“Calogiù, Calogiù, se vai avanti così i maritozzi ce li spiaccichiamo addosso ai cappotti, mannaggia a te!”

 

Aveva fatto appena in tempo a posare un piede, anzi un tacco dentro casa che si era trovata spalmata sul muro da Calogiuri, la porta che si chiudeva con un mezzo boato prima che lui iniziasse l’assalto a labbra, orecchio e collo.

 

“Sempre colpa tua, dottoressa,” ringhiò, in quel modo che le causò un altro picco ormonale, ma allontanandosi leggermente per poggiare il sacchetto sulla prima superficie disponibile della cucina.

 

Stavolta lo fece lei il ruggito e stava per raggiungerlo per saltargli addosso quando un miaaoooo ed un soffio schifato la fecero bloccare.

 

Ottavia, che stava all’ingresso del corridoio verso la camera da letto, li guardava peggio di una madre che aveva appena beccato uno dei figli in flagranza di reato, e all’alba per di più.

 

“Ottà, con tutto il bene, te ne stai in bagno per qualche ora mo, che ti conviene pure a te!” proclamò Calogiuri, in un modo che la fece scoppiare a ridere. Prese Ottavia per la collottola e la portò di peso in bagno.

 

Lei gli gridò un “chiudila a chiave, mi raccomando!” prima di essere colta da un’idea, trattenere un sorrisetto malizioso, buttare il cappotto sul divano, seguito dal vestito - che con quello che costava ci mancava rovinarlo, e si sarebbe rovinato sicuramente - e sollevarsi a forza di braccia fino a piazzarsi sulla penisola della cucina, afferrare il sacchetto di carta ed iniziare ad… apparecchiarla come si doveva, più in fretta che poteva.

 

E poi si distese, reggendosi la testa sulle mani, per poter assistere al suo ritorno e godersi lo spettacolo migliore del mondo.

 

Un suono strozzato, un’espressione che mai si sarebbe scordata, mentre Calogiuri diventava prima bianco come un lenzuolo e poi rosso fuoco, un’ondata di tenerezza e di altri ormoni che la colsero mentre lo vide sbandare e reggersi all’angolo del corridoio, per evitare di cascare all’indietro sul povero leopardo in ceramica.

 

Uno a zero, palla al centro! Ed il vantaggio di campo era decisamente il suo!

 

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“E stai buona! Che se no a domani non ci arrivo!”

 

Lo guardò con quegli occhioni furbi ma anche dolci, che lo fregavano sempre, e poi gli diede una nasata sulla mano, seguita da due zampate al petto e si acciambellò nella sua cuccia in bagno.

 

Finalmente!

 

Chiuse la porta a chiave - che non si sapeva mai, e non sarebbe potuto sopravvivere ad un’interruzione, sempre se fosse sopravvissuto a tutto il resto - tornò il più rapidamente possibile verso il salotto e-

 

Gli si mozzò il fiato in gola, mentre tutto il sangue gli confluiva in un punto e la testa gli girava, la vista che gli si annebbiava temporaneamente dandogli un momento di respiro - letteralmente - da quella visione da infarto.

 

“Imma!” pronunciò, in una voce che manco pareva la sua, prima di ritrovare l’equilibrio e non perdere altro tempo a buttarsi su di lei, pronto a punirla come si doveva per tutte le torture che gli stava infliggendo quella sera.

 

“Allora quando vuoi lo sai come essere veloce, CalogiÚÚÚÚ!”

 

Il suo nome trasformato in urlo fu l’ultimo suono coerente, prima di prendersi finalmente la sua rivincita, dolce come la panna ed inebriante più di qualsiasi alcolico.

 

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“Allora, sventoli bandiera bianca, maresciallo?”

 

“Altro che bianca, dottoressa… qua di bianco non c’è proprio niente!” ironizzò lui, spompato quanto lei, facendola ridere, perché c’aveva ragione c’aveva!

 

“E comunque mi sembra che siamo tutti e due allo stremo, dottoressa, quindi che ne dici se ci accordiamo sul pareggio e su un lungo, lungo riposo?”

 

“Posso concedertelo. Ma soltanto per questa volta!” lo punzecchiò, allungando però il collo per dargli un bacio sulla guancia, che cominciava ad essere leggermente pungente per la barba che stava rispuntando. Poi se lo abbracciò di lato, mettendogli la testa sul petto e sentendosi avvolgere dal braccio di lui, che la coprì leggermente con il lenzuolo.

 

“Sei bellissima,” lo udì sussurrare, prima di una serie di baci sulla fronte così dolci da farle quasi tornare il magone, “sei sempre più bella, più luminosa, non so come fai.”

 

“Sei tu che mi fai bene, maresciallo, lo sai.”

 

“E tu a me, anche se… forse un controllo dal cardiologo ed un test da sforzo mi conviene farli prossimamente, se continuiamo così.”


“Eh va beh… Calogiuri, lasciami godere un po’ questi momenti di… recupero, che presto torneremo ad avere ritmi serratissimi, un sacco di cose da fare e-”

 

“E per prima cosa, questa,” sottolineò lui, prendendole la mano sinistra con la sua ed intrecciando le loro dita e i loro anelli, prima di baciarle la mano, “allora, quando ci sposiamo? E dove? Ora che… che non ho più il corso… sono più libero di organizzare insieme a te.”

 

Il riferimento al corso fu un colpo al cuore, perché era una tremenda ingiustizia che non lo avesse potuto fare, con il talento che aveva e con quanto ci si era impegnato per vincere il concorso.


“Come sai… avevo organizzato per questa estate ma… ma è tutto cancellato ormai.”

 

“Ma a me questa estate va ancora bene, anzi benissimo!” esclamò lui e le dita si spostarono sul suo viso, sollevandoglielo fino a farle incontrare quei bellissimi occhi celesti, anche se mezzi socchiusi dalla stanchezza, “mi basta una cosa semplice: noi due e pochi intimi. Per me l’importante è sposarmi con te, dottoressa, tutto il resto non conta.”

 

“E invece pure la tua carriera conta, Calogiù, e tanto. Lo so che… potrai fare il prossimo concorso, ma dobbiamo scegliere innanzitutto dove andare a vivere e a lavorare, in un posto che ti dia le maggiori opportunità di carriera possibili. Magari in due procure diverse, ma vicine, per poter stare insieme ma… evitare tutte le complicazioni di questi anni. In base a quello,  possiamo anche decidere il dove ed il quando del matrimonio, non credi?”

 

“Io credo che, fosse per me, ti sposerei pure domani e che… possiamo progettare entrambe le cose insieme e non c’è momento migliore di adesso che non dobbiamo lavorare tutti i giorni. Ed il permesso matrimoniale ci spetta in ogni caso, ovunque andremo a finire.”

 

Le venne da sorridere, la commozione di nuovo ai massimi livelli, perché… perché lo sentiva quanto lui desiderasse quel matrimonio, con tutte le sue forze, tanto quanto lei. E pure a lei… l’idea di essere ufficialmente la moglie di Calogiuri, anche se da un lato le faceva strano, dall’altro… ne sarebbe stata orgogliosa, orgogliosissima ed il solo pensiero le scatenava uno sciame nello stomaco.

 

“Va bene, Calogiù. Allora… se vuoi posso provare a riorganizzare quello che avevo già in mente, ma… non so se ce la facciamo per tempo.”

 

“Te l’ho detto, a me basta anche una cosa semplice, tanto non avremo molti invitati in ogni caso.”

 

Sapeva che lo diceva per rassicurarla, ma quella fu un’altra fitta di senso di colpa: Calogiuri era uno che piaceva a tutti o quasi, che si faceva volere bene. Ma, anche per via del rapporto con lei, aveva tagliato tanti ponti e… e, soprattutto nel caso della sua famiglia, sicuramente era un dolore che rimaneva, anche se non lo dava a vedere.

 

“Vedremo, maresciallo, vedremo. Io comincio ma non ti prometto niente. Se no… estate prossima?”


“Ma perché ti vuoi sposare proprio in estate?”

 

“Ma vuoi mettere la soddisfazione di ripagare con la stessa moneta tutti quelli che negli anni mi hanno tormentata con cerimonie con fuori quaranta gradi all’ombra?” ironizzò, per non scoprire troppo le carte, e lui scoppiò a ridere e le regalò uno dei suoi, “sei tremenda!” ma poi aggiunse, più serio, “allora, perché?”

 

“Diciamo… perché vero che sposa bagnata sposa fortunata, ma per quello che ho in mente vorrei il sole. E poi… ci sono anche più ferie da usufruire e meno lavoro, di solito. Autunno e primavera c’è il boom degli omicidi… ed in inverno non ho intenzione di diventare un surgelato.”

 

Un’altra risata e poi Calogiuri le piantò un bacio sulle labbra con un, “ti amo!” che la fece squagliare definitivamente, “lo sai… mi era mancato tutto questo, tantissimo!”

 

“Le mie battute pungenti? Non mi sembra di averle lesinate ultimamente, ma posso sempre rimediare!”

 

“No, cioè, su quelle sei sempre una garanzia, dottoressa. Intendevo… progettare il nostro futuro, insieme.”

 

“Anche a me…” le uscì, che pareva più un gracidio che la sua voce, talmente le si stava frantumando in mille pezzi, “anche se ci capitano sempre imprevisti e casini che mandano all’aria tutti i programmi.”

 

“Ma alla fine li abbiamo sempre superati tutti. E, dopo questi mesi. penso che possiamo superare qualsiasi cosa.”


La voce le mancò del tutto, quindi fece l’unica cosa che poteva fare: si rifugiò ancora di più nel suo petto e cominciò a riempirlo di baci e di qualche lacrima, proprio sopra al cuore.

