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Autore: petre frumos    01/03/2022    0 recensioni
La Russia invasa, viene salvata dalle anime degli eroi morti guidate dal'erede dello Czar
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Slovo
La notte a Krasnojarsk era fredda e senza luci. Anche il carbone era finito. Sagrin attendeva notizie dal comando supremo o da quello che ne era rimasto dopo l’abbandono di Mosca alle forze del Patto Ucraino.
Accesa una sigaretta, tirato una boccata profonda e tossito, la recluta, un ragazzo alto e ben nutrito imbacuccato nella calda uniforme dei tiratori siberiani, gli aveva raccontato di provenire  da Tobolsk. Poi aveva chiesto a Sagrin di spiegargli esattamente cosa fosse avvenuto.  A sedici anni sapeva solo che il presidente Putin aveva dovuto invadere l’Ucraina per evitare che le truppe della Nato e delle nazioni d’Europa, appoggiate dai fanatici musulmani, dilagassero in Russia. Gli ucraini, i maledetti avevano tradito e si erano uniti agli invasori. Così come avevano fatto i Baltici e Polacchi, i Rumeni e gli ungheresi. Così, gli invasori avevano preso Mosca e catturato il presidente Putin, lo avevano fucilato sulla Piazza Rossa assieme a tutto il governo.
Ora aveva sentito che dalla nazione distrutta, sfasciata, occupata, un gruppo di militari non si era dato per vinto. Deciso a proseguire la lotta, aveva creato un nuovo esercito a difesa della Siberia.
Sagrin confermò. Si stavano organizzando, ma senza mezzi, senza armi,  senza uomini, era quasi impossibile combattere.
Solo pochi, ancora orgogliosi di essere russi avevano scelto di combattere, con la prospettiva quasi sicura di morire per la patria.
Il giovane Roman, questo il nome del ragazzo, assentì e rispose -“Certamente, ma vi è un momento per vivere e uno per morire, uno per strisciare come vermi e uno per essere uomini.”-
L’ufficiale si commosse. Dunque, lo spirito della Santa Madre Russia non era morto. Dette un buffetto al ragazzo e gli offrì metà dell’ultima aringa rimasta.
Il colonnello Leonovich detto il monco a causa della bomba polacca che lui aveva preso in mano per allontanarla dai civili rifugiatisi nella cantina e che gli era scoppiata in mano, fece il giro delle guardie e mise tutti a dormire.
Al mattino, Sagrin si accorse che Roman aveva tutta la notte dormito, abbracciando un qualcosa avvolto in una stoffa a strisce bianco blu rosse. Quel qualcosa non era il fucile che il ragazzo aveva appoggiato sulla sedia assieme al mantello.
Quale che sia il momento, si è sempre curiosi. Curioso in quel mattino freddo e bianco di neve era Sagrin o meglio, il tenente Sagrin, ultimo  comandante del ricostruito reggimento  cosacchi siberiani, soli sopravvissuti della divisione di uomini valorosi  sacrificatisi per difendere la popolazione di Kazan sul fiume Volga, chiese cosa contenesse il pacco di Roman.
Per tutta risposta il ragazzo sciolse i nodi che  e  stese il tessuto che Sagrin capì subito doveva essere un pezzo di bandiera con i colori imperiali. -“Ecco comandante.-” il ragazzo, sorridendo orgogliosamente, estrasse dal pacco una spada cosacca chiusa nel fodero.- “Questa è la spada del mio bisnonno, Tarin Boliskj atamano dei cosacchi zaporodj che cercò di difendere l’ultimo Czar. E questa è la bandiera.”-
Attese un cenno di Sagrin e poi continuò: -“Mia madre  ha custodito la spada e quando, avendo comunicato la mia decisione di arruolarmi e le ho chiesto la sua benedizione, mi ha portato in cantina e da una buca scavata ha tratto la spada donandomela”-  Roman si era commosso < In fondo è poco più di un ragazzino pensò il comandante >. Roman continuò: -“Mia madre raccontò che la spada era stata donata al bisnonno dallo Czar.  Con l’impegno ad usarla solo per difendere la Russia. Nel 1941 era stata esibita ai colleghi del nonno, ma in segreto e poi di nuovo nascosta. Me la consegnò dicendo di comportarmi degnamente e farmi onore.”-
 Sagrin sorrise perplesso e un pochino scettico, ma poi pensò < siamo alla fine, lasciamo il ragazzo sognare.>
Sentì la radio comunicare che truppe del Patto Ucraino si avvicinavano sempre più alle loro fortificazioni.
