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Autore: Amatus    28/02/2022    0 recensioni
[GreedFall]
Élodie De Sardet è una giovane di buona famiglia, impermeabile agli intrighi di palazzo ma prona ai moti di un cuore fin troppo leale.
Kurt per sopravvivere cede la propria lealtà al miglior offerente e tiene a bada un cuore che ha subito le ingiurie del tempo. Niente di più lontano, niente di più vicino.
Una storia che non pretende niente di più che indugiare in piccoli, più o meno teneri, missing moments.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Just a castaway, an island lost at sea, oh
Another lonely day, with no one here but me, oh
More loneliness than any man could bear
Rescue me before I fall into despair, oh

The Police - Message in a bottle 

Che Élodie De Sardet fosse una ragazzina sveglia e piena di vita lo si sarebbe potuto capire a prima vista e a un miglio di distanza. Non sarebbe servita una conoscenza troppo più accurata per riconoscere in lei un animo insolitamente generoso. E non poco naive avrebbe aggiunto Kurt. Suo cugino, altrettanto sveglio, ma molto meno ingenuo, avrebbe invece suscitato nella Guardia del Conio una certa antipatia, se non avesse avuto un naturale fascino che portava chiunque a provare una inevitabile tenerezza nei suoi confronti. Forse per la sua natura delicata, per i suoi occhi tristi, nonostante gli innumerevoli sforzi di mascherare il dolore o forse per la paura che si leggeva in ogni suo gesto. Per Kurt non era difficile leggere dietro il suo contegno frivolo una sofferenza profonda a cui il ragazzino probabilmente non avrebbe saputo dare un nome per molti anni a venire, ma che al soldato risultavano ben più che familiari.

 Certo era che dover insegnare l’arte del combattimento a quei due monelli era suonata inizialmente come una punizione. E per quanto avesse imparato man mano a vedere il lato positivo di quell’assegnamento, che stava tutto nella natura allegra, piacevole e coinvolgente dei suoi giovani allievi, l’idea di vivere in un palazzo e dover trascorrere il suo non poco tempo libero tra nobili altezzosi aveva continuato a riempirlo di frustrazione e sconforto.

 L’idea di avere a che fare con due quindicenni viziati, poi, era sembrata in prima battuta una vera e propria tortura. Aveva inizialmente pensato che in quel modo il capitano volesse dargli una lezione per le sue azioni sconsiderate o per il brutto carattere per cui andava famoso in caserma. 

 Ma avvicinarsi a quei due aveva dato modo a Kurt di riflettere sui suoi pregiudizi. Nessuno dei due ragazzini era lo specchio di ciò che si sarebbe aspettato da due rampolli di altissimo rango. Lei, una ragazzina avventata apparentemente dimentica di sé, capace letteralmente di gettarsi dall’alto di una torre pur di proteggere il cugino. Una delle migliori spadaccine che avrebbe potuto addestrare, era sorprendente vederla muoversi con agilità tra un fendente e l'altro. Sembrava completamente incapace di provare paura per la propria incolumità. L’aveva vista ridere di cuore alle battute scurrili dei cadetti che a volte si univano a loro nell’addestramento, e prendere a pugni dei giovinastri altezzosi che osavano prendersi gioco di Constantin davanti a lei. Con la stessa naturalezza l’aveva vista aggirarsi nelle sale allestite come bomboniere, muovendo passi sicuri e pronunciando parole composte. Aveva sentito molti, giovani e meno giovani, sussurrare rozzi commenti sul suo viso marchiato e l’aveva vista reagire agli insulti con una compostezza tale da non tradire la sua giovane età. In Constantin aveva invece imparato a riconoscere i segni di soprusi crudeli, se non brutali, la paura e la voglia di riscatto che spesso ugualmente si esprimevano in un pianto orgoglioso ma irrefrenabile. Non lo sorprendeva che i due non avessero che l’un l’altro su cui contare. Quel palazzo era un covo di serpi e loro due troppo autentici per sopravvivere. Non fu difficile per Kurt trovare sufficiente motivazione nel dare ai due ragazzi gli strumenti necessari per difendersi e per sopravvivere in quel mondo tanto violento da risultargli familiare.