 

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“Buongiorno…”

 

“Mmm, buongiorno… ma allora non ti ho distrutto così tanto. Mi ci dovrò impegnare di più la prossima volta!” ironizzò, trovandosi davanti Calogiuri con un vassoio in mano pieno di ogni ben di dio, “che ore sono?”

 

“Mezzogiorno,” rispose, ponendole il vassoio sulle ginocchia e l’occhio le cadde all’anello sulla mano sinistra di lui ed evidentemente fu lo stesso per Calogiuri perché, quando alzò gli occhi, lo trovò con un sorriso dolcissimo, mentre ammise, “continuo a guardarlo da quando mi sono svegliato, perché a volte ancora non ci credo.”

 

“Che ho speso un mezzo capitale per un anello? Effettivamente tu infici la mia capacità di intendere e di volere, Calogiù, da sempre,” sdrammatizzò nuovamente, anche se stava per commuoversi un’altra volta.


Ma, proprio in quel momento, la commozione evaporò e per poco non rovesciò il cappuccino, perché squillò il suo cellulare.

 

Per carità, non era certo mattina presto, per chi non aveva fatto le ore piccole come loro, ma era comunque strano ricevere chiamate improvvise, se non per qualche notizia su indagini o qualche casino.

 

Mancini

 

Quello era il nome sul display. Lo mostrò a Calogiuri e mise il vivavoce.


“Dottore, mi dica, ci sono novità?”

 

“Sì, dottoressa, in realtà sì. Potrebbe, anzi, potreste venire in procura al più presto? Con abbigliamento formale, possibilmente, cioè… nel suo caso il suo stile di abbigliamento formale.”

 

E che succedeva mo? - si guardò con Calogiuri, non sapendo se essere inquietata, perché pareva proprio una convocazione ufficiale.

 

“Ma giornalisti o peggio?”

 

“Non posso dirvi niente al momento. Raggiungetemi appena potete. A dopo.”

 

E così la chiamata si troncò bruscamente.

 

Scambiò un altro sguardo preoccupato con Calogiuri, che cercò di farle forza con un, “dai, facciamo colazione, anche se praticamente è pranzo, e andiamo a sentire cosa vuole Mancini.”

 

Ma ormai, nonostante avessero bruciato di tutto e pure di più, aveva pochissima fame.

 

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Si strinse più forte a Calogiuri, che frenò la moto giusto giusto di fronte all’ingresso laterale della procura, sollevò la visiera del casco integrale e mostrò il tesserino alla guardia, perché li facesse entrare.

 

Avevano per fortuna evitato i pochi giornalisti ancora in attesa fuori dall’ingresso principale.

 

Dopo aver espletato tutte le formalità del caso, si avviarono verso le scale e le salirono, ignorando le occhiate curiose di chi incontravano.

 

Lei con l’unico tubino nero in suo possesso ed una giacca pitonata, lui in giacca e pantaloni, anche se senza cravatta.

 

Più formale di così sarebbe stato assurdo e ridicolo.

 

Pregando che Mancini non avesse mentito e che non ci fosse in programma un’altra bella conferenza stampa, si avviò verso l’ufficio del procuratore capo, spalla a spalla con Calogiuri, scambiandosi ogni tanto qualche sguardo, come ai vecchi tempi.

 

Bussò e vennero accolti con un sorriso dalla segretaria, che alzò la cornetta e poi fece loro cenno di passare.

 

Proprio in quel momento, si aprì la porta e ne emerse Mancini, che li salutò con un formale, “dottoressa, maresciallo, entrate…” che non prometteva bene.

 

Lo superò e si trovò di fronte ad un altro uomo. Sui cinquanta o sessanta, capelli grigi ben curati, ed un’uniforme nera con una quantità tale di stellette, decorazioni e distintivi che le prese ancora di più un colpo, mentre il primo pensiero fu ammazza!

 

Udì, ancora prima di vederlo, Calogiuri fermarsi al suo fianco e mettersi sull’attenti, con un formalissimo “signor generale!”

 

“Maresciallo. Comodo, comodo,” rispose il generale, in un modo che, almeno in apparenza, non le parve minaccioso.

 

“Il generale Locci,” lo introdusse Mancini, dopo aver richiuso la porta alle loro spalle in un modo che la fece sentire in prigione, “la dottoressa-”


“Tataranni. Non ha certo bisogno di presentazioni, dottore,” lo interruppe il generale, con quel tono neutro che non si capiva se intendesse che fosse famosa o famigerata. O entrambe le cose.

 

“Come mai ci avete convocati con urgenza?” domandò, sapendo che Calogiuri era più legato dai gradi e dalle gerarchie, mentre lei era più libera e ne avrebbe approfittato, se fosse servito, per rimettere al suo posto pure il generale.

 

“Sono stato incaricato dell’inchiesta interna sul maresciallo.”

 

Merda!

 

Ma come potevano? Come potevano perseguitare ancora Calogiuri?

 

Lo sapeva che i carabinieri avevano le loro regole e le loro procedure, spesso più severe delle leggi civili e penali, ma-

 

“Sono pronto a rispondere a tutte le domande, signor generale,” rispose Calogiuri, deciso, impettito, in un modo che fece espandere pure a lei il petto, ma di orgoglio, “non ho nulla da nascondere.”

 

“Ma infatti la posizione del maresciallo già è stata chiarita, non risulta più indagato e non capisco perché l’Arma ritenga ancora necessario-” provò a intervenire comunque, perché le battaglie con Calogiuri le avrebbero sempre combattute insieme e perché, anche se si fidava di lui, sapeva bene che certi procedimenti era meglio evitarli, potendo, vista la discrezionalità di giudizio che poteva portare rogne, anche quando si era innocenti.

 

“Imma non serve e-” si inserì Calogiuri, orgoglioso e testardo come sempre, come lei, ma stavolta fu una mano alzata di Locci a bloccare ogni replica.

 

“Maresciallo, dottoressa. Se mi permettete di terminare il discorso…”

 

Si sentì per un attimo come una scolaretta in punizione: il generale aveva una presenza imponente, in tutti i sensi.


“Stavo per spiegare che non c’è bisogno di rispondere ad alcuna domanda. La burocrazia, come purtroppo spesso accade in Italia, è stata assai più lenta degli sviluppi della giustizia e, quando ho ricevuto l’incarico ufficiale, qualche giorno fa, era già chiaro che ormai la mia visita qui fosse una mera formalità.”

 

E allora perché è venuto a farci prendere un colpo? - si chiese, anche se non poteva certo ripeterlo ad alta voce.

 

“Vi chiederete quindi il motivo della mia presenza qui,” aggiunse il generale, leggendole nel pensiero, “ma, oltre ad essere una formalità che andava in ogni caso espletata, ho avuto modo in questi giorni di parlare con il dottor Mancini, maresciallo, che ha a lungo elogiato le sue doti morali, umane ed etiche, oltre alla sua grande abilità nelle indagini e la sua competenza in servizio. Giudizio confermato anche da altri suoi superiori e colleghi, presenti e passati. E quindi, tenuto in conto quanto riferitomi, nonché il fatto che lei ha superato il concorso da ufficiali arrivando primo in graduatoria nazionale, le comunico ufficialmente che è stato deciso dall’Arma di darle la possibilità di accedere al corso da ufficiali, nonostante sia già iniziato. Ovviamente ci si aspetta da lei che recuperi tutti gli argomenti persi fino ad ora e le attività pratiche, oltre a superare l’esame finale, come tutti i suoi aspiranti colleghi. Di conseguenza, se accetta, la attendono mesi di duro studio e lavoro. Se se la sente però, il posto è suo.”

 

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Non ci poteva credere: stava sicuramente sognando.

 

Prima l’anello e poi… e poi….


Era come se tutti i sogni distrutti si stessero rimettendo insieme, pezzo dopo pezzo, in meno di ventiquattro ore.

 

Era come se il destino beffardo, dopo aver riempito di mazzate sia lui che Imma negli ultimi mesi, stesse rimettendo in qualche modo le cose a posto.


Ma no, non c’entrava il destino: c’entrava il lavoro che avevano fatto tutti, tutti insieme, Imma per prima.

 

La guardò e… e vide anche lei passare dall’incredulità ad un sorriso commosso che gli confermava che sì, era tutto vero e non un’allucinazione.

 

Ma poi la sua espressione si fece severa, quando il generale ripetè, “allora, maresciallo, se la sente?” e capì che gli stava praticamente dicendo prova a rifiutare e ti ammazzo!

 

Dovette trattenersi dal ridere perché… era anche per quello che la amava così tanto.

 

E sapeva benissimo che pure il corso, come il concorso, praticamente lo avrebbero fatto tutti e due, conoscendola, e tutto il discorso sulla carriera del giorno prima… lei era veramente disposta a fare di tutto perché lui si realizzasse.

 

E quella, quella era la prima cosa che gli aveva, poco a poco, fatto perdere la testa per lei. Il modo in cui credeva in lui, incondizionatamente, il modo in cui lo sosteneva sempre. Come non aveva mai fatto nessuno.

 

Ma ora… ora erano in due a sostenersi a vicenda e si ripromise che sarebbe stato sempre così.

 

“Certo che me la sento, signor generale. E vi ringrazio moltissimo per quest’opportunità,” rispose quindi, deciso, guardando il generale negli occhi, faccia a faccia.

 

“Non mi deve ringraziare, maresciallo. Stiamo solamente riparando ad un ingiusto torto che le è stato fatto. Dopo tutto quello che mi ha riferito il dottor Mancini, sono sicuro che sarà un ottimo ufficiale.”

