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Autore: Felixia    02/03/2022    1 recensioni
Breve storia dei sentimenti tormentati di una ragazza che si scopre innamorata di una sua amica.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Non mi ero mai fermata a riflettere sulla mia sessualità. Non sono neanche sicura di come si dovrebbe fare. Di solito ci si ragiona? Non so, magari gli altri si fermano a pensarci su. A me non è mai capitato di chiedermi “mi piacciono i ragazzi o le ragazze?” 

Le mie cotte sono solo successe, senza troppi problemi: mi trovavo bene con una persona e all’improvviso capivo che mi piaceva. Alle superiori ho avuto un paio di ragazzi. Lo ammetto, sono state storie che non sono durate niente, la più lunga ha rubato tre mesi della mia vita e si è conclusa con un niente di fatto, giusto qualche bacio con più lingua del solito e qualche toccatina. Eravamo piccoli per fare di più, non ci era neanche venuto in mente. Alla fine, non so neanche come, ma sono arrivata al primo anno di università e non mi sono mai chiesta se mi piacessero davvero i maschi. Non penso di riuscire a rispondere neanche adesso. A ripensarci mi piacevano quei ragazzi, mi facevano battere il cuore, mi facevano sentire speciale e bella, mi era anche capitato di immaginarmi scenari molto più espliciti dei semplici baci che ci siamo dati. 

Eppure questa volta c’è qualcosa di diverso. So solo che quando la vedo, non è una semplice sensazione di ansia, di imbarazzo che ho sempre provato con quelli prima di lei. Mi sento completamente travolta ogni volta che è vicino a me, tutta la sua essenza mi chiede di amarla. E questo è terrorizzante.

Forse sono lesbica, forse no, ma questa sera non voglio pensarci, non sarebbe un problema poi così grande. Per quanto lei sia diversa da tutti gli altri, io sono sempre la stessa e non riesco ad affrontarmi. Ho bisogno di dare pace al mio cervello, sono mesi che continua ad affannarsi ogni volta che il mio sguardo indugia sulla curva morbida delle sue labbra e l’istinto mi urla di baciarle. Non ce la faccio più, questa sera ho bisogno di una pausa da tutti questi pensieri.

 

Credo che la mezzanotte sia passata da poco, è già da un po’ che sono seduta sul letto senza fare niente. Potrei controllare l’orario sul telefono, ma ho paura di trovare un suo messaggio. Sarebbe un grave errore vedere la sua foto, leggere le sue parole che mi suonano così dolci, perché so che in realtà per lei hanno un tono amichevole e innocente, che non lascia spazio a quella sensazione che mi sconvolge. È sempre così, io che sento le viscere devastate ogni volta che lei mi rivolge le sue attenzioni e lei che ignara del turbamento che mi provoca con quella sua vicinanza innocente.

Dopo la terza bottiglia di birra vorrei solo che la mia testa mi lasciasse riposare, ma sembra non voler darmi tregua. È così faticoso tenere gli occhi aperti, continuano a chiudersi da soli, ma appena arriva il buio mi sembra di cadere dal letto. Mi sembra che le pareti e il pavimento si stiano scambiando di posto, la stanza gira vorticosamente intorno a me. Cerco di fermarla fissando lo sguardo sul muro di un bianco scolorito dal tempo. C’è una crepa sul muro, l’intonaco sta cedendo all’umidità. Cerco di concentrarmi su quella mentre affogo nella sensazione di trovarmi in mare aperto. È come se le onde continuassero a muovermi e fosse impossibile trovare una stabilità. Quando formulo questo pensiero mi scappa una risata, il mare in burrasca sembra una perfetta metafora della mia vita. 

«Ma che cazzo ridi?» chiedo subito dopo a me stessa «Non è per niente divertente, è demoralizzante… È deprimente». Riesco a sentire come ogni parola che esce dalla mia bocca è pronunciata così goffamente da farmi ridere ancora una volta. Scatto in piedi e oscillo appena con ancora il sorriso sulle labbra. In qualche modo riesco a trascinarmi fino al cestino sotto la scrivania, lo metto vicino al letto e mi ci stendo abbandonando completamente il controllo dei miei muscoli sul peso del mio corpo. 

La birra non era abbastanza per andare in blackout, sto ancora pensando.

«La prossima volta compra più alcol, idiota,» mi appunto mentalmente prima di chiudere gli occhi nella speranza di riuscire ad addormentarmi in fretta.