  Nonostante il contesto solo apparentemente di bambagia, i due ragazzi erano sembrati a Kurt poco più che bambini, lui alla loro età aveva già visto molte battaglie, loro avevano invece conservato una certa attitudine fanciullesca: una curiosa mescolanza di purezza, ottimismo e ottusa ostinazione a vivere solo nel presente. Li aveva comunque visti crescere ad una velocità inattesa, cicatrici più o meno visibili a coprire la loro pelle e a nascondere sempre più lontano dagli occhi la fiducia infantile verso chiunque non fosse uno di loro due. Man mano che i due iniziarono a farsi più grandi le cose si facero più complicate. Constantin aveva iniziato a disprezzare apertamente suo padre e le sue decisioni, cogliendo ogni occasione per portare discredito e vergogna sul buon nome della sua famiglia. Élodie, di contro, aveva iniziato ad agire come una vera guardia del corpo, rischiando per lo sconsiderato ragazzo molto più del dovuto. Il ragazzo non era mai diventato abile quanto lei nel combattimento, aveva senz’altro un’ottima mira e dei buoni riflessi che lo rendevano un eccellente pistolero, ma dopo due ore spese in taverna mira e riflessi non potevano essergli d’aiuto, lei invece poteva.

 Era uno spettacolo piuttosto consueto vedere Constantin in taverna circondato da gente di ogni risma, spesso meschini signorotti pronti ad approfittare della munificenza del giovane principe bevendo, mangiando e godendo di donne e uomini pagati dal ragazzo. Élodie De Sardet, di solito osservava suo cugino da lontano non amando particolarmente il frastuono e le risate che si alzavano dalle comitive troppo numerose, ma non osando lasciare il ragazzo da solo. Kurt l’aveva vista spesso bere e conversare allegramente con soldati e cadetti, di cui sembrava di gran lunga preferire la compagnia, ma senza mai perdere d’occhio il ragazzo. A volte, quando la compagnia attorno al ragazzo era più rumorosa ed evidentemente più pericolosa, De Sardet rimaneva da sola con gli occhi bassi e le orecchie tese. In quelle serate il boccale rimaneva quasi pieno davanti a lei. 

Era in una di queste sere che Kurt si era andato a sedere al suo tavolo.

  “Green Blood, che fai qui tutta sola, i miei cadetti ti hanno abbandonata? Posso andare e rimproverarli e trascinarli qui, se vuoi.” 

Élodie sollevò appena lo sguardo dal boccale e accennò un sorriso riconoscendo il suo maestro d’armi.  “Non devi avere una grande fiducia nelle mie capacità se credi che abbia bisogno delle tue minacce per assicurarmi un po’ di compagnia.”

Kurt rispose al sorriso che aveva accompagnato le parole della ragazza con una sonora risata.

 “Non mi sorprenderebbe scoprire che i caproni che frequentano questo posto non sappiano riconoscere una buona compagnia.”

 “Caproni? Non saprei proprio dove trovare compagni migliori.” Élodie aveva accompagnato le parole con uno sguardo di sfida ma questo fu subito rimpiazzato da uno sguardo intenso e serio, lo stesso che aveva avuto fin da ragazzina. Uno sguardo che era sembrato fuori luogo sul viso della quindicenne che Kurt aveva conosciuto ormai 6 o 7 anni prima e che rimaneva comunque stranamente spiazzante sul volto della giovane donna. Il colore quasi nero dei suoi occhi sfumava in un grigio innaturale dando al volto un aspetto ferino capace di incutere timore e rispetto, soprattutto quando la ragaza assumeva quella particolare espressione.  

 Dal tavolo accanto si era alzato un coro di voci alterate e Kurt vide la ragazza serrare la mascella e tendersi tutta, come faceva in allenamento prima di sferrare un attacco. La mano pronta ad afferrare la spada e le orecchie tese in ascolto. 

