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Autore: MercuryGirl93    03/03/2022    5 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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V Fiordaliso
 
In un castello dell’Alto Adige, viveva Drusilla, una principessa molto buona e bella, che aveva dei grandi occhi color del cielo.
Un giorno, un cavaliere si smarrì nei boschi e chiese ospitalità alla principessa che nel vederlo se ne innamorò. Il suo amore fu subito ricambiato e presto il cavaliere la chiese in moglie.
Per qualche tempo i due sposi vissero felici, ma con l’arrivo dell’inverno, il cavaliere si fece triste ed irrequieto. Stare sempre rinchiuso nel castello lo annoiava, perciò decise di partire, promettendo a Drusilla di ritornare nella bella stagione. Lei, che desiderava vederlo felice, lo lasciò andare e, allo sbocciare della primavera, cominciò ad aspettarlo. Ma arrivò anche l’estate e lui non tornò.
La delusione fu così grande che Drusilla si ammalò e disse alle fide ancelle che avrebbe voluto morire per porre fine al suo dolore, ma anche vivere per vedere tornare il suo amore. Le ancelle piansero, dicendo che se lei fosse morta, sarebbero morte anche loro. Quei discorsi furono ascoltati dalla Fata dei Fiori che, mossa a pietà per tanta devozione, sia da parte della sposa per il marito, sia da parte delle ancelle per la principessa, fece morire ed insieme vivere Drusilla e le sue ancelle. Trasformò le ancelle in fiori di cicoria e la principessa in Fiordaliso che da allora, ad ogni bella stagione, sbocciano insieme sul ciglio delle strade o nei campi, sempre sperando di veder comparire la lontananza il cavaliere. *
 
 
Federico premette il pulsante del citofono. Una, due, tre volte. Niente, nessuna risposta.
La casa era più nitida sotto la luce del sole, cosa che permetteva di notare una serie di particolari che, la prima volta al buio, non era riuscito a scorgere: il cancello arrugginito, il giardino disastrato, la totale mancanza di arredi per esterno che tanto piacevano alla gente in quelle zone. Stranamente silenziosa, la casa in quel momento aveva le finestre sigillate. Era ovvio che non ci fosse nessuno all’interno.
Se avesse dovuto basarsi soltanto su quell’immagine avrebbe di certo ipotizzato che non ci aveva mai vissuto nessuno, in quella casa. Eppure, era certo di aver visto Emma entrare in quel cancello arrugginito.
Si trovava lì da quindici minuti buoni, ma del suo folletto non c’era traccia.
Dopo la discussione con la madre e Marco aveva bisogno di vederla, parlarle. L’aveva aspettata, un paio di giorni, nella speranza che lei si facesse viva o che le loro strade si incrociassero nuovamente – provvidenzialmente – come era già di fatto successo.
L’aveva pensata costantemente, realizzando che non solo la desiderava fisicamente, ma anche platonicamente. Era come se il confronto con lei lo arricchisse, come se averla incontrata gli avesse regalato qualcosa di nuovo e lo stimolasse ad essere migliore.
Emma era così luminosa dentro che voleva stare anche lui sotto la sua luce. 
Lei, consapevole della luce che possedeva dentro, era come se lo avesse mutualmente scelto, per illuminarlo. 
Federico era ormai convinto che, essendosi scelti, era impossibile che ci fosse un allontanamento così brusco. Emma non se ne sarebbe mai andata senza dirglielo e se non lo aveva cercato c’era di certo un motivo dietro, più che valido.
Pur consapevole del fatto che Emma aveva le sue buone ragioni per non essere lì, con lui, Federico sentiva forte e prepotente il bisogno di vederla.
Per questo aveva raggiunto casa sua e la attendeva.
Processare il fatto di aver bisogno del confronto con una sconosciuta era difficile per uno come lui. Aveva tirato sempre avanti da solo, con le sue forze, la sua indifferenza. Stava bene prima di conoscere lei, ma di recente aveva la sensazione che non sarebbe più stato bene con se stesso senza di lei.
-Che cerchi?
Una voce infantile, dispettosa, che celava una risata.
Federico si riscosse dai suoi pensieri, catapultato nuovamente alla realtà che lo circondava.
Quando si voltò, una bambina, che poteva essere di poco più grande di Alberta, era appesa al cancello della sua villetta, confinante con la proprietà di Emma.
La bambina ricordava vagamente una scimmia allo zoo: le gambe a penzoloni, i codini biondi che dondolavano a destra e a sinistra, il desiderio negli occhi azzurri di uscire ed esplorare il mondo.
-Nessuno – sorrise alla bambina. Si disse divertito che di solito ai bambini veniva insegnato a diffidare dagli sconosciuti, a tenerli lontani. Invece, quella bambina sembrava volerlo avvicinare.
-Non è vero- canticchiò lei, il bagliore della curiosità negli occhi. Gli fece una smorfia, uscendo la lingua, come per punirlo per la bugia che le aveva rifilato lui.