 

Guardò Mancini, incredulo. E, anche se provava sempre un po’ di fastidio nell’incrociare la faccia del beccamorto, era assai meno di una volta e… e doveva riconoscere che, alla fine, se era fuori dai guai era anche per merito suo. Pure se ci era voluto un bel po’ di convincimento di Imma e di Irene ma… Mancini aveva rischiato grosso anche lui, per scoprire la verità. Non tutti lo avrebbero fatto nella sua posizione.

 

“Come ha detto il generale, ho semplicemente voluto porre rimedio ad un grave errore, commesso anche da me. E se c’è una persona che si merita di fare carriera nell’Arma è proprio lei, maresciallo, perché si è dimostrato assolutamente incorruttibile, oltre che dotato di capacità e potenzialità che vanno ben oltre il suo grado attuale. Le auguro di avere la carriera che si merita, maresciallo.”

 

E, se fino a poco tempo prima quelle parole sarebbero state sarcastiche, invece in quel momento erano sincere e lo sentiva benissimo.

 

Mancini gli porse la mano e lui ricambiò la stretta, lanciando uno sguardo ad Imma che sorrideva ancora, commossa.

 

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Si sentiva così felice che le sembrava quasi di galleggiare nell’aria.

 

Le ultime ventiquattro ore erano indubbiamente state le più belle della sua vita e… ed era letteralmente al settimo cielo per Calogiuri, che si meritava tutto quello e pure di più.

 

Lo osservava parlare con il generale, rispettoso sì, come si doveva, ma anche con una sicurezza ed una decisione di cui fino anche solo a pochi mesi prima non sarebbe forse stato capace.

 

Aveva toccato il fondo ma ne era uscito a testa altissima, più forte, più consapevole, più maturo.

 

Era così fortunata ad averlo nella sua vita, fortunatissima. Altro che vincere il superenalotto!

 

Un movimento alla sua destra la fece per un attimo spostare lo sguardo verso Mancini, che si era anche lui allontanato dal generale.

 

Una mossa che non era scontata, per niente, e che apprezzava. Come il suo essersi speso a favore di Calogiuri anche se… sicuramente c’era di mezzo un bel po’ di senso di colpa, in parte giustificato.

 

Mancini si avvicinò ancora di più, fino ad essere quasi spalla a spalla, causandole un momento di imbarazzo, ma poi le sussurrò, “mi dispiace per… per tutti i problemi che vi ho provocato per via dei miei… pregiudizi ingiustificati nei confronti del maresciallo. Spero che questo, anche se in minima parte, possa riparare ai danni che ho fatto.”

 

In alcuni momenti era arrivata quasi a detestarlo Mancini, per i casini che le aveva causato con Calogiuri, anche se era stata primariamente colpa del suo maledetto orgoglio.

 

Ma, alla fine, era stato disposto ad ammettere i suoi errori, cosa rarissima per uno nella sua posizione.

 

“Diciamo che… che forse anche io avrei dovuto essere più diretta con lei, dottore, fin dall’inizio, e… ci saremmo evitati un bel po’ di problemi e di imbarazzi.”

 

Mancini arrossì leggermente, probabilmente ripensando a qualcuno dei due di picche che gli aveva rifilato, ma poi abbassò lo sguardo e lo fissò chiaramente sulla sua mano sinistra.

 

“Sì, ho notato gli anelli,” mormorò, rivolgendo uno sguardo anche a Calogiuri e poi tornando a guardare lei, dritto in faccia.

 

Fu il suo turno di arrossire, ma lui bloccò le sue ansie con un, “non si preoccupi. Mi sono reso conto finalmente che questa… ossessione nei suoi confronti mi è passata. Anche se non è stato facile, con una donna come lei.”

 

“Che non sia stato facile l’ho notato,” le venne da ironizzare, perché era nella sua natura, e Mancini diventò bordeaux, “ma… sono felice che le sia passata, dottore. E sono certa che troverà di meglio. Calogiuri è un santo a starmi accanto.”

 

Mancini fece un’espressione strana, che non capì, come se fosse perso nei suoi pensieri.

 

Ma almeno il discorso cadde e quindi fu meglio così.

 

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Si congedò con un ultimo cenno del capo dal generale e chiuse la porta dell’ufficio.

 

Silenzio, finalmente!

 

Si affrettò verso la scrivania e si lasciò cadere sulla sedia.

 

Non sapeva perché ma… si sentiva esausto.

 

O forse, in verità, lo sapeva benissimo.

 

Il problema era che… quando Imma lo aveva rassicurato ironicamente che avrebbe trovato di meglio, un viso familiare gli si era immediatamente parato di fronte agli occhi.

 

Con due occhi azzurri luminosi come il sorriso ed i capelli color del grano.

 

Mariani.

 

A lei aveva pensato, a tradimento.

 

E non andava bene, non andava bene per niente: Mariani era giovane, bellissima e c’era troppo sbilanciamento di potere tra loro.

 

E poi… e poi aveva già avuto abbastanza casini e non poteva permettersi di nuovo perdere la sua professionalità per un qualcosa che non avrebbe portato a nulla.

 

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“Non fosse che sono ancora stremato, ci starebbe un altro festeggiamento, dottoressa.”

 

Erano appena rientrati a casa e pure lei sentiva protestare muscoli che non aveva mai pensato di possedere, dopo la maratona della notte prima.


“E se festeggiassimo a modo nostro? Pinsa, birra e un bel film?”

 

“Mi sembra un’ottima idea!”

 

Un bacio suggellò l’accordo.

 

Andarono in camera da letto per cambiarsi, seguiti da Ottavia che aveva un’espressione tipo - ma non vorrete ricominciare un’altra volta? - alla quale rispose prendendola in braccio e depositandola poi ai piedi del letto, per cambiarsi.

 

Calogiuri fece lo stesso ed il modo in cui la guardò quando si levò il tubino la fece sbottare, “se vuoi riposare i muscoli, maresciallo, e mantenere la serata adatta ai minori di diciott’anni, non mi guardare così, però, e che cavolo!”

 

“Agli ordini, dottoressa!” sospirò lui, sorridendole e scuotendo il capo.

 

“A proposito. A questo punto tutti i dubbi sono risolti: ce ne stiamo qua a Roma finché non finisce il corso - preparati che ti farò una capa tanta per lo studio! - e poi decidiamo in che procura andare anche in base alle posizioni che ti si apriranno quando sarai capitano.”

 

“Però, pure se devo studiare, il corso finisce per l’estate ed il tempo per il matrimonio ce l’ho lo stesso.”

 

Eccallà!

 

La stava facendo squagliare un’altra volta, con quegli occhioni di quando voleva qualcosa.

 

“Vedremo, Calogiuri, vedremo!”

 

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“Avanti!”

 

“Dottore, ha incarichi per me?”

 

La voce, ancor prima della visione davanti a lui, gli fecero torcere lo stomaco.

 

D’istinto avrebbe detto sì, subito, ma si morse la lingua e, con il tono più professionale che riuscì a produrre, rispose, “no, Mariani, e sono molto impegnato al momento. Perché non va a parlare con la dottoressa Ferrari? Sono sicuro che avrà molto lavoro per lei.”

 

Il sorriso di Mariani scomparve e lo vide che era confusa, forse perfino un poco ferita, ma meglio quello dell’alternativa.

 

“Va bene. Allora mi congedo, dottore,” proclamò, decisa e sì, per come la conosceva, un po’ delusa, prima di sparire oltre la porta.

 

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“Problemi?”

 

Stavano guardando un film d’animazione basato a Genova - che forse, se toccava loro il nord, poteva essere un’idea mica male per un trasferimento, che ci stava il mare almeno, seppure tra il cemento, e poi nessuno avrebbe potuto prenderla in giro per la sua oculatezza - quando a Calogiuri era arrivato un messaggio ed aveva fatto prima un’espressione prima preoccupata e mo sconvolta.

 

Si trovò col cellulare di lui in mano e altro che mancarle l’aria!

 

Potreste venire a casa mia domani pomeriggio? Evitando i giornalisti, ovviamente. Grazie.

 

Irene

 

Si guardò con Calogiuri. In teoria con il maxiprocesso le cose erano risolte e… per chiedere di andare a casa loro….

 

Ma non voleva farsi illusioni e forse neanche lui, tanto che si limitarono ad annuire insieme e, dopo che Calogiuri le ebbe scritto che andava bene, continuarono a guardare il film nel più totale silenzio.

 

Ma stringendosi ancora più forte.

 

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“Ben arrivati. Avete avuto problemi?”


“No, no, non ci ha seguiti nessuno, tranquilla,” la rassicurò Calogiuri, chiudendo la porta dietro di loro.

 

Lasciò la giacca a Irene e Calogiuri fece lo stesso, mentre si guardava intorno: tutto quel bianco la metteva sempre un po’ in soggezione, oltre a tutti i convenevoli.

 

Ma, stavolta, non fecero nemmeno in tempo ad accomodarsi sul divano che un pianto poderoso distrasse Irene dal manuale della perfetta padrona di casa. Imma notò nuovamente le pesanti occhiaie che il trucco cancellava solo in minima parte.

 

Del resto, con delle urla così, non poteva essere altrimenti.

 

“Accomodatevi, torno subito!” proclamò, prima di sparire in quella che presumibilmente era la camera da letto.

 

“Calogiuri? Imma?”

 

Si voltò nuovamente verso il corridoio dal quale era spuntata la faccina di Bianca, che sorrise loro e si avvicinò al divano.

 

Non sapeva mai bene come fare con Bianca, vista la sua timidezza e tutti i problemi che aveva avuto, ma la bimba le diede un abbraccio, anche se rapido, e poi uno più lungo a Calogiuri - ebbrava! - prima di dire, in un modo che non sapeva bene perché ma le provocò una grande tristezza, “sono felice di rivedervi. Mi siete mancati.”