 “Riposo soldato.” Kurt aveva cercato senza troppo successo di spezzare la tensione, ma la ragazza aveva risposto solo allontanando la mano dall’elsa e riportandola senza convinzione sul tavolo, lo sguardo serio di nuovo fisso nei suoi occhi. Era in attesa di qualcosa. Voleva sapere da lui cosa fare? Si aspettava da lui che intervenisse? Era il suo giorno libero, non poteva certo aspettarsi che facesse da balia al ragazzo ubriaco.  Le voci si fecero più accese e la ragazza scattò in piedi, la mano prontamente riportata alla spada. Pochi passi e fu vicino a Constantin, l’altra mano posata sulla spalla del ragazzo.

 “Eccola qui la mia stella fortunata. Cara cugina, ti unisci a noi?”

 Come sempre il ragazzo sembrava voler dimenticare le spiacevolezze e il dolore come se tutto il suo essere rifiutasse di riconoscere la cattiveria e la bruttura che lo circondava. Era forse per questo che Kurt non riusciva a volergliene? Il ragazzo ne aveva fatte di tutti i colori in quegli anni ma non era mai riuscito ad avercela davvero con lui. Forse la sua capacità di obliare il lordume aveva il potere di fare sentire anche Kurt un poco più pulito.

 Lo sguardo che i due cugini si scambiarono sembrò trasportarli, come ogni volta, fuori dal mondo ma la raffinata compagnia era chiaramente intenzionata a fare di tutto pur di riportare i due ragazzi con i piedi per terra. Uno dei ragazzi seduti attorno al tavolo aveva ripreso a parlare in modo sguaiato. Sembrava avercela con un ragazzo dall’aria mite e timida che sedeva accanto a Constantin. Lo sguardo di Élodie sembrò volerlo pietrificare. La sfida fu presto raccolta dal giovanotto ubriaco che rivolse alla nuova arrivata la sua attenzione. 

 “Che succede è arrivato il cane da guardia? Strano che un principe abbia un bastardo anziché un cane di razza a leccargli gli stivali. Perché non torni a nasconderti e porti il tuo muso marchiato lontano dalla gente che conta?”

 Lo sguardo di Constantin si riempì in un attimo di dolore, il viso della ragazza invece era rimasto composto come ogni volta davanti all’insulto. Il silenzio e la freddezza della ragazza dovevano aver fatto infuriare il ragazzo, chiaramente alla ricerca dello scontro, che rincarò quindi la dose: “Che c’è non sai parlare?” Il ragazzo si alzò malfermo sulle gambe e fece il giro attorno al tavolo andandosi a piantare proprio davanti alla giovane ancora ferma, calma e composta. Era di almeno un palmo più alto di lei ma il suo portamento eretto ed elegante sembrava farla svettare davanti al ragazzo reso sbilenco dall’alcol e dalla rabbia. Constantin aveva afferrato la mano della cugina e lei solo per un momento aveva distolto lo sguardo dal giovanotto ubriaco.  

 “Se speri di guadagnarti l’osso in questo modo hai sbagliato tutto, chiaramente il principe ha gusti ben più raffinati. Tu sei fin troppo virile per lui.”

 Il ragazzo timido seduto accanto a Constantin, evidentemente spaventato, si era fatto più vicino a lui cercando conforto nell’abbraccio del ragazzo. “Vedi? Ha già trovato la sua principessa, devi rassegnarti.”

 Constantin a quelle ultime parole aveva lasciato andare la mano della cugina che con uno scatto improvviso aveva sguainato la spada e la teneva ora saldamente puntata contro la gola del seccatore.

 Kurt aveva iniziato da un po’ a maledire quei due che rendevano faticose anche le sue serate in taverna. Se le cose si fossero messe male, in ogni caso sarebbe stato lui a farne le spese. Restò a guardare ancora per un momento, non potendo però più far finta di non notare quanto stava accadendo. 