Federico si avvicinò alla bimba, divertito. -E come fai a saperlo?
-Perché guardi lì da tanto! - rise lei, curiosa, allungando la ‘o’ eccessivamente, quasi intonando un piccolo canto.
Per Federico era incredibile come i bambini riuscissero ad essere tanto perspicaci.
Si disse che non aveva senso liquidare la curiosità di una nanerottola. - E tu puoi aiutarmi?
La bimba saltò giù dal cancello. Era così bassa che si vedeva appena la faccina dietro il cancello di ferro battuto. Gonfiò le guance rosa, lo sguardo da monella. –Certo! - gracchiò felice, saltellando sul posto. –Ma mi devi dare qualcosa in cambio.
-Furba – borbottò Federico, sinceramente colpito dall’astuzia della bimba.
–Ci stai? – lo incalzò lei, sempre più impaziente di riscuotere una regalo, in cambio del suo aiuto.
Non c’era niente di male a stare al gioco. –Cosa vuoi, piccoletta?
-Un gelato! – esplose lei urlando di gioia.
-Dimmi se hai visto una ragazza e sarà tuo- annuì Federico. –Ha i capelli corti, castani, tantissime lentiggini, un naso a patata.
La descrizione era molto vaga, ma una bambina con quello spirito d’osservazione e quella scaltrezza non poteva non aver notato una come Emma, così buffa e fiabesca.
La bimbetta fece una smorfia. –Non ho visto nessuna ragazza.
Federico si sentì leggermente deluso da quella rivelazione. Emma non poteva essere diventata invisibile, qualche volta doveva essere passata di lì. - No? Porta dei vestiti molto colorati.
Disperato, cercò di fornire qualche indizio che potesse accendere la memoria della bambina. -No, ma il gelato me lo compri lo stesso?
Federico sbuffò e le indicò la casa. –Abita qui, sicura di non averla mai vista?
-No, no- insistè lei. –Non c’è mai nessuno lì.
-Sei sicura?
La bimba divenne impaziente. –Sì, ora me lo dai questo gelato?
 
Dare credito a una fonte così poco attendibile non era molto saggio, si disse Federico qualche ora dopo. Alla bambina non importava quali fossero le domande né conoscere le risposte, voleva solo la ricompensa, il gelato. E alla fine era riuscita a spuntarla.
Probabilmente non era così perspicace come Federico aveva pensato inizialmente, né tanto osservatrice. Una come Emma saltava all’occhio, a chiunque.
Mentre formulava quei pensieri, ricordò Emma nel suo salotto, durante la festa, mentre ballava ignorata da tutti. Federico si era chiesto come fosse possibile che tutti non la fissassero se non per il suo essere ipnotica, quanto meno per il suo essere stramba.
Non era possibile che catturasse solo la sua attenzione.
Ancora una volta solo in casa, si arrovellava in questi pensieri steso sul suo letto.
Da giorni si sentiva vessato da un’incapacità totale di essere produttivo e attivo. Lasciava che il tempo scorresse inesorabile senza concludere nulla, nelle sue ventiquattro ore.
L’unico momento in cui si sentiva in colpa era a fine giornata, quando realizzava di non aver combinato un bel niente di utile; tuttavia, il giorno successivo, non faceva nulla per cambiare le carte in tavola. O meglio, non aveva fatto nulla all’infuori di cercare Emma: quello era stato un sincero tentativo di riscuotersi da quel torpore in cui era precipitato languidamente.
Si scoprì infastidito all’idea che solo il pensiero di lei potesse essere in grado di tirarlo un po’ su da lui non sapeva neanche cosa.
Afferrò il suo blocco da disegno e il suo carboncino: prese a scarabocchiare nervosamente linee su linee.
Fu in quel momento che il campanello suonò.
Inizialmente annoiato dalla prospettiva di dover dialogare con un essere umano in carne ed ossa, il torpore che sentiva si diradò man man che si avvicinava alla porta di casa, scacciato dall’idea che potesse essere Emma ad averlo cercato. Vederla in quel momento sarebbe stata la provvidenziale e ulteriore conferma del loro legame.
Gli inconfondibili capelli biondissimi di Annamaria lo delusero amaramente.
Federico si trattenne dallo sbuffare una volta aperta la porta, consapevole che la ragazza poteva restarci male. Rimase inespressivo per non tradire la sua delusione: non che non volesse vedere Anna, ma avrebbe preferito una compagnia diversa.
-Ciao – sorrise la ragazza, scuotendo timidamente la mano. Non sembrò cogliere la delusione di Federico neanche lontanamente, e di questo lui fu felice.
-Entra – le disse lui, incamminandosi verso camera sua, certo che lei lo avrebbe seguito.