 

“Anche tu a noi. Ma abbiamo avuto un po’ di problemi. Come va con… insomma ora che c’è anche Francesco?”

 

Bianca esitò per un attimo, poi mormorò un, “voglio bene a Francesco…” che però aveva di nuovo un che di malinconico, che non capì.

 

“Ma…?” le chiese quindi, anche se forse non era il caso ma… era deformazione professionale la sua.

 

Bianca aprì la bocca come per rispondere, ma in quel momento il pianto proruppe in modo ancora più forte ed il “Bianca?” di Irene li raggiunse, insieme all’urlo disperato del bimbo.

 

Irene era tornata in salotto e rimasero tutti con il fiato sospeso, alternando lo sguardo tra lei e la faccina tutta rossa di Francesco, sotto ai capelli neri.

 

“Hai visto che c’è Imma?” chiese Irene al bimbo, che aprì quegli occhioni meravigliosi, che guardarono prima Irene e poi verso di loro.

 

E, di nuovo come per un miracolo, Francesco smise di piangere e cominciò a sporgersi per cercare di raggiungerli.

 

“Vuoi prenderlo in braccio?” le chiese Irene, avvicinandosi, mentre Francesco continuava a puntare dritto verso di lei, in un modo che la fece sciogliere.

 

Annuì, perché non si fidava della sua voce, ancor meno dopo aver incrociato gli occhi commossi di Calogiuri, che sembrava aver appena tagliato cipolle.

 

Nel giro di pochi secondi, si trovò con un peso caldo in grembo. Francesco che, mezzo seduto sulle sue gambe, mezzo ancora retto da Irene, la guardava fisso fisso, e poi sorrideva, emettendo un urletto di felicità, e poi….

 

E poi manine attaccate al maglione e al collo, i piedini che puntavano sulle sue gambe, per tirarsi in piedi e tutto il calore le finì sul petto, trovandosi in quello che poteva solo essere definito come un abbraccio, nonostante le braccina di Francesco non riuscissero nemmeno a cingerle il collo.

 

Ma le scappò lo stesso un mezzo singhiozzo, nel sentire i capelli solleticarle il mento, seguiti poi da quello che sembrava una specie di bacino umido sul collo. Lo strinse a sé per sorreggerlo meglio, istintivamente, e Francesco fece un altro gridolino felice e poi si appoggiò del tutto a lei, rimanendo praticamente immobile e, soprattutto, silenziosissimo.

 

Il cuore le stava esplodendo, sotto la testolina di lui, sulla quale posò un paio di baci. Due occhi azzurri furono il colpo di grazia, perché Calogiuri pareva in adorazione, letteralmente, manco avesse visto non solo la Madonna della Bruna, ma tutta la natività proprio e la, anzi li guardava in un modo che era un attentato alle coronarie e che la ridusse in poltiglia.

 

Tanto che si lasciò andare verso di lui, venendo a sua volta cinta in un abbraccio, di lato, Francesco che alzò un attimo la faccina per guardare Calogiuri, studiandolo quasi come a dire e mo chi è questo?!

 

Trattennero il fiato, sia lei che Calogiuri, lo sentiva benissimo, temendo altre urla e pianti. Ma Francesco, dopo averlo squadrato ancora un po’ in un modo che pareva un non ci provare a staccarmi da lei o urlo! si riappoggiò al suo seno e chiuse gli occhi. Dopo poco, il respiro si fece lento e lieve e sì, si era addormentato, abbracciato tra di loro.

 

Scambiò un’altra occhiata con Calogiuri, una lacrima che gli bagnava la guancia destra e, senza pensarci, ignorando il luogo e i presenti, gli diede un rapido bacio sulle labbra, ricambiato da uno sulla bocca e poi uno sulla fronte.

 

“Ehm… ehm…”

 

Irene che si schiariva la voce la riportò alla realtà, trovandola seduta accanto a Bianca, entrambe un po’ imbarazzate, Bianca confusa, Irene che aveva un’espressione indefinibile tra il sollievo e un po’ di malinconia, forse.

 

“Direi che… sia chiaro che Francesco vuole stare con voi. E Mancini e gli assistenti sociali hanno già dato l’autorizzazione.”

 

“Come?” domandò Bianca, passando dal confuso al triste, “ma… Francesco non sta con noi?”

 

Nonostante la commozione, nonostante istintivamente non avrebbe mai voluto lasciar andare quel piccoletto che l’aveva presa per un cuscino, con quel calore e quel profumo che erano così simili e così diversi da quelli di Valentina, tanti anni prima, provò una fitta di senso di colpa verso Bianca.

 

Dopo tutte quelle settimane passate con Francesco, era chiaro che si fosse affezionata e mo….

 

“Bianca, lo so che vuoi bene a Francesco, e gliene voglio pure io. Ma… lo vedi com’è sereno con Imma, no? Ed è con lei che voleva stare da… da quando lo abbiamo trovato. Non voleva staccarsi da lei. Ma non era possibile, mentre adesso finalmente Imma e Calogiuri possono prenderlo con loro. Con me piange sempre, lo sai, e… non vuoi che sia felice?”

 

Bianca spalancò gli occhi, poi si morse il labbro e chiese, “ma quindi… lui con Imma è come… è come me con te quando… quando mi hai trovata?”

 

Un paio di lacrime scesero sul viso di Irene mentre annuì e non poteva certo biasimarla, perché Bianca avrebbe fatto commuovere pure un pezzo di ghiaccio.

 

“Allora… allora va bene. Ma… posso andarlo a trovare?”

 

“Penso proprio di sì… se… se Imma e Calogiuri sono d’accordo. Intendo sia sull’andarli a trovare che… sul prendersi cura di Francesco.”

 

“Se te la senti, dottoressa, per me va bene,” le sussurrò Calogiuri in un orecchio, in un modo che indicava che già sapeva quale fosse la sua risposta.

 

“Eh certo! A patto che un po’ di notti in bianco te le fai pure tu, maresciallo!” esclamò, facendolo sorridere, anche tra le lacrime, per poi aggiungere, più seriamente, “basta che non ti distragga dal corso. Ma, per fortuna a questo punto, per qualche mese posso occuparmene io di giorno e tu mi puoi dare una mano quando torni la sera. E poi vedremo che succederà.”

 

“Non solo non mi distrarrà, ma anzi, è una motivazione per studiare ancora di più. E poi… e poi lo sai che non ti lascerei mai fare tutto da sola, no? Sempre che questo piccoletto mi permetta di staccarlo da te, che mi pare più geloso persino di me.”

 

Le venne da ridere, perché era vero e si trattenne a fatica dal baciarlo di nuovo. Si distrasse, rivolgendo gli occhi verso l’altro divano.

 

“Bianca, quando vuoi: se te lo vuoi sorbire un po’ pure tu, sei solo che la benvenuta, anzi,” ironizzò, facendola sorridere, mentre Irene continuava a guardarla in un modo un po’ strano, non spiacevole ma strano.

 

Ma poi Francesco si mosse leggermente sul suo petto, cambiando posizione della testa, probabilmente per stare più comodo, ed ogni pensiero che non fosse legato a lui, a loro, a se sarebbe stata in grado di occuparsi degnamente di quel piccolo miracolo che le era letteralmente piovuto addosso - sull’istinto paterno di Calogiuri non aveva il minimo dubbio, ma sul suo di istinto materno sapeva che c’era parecchio da opinare, invece! - svanì completamente, come una bolla di sapone.

 

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“Eccoci qua… sei sicura che non pesa troppo?”

 

“No, no! E poi, meglio chiudere la porta prima di provare a mollartelo, non da farci odiare ancora di più da tutto il condominio fin dal principio. Che questo c’ha dei polmoni da cantante lirico.”

 

Calogiuri rise e lei pregò che Francesco rimanesse sempre buono buono, sonnacchioso e silenzioso come era stato sul taxi di ritorno che le era toccato prendere, perché non poteva certo portarlo in moto, mentre Calogiuri li scortava.

 

E mo si trovavano davanti alla porta d’ingresso di casa, circondati da tutto il necessario che le aveva lasciato Irene - dal latte artificiale, agli omogeneizzati, alle medicine, ai biberon; dal passeggino, alle fasce e marsupi, all’ovetto e ai cuscini, in attesa di comprargli un lettuccio, anche se, a detta di Irene, levarlo dal lettone sarebbe stato quasi impossibile; fino ad una scorta abbondante di pannolini e tutto il necessario per cambiarlo, tra vestitini, pomate, fasciatoio portatile.

 

Calogiuri a portarsi su tutta quella roba si era fatto un allenamento di braccia che altro che lei a reggere Francesco.

 

Per certi versi le sembrava di essere tornata a più di vent’anni prima, anche se all’epoca tante di quelle invenzioni moderne per farti spendere più soldi non c’erano e i bambini nascevano e crescevano lo stesso, senza tante storie.

 

Oddio, se potevano servire a farlo venire su meno incazzoso di Valentina… anche se il caratterino prometteva di poterla perfino superare e-

 

Valentina!

 

Avrebbe dovuto avvertirla, subito, prima che succedesse un altro casino, che già stava ancora in silenzio stampa con Pietro.

 

“Che c’è?” le domandò Calogiuri, percettivo come sempre, e lei gli sussurrò un, “Valentina, devo dirglielo. Ma prima sistemiamo questa montagna di roba. Dai, apri la porta, maresciallo!”

 

“Agli ordini, dottoressa!”

 

Non appena Calogiuri ebbe girato la chiave nella toppa, si affrettò ad entrare, seguita da lui con in braccio un po’ di diavolerie voluminose.