 Il ragazzo ubriaco taceva ora piuttosto spaventato. I due cugini si scambiarono ancora uno sguardo. Élodie fece quindi per rinfoderare l’arma ma solo per colpire a tradimento il seccatore con il pomolo della spada. Il sangue iniziò a spillare dalla guancia del ragazzo che riscosso si gettò contro la giovane. In un attimo fu la rissa. I due finirono a terra a rotolare tra birra e segatura. Pugni volavano da una parte e dall’altra senza pietà. Constantin era scattato in piedi, ma era stato trattenuto dal ragazzo al suo fianco. Kurt aveva a malincuore lasciato la sua pinta a metà sul tavolo e si era avvicinato ai due che stavano dando spettacolo, raccogliendo attorno a loro una folla di soldati e cadetti che avevano iniziato a incitare i due improvvisati lottatori.  All’arrivo di Kurt i soldati si dispersero in fretta, mentre i ragazzi dimentichi del resto continuavano a darsele di santa ragione. La ragazza era riuscita ad atterrare l’avversario e ora, seduta cavalcioni su di lui, cercava di colpirlo con tutta la sua forza mentre il ragazzo si proteggeva come poteva, scalciando e smanacciando. Kurt afferrò la ragazza per il collo del giaco leggero indossato sopra una raffinata camicia. Solo per un momento la ragazza gli rivolse uno sguardo di fuoco ma riconoscendolo si alzò obbediente e forse in imbarazzo. Il sangue scorreva sul suo viso ma ad un primo sguardo Kurt non seppe individuarne l’origine.

 “Credo sia arrivata l’ora per voi bambini di andare a letto.” Disse Kurt offrendo una mano al ragazzo steso a terra e aiutandolo ad alzarsi. Un solo sguardo e l’intera comitiva fu dispersa. Rimanevano al tavolo solo Élodie, Constantin e il ragazzo timido ancorato al braccio del giovane principe. 

 “Vale anche per voi. Anzi soprattutto per voi. E non voglio sentire una parola. Avrete tutto il diritto di lamentarvi domani durante l’addestramento. Vi aspetto in cortile all’alba.” Kurt aveva recuperato il tono severo del maestro d’armi. Odiava dover lavorare fuori orario.

 I due sembravano però particolarmente restii ad obbedire e il soldato li guardava sempre più spazientito. Fu la ragazza a prendere la parola dicendo con una fermezza artefatta che tradiva una certa tensione: “Constantin questa notte non tornerà a palazzo.”

 Kurt esitò per un momento pronto a fare una scenata contro quegli allievi impertinenti, ma poi nello sguardo di Constantin trovò più risposte di quante non ne stesse cercando e ricacciò indietro la voce del maestro. “Fate come volete, oggi è il mio giorno libero.” Poi aggiunse allontanandosi: “Domani vi voglio comunque in cortile all’alba.” Tornò a sedersi con l’intenzione di finire la birra ormai calda e di lasciare la taverna al più presto portando con sé i suoi pensieri.

Élodie si fece vicina a Constantine che le accarezzò il viso tumefatto e dolorante.

 “Mia dolce cugina, guarda come ti ha ridotto quel bifolco.” La studiò per un poco e poi la strinse a sé facendole percepire distintamente ogni livido che la lotta di poco prima le aveva lasciato sul corpo.

 “Come potrò mai ripagare la tua gentilezza?”

Sapeva che Constantin sarebbe stato la sua rovina ma non poteva negare nulla al suo cuore gentile. Quindi come sempre cercò il suo tono più allegro nel rispondere: “La mia gentilezza non è in vendita, lo sai bene.” Poi abbassando la voce disse ancora: “Ne sei sicuro? Posso passare la notte qui anche io, in caso dovessero esserci altri guai.”

 “Luce mia, non preoccuparti non corro alcun rischio. Se proprio dovesse accadere qualcosa le guardie sanno bene chi è che paga per tutto questo, non esiteranno a venire in mio soccorso. Tu meriti una notte di riposo.”

 Élodie fece un cenno di assenso con la testa e Constantin lo accolse con grande entusiasmo. “Buona notte mia cara cugina. A domani.”

Élodie guardò i due ragazzi allontanarsi e avviarsi verso una delle stanze della taverna, pregò mentalmente che tutto andasse bene e che il Principe rimanesse all’oscuro di tutto. Constantin meritava così tanto almeno un briciolo di felicità.

Si fermò al bancone e ordinò una birra, incapace di costringersi ad allontanarsi da lì. In fondo avrebbe potuto fermarsi comunque in taverna per quella notte e tornare a palazzo poco prima dell’alba, non era necessario che Constantin lo venisse a sapere.