Annamaria, che con quella casa aveva una discreta familiarità, si chiuse la porta alle spalle e posò la borsa nell’attaccapanni, per nulla ferita dal fatto che Federico non fosse esattamente accogliente con lei, né un gentiluomo. Ormai lo conosceva, quelle cose da lui non se le aspettava.
-Ti ho scritto dei messaggi, non li hai visti?
Federico li aveva letti, ma non aveva avuto voglia di rispondere. Voleva starsene un po’ per i fatti suoi. -Mia madre mi ha messo in punizione, sai com’è – mentì spudoratamente. Sapeva che Annamaria non si sarebbe impuntata su quella menzogna: lui non era mai sottostato alle punizioni della madre, anche solo pensarlo era follia; ma Anna, dolce e ingenua com’era, non aveva motivo di non credergli.
Federico pensò divertito che Emma non gli avrebbe mai creduto.
-Per via della festa? – borbottò comprensiva lei.
Erano giunti nella camera di lui: Anna chiuse la porta mentre Federico tornò a stravaccarsi sul letto con il suo blocco da disegno.
-Già.
-Ma l’avevi organizzata tu? – fece scioccamente.
Federico la guardò da sopra il suo blocco. -Come avrei dovuto organizzarla se sono stato con te tutto il pomeriggio, quella giornata?
La bionda si pungolò il labbro inferiore con l’indice, pensierosa. Stava appoggiata alla porta della stanza, come a prendere confidenza con la stanza. -Quindi era tutta colpa di Marco?
-Siediti – le disse lui, indicandogli la sedia accanto alla scrivania, poi tornò a scarabocchiare. -Comunque, sì, figurati, non avrei mai organizzato niente di così caotico, non è da me.
-Perché non lo hai detto a tua madre? Non dovevi prenderti la colpa al posto di Marco.
Annamaria si sedette con eleganza, accavallando le gambe lunghe. Diede un’occhiata alle scartoffie che Federico teneva disordinatamente sulla scrivania: tutti disegni incompleti che non aveva voglia di mettere in ordine.
-E cosa dovevo dirle? Che subisco passivamente le decisioni del mio amico testa di cazzo? – brontolò lui, seccato.
Il carboncino gli si spezzò tra le mani, creando una linea involontaria sul disegno a cui stava lavorando. Sbuffò nuovamente e lo strappò via, gettandolo per terra. Chiuse il blocco rabbiosamente e lo lasciò sul comodino.
-Non avrebbe dovuto farlo, hai ragione, ma tu potevi reagire quando lo abbiamo visto- tentò lei, timidamente. -Potevi dirgli di fare andare via tutti o che ne so io, almeno ti risparmiavi una punizione che non ti meritavi.
Annamaria, pragmatica e sincera in quello che aveva detto, celava, tuttavia, negli occhi una delusione che Federico non potè che attribuire a Marco. Il modo in cui l’amico si era comportato – non tanto diverso comunque dal suo solito – probabilmente l’aveva riscossa dall’immagine idilliaca che lei aveva di lui, riportandola all’amara realtà: Marco era giovane e voleva divertirsi, mentre lei cercava una relazione profonda con una persona che potesse amarla veramente.
Federico si chiese se finalmente lei non fosse arrivata a realizzare che Marco non faceva per lei.
-Comunque forse hai ragione, non fa per me.
-Cosa?
-Marco – sorrise lei, tristemente. – Non fa per me, è troppo preso da sé stesso, avrei dovuto capirlo quando me lo dicevi tu. Forse mi serviva questa mazzata finale per potermene convincere anche io.
Anna sembrava serena in viso, nonostante la tristezza. Era come se avesse raggiunto un nuovo stadio di maturità che lui non si aspettava di poter scorgere in lei.
-Ce ne hai messo di tempo- borbottò sarcastico.
La bionda gli tirò una gomma afferrata dal disordine della scrivania. -Meglio tardi che mai.
A quel punto, con una nuova consapevolezza negli occhi, Annamaria si alzò dalla sedia e lo raggiunse. Si sedette sul letto, accanto a lui, e si sfilò rapidamente la camicetta blu che indossava.
Federico indugiò sulla pelle candida di lei e sui suoi seni, ben messi in mostra dal reggiseno a balconcino rosa pallido. Anna si sporse verso di lui, gattonandogli più vicina, e iniziò a trafficare con i suoi jeans.
Lui la lasciò fare, come spesso accadeva in quelle situazioni, ed in un attimo si ritrovò in mutande con lei che gli accarezzava dolcemente il petto, indugiando sulle spalle larghe, sul collo, sulla clavicola. Quando si rese conto di essere troppo passivo, allungò una mano per stringersela al petto, slacciandogli con un gesto rapido e deciso il gancetto del reggiseno e lanciandolo via.
Annamaria iniziò ad ansimare mentre lui gli accarezzava le cosce, i corpi seminudi premuti l’uno sull’altro. Le baciò il collo per stuzzicarla, sfiorandole il seno con il dorso della mano e scoprendola desiderosa di un contatto un po’ più spinto e intimo.