 

Fece giusto in tempo ad arrivare in fondo al corridoio e a lasciare un secondo il bimbo a Calogiuri, per levarsi il cappotto, che Francesco aprì gli occhi, che si riempirono di lacrime, e cominciò i singhiozzi che precedevano il pianto, per poi scoppiare proprio in una sinfonia che te la raccomando!

 

“Ehi… ehi… guarda che Imma è qua, mica sparisce,” sentì Calogiuri sussurrargli, mentre lo faceva saltellare e lo voltava per far sì che Francesco la guardasse, “la vedi che è qua? E non va da nessuna parte, se no sono il primo che si unisce alla protesta, promesso.”

 

Si sentì afferrare la mano da quella libera di Calogiuri, che riusciva a bilanciare Francesco su un braccio solo, e poi appoggiare le dita sulla schiena del bimbo, insieme a quelle di lui.

 

Francesco smise di piangere e guardò tra tutti e due, confuso ma con un sorriso che gli spuntava sulle labbra.

 

“Tranquillo, Francé, da qua non ci muoviamo senza di te, almeno per un po’,” concordò ed un tocco umido sulla guancia, un bacetto di Francesco, le provocò un nodo in gola.

 

“Perché non dai un bacetto anche a Calogiuri?” chiese facendogli segno verso di lui, che ancora lo teneva in braccio, ma Francesco si corrucciò in un’espressione imbronciata, si voltò e ne diede un altro a lei.

 

“Preferisce baciare te che me, dottoressa, e non posso dargli torto o dire che non lo capisco,” ironizzò Calogiuri, sempre con quel tono dolce e meraviglioso, per nulla offeso o geloso.

 

Buono, come era sempre, ma con i bimbi era qualcosa di eccezionale. E sperava che continuasse ad esserlo, perché lì altro che la pazienza di Giobbe sarebbe servita e-

 

Un tocco alla caviglia per poco non le fece fare un salto e sentì un miagolio e un borbottio fortissimo vicini ai piedi.

 

Ottavia!

 

Si guardò con Calogiuri, preoccupata: non sapeva se sarebbe stata peggio lei o Valentina.

 

Anche perché non c’era stato tempo di prepararla, sempre se fosse mai stato possibile prepararla.


“Ottà…” la chiamò quindi, dirigendo lo sguardo al pavimento per incrociare i suoi occhi, stretti a fessura.

 

Aveva il pelo ritto sulla schiena e soffiava.

 

“Ottà… tranquilla… non succede niente. Questo è Francesco e starà con noi per… per un po’,” provò a rassicurarla.

 

“Magari sfrega ancora un po’ la mano sulla schiena di Francesco e fagliela annusare, così sente l’odore. E poi tu la prendi in braccio, io sto con Francesco e… proviamo a farli avvicinare sul divano.”

 

“Agli ordini, maresciallo!” rispose, sarcastica, dando più che volentieri qualche altra carezza al piccoletto.

 

E poi si abbassò, piano piano, allungando la mano verso Ottavia che, un pochino più tranquilla e non più in posizione da assalto, la annusò e… fece un’espressione schifata.


“E su, Ottà, che pensi di profumare di rose tu? Fammi capire!” esclamò ed Ottavia fece un miagolio offeso e le diede il sedere.

 

“E dai, Ottà, è stata una cosa improvvisa, non ti abbiamo potuto avvisare ma… come non abbiamo lasciato te alle oche, non potevamo lasciare lui alla gattamorta, pure se a te piace. O a Mancini.”

 

Si sentiva sempre un po’ scema a parlare con una micia ma era convinta che, in fondo in fondo, Ottavia in qualche modo la capisse.

 

E, infatti, al solo nominare il procuratore capo si voltò e soffiò, indignata. Poi guardò in alto, verso Francesco che per fortuna non aveva ripreso a strillare ma le osservava curioso.

 

“Allora, che dici se salutiamo Francesco?” le chiese ed Ottavia si produsse in un’espressione che pareva un se per salutare intendi che gli diciamo addio, va benissimo! che le fece, da un lato, venire da ridere e, dall’altro, capire che sarebbe stato un lungo, lungo, lungo lavoro.

 

Ma, alla fine, Ottavia si lasciò prendere in braccio, anche divincolandosi un poco, e sollevare al livello di Francesco, mentre lei e Calogiuri si avviavano verso il divano e ci si sedevano, per evitare il più possibile incidenti.

 

Ottavia squadrò il piccolo e due occhioni scurissimi la studiarono di rimando. E poi Francesco battè le mani, si esibì in un mezzo gorgheggio che le ricordò Noemi e provò, straordinariamente, ad allungare una manina verso Ottavia.

 

“Piano, piano,” lo istruì Calogiuri, intercettando la manina con la sua, avvicinandosi a Ottavia con una delicatezza a dir poco commovente, fino a far toccare dolcemente le ditina di Francesco con la fronte di Ottavia, per poi ritrarle subito.

 

Ottavia piegò il muso di lato e si avvicinò di più. Un’annusata a Francesco, alla quale seguì un’altra espressione mezza disgustata, ma alla fine gli diede una testata leggera sul petto e poi una leggera zampata sulla fronte, come a tastare il terreno, oltre a ricambiare il gesto di lui.

 

Francesco spalancò gli occhi un attimo e fece una faccia che temette scoppiasse in un altro pianto dei suoi.

 

Invece, lanciò un urletto sì, ma di felicità che, se per lei e Calogiuri era commovente, per la povera Ottavia e le sue orecchie sensibilissime dovette essere un trauma. La micia balzò fino a finirle sulle spalle e poi se la diede letteralmente a gambe, sparendo dentro al bagno, il suo regno.

 

Francesco la guardò, confuso, e poi riprese a singhiozzare e scoppiò di nuovo a piangere.

 

Mannaggia a te, Ottà! - sospirò anche se non poteva darle del tutto torto, anzi, mentre se lo riprendeva dalle braccia di Calogiuri, facendolo saltellare ancora un po’ e cercando di cullarlo per tranquillizzarlo il più possibile.

 

“Cerco di ritirare tutto, dottoressa, che magari coi suoi giochi è più facile distrarlo. E poi dobbiamo pure dargli la cena, secondo gli orari che ci ha lasciato Irene,” si offrì Calogiuri, solertissimo, “non ti preoccupare, preparo tutto io.”

 

“Dopo cena, Calogiù, c’è da chiamare Valentina, lo sai. Le chiedo di venirci a trovare domani.”

 

“Se vuoi le mando un messaggio. Che mi sa che… con questo sottofondo, se la chiami…”

 

E c’aveva ragione c’aveva!

 

Francesco, con i suoi polmoni, era uno spoiler vivente, come li chiamava sua figlia.

 

“Va bene, ma mandaglielo dal mio cellulare, che se no pensa subito a chissà che tragedia - anche se forse per lei lo sarà. Anzi, te lo detto, che tu sei troppo educato e capisce subito che non è farina del mio sacco, se glielo scrivi tu!”

 

Calogiuri rise e le prese il telefono dalla tasca, in un modo che le fece venire un mezzo brivido.

 

Ma con Francesco i bollenti spiriti avrebbero dovuto aspettare, si sperava non per troppo.

 

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“E dai, Francé, mangia, è buono, vedi?”

 

Prese il cucchiaino morbido morbido e finse di mangiare lei stessa un poco di quella sbobba a base di crema di riso, carote ed omogeneizzato di manzo, sforzando un mugugno fintamente soddisfatto che le ricordò gli ultimi mesi con Pietro, quando le era toccato fingere in certe circostanze - malamente perlopiù.

 

E come attrice non doveva essere migliorata di molto, almeno nell’esprimere entusiasmo, perché Francesco non le parve molto convinto.

 

“Tu vorresti una bella bistecca, eh, Francé? Ma è presto, prima devi farti venire tutti i denti e poi ci pensiamo.”

 

“Ma anche questo è buonissimo, vedi?” si inserì Calogiuri, prendendo anche lui il cucchiaino e fingendo assai meglio di lei, tanto che lo guardò, un po’ preoccupata da questa abilità interpretativa.

 

“Anni a dovermi mostrare entusiasta anche quando mamma ci dava le rape fritte, cercando di spacciarcele per patatine,” spiegò Calogiuri, che evidentemente aveva colto tutto.

 

“Beh… sulle patatine… ti sei rifatto dopo, Calogiù. Ma mo varietà fissa, materana, autoctona e DOP da qua all’eternità!”

 

Calogiuri rise, imbarazzato, ed accadde una cosa straordinaria: Francesco lo imitò, ridendo pure lui.

 

Pensò che fosse il momento perfetto per riprovarci, approfittando della distrazione, e gli mise il cucchiaio in bocca, inclinandolo leggermente per farlo mangiare.

 

SPLAT!

 

“Ahia!” esclamò, l’occhio destro che le bruciava da morire.

 

Sollevò la mano, cercando di pulirlo dalla poltiglia disgustosa.

 

Francesco non solo aveva sputato, ma lo aveva fatto con una precisione da cecchino. Mo sembrava un poco dispiaciuto, ma c’aveva anche un mezzo sorrisetto che non prometteva niente di buono.

 

“Francé!” esclamò, afferrando il fazzoletto portole da Calogiuri per ripulirsi del tutto.

 

Inspirò profondamente, scuotendo il capo quando Calogiuri le chiese se potesse provarci lui: ormai era una questione di principio.

 

Riprese il cucchiaino e provò a fare l’aeroplanino, pur sentendosi scema, poi assecondò Calogiuri nel cominciare a fare facce e versi buffi.

 

“E dai che è buono…. gnam!” esclamò, pregando che non ci fossero più cimici in casa loro, perché se no la sua reputazione sarebbe stata distrutta per sempre, posandogli infine il cucchiaino sulle labbra.