 

Quando li riapro la luce flebile si sta facendo largo dalla tapparella semichiusa. Prendo istintivamente il telefono dal comodino pregando con tutta me stessa di poter dormire ancora un po’. “6.47” compare scritto sul display, subito sotto una notifica da parte sua: “Ricordati l’ombrello, domani mette pioggia! Notte notte, bimba! <3

«Fanculo» sussuro con la voce roca, non so se rivolto a lei, alla pioggia o a me stessa per essermi dimenticata del pericolo che avevo tanto accuratamente evitato ieri sera. Mi giro dall’altro lato e torno a dormire, ho ancora mezz'ora di sonno e non ho alcuna intenzione di rinunciarci.

Devo essermi riaddormentata immediatamente, ma è strano perché non ricordo neanche di essermi svegliata. Mi sembra di non fare nessuna fatica ad alzarmi per uscire, non so come mi trovo già fuori dall’appartamento. Ma ho fatto colazione? E quando mi sono vestita? Non ne ho idea, ma continuo a scendere velocemente le scale, sembro animata da una fretta che non so spiegare. Arrivo al portone e lo spalanco con una spinta decisa. 

«Merda, la pioggia,» mi fermo a constatare davanti alle gocce che scrosciano rumorosamente sul marciapiede. Per fortuna ho l’ombrello proprio qui con me, lo apro sopra la mia testa e mi tuffo sulla strada. I passi si alternano decisi, e mi guidano speditamente verso il centro della città. Il tragitto sembra anche più veloce del solito, in poco tempo mi trovo già davanti all’entrata dell’università.

 


Mi riporta alla realtà la sua voce alle mie spalle: «Buongiorno, bimba» dice mentre mi viene in contro. Cazzo, mi è venuta la tachicardia. Basta così poco adesso? La situazione sembra solo peggiorare.
«Ciao, patata. Come va?» ogni volta mi chiedo se sia giusto continuare con questi nomignoli, ora che ho capito che sono innamorata persa di lei. Forse sarebbe meglio smettere, ma non sarebbe ancora più strano se all’improvviso diventassi fredda?
«Benone, hanno annullato la lezione» risponde lei che non sa se essere contenta o scocciata.
«Adoro quando lo fanno sapere con il giusto preavviso», rispondo ironica.
«Vabbe’, ne approfitterò per andare in copisteria» dice mentre si sistema la sciarpa.
«Ti accompagno» spero di non sembrare troppo appiccicosa. Oppure sì, chi se ne frega. Riprendo l’ombrello e ci avviamo insieme.
«Usiamo un solo ombrello,» propone lei quando mi vede che faccio per aprire il mio e mi offre il braccio per nascondermi sotto il suo già spalancato sotto le gocce fredde della pioggia. Non ci penso due volte, ringrazio il meteo per questa occasione di passeggiate stringendoci per evitare di bagnarci e cerco di nascondere il sorriso che sento che mi sta spuntando sulle labbra. Non è la prima volta che andiamo in giro tenendoci così strette, di solito è lei che inizia. Una volta, non stava neanche piovendo, forse voleva solo essere tenuta per mano, me l’ha presa e siamo andate a pranzare alla mensa. È stato qualche mese fa, non avevo ancora realizzato di amarla, ma non sono mai riuscita a non dare peso a quel gesto. Mi ero semplicemente detta che probabilmente lei era quel tipo di ragazza che tiene la mano alle sue amiche. Non lo so se è così, qui all’università sono l’unica amica che ha, non so se le amicizie del suo paese hanno lo stesso privilegio. Se ce l’hanno, un po’ le invidio per aver potuto approfittare delle sue mani calde per tutti questi anni.
«Sei silenziosa,» interrompe i miei pensieri.
«Eh? Scusa, ho… Ancora un po’ sonno» mi giustifico sperando che i suoi occhi indagatori non riescano a leggermi le mente.
Abbasso lo sguardo veloce, non riesco a sostenere quegli occhi scuri e quelle ciglia così nere che puntano al mio viso imbarazzato. Cerco di individuare velocemente un qualcosa che possa distogliere la sua attenzione da me, in quel noto la sua mano arrossata. Regge il manico dell’ombrello per entrambe già da un po’, forse ha freddo. Con un movimento istintivo faccio scivolare il mio braccio dal suo e con entrambe le mani stringo la sua. Come pensavo, è fredda. Anche un po’ ruvida. La pelle deve essersi seccata per il vento degli ultimi giorni.
«Grazie» mi dice piano. Alzo lo sguardo di nuovo su di me, le parole escono dalle labbra che accennano un sorriso riconoscente e formano delle piccole nuvole di calore.
«Ti stai congelando, forse dovevamo aspettare che spiovesse dentro l’università» rallento il passo senza accennare a lasciare la presa sulla sua mano che lentamente sta riprendendo calore.
«No, non fa niente. Mi piace passeggiare sotto la pioggia,» ora il suo sguardo si posa su un punto indefinito oltre il suo ombrello. Siamo ferme sul bordo della strada, ad ascoltare il suono delle gocce che cadono sui sanpietrini.
«Anche a me,» continuo a guardarla mentre i suoi occhi si spostano sulle grondaia che sputano acqua sporca nel tombino a pochi metri da noi.
Passa una comitiva di universitari e si girano a guardarci. Non è la prima volta che dei passanti si voltino per osservarci meglio, credo che pensino che siamo una coppia. Quando ci passano vicino ci vedono distrattamente, fanno qualche passo e girano velocemente la testa come per essere sicuri di aver visto bene. Non so bene cosa pensare quando succede, mi mette a disagio l’insistenza con cui dei perfetti sconosciuti si interessano a noi, non so decifrare se nei loro sguardi c’è disgusto, odio o semplice sorpresa per aver visto qualcosa di insolito. Eppure, al contempo, mi rende felice che chiunque possa vedere che quello che c’è tra noi non è una normale amicizia. Non siamo fidanzate, ma è evidente per tutti che noi non siamo solo due amiche. Questa sensazione di conferma dal mondo esterno mi fa sentire speranzosa. Se è palese anche per degli occhi estranei, perché non dovrebbe esserlo per lei? Lascia la presa sulla sua mano e i suoi occhi tornano a rivolgersi su di me, confusi per il calore che le ho negato senza nessun preavviso.