Federico ripensò a Emma addormentata sul suo letto, così bella e irraggiungibile, così attraente da farlo stare male. Voleva averlo con lei un momento come quello: voleva scoprire come darle piacere, sentirsi più vicino a lei, stringerla.
A differenza della volta precedente, il pensiero di Emma non lo spinse maggiormente tra le braccia di Annamaria, ma lo allontanò bruscamente.
La bionda, leggermente confusa, si riscosse dal suo abbraccio. -Che ti prende?
Ormai Federico sentiva qualsiasi fuoco libidinoso spento, dentro di sé. -Non ci riesco – disse alla bionda, con leggero imbarazzo.
Anna lo guardò per un attimo curiosa. -Questo lo vedo anche io – gli sorrise lei, indossando la sua camicetta come se quel gesto fosse necessario per proiettarsi nuovamente verso una conversazione. -A che pensi?
Ancora in mutande, Federico incrociò le braccia pensieroso. -Penso ad altro.
-Pensi ad un’altra, se mai- rise Anna, cogliendolo di sorpresa. Certamente non l’aveva mai creduta stupida, ma non sufficientemente perspicacie sì. Evidentemente, la cosa era diventata così palese da essere chiaro anche a lei.
-Ad un’altra, sì- le confermò senza vergogna.
-Chi è?
-Non la conosci – fece lui, sbrigativo, per poi scoprire che parlare di Emma con qualcuno la rendeva stranamente più reale del solito, nella sua testa. Gli diede quasi sollievo avere l’occasione di togliersi quel macigno dalla testa e dallo stomaco, così proseguì: -In realtà non la conosco neanche io, non ho idea da dove venga. So solo che mi piace.
Annamaria rise. -E lei c’era l’altra sera alla festa vero?
-Come lo sai? – scosse la testa, confuso.
-Ti ho visto, prima di andare via: eri in cima alle scale tutto imbronciato e poi i tuoi occhi si sono illuminati, come se avessi davanti una visione celestiale – ridacchiò, prendendolo un po’ in giro
-Quindi l’hai vista.
Scosse la testa. -No, quando ti sei precipitato in mezzo alla folla non ho visto da chi sei andato, però avevo capito che cercavi qualcuno. Eri così strano.
Federico si sentì quasi deluso, aveva sperato che Annamaria avesse visto Emma, non seppe dirsi il perché. -Strano dici?
-Sì – annuì vigorosamente, i capelli biondi dondolanti a destra e a sinistra. – In questi giorni è come se ti vedessi sognare ad occhi aperti una cosa bellissima e poi, quando ti accorgi che non è la realtà, ti vedo cercarla attorno a te.
Annamaria si alzò dal letto, sistemandosi le pieghe della camicetta e legando i capelli in un’altissima coda di cavallo.
-Allora sembrò folle- ironizzò Federico.
-Sai una cosa? – lo incalzò lei. – Forse è meglio finirla con il sesso.
-Oggi non abbiamo proprio iniziato a dire la verità – scherzò lui, ma quando si accorse che lei era seria non poté fare a meno di incuriosirsi sul perché di quella decisione. Da sempre si dicevano “Questa è l’ultima volta” senza però mai concretizzare veramente. In quel momento, tuttavia, negli occhi di Annamaria c’era una convinzione che non aveva mai visto prima.
-Perché? – le chiese.
Lei indugiava nuovamente sui fogli della scrivania.
-Perché penso che ti meriti la felicità che ti ho visto negli occhi, quando la guardavi – gli sorrise, poi prese uno dei disegni. -Posso avere il fiordaliso? È veramente bello.
La bionda scuoteva uno dei suoi disegni: un fiore fatto con il carboncino che neanche sapeva si chiamasse fiordaliso.
Federico annuì.
 
-Disegniamo la mia bambola! - rise Alberta, agitandogli sotto il naso la Barbie bionda.
-Che bella! - sorrise Federico. –Ma mettile un vestito prima.
Alberta sparpagliò gli sgargianti abitini della bambola sul tavolo in legno, alla ricerca di quello che meritava di essere immortalato nel disegno del fratello. 
Federico aveva fatto fatica a guadagnarsi il consenso della madre a tenere Alberta, ma alla fine ce l’aveva fatta. Dopo giorni di silenzio e di apatia, del tempo con la sua sorellina allegra era ciò che ci voleva per riscuoterlo dal suo torpore.
Di Emma non c’era traccia e ormai era passata più di una settimana. Si chiedeva se l’avrebbe mai vista, se fosse normale che una persona potesse sparire in quel modo, senza lasciare tracce.
Si rispose da solo: non c’era niente di normale quando si trattava di Emma.
-Ecco qua! - esultò la bambina.