 “Green Blood!”

La voce familiare la fece sussultare per un momento. Il capitano si era fatto vicino al bancone con lo sguardo torvo. Sapeva che avrebbero pagato la libertà di questa notte per molti giorni a venire. Rimase in silenzio e bevve un lungo sorso aspettando che l’uomo sputasse fuori ciò che aveva in mente. Anche quella tecnica era una che Élodie aveva appreso dal suo maestro d’armi.

 L’uomo continuava a fissarla irritato e come ogni volta il suo sguardo le faceva torcere lo stomaco. Bevve ancora e fece per lasciare il boccale sul bancone e allontanarsi dall’uomo, non aveva voglia di ramanzine, ma la voce stranamente posata dell’uomo la fece fermare di colpo.

 “Non puoi tornare a palazzo così, a tua madre prenderebbe un colpo se ti vedesse ridotta in questo stato.”

 Senza mai aggiungere una parola di troppo Kurt sapeva sempre come farsi obbedire, e anche quella volta Élodie lo seguì in silenzio. Passando per le cucine Kurt la portò verso la caserma, la fece sedere su una panca in una grande sala ingombra di manichini da addestramento e si allontanò.

 Tornò dopo poco portando un piccolo tino pieno d’acqua e qualche garza. Erano anni ormai che Kurt non si occupava delle sue ferite, ed Élodie si rese conto all’improvviso di dovergli essere grata per questo. L’uomo aveva posato un ginocchio a terra di fronte a lei, le teneva il volto con una mano, un tocco lieve ma deciso la sua mano dura a sfiorarle la pelle del volto. Con l’altra passava delicatamente una garza umida sulle ferite ripulendole dal sangue secco con una cura e una dedizione tali da incendiare Élodie più del suo tocco. Sentiva il viso andarle a fuoco e l’aria scendere a fatica nei polmoni, tutto quello era una tortura tanto per il suo cuore affaticato quanto per il suo corpo affamato. Era fin troppo consapevole del fatto che il soldato che teneva con tanta cura il suo viso tra le mani non la vedesse neanche. Il suo sguardo era severo e concentrato, stava pulendo le sue ferite come avrebbe fatto con uno dei suoi commilitoni o peggio come avrebbe fatto con una bambina. Non si accorgeva del suo tremore, del rossore del suo viso, del suo sguardo che doveva essersi fatto di fuoco all’improvviso. Avrebbe dovuto esserne grata, la sua mancanza di attenzione le evitava l’imbarazzo di dover rispondere di una sciocca cotta di cui, per quanto si sforzasse, non riusciva a liberarsi. Ma la segreta speranza era che se lui si fosse accorto che il suo tocco le dava i brividi, forse avrebbe smesso di trattarla da bambina. Anche solo questo misero riconoscimento le sarebbe bastato, ma era fin troppo abituata a passare inosservata. Era brava a confondersi tra la folla, poteva confondersi tanto tra i soldati in taverna quanto nelle occasioni ufficiali di palazzo. Sapeva adattarsi perfettamente senza essere al centro dei riflettori né lasciata in un angolo, posizioni che in entrambi i casi attirano sguardi e chiacchiere.  Ma questa sua qualità tanto utile in società era una vera condanna quando si trattava del suo cuore e delle sue sciocche fantasie. Gli uomini della sua vita le passavano accanto senza accorgersi di lei. Constantin riempiva di affetto e frasi amorevoli la mancanza di un’attenzione diversa che non avrebbe in nessun caso potuto darle. Kurt in lei vedeva solo la sua spada e il proprio dovere. Un freddo mercenario senza cuore. Questo diceva continuamente di se stesso ed Élodie avrebbe voluto spassionatamente che fosse vero. Ma non lo era. Guardava Constantin, lo riconosceva, provava per lui affetto e tenerezza. Anche quella notte lo aveva dimostrato. Era solo lei a passare completamente inosservata.

L’uomo l’aveva intanto afferrata per il mento forzandola a voltare il viso dall’altra parte.