 

«Ti ricordi che ti avevo detto di quella ragazza che mi piace?» le parole mi escono di bocca come se non le stessi controllando io. Le avevo già detto qualche tempo fa di avere una cotta, dovevo avere la conferma che non mi odiasse anche se amo una donna, ma niente poteva rassicurarmi sul fatto che mi avrebbe ricambiato se quella donna fosse stata lei.

«Che c’è? È successo qualcosa?» sembra preoccupata, forse sono stata troppo impulsiva.

«No, niente. È che ti volevo dire che ho deciso di dichiararmi,» continuo a mettere una frase dopo l’altra senza pensarci troppo. Non ho mai provato questo discorso nella mia testa, non ho mai pensato di dirglielo davvero e ora non ho idea di come dare voce a tutti i miei pensieri.

«Ah, okay. E quando?» Chiede lei. Non riesco a capire cosa le passi per la testa, non riesco a capire se quel tono dovrebbe farmi intuire qualcosa. È felice per me? Oppure mi odia?

«Ora,» rispondo secca. Non risponde, continua a guardarmi immobile. Ha capito, vero? Maledizione, come fa a non vederlo? Mi fa impazzire la sua ingenuità, è adorabile, ma adesso ho davvero bisogno che capisca. Passa qualche secondo prima che io aggiunga: «Sei tu». 

Mi fissa senza dire niente. Non se l’aspettava. Eppure ero sicura che fosse lampante. Cazzo, ho rovinato tutto. Ti prego, di’ qualcosa. 

«Lo so che per te sono solo un’amica, non ti preoccupare, non ti sto chiedendo di metterci insieme o cose del genere,»  Non riesco a sopportare questo silenzio, cerco di riempirlo di parole che escono alla rinfusa dalla mia bocca mentre le mani mi tremano e il cuore mi impazzisce nel petto. «È che te lo dovevo dire, non ce la facevo più a tenermelo dentro, però davvero, non devi rispondermi niente, non ti preoccupare.»

«Posso baciarti?» Interrompe il mio sproloquio. 

Mi spiazza. Il cuore ormai va così veloce che ho smesso di far caso a tutto quello che ci succede attorno. Mi scappa un sorriso. Per un attimo abbasso lo sguardo, sento le guance in fiamme. Torno a guardarla in faccia, anche lei è completamente rossa in viso e non credo sia per il freddo. Mentre con la mano gelida cui stringe ancora l’impugnatura dell’ombrello, l’altra, calda del calore della tasca della sua giacca, prende la mia, scossa dall’agitazione. Con un breve passo diminuisce ulteriormente la distanza tra noi due, già strette sotto la piccola protezione che il suo ombrello ci concede. Il suo viso è così vicino al mio e i miei occhi non riescono a staccarsi dalla morbidezza delle sue labbra violacee per il freddo. Mi rimbombano nelle orecchie le pulsazioni del mio cuore e le gocce di pioggia che rimbalzano sull’ombrello.

 

Suona la sveglia. 

La sensazione nel mio petto è ancora forte. Una parte di me si sente spezzata, devastata dalla finta gioia che le è stata concessa dal sonno e strappata via dal mattino. 

Mi odio. Neanche nei sogni riesco a baciarla. 

  
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