Il vestitino blu frusciava, sospinto dalla brezza leggera. Era una bella giornata, l’ideale da trascorrere in giardino, sul dondolo, a rilassarsi.
-Mi piace- le sorrise lui.
Alberta lanciava gridolini. –E allora disegna, disegna!
Gli occhi scuri luccicavano di entusiasmo mentre, attenti, seguivano i movimenti della matita sul foglio. Il risultato fu abbastanza scadente: riprodurre i tratti della bambola fu più difficile del previsto. L’immagine sul foglio era storta, gli occhi sproporzionati, i capelli una serie di linee senza capo né coda. Di solito era abile a disegnare le persone, ma con quella bambola proprio non ci riuscì.
La bambina sembrò triste nel dargli la notizia: -È proprio brutta, Fede.
-Lo so, mi dispiace – rise lui. Sua sorella era così dolce che gli dispiaceva anche dirgli la verità.
-Ma non importa! - cinguettò Alberta, cercando di consolarlo. –Lo appendo lo stesso in camera mia, è il disegno del mio fratellone!
Federico rise. La bontà della sorellina era incredibile.
Le stava giocosamente scompigliando i capelli scuri quando una voce disse: -Disturbo?
Emma era raggiante. Un paio di pantaloni blu le avvolgevano morbidamente le gambe, svolazzando al vento come fossero acqua. I capelli corti erano scompigliati attorno al viso, le guance rosa, gli occhi luminosi e sorridenti.
-Ciao- disse, facendo un cenno con la mano ed inclinando la testa.
Quando si avvicinò, Federico potè notare gli altri dettagli del suo volto: le labbra erano lucide, color fragola, e aveva una piccola treccina tra i capelli alla cui base c’era incastrato un piccolo fiore blu identico a quello del disegno preso da Annamaria, un paio di giorni prima.
-Ciao- le disse lui, incantato.
Alberta la osservava come se fosse un’aliena sbarcata con la sua astronave nel giardino di casa sua. Si agganciò al braccio del fratello, intimidita dalla nuova presenza che aveva disturbato il loro pomeriggio.
-Chi è? - bisbigliò verso Federico, ma il tono di voce era troppo alto per non essere sentita.
Il piccolo folletto si rivolse direttamente a lei, accovacciandosi vicino alla bambina. - Sono Emma.
-Ciao- borbottò la sorellina, stringendosi più vicina al fratello maggiore. Un sorriso le increspò le guance, forse la lusinga per la considerazione che Emma le aveva dato.
Federico la spinse dolcemente in avanti. –È un’amica, tutto ok- la rassicurò. –Che ci fai qui?
Avrebbe voluto chiederle dove fosse stata, perché ci aveva messo tanto a tornare da lui, perché non gli aveva lasciato modo di contattarla, ma non fu abbastanza coraggioso da rovesciarle tutti quei dubbi addosso. Probabilmente, gli era sufficiente che lei fosse lì, per lui.
-Passavo- rispose vaga. –Ti ho disturbato?
Sollevò le sopracciglia folte, interrogative.
Federico scosse la testa. - No, vieni.
Emma lasciava scivolare gli occhi verdi in giro per il giardino, curiosi e attenti, affamati di tutti i dettagli che riuscivano a scorgere. Lì, in mezzo al verde, i capelli corti spettinati dalla brezza, sembrava uscita da un film sulle fate.
Si chinò nuovamente davanti ad Alberta, con un grande sorriso sul volto tondo. –Tu come ti chiami?
La piccola strinse la mano che le stava tendendo. –Alberta, ma Fede mi chiama Albertina, quindi puoi farlo anche tu.
-Albertina- ripetè Emma, accarezzando con le labbra sottili il suono di quel nome da bimba. Guardò Federico di sottecchi. – Grazioso, come te.
Le guance della bimba si fecero rosse rosse per l’imbarazzo che quel complimento inaspettato le aveva provocato. –Grazie- bisbigliò. –Vuoi giocare con le bambole?
-Sì.
 
Saper trattare con i bambini è un dono. Un dono che, di certo, Emma possedeva.
Alberta le ronzava attorno come se fosse un’ape attorno a un fiore. Ne era abbagliata: ascoltava tutto ciò che le diceva come se fosse oro colato, la seguiva con attenzione e sorrideva felice.
Il ritratto della bambola fu sostituito dall’immagine di Alberta ed Emma che giocavano insieme, le bambole in mano e i vestiti in miniatura sparpagliati sul prato.
-Ti piace disegnare?
Emma gli era a fianco. Federico era così preso da ciò che stava rappresentando che non se n’era neanche reso conto.
Alberta era distratta dalle sue bambole, con le quali conversava come se fossero persone.
Dopo aver chiuso di scatto il blocco per far sì che lei non vedesse rispose vago: -Di tanto in tanto.
Emma piegò le labbra in una smorfia, curiosa. Si sedette accanto a lui, così vicina che Federico poteva sentire il calore del suo respiro e il suo buon profumo floreale.