 

Ma Francesco, piangendo, diede un colpo di mano al cucchiaino, e poi-

 

SPLAT!!

 

La cosa positiva fu che non si era trattato di uno sputo, almeno.

 

La cosa negativa era che Francesco aveva piantato direttamente due manate nella pappa, facendola schizzare ovunque, tanto che Calogiuri aveva faccia e capelli mezzi coperti di sbobba arancione.

 

Non poteva vedersi ma, a sensazione, anche per lei doveva essere lo stesso. Non solo, ma si erano sporcati pure i vestiti.

 

In tutto quello, Francesco rideva come un matto, mentre li guardava. Per giunta, riprovò a dare un’altra manata ma, fortunatamente, lo bloccò appena in tempo.


“Eh no, Francè, una volta mi freghi, due no!” esclamò, levandogli il piatto, prima che potesse prodursi in altri schizzi, “e comunque mo Irene mi sente, che voglio capire se facevi così anche con lei o se mangiavi.”

 

Francesco, vedendosi togliere il giocattolo, emise un paio di singhiozzi di protesta, ma poi, forse al sentirla così incazzosa, si azzittì e ricominciò a ridere - doveva stare proprio ridotta male!

 

Meooooow

 

Il colpo di grazia glielo diede Ottavia, che si era avvicinata quatta quatta e stava assaggiando la pappa dal pavimento.

 

Un paio di leccate e fece un rumore tipo quando aveva una palla di pelo da sputare, tirando fuori la lingua con un’espressione che rivaleggiava quella di lei quando la portavano in un ristorante stellato.

 

E poi, con un’occhiata del tipo te credo che gli fa schifo! si allontanò di nuovo, con la coda alzata.

 

“Eppure ho seguito tutte le istruzioni, dottoressa. Mi dispiace!” esclamò Calogiuri, mortificato.


“Dubito che sia una questione di esecuzione qua, Calogiù, che è tutta roba pronta, ma delle istruzioni stesse, anzi delle materie prime. Dobbiamo trovare qualcosa che gli faccia meno schifo. Ma intanto che gli diamo?”

 

“Un po’ di formaggio? Magari quello lo mangia e per le verdure ci pensiamo domani. Tanto dopo ha il latte.”

 

“Noemi ti ha insegnato per bene, vedo. Ebbravo Calogiù!” esclamò, cercando di ripulire il più grosso prima di avviarsi con lui ad analizzare il contenuto del frigo, in cerca di qualcosa di più commestibile.

 

*********************************************************************************************************

 

SCIAFF! SCIAFF!

 

“Qua ci vorrebbero gli occhialini da nuoto! Mannaggia a te! Ti piace proprio fare gli schizzi, eh?”

 

Per tutta risposta, Francesco scoppiò in una serie di risolini soddisfatti, prima di provare a dare un’altra manata all’acqua della vaschetta.

 

“Conviene che la prossima volta o io o te ci facciamo direttamente la doccia insieme a lui. Tanto il risultato finale non cambia: siamo lavati uguale. E almeno ci evitiamo l’allagamento.”

 

“Ci volevano i bagni giapponesi qua, Calogiù, che tutto il bagno è una doccia praticamente, a prova di laghi. Ma fammi capire, Francé, facevi così anche con Irene o lo fai solo con noi, per compensare il fatto che urli di meno?”

 

Francesco rise ancora, divertitissimo, anche quando Calogiuri lo sollevò dalla vasca e lo avvolse nel piccolo accappatoio.

 

“Magari alcune cose le faceva la tata e non Irene?”

 

“O magari Irene ha omesso i dettagli meno visibili per timore che non lo prendessimo con noi?” ribatté lei, meno propensa a pensare il meglio delle persone, anche se effettivamente aveva senso che Irene avesse cercato di delegare il più possibile alla tata o a Ranieri.

“E dai, dottoressa, è solo il primo giorno. Ce la faremo!”

 

“E lo dici a me? Manco hai visto niente ancora, maresciallo! Ma, se è come Valentina, per perdere le brutte abitudini gli ci vorrà giusto il tempo per acquisirne altre di peggiori. Vero, Francé?”

 

E lui rise di nuovo, in un modo che, nonostante tutto, le aprì il cuore.

 

Non lo aveva mai visto ridere così e quello, in fondo, considerata la situazione, era già un risultato, anche se probabilmente rideva di loro e non con loro.

 

“Se vuoi fare la doccia, dottoressa, una doccia vera, io intanto asciugo il campione di pallavolo qua, che c’ha una schiacciata micidiale, e se riesco lo porto a letto. Poi è il mio turno.”

 

“V- va bene, ma… ma se piange…”

 

“Se piange lo senti, dottoressa, e comunque piano piano si abituerà a non averti sempre in linea visiva. Magari puoi parlare, così sa che stai ancora qua.”

 

“Sì, facciamo prima a farmi una registrazione audio, Calogiù, per conservare la voce,” ironizzò, dando un’ultima carezza alla testolina bagnata di Francesco, prima di levarsi più che volentieri gli abiti insozzati e bagnati ed infilarsi sotto al getto caldo e ristoratore.

 

*********************************************************************************************************

 

“Eccola qua, lo vedi che non è sparita?”

 

Aveva udito qualche principio di pianto e quindi aveva fatto di corsa, pure se si era dovuta lavare i capelli.

 

Ma mo, turbante in testa ed accappatoio, si lasciò cadere sul letto dove già stava Calogiuri - in boxer mannaggia a lui! - insieme al piccoletto.


“Dai, vai a lavarti, maresciallo, ti aspetto qua!” esclamò, dopo essersi infilata rapidamente la camicia da notte ed aver levato l’accappatoio: se lui la torturava, pure lei poteva fare lo stesso.

 

Ammirò per un secondo Calogiuri allontanarsi - il disgraziato, gliel’avrebbe fatta pagare prima o dopo, che Francesco mica poteva piangere sempre! - e poi si distese accanto al bimbo, che la guardava con quegli occhioni che erano l’esatto opposto di quelli di Calogiuri, ma altrettanto teneri.

 

“Allora, hai intenzioni di lasciarci dormire o no?” gli chiese, accarezzandogli la pancia, e Francesco rise e poi gattonò ancora più vicino a lei, arrampicandosi sulla camicia da notte, fino a stendersi sulla sua di pancia.

 

“Vuoi proprio il contatto fisico, eh?” sospirò, anche se… il peso dolce che sentiva sul petto non era soltanto quello del piccolo.

 

Gli baciò di nuovo la testolina, chiedendosi quale tipo di droga potente la natura mettesse nell’odore dei bimbi piccoli, per renderli così irresistibili e rincretinire uomini e donne a prendersene cura, nonostante la perenne ed irriducibile rottura di scatole.

 

Ma tant’era, si era sciolta lo stesso.

 

Dopo un tempo indefinibile, passato a coccolare e cercare di far addormentare il piccolo schiacciatutto, sentì Calogiuri tornare. Sollevò gli occhi e… quello che lesse in quelle iridi azzurre era la cosa più incredibile, più potente che avesse mai provato. E con Calogiuri era tutto dire.

 

Altro che superenalotto! La fortuna di Bill Gates si era guadagnata a conoscerlo!

 

Calogiuri, finalmente in boxer e maglietta puliti, si infilò nel letto. Imma si voltò leggermente, sia per guardarlo in faccia, che per mettere Francesco più al sicuro, in mezzo a loro, pur continuando ad accarezzarlo, per evitare che piangesse. Del resto, lui le stava schiacciato al fianco, senza far passare un millimetro d’aria, anche se Calogiuri aveva lasciato un certo spazio di sicurezza tra loro.

 

Dita all’altezza dell’anca ed era Calogiuri, che le prese la mano per posarci un bacio dolce, venerante, poi le accarezzò tutto il braccio da cima a fondo, facendoci correre un brivido. Infine un tocco dolce sul viso, prima di un bacio della buonanotte che… gliel’avrebbe fatto scontare, con gli interessi, non appena fossero stati meno stremati e Francesco si fosse fatto un bel pisolino diurno, che non era il caso di rischiare mo, anche perché sembrava essersi addormentato, finalmente.

 

E quindi, in quella specie di mezzo abbraccio, le dita intrecciate, cercarono di trovare pure loro il sonno. Stava nuotando in un dolce dormiveglia quando avvertì un peso sui piedi e ci trovò Ottavia che, mo che Francesco era calmo, si piazzò tra le loro gambe, poco sotto al bimbo, come per fare la guardia a tutti loro, oltre che per marcare il territorio.

 

Una grattatina alle orecchie congiunta con Calogiuri e gli occhi le si appannarono al solo pensiero di quante cose belle stessero accadendo loro. Come se la vita finalmente li stesse ripagando di tutto.

 

Di certo prima o dopo l’avrebbero scontata con altri casini ma… nel frattempo, si sarebbe goduta in pieno quel miracolo che era la sua famiglia.

 

*********************************************************************************************************

 

“Mamma! Ma che è successo? Come mai questa convocazione?”

 

“Non posso solamente voler vedere mia figlia?” chiese, in quella che era una domanda retorica, perché Valentina rispose con un sopracciglio alzato della serie come no!

 

La conosceva troppo bene, del resto ormai erano 21 anni che cercavano, forse senza mai trovarlo del tutto, un equilibrio a quel rompicapo delicatissimo che era il loro rapporto.

 

Manco a farlo apposta, come a sbugiardarla e a farle chiedere se anche con lui il rapporto sarebbe stato così complicato - sempre se fosse rimasto con lei e Calogiuri il tempo necessario per scoprirlo - i singhiozzi di Francesco squarciarono l’appartamento.

 

E certo, l’aveva vista andare alla porta e non tornare per ben un minuto, e già piangeva.