 “Ti ha davvero conciata per bene. Speravo di essere stato un maestro migliore.”

Pensieri foschi si erano impossessati di lei e non aveva voglia di assecondare le chiacchiere divertite di Kurt in quel momento. Il capitano aveva finito di ripulirle le ferite del viso e aveva posato a terra il tino in cui l’acqua aveva ormai assunto le stesse sfumature del suo sangue. Si stagliava ora in piedi davanti a lei. 

 “Alzati.”

Alla voce dell’uomo aspra come un ordine Élodie ebbe l’istinto di opporsi, ma non avrebbe certo allontanato con l’insubordinazione l’immagine infantile che l’uomo aveva di lei. Si alzò e sentì le gambe tremare quando l’uomo le portò le mani attorno alla vita saggiandone con attenzione ogni parte e facendole risalire lungo il torace con esasperante attenzione. Mentre le sue mani la ispezionavano Kurt la fissava negli occhi, cercando di leggervi anche il più piccolo mutamento. Non c’era alcun accenno di sensualità in quei gesti precisi ma Élodie sentiva il calore di quelle mani attraverso la stoffa leggera della camicia e non poté impedire a lunghi brividi di rincorrersi lungo la schiena né allo sguardo di annebbiarsi. L’uomo cercava di capire se la rissa aveva creato danni non immediatamente visibili e quindi potenzialmente più pericolosi. Lei sapeva cosa l’uomo stesse cercando di fare ma trovava incredibile che lui non si accorgesse dell’assurdità della situazione. 

 “Va bene così Kurt, sto bene.” aveva alla fine sputato fuori Élodie, cercando di tenere calma la voce che le uscì comunque spezzata e stranamente roca. Con un gesto netto aveva allontanato da lei quelle mani che invece avrebbe voluto sentire ancor più vicine.

 “Green Blood una costola rotta potrebbe essere la tua unica salvezza. Stai sicura che vi farò pagare a caro prezzo per aver rovinato così la mia serata. Fossi in te andrei di corsa da quel damerino per un secondo round.”

 Élodie rilasciò un lungo respiro cercando di recuperare un minimo di autocontrollo. Sarebbe stato inutile continuare a rimuginare su desideri disperati, quindi si arrese, allontanò i pensieri capricciosi e recuperò il suo contegno. Conosceva bene il suo ruolo e sapeva recitarlo a perfezione.

 “Sono certa che lui stia molto peggio di me, non sarebbe di alcun aiuto. Posso solo rimettermi alla tua clemenza.” L’ironia aveva lasciato le sue labbra un po’ forzata, ma Kurt non lo aveva notato.

 “Sono sicuro che se lo sia meritato, ma sai bene che non puoi aspettarti pietà da un mercenario senza cuore.”  le parole accompagnate ancora da una sonora risata. “Ora però è il caso che tu torni a palazzo. Si è fatto molto tardi.” 

L’irritazione tornò a fare capolino nella testa di Élodie “Quindi Constantine può trascorrere fuori la notte senza attirare il tuo rimprovero e io no?”

Ancora una risata divertita accompagnò le parole del capitano “Constantin sa decisamente meglio di te come divertirsi. Tu invece hai chiaramente bisogno di riposo”.

“Non sono più una bambina, Kurt. Non lo sono da molto tempo. Dovresti smetterla di trattarmi come tale.”  La rabbia aveva guidato le sue parole, era una cosa che le capitava di rado e spesso le sue reazioni più spontanee e autentiche nascevano nel confronto con il suo maestro d’armi, di solito lo trovava incredibilmente liberatorio, quella volta però rimpianse quelle parole che alle sue stesse orecchie erano suonate sciocche e infantili.

Kurt sembrò non dare più peso a quelle parole che ad altre, ma passandole accanto con la chiara intenzione di tornare in taverna la sua espressione si fece più seria. Una mano appena poggiata sulla spalla e uno sguardo preoccupato la colpirono. “Non sei una bambina ma neanche un soldato. Lascia alle guardie il lavoro per cui sono pagate.”

Rassegnata la ragazza prese la strada di casa, sapendo comunque che quella notte non le avrebbe concesso alcun riposo.

   
 
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