-Me li mostri? – gli chiese, sfilandogli dalle mani il blocco da disegno. Aveva le dita gelide.
Federico la lasciò fare, leggermente in imbarazzo. - Sono solo scarabocchi.
Emma sorrise, iniziando a sfogliare le pagine. –Mi piace l’arte astratta – scherzò, poi vide il suo sguardo colpito davanti ai disegni. -Odio la falsa modestia – sentenziò alla fine, severa ma scherzosa, mostrandogli uno dei disegni che rappresentavano Alberta.
Federico sapeva di essere discreto ma era da sempre stato severo con sé stesso. Non si riteneva all’altezza neanche di quel talento, che conservava solo per sé stesso e riservava a quei pochi tanto coraggiosi da impuntarsi.
-Dovresti lasciare giudicare agli altri se sei bravo o no, non ti pare? - lo incalzò lei, studiando uno dei suoi ultimi disegni: una pianta di gelsomino. Lo aveva fatto il giorno dopo averla conosciuta.
-Sono in grado di dare un giudizio obiettivo a ciò che disegno.
Emma scosse la testa, il sorriso sereno ancora in volto. –Ti sbagli.
-Sì? - fece lui, osservando il modo in cui lei accarezzava le pagine del suo blocco. Aveva delle mani delicatissime, con le dita sottili.
Mise una delle sue mani sulle sue, moriva dalla voglia di toccarla. Erano davvero gli opposti: la mano di Federico era bollente su quella gelida di lei, le dita forti, callose, con qualche polpastrello ancora macchiato dai carboncini che aveva usato per tutta la mattina.
Emma lo guardò dritto negli occhi, come ipnotizzata.
-Sì- annuì, deglutendo. Il fatto che Federico l’avesse toccata non l’aveva lasciata indifferente, e di questo Federico era contento. –Con noi stessi o siamo distruttivi o eccessivamente esaltati, mai obiettivi.
Lui le sorrise, intrecciando le dita alle sue. - Ed io cosa sarei?
-Distruttivo, è evidente – scoppiò a ridere lei, una risata bella e dolce, melodiosa.
Il tono di Emma era tranquillo, allegro, come se stessero parlando della bella giornata di sole o delle bambole di Alberta. Aveva un modo di spiegare le cose semplice, diretto, senza troppi giri di parole o sotterfugi.
Federico rise. -E dov’è la tua laurea in psicologia?
-So quel che dico.
Ormai distratti l’uno dall’altra, Federico avvicinò il viso a quello di lei.
-Ti ho cercata- le bisbigliò, guardandola dritta negli occhi.
Emma non si ritrasse. - Lo so.
- Dov’eri?
Emma inclinò la testa di lato e fece una cosa che Federico non si aspettava: gli baciò una guancia. Poggiò le labbra sottili poco al di sopra della sua barba, per pochi secondi. Quel gesto semplice, quasi infantile, destò lo sconvolgimento di lui, che si sentì bruciare la guancia e lo stomaco di piacere.
- Più vicina di quanto pensi- Emma incurvò le labbra. –Ti piace disegnare fiori? - disse, indicando il blocco da disegno.
Federico, ancora intontito, annuì. –Solo ultimamente.
Aveva iniziato con i fiori da quando aveva visto per la prima volta. Era come se tramite i fiori riuscisse a rappresentare le sfumature di lei.
-Sono belli, realistici- si complimentò lei. Gli scoccò un’occhiata. –A mio nonno piacerebbero.
-Puoi prenderne uno, se vuoi – si riscosse dal torpore che lo aveva colto dopo quel bacio di lei, così infantile eppure così intenso.
Emma annuì, felice, lasciando la mano di lui. –Grazie- disse, continuando a sfogliare le pagine. –Comunque, tua sorella è adorabile.
Scoccarono entrambi un’occhiata verso la bambina, ancora intenta a giocare con le sue bambole.
-Lo so.
Emma rise, pizzicandogli un braccio giocosamente. - Non ti somiglia.
-Mi stai velatamente dicendo che non sono adorabile come lei? - rise lui, stando al gioco.
Emma fece spallucce. Sorrideva ancora. –Userei un altro aggettivo per descriverti.
-Sarebbe?
Lei lo guardò dritto negli occhi. Aveva gli occhi di una sfumatura più chiara rispetto al solito, le lentiggini brillavano come stelle su quelle guance pallide. –Non te lo dirò mai- sibilò, scoppiando a ridere un attimo dopo.
-Quanto mistero- la punzecchiò lei, dandole delle gomitate delicate.
-I misteri mi divertono- ridacchiò. Staccò un foglio dall’album. –Prendo il gelsomino- sentenziò, sventolandoglielo sotto il naso.
Federico le sorrise. –È il più bello.
-Sicuramente.