 

Ma non era colpa sua, lo sapeva bene, sballottato com’era stato fin dalla nascita. E, in fondo, che volesse lei e solo lei le faceva bene al cuore anche se… era pure una preoccupazione. Almeno con Calogiuri sembrava comunque abbastanza tranquillo, più che con Irene e Ranieri di sicuro.

 

“Ma… ma cos’è sto pianto? Che avete un vicino con un bimbo piccolo?”

 

“Non proprio… ma dammi il cappotto e… e vieni in salotto, dai, che parliamo meglio.”

 

“E di che cosa dovremmo parlare?” domandò Valentina, confusa, ed Imma non perse tempo a mollare il cappotto sul primo gancio, in modo da precederla nei pochi passi che la separavano dal salone.


“Di… di questo…” proclamò, indicando il divano dove Calogiuri stava cercando di tranquillizzare il piccolo, che si bloccò e guardò prima verso di lei, con un sorrisone, e poi verso Valentina, studiandola con attenzione.

 

“Ma di chi è sto bimbo? Che succede?” chiese Valentina, tra l’incredulo ed il tono che aveva quando sapeva che una notizia probabilmente non le sarebbe piaciuta.

 

“Lui è Francesco e… e che non esca da qua, Valentì, ma… è il figlio di Melita. Non so come mai ma, da quando l’abbiamo trovato, mi ha presa in simpatia e… fino a mo è stato a casa di una collega, ma la stava facendo impazzire, mentre con me è relativamente più calmo. E quindi… ce lo hanno dato in affido, almeno temporaneamente, finché non si capisce se… se sua madre si potrà riprendere o meno… altrimenti…”

 

“Altrimenti… ve lo terreste voi?” le domandò, dritto in faccia, tanto che dovette deglutire per trovare un poco di saliva.


“Diciamo che… è presto per dirlo, Valentì, bisogna vedere come si trova con noi e cosa decidono gli assistenti sociali. Però… se Melita non si riprendesse e Francesco continuasse ad essere sereno con noi… sì, potremmo prolungare l’affido e magari un giorno, dopo che saremo sposati ed avremo tutti i requisiti di legge, chiedere l’adozione. Ma è troppo presto per dirlo.”

 

Fu il turno di Valentina di deglutire, un paio di volte, guardando in basso.


E poi si sentì afferrare la mano sinistra e Valentina commentò, “sposarvi… vedo che l’anello è tornato. E quindi avete già deciso pure per il matrimonio, mo?”

 

“Non sappiamo ancora quando, Valentì, ma sì, ci sposeremo. Ma pensavo che… che tu non fossi contraria. Nemmeno al fatto che… che avremmo provato, in un modo o nell’altro, ad allargare la famiglia.”

 

“Altro che allargare! Questa famiglia ormai sta diventando una squadra di calcio!” ironizzò Valentina, un poco amara, e si chiese se si riferisse a suo padre con Rosa e Noemi.

 

Ma poi Valentina si voltò, guardò fisso verso Calogiuri e gli disse, “a me basta che non me la fai più soffrire. Se no, altro che allargare… al massimo dovrai farti stringere i pantaloni, nella zona del cavallo!”

 

Il segno delle dita, a mo di forbice, fu chiarissimo, tanto che Calogiuri fece una smorfia e rabbrividì leggermente, mentre Francesco la guardava sempre più curioso.

 

“E comunque… devo dire che c’hai avuto coraggio, oltre che una grande dose di masochismo, a chiederle di sposarti di nuovo.”

 

“Veramente… veramente gliel’ho chiesto io, e poi me lo ha richiesto lui,” spiegò, un poco imbarazzata e, di fronte allo sguardo stupito di Valentina, Calogiuri le mostrò l’anello, al quale subito si attaccò Francesco, per giocarci, “insomma… dopo che glielo avevo tirato dietro il mio di anello, e che avevo dubitato di lui… era giusto che fossi io a fare questo passo.”

 

“E l’idea del bimbo, di chi è stata invece?”

 

“Di tutti e due,” pronunciarono, in perfetto unisono, senza nemmeno volerlo, sorridendosi, un poco commossi.

 

“Il diabete è tornato, ho capito!” sospirò Valentina, mettendosi poi a sedere vicino a Calogiuri, e proclamando, scuotendo il capo, “certo che pure tu… veramente vuoi crescere il figlio della donna che quasi ti ha mandato in galera? Io a volte non ti capisco, non vi capisco.”

 

“Ma Melita era disperata e poi… e poi Francesco non c’entra niente. E se vuole stare sempre con tua madre… come posso non capirlo?” scherzò Calogiuri, facendo segno ad Imma di sedersi accanto a lui.

 

E lei lo fece, piantandogli un bacio sulla guancia e dando poi una piccola carezza a Francesco.

 

“Altro che diabete! Da coma proprio!”

 

Ma, nonostante le parole dure di Valentina, o forse proprio per quelle, Francesco fece un risolino ed allungò una manina verso di lei, curioso come una biscia.

 

Valentina sospirò ma poi, col fiato sospeso, Imma la vide porgergli giusto il dito indice e lasciarglielo afferrare, con uno “stringe forte, però!” che forse non era esattamente una benedizione ma le suonava quantomeno come una piccolissima apertura.

 

“Comunque… che vi devo dire? Almeno me lo avete detto prima che lo scoprissi da altri,” commentò Valentina e la frecciatina, anzi la faretra lanciata verso Pietro era lampante, “per il resto, scordatevi che vi faccia da baby sitter, che non esiste proprio. Ma almeno, visto il caratterino che tiene, mi sa che se dovrò venirvi a trovare all’improvviso, non dovrò più preoccuparmi di trovarvi occupati in… certe attività.”

 

Francesco fece un’altra risata e lei si guardò con Calogiuri, appoggiandoglisi con la fronte alla spalla, per farsi forza a vicenda.

 

“Il carattere in questa famiglia non manca proprio, dottoressa, e menomale!” le sussurrò lui, con un orgoglio che le fece davvero credere che sì, sarebbe riuscito a sopportare tutto e a starle sempre accanto, senza stancarsi mai.

 

Lei di lui… come faceva a stancarsi? Era proprio impossibile.

 

E, a dispetto di quanto poteva pensare Valentina… ai momenti in bianco… avrebbe trovato in ogni modo tempo e spazio per affiancare sempre quelli rosso fuoco.

 

Quanto era vero che si chiamava Imma Tataranni.

 

*********************************************************************************************************

 

“Tranquillo, che stai benissimo. I maschietti ti invidieranno tutti e… spero che le colleghe femmine se ne stiano al posto loro, o che ce le rimetta tu.”

 

Calogiuri le sorrise, bello come il sole, dopo aver chiuso anche l’ultimo bottone della camicia.

 

Quella mattina cominciava il corso da ufficiale e lo vedeva che era emozionatissimo, e lo capiva pure.

 

“Il mio posto è solo qua, dottoressa,” le rispose, in quel modo da reato che aveva lui, schioccandole un bacio e poi dando una carezza a Francesco, che stava appollaiato in braccio a lei, da quando si era svegliato reclamando il latte, giusto in tempo per fare loro da sveglia, “anche se… mi sa che qualcuno sarebbe solamente felice di averti tutta solo per sé. Vero, Francè?”

 

Francesco gorgogliò ma lei rispose con un, “ma io no!”, seguito da un altro bacio.

 

“Fatti valere, maresciallo, che così vorrà dire che presto dovrò abituarmi a chiamarti capitano!”

 

“Agli ordini, dottoressa!” rispose lui, decisissimo e fierissimo, prendendo lo zaino con tutto il necessario per il corso ed uscendo di casa con il piglio di chi andava a vincere una battaglia.

 

“Intanto che Calogiù torna, mi dai una mano a sbrigare un po’ di commissioni per il matrimonio? Che qua abbiamo giusto giusto un po’ di potenziali fornitori da assordare, se non ci fanno un buon prezzo. E poi dobbiamo andare a fare la spesa per te, prima che ci fai di nuovo un’altra… maschera di bellezza.”

 

Francesco rise e le rimase attaccato al collo. Pregando che la schiena le reggesse, si mise sul divano, piazzandoselo sulle ginocchia, sopra al cuscino che per fortuna Irene le aveva procurato, ed afferrò il telefono per cominciare una lunga, lunga serie di chiamate.

 

*********************************************************************************************************

 

“Questo è il maresciallo Ippazio Calogiuri. Da oggi si unirà ufficialmente al nostro corso. Lì c’è una sedia libera, maresciallo.”

 

Fece il segnale di saluto all’istruttore, suo superiore, e si avviò verso il posto designato.

 

Ma, se al precedente corso, quello da maresciallo, nessuno si conosceva al primo incontro ed era stato trattato sempre bene da quasi tutti, notava ora benissimo occhiate curiose, alcune ostili, altre maliziose, altre stupite.

 

E sentiva mormorare sottovoce tra i suoi compagni, che neanche le comari del paese, parole come “il puttaniere” o “quello che si è fatto mezza procura” o “quello che sta con quella vecchia” o “il raccomandato” e chissà che altro.

 

No, non era stata proprio un’accoglienza delle migliori, anzi.

 

Pure il suo compagno di banco, un biondino occhi azzurri dal forte accento altoatesino, lo aveva salutato freddamente e si era allontanato ancora di più con la sua sedia, manco fosse contagioso.

 

Il vecchio Calogiuri avrebbe taciuto, subito, subito, subito e solo dopo risposto coi fatti.

 

Il nuovo Calogiuri invece avrebbe risposto coi fatti, certo, e si ripromise di dimostrare a tutti chi era, ma l’idea di subire in silenzio, un’altra volta, non gli passò nemmeno per la testa.