Non erano più le disciplinate forze guidate da eminenti generali e politici.
erano pensieri deprimenti -“in piedi!”- gridò ai suoi soldati che stancamente raggiunsero le trincee.
Sporchi, laceri, affamati ma ancora bene armati, si prepararono alla difesa del ponte che conquistato, avrebbe permesso ai militati del Patto Ucraino di irrompere nelle vaste piane della Siberia e raggiungere Vladivostok. Per incoraggiare i soldati russi,  il tenente ordino ai due trombettieri rimasti di accompagnare il tenore Komrov che doveva a piena voce cantare “l’Addio di Slavianka”, l’inno dei padri.
Di fronte ai russi che ora tutti all’unisono cantavano, i vendicativi ucraini, gli sprezzanti baltici, i rinati germanici, i presuntuosi americani e tutti i loro servi europei si preparavano all’assalto finale. Mescolati senza ordine, carristi, fanterie, corpi speciali, volontari pregustavano la vittoria finale.
Dalla trincea  dove aveva fatto rifugiare i suoi uomini, il tenente Sagrin vide un bagliore forte come un fulmine apparire sopra i soldati russi.
La spada di Roman dalla lama di damascato acciaio e l’impugnatura in oro, puntata verso il cielo, sembrava circondata da globi luminosi. Sentì il ragazzo che alzata al cielo la spada urlava -“Su uomini russi, per la Madre Russia, per lo Czar combattete, ricacciate l’invasore!”- < Bah, prepariamoci a morire, siamo uno contro mille> pensò Sagrin.
Poi una tempesta di suoni scese dal cielo,  seguita dalla visione di immagini dei corpi dell’esercito che nelle uniformi di un tempo si radunarono dietro a Roman e avanzarono   seguendo la gloriosa bandiera imperiale con l’immagine di San Giorgio che ora sventolava colpita dai raggi di sole nel cielo del mattino. I tiratori siberiani, i reggimenti di Kazan, le guardie di San Pietroburgo, i cosacchi con le spade roteanti, le truppe dell’armata rossa, i dragoni di Novgorod, i reggimenti di Kutosov e i fanti  di Pietro il grande Urlarono tre volte, Hurrà per lo Czar. Poi tutti  avanzarono seguendo Roman e la spada. La marea umana  multicolore per le diverse uniformi, questo esercito dello spirito, testimone dalle glorie passate, fendé le truppe del Patto Ucraino come una violenta mareggiata  che scombussola il bagnasciuga. Piene di terrore, le truppe del Patto Ucraino fuggirono abbandonando armi, carri armati, equipaggiamento.  Come cavallette impaurite ripiegarono su Mosca e poi fuggendo su Kiev.
Alla sera sul terreno fu pace. Solo i pochi soldati che difendevano le trincee erano rimasti. Degli eserciti che avevano messo in fuga il nemico non vi era traccia.
Trovarono la spada di Roman infissa nella terra.
Erano tutti stupiti e increduli. Molti si inginocchiarono, segnarono e pregarono.
Allora una ragazza alta esile e bionda, prese la balalaika e cantò la bylina, quel canto epico russo che avevano sentito ma mai capito.
“ Sorgi o Madre Russia, non temere.
I tuoi figli sono arrivati, pronti a difenderti.
Il sangue che verseranno ti ristorerà e ridarà onore.
Là sul campo della battaglia, lo zarevic degno erede del padre,
alzerà la spada dei Romanov al cielo guidando i tuoi figli alla vittoria.
Sorgi Madre Russia e gioisci!
 
   
 
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