Emma era raggiante più che mai e quell’aura di mistero che si portava addosso era così affascinante che Federico non riusciva a smettere di guardarla.
Quando lei se ne accorse lo fissò interrogativa, senza smettere di sorridergli.
Dopo il bacio che gli aveva dato, Federico decise di potersi sbilanciare anche lui e le accarezzò una guancia. Emma non si ritrasse, anzi pareva essere felice di quel gesto.
–Sai che fiori sono? – chiese, curioso, indugiando sul fiore che Emma teneva alla base della treccia che aveva tra i capelli.
–Tu lo sai? – fece lei, afferrando la mano di lui. Federico scosse la testa. -Fiordalisi. – Lui la guardò interrogativo. -A mio nonno piace il giardinaggio – rispose lei alla domanda che lui ancora non gli aveva posto, come se gli avesse letto nel pensiero.  
-Emma vieni a giocare!
Albertina strillava, scuotendo la mano in direzione di Emma come se lei non l’avesse vista.
La ragazza si scostò dalla bolla di intimità che avevano creato, si alzò e riprese a giocare con la piccola, in un susseguirsi di grosse risate e inseguimenti.
Federico le osservò all’ombra del suo dondolo, mentre la luce del sole si faceva via via più fioca. Si disse che Emma probabilmente non aveva fratelli o sorelle, si vedeva dal modo in cui giocava con la sorella. Si disse anche che era buffo che al nonno di lei piacesse il giardinaggio, dato che la loro proprietà aveva il prato più spoglio della zona.
 
Quella sera, nel suo lettino, l’ultima cosa che Alberta gli disse prima di chiudere gli occhi fu: -Fai venire Emma di nuovo, un’altra volta?
Le aveva risposto con un sorriso prima di uscire dalla cameretta, e questo le era bastato per potersi addormentare serenamente.
La ragazza lo aspettava in giardino, stesa sul dondolo con le braccia mollemente appoggiate sul ventre. Osservava il cielo punteggiato di stelle, le palpebre pesanti sugli occhi verdi.
-Dov’è tua madre? - gli chiese lei, quando si accorse che lui le era vicino.
Federico aveva visto il dubbio lampeggiare nei suoi occhi quando, dopo averla invitata a cena, le aveva chiesto di apparecchiare solo per tre. Alberta non le aveva dato il tempo di chiedere nulla: l’aveva trascinata in cucina per recuperare piatti e bicchieri.
-Fa l’infermiera, oggi aveva il turno notturno. Tornerà domani mattina- spiegò lui, sedendosi sull’erba vicino al dondolo. Non le avrebbe mai chiesto di spostarsi per fargli posto, preferiva osservarla in quella posizione, beata e rilassata.
-È un lavoro nobile- fece lei, mettendosi su un fianco per poterlo guardare in viso mentre parlavano.
Federico non amava parlare della madre. Sentiva la voglia di tagliar corto per poter approfondire altro che riguardasse Emma. - Era quello che voleva fare nella vita, la passione l’ha ripagata.
-Devi essere fiero di lei – disse lei, sorridendogli. -Ci litighi spesso? – chiese poi, alludendo a ciò che aveva sentito la mattina dopo la festa. 
Federico scrollò le spalle. –È difficile comunicare con lei.
Emma gli sorrise. Allungò una mano verso il viso di lui e gli fece una carezza. -Se subisci il mondo passivamente diventa difficile comunicare con tutti.
-È nella mia natura – deglutì lui, sentendo brividi corrergli su per la schiena. Tutto quello che lei faceva e diceva su di lui suonava come se lei lo conoscesse da sempre. Lo aveva letto così bene che lui si sentiva quasi in imbarazzo all’idea di non sapere nulla di lei.
–Non è vero – fece lei, continuando a toccargli il viso.
-No?
-No – annuì lei, inumidendosi le labbra con la lingua. – Sei diventato così per tua scelta, quindi puoi decidere di smettere quando vuoi e se lo vuoi.
-Quindi questa laurea in psicologia ce l’hai- ironizzò lui.
Federico mise la sua mano sopra quella di lei, ancora sul suo viso. – Mi parli come se fossi un libro aperto, ma non mi conosci nemmeno.
Emma a quel punto si mise seduta, la schiena curva verso di lui per poterlo guardare dritto negli occhi, per potergli stare vicino. –Forse ti comprendo meglio di quanto tu comprenda te stesso.
-Cosa devo fare per evitare che tu sparisca di nuovo? – le chiese a quel punto, un po’ per cambiare discorso, un po’ perché voleva avere la garanzia che lei non gli facesse più uno scherzo del genere. Voleva vederla, stare con lei, e sapeva che anche per lei era lo stesso.
Emma si alzò in piedi, stiracchiandosi mollemente le braccia. Federico si alzò in piedi a sua volta, per poterla avere sempre di fronte mentre parlavano.
-Ma allora sono davvero la tua ossessione- rise lei sarcastica.