 

E quindi alzò la mano e quando l’istruttore gli chiese, “sì, Calogiuri? Ha bisogno di qualche chiarimento?”

 

“In un certo senso… mi chiedevo, in Italia esistono ancora tre gradi di giudizio e si è considerati innocenti fino a condanna definitiva, giusto? Perché, e ci tengo a chiarirlo a tutti, non sono mai stato rinviato a giudizio e non risulto più nemmeno indagato. Oltre ad aver vinto un concorso per essere qui, come tutti voi. E voglio soltanto che mi sia data la possibilità di studiare e di provare coi fatti che mi merito di stare qua. Se qualcuno però avesse dei dubbi sul mio casellario giudiziale o sulla mia vita privata, può farmeli presente direttamente e sarò felice di rispondervi per quanto posso, che almeno abbiamo pure occasione di conoscerci.”

 

Ci fu un attimo di silenzio tombale. Pure l’istruttore sembrava preso in contropiede e lo guardò in un modo strano.

 

Forse aveva esagerato?

 

"Riguardo all'attitudine al comando comincia bene, maresciallo. Quindi mi limiterò solo a ricordare a tutti che insinuare che l'Arma possa fare favoritismi o raccomandazioni è un insulto alla divisa che rappresentate e a voi stessi, che siete qua per vostri meriti, come il maresciallo. E ora al lavoro. Maresciallo, mi aspetto da lei che, oltre a studiare il materiale nuovo, recuperi tutto il programma perso entro un mese al massimo, perché le servirà per gli argomenti successivi. Ci siamo intesi?"

 

Era arrivato che erano già circa a metà corso, quindi sarebbe stata una vera impresa recuperare tutto in così poco tempo. Ma poteva e doveva farcela, per se stesso, per Imma e per il loro futuro.

 

“Signorsì.”

 

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SPLAT!

 

Si girò appena in tempo perché lo schizzo di crema di tapioca, mista a zucchine e merluzzo frullati, le prendesse la guancia e non di nuovo l’occhio.

 

“Qua dobbiamo procurarci gli elmetti e le tute da saldatore, Calogiù. O quello o legarlo,” ironizzò, perché anche quella pappa, fatta con ingredienti più freschi, era stata completamente schifata da Francesco.


Ma non potevano mica andare avanti a formaggini, latte, riso, semolino e pastina, le uniche cose che sembrava mangiare volentieri.

 

“Forse dobbiamo sentire la tata di Irene, per capire come faceva. Sempre se alla fine per disperazione non gli dava pure lei solo poche cose. E magari portarlo dalla pediatra?”

 

“Prenderò appuntamento…” sospirò Imma, ripulendosi alla meglio, dopo avergli levato il piatto dalla portata di schiaffo, mentre Francesco rideva come una pasqua, almeno lui.

 

Un meooowww ed un rumore di strozzamento la portarono a guardare il pavimento dove, di nuovo, Ottavia aveva fatto il controllo qualità ed era il volto stesso del disgusto.

 

“Ottà, lo capisco, ma non c’ha ancora i denti e-”

 

Ottavia, per tutta risposta, se la diede a gambe levate - eccallà! - e lei si sentì un po’ scema a difendere la sua cucina con una gatta.

 

Ma Valentina aveva sempre mangiato volentieri quasi tutto, Noemi manco a dirlo - quella pure il piatto si sarebbe fagocitata, potendo! - e quindi non sapeva bene come fare.

 

Mentre lei e Calogiuri stavano pulendo il più possibile il disastro, prima dell’ennesima doccia insieme a Francesco - che altro che il risparmio energetico! Tempi gloriosi quelli! - sentirono un rumore strascicato sul pavimento ed Imma si voltò e si trovò davanti Ottavia, che spingeva una lattina di salmone.

 

Le venne da ridere e allo stesso tempo da commuoversi, anche perché Ottavia aveva un’espressione della serie dategli questa che almeno la smette di rompere!

 

“Grazie, Ottà, ma il cibo per gatti non glielo possiamo dare e nemmeno il salmone, ma-”

 

“Ma cose un poco più solide di così, sì. Magari… invece di mischiarle come pappa, possiamo provare se le gradisce di più sminuzzate ma non in brodo? Ho letto che a quest’età si può cominciare a fare. E in effetti non ci abbiamo ancora provato. Ci sono le spigole per noi due… potremmo tenerne un poco da parte per lui e provare, no? Magari gliene faccio un filetto al vapore?”

 

“E quando hai avuto il tempo di leggere tutte queste cose, eh? Che devi studiare!”


“In pausa pranzo, su internet. Stai tranquilla che studio, studio. Dopo che dorme mi ci metto sotto, promesso.”

 

“Ed io ti do una mano, maresciallo. Per il resto, se vuoi fare masterchef accomodati pure, io vado a farmi una doccia con il nostro buongustaio qua. Il palato fino, tieni, eh?”

 

Gli occhioni di Francesco, un bacetto ed un risolino, le diedero la forza necessaria per non perdere troppo la pazienza.


Ruffiano che era, quando voleva!

 

*********************************************************************************************************

 

“E bravo! Allora il pesce ti piace, eh? Ma è la consistenza molliccia che ti fa schifo. Prova pure un pezzettino di questo,” disse Calogiuri, dandogli una lacrima di prosciutto cotto, dopo il mini boccone di branzino, che Calogiuri stesso aveva sminuzzato e deliscato con una precisione ed una cura che erano meglio di qualsiasi dichiarazione d’amore.

 

E Francesco si afferrò pure il pezzetto rosa e lo mangiò con un gusto tale che picchiò sì le manine, ma sul seggiolone, come a dire ancora, ancora!

 

“Prima un poco di riso in bianco con le zucchine,” proseguì Calogiuri, e pure il riso lesso con i pezzetti di zucchina dentro fu mandato giù senza proteste.

 

Calogiuri le lanciò uno sguardo, sollevato ed orgogliosissimo, e non potè fare a meno di sorridere pure lei - anche se per certi versi il fatto di essere stata presa solo lei, letteralmente, a pesci in faccia, le bruciava un poco, e non solo all’occhio.

 

Ma… oltre ad essere un sollievo il fatto che Francesco mangiasse e senza imbrattare mezza cucina, vedere Calogiuri così, tutto concentrato, coperto da un asciugapiatti a mo di paraschizzi, che lo imboccava con una delicatezza e con una soddisfazione a dir poco commoventi… le provocava quel qualcosa al petto che solo lui sapeva smuoverle.

 

Tanto che si trovò, per l’ennesima volta, con la vista un po’ appannata.

 

Calogiuri era un papà perfetto, proprio come se lo era sempre immaginato. E anche Francesco, pur preferendo lei, ne stava piano piano venendo conquistato, non che avrebbe potuto essere altrimenti.

 

Erano diventati genitori senza nemmeno rendersene conto, anche se forse non sarebbe stato per sempre ma… alla fine era come se quel figlio tanto sognato fosse arrivato, pure senza conti e patemi d’animo sull’ovulazione, ed i cicli e-

 

Il pensiero le si bloccò nella mente, perché una specie di interferenza, quella che di solito le forniva qualche rivelazione sulle indagini, precedentemente sfuggita, le aveva quasi fatto fare un salto.

 

Il ciclo!

 

Estrasse il cellulare dalla tasca e cominciò ad andare all’indietro col calendario, perché gli ultimi cicli, tra che erano sempre giunti con molto ritardo ed irregolarissimi, ed il fatto che aveva avuto altro a cui pensare, non li aveva proprio segnati sull’app apposita che si era convinta a scaricare durante tutte le cure, inutili, per rimanere incinta.

 

Riuscì, in base agli impegni di lavoro ed agli eventi, a ricostruire più o meno quando erano arrivati negli ultimi mesi, dopo tutto il casino con Calogiuri, e l’ultimo… l’ultimo era stato ormai sette settimane prima, giorno più giorno meno.

 

O era in enorme ritardo un’altra volta, o sarebbe proprio saltato quel mese.

 

Sospirò: del resto la menopausa si avvicinava inesorabilmente e tutto lo stress di sicuro non aveva aiutato, anzi.

 

Ma, prima di pensare ufficialmente alla menopausa e di allarmare Calogiuri, avrebbe aspettato di vedere che cosa sarebbe successo da lì a qualche settimana.

 

Menomale che c’era Francesco!



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci qua, alla fine di questo capitolo, il numero settanta. Ancora non ci credo di averne scritti così tanti e, soprattutto, che siate arrivati fino a qua a leggermi, dopo tutto questo tempo e tutte queste vicende che ho cercato di fare del mio meglio per rappresentare.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia intrattenuto e che sia risultato realistico, per quanto possibile, seppur con qualche piccola “licenza” sull’affido, anche se al momento assolutamente temporaneo.

Per chi non amasse le scene con bimbi e pargoli in genere, vi voglio rassicurare che da qua alla fine non si parlerà solo di pappe, pannolini e quant’altro, anzi, ma che ci sono ancora diversi eventi che devono accadere, sia come giallo che come rosa e che la parte “infanzia” sarà solo appunto una piccola parte della narrazione, che cercherò di mantenere sempre il più varia possibile, sia come toni che come temi. Anche nel prossimo capitolo succederanno eventi molto importanti e molto attesi, mentre ci aspettano più salti temporali da ora in avanti.

Ringrazio tantissimo tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite e le seguite.

Un grazie infinito a chi ha speso un po’ del suo tempo per lasciarmi una recensione. Come sempre le vostre parole mi sono preziosissime per capire come sto andando con la scrittura e cosa vi piace di più e cosa vi convince di meno. Oltre a darmi la carica per proseguire.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare domenica 13 marzo. In caso di ritardo ve lo comunicherò, come sempre, sulla mia pagina autore.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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