Lui le prese il viso tra le mani. -Lo sai.
-So cosa? – fece lei con sguardo furbo.
-C’è qualcosa tra noi, lo sai anche tu- spiegò lui senza l’ombra del fastidio. Non aveva paura di dirlo davanti a lei perché sapeva che anche lei era dello stesso avviso.
Qualsiasi cosa fosse in procinto di dire lei, fu interrotta bruscamente.
-Cosa è questa musica? – borbottò al posto di rispondere a Federico, voltandosi verso la direzione da cui la musica assordante proveniva.
Emma sfuggì alla carezza di Federico e si arrampicò sul muretto, sbirciando curiosa tra le altre villette del vicinato. –Sai chi abita lì? - chiese, indicando una casa poco distante.
Federico la imitò con minor agilità di quella dimostrata da lei. –È casa di Marco.
-L’amico idiota? - rise lei.
-L’amico idiota- confermò con uno sbuffo. –Starà dando una festa, niente di nuovo, evidentemente quella fatta a casa mia non è stata sufficientemente epica.
Emma fece un salto, tornando con i piedi sull’erba fresca. –Bene, se non altro qualcuno si lamenterà- disse soddisfatta.
-Se la maggior parte dei vicini è tra gli invitati, ne dubito - la raggiunse lui.
Lo pungolò con un dito. - Magari puoi lamentarti tu.
–Magari può farlo Alberta.
-Sicuramente! Con questo rumore la vedremo spuntare infastidita a minuti.
- Figurati, quella dorme come un sasso.
Emma fece spallucce. –Beh, allora il problema è solo nostro.
-Immagina che sia una musica di sottofondo- rise lui.
-Devo usare parecchia immaginazione per farmi piacere questa musica.
Quelle parole furono profetiche: la fastidiosa musica pulsante fu sostituita da una canzone completamente diversa.
-Ora sì che si ragiona! - sospirò di sollievo Emma.
Federico osservò come si stirava la schiena, allungandosi come un gatto. -Questa è di tuo gradimento?
-Vuoi scherzare? Sono i Beatles, ‘Strawberry Fields Forever’!
-Non li ho mai amati molto- disse lui, più preso da lei e dall’idea di poterla baciare.
Emma, dal canto suo, era scandalizzata, gli occhi sgranati. –Ma dai, non ci credo.
-Credici, è così- le sorrise lui.
Iniziò ad ondeggiare la testa avanti e indietro, a destra e a sinistra, seguendo il ritmo di una canzone che aveva del malinconico in sé. Le ciglia sfioravano le guance piene, dandole un’aria sognante e beata.
Muoveva le labbra senza però pronunciare una parola, accarezzando ogni strofa della canzone come se stesse gustando il dolce più buono del mondo.
Federico era, come sempre, rapito.
-Non senti com’è magica? - sussurrò lei.
No, non lo sentiva. –Sei bellissima.
Emma spalancò gli occhi a quella frase, e la magia svanì, soffiata via dal vento marino e dalla fine della canzone.
L’istinto aveva detto a Federico cosa dire, come dirlo, e anche il perché dirlo. Non c’era niente di male a rivelare la verità, anche se significava rovinare tutto. -Ti voglio baciare – proseguì serio e deciso.
Gli occhi verdi di lei erano luminosi nella notte.
Colmò in pochi passi la distanza che li separava e la strinse, mettendole una mano alla base della schiena e l’altra sul viso.
Le labbra di Emma erano bollenti e morbide. A differenza della sera della festa, chiuse gli occhi mentre la baciava, lasciandosi andare a quel momento come non aveva fatto prima.
Federico si sentì elettrico in ogni singola parte del suo corpo, a conferma di quello che aveva sempre saputo fin dall’inizio: tra loro c’era chimica, una chimica che doveva essere per forza approfondita.
Le leccò il labbro inferiore lentamente ed Emma mugolò qualcosa di incomprensibile, deliziata da quel gesto. Fu un attimo e le loro lingue si intrecciarono, rivelando un intimo desiderio reciproco.
Federico la strinse ancora, il petto di lei che premeva su quello di lui, quasi a toglierle quel poco di fiato che le restava.
Si sentiva girare la testa per il piacere, non aveva mai provato una cosa del genere per nessuna. Proprio per questo motivo, quando Emma sciolse quell’abbraccio in cui erano imprigionati, per lui la delusione fu quasi fisicamente dolorosa.
Lo guardò, leggermente ansante, con gli occhi verdi spalancati. Si sfiorò le labbra con le dita sottili e deglutì, poi corse via, facendo sentire Federico ancora una volta respinto.
La guardò correre via ma non la inseguì, il suo orgoglio non poteva sopportarlo.
 
Il fiordaliso è un fiore che ha dato prova della sua esistenza lontana nei secoli. Sono stati infatti ritrovati in campo archeologico dei resti che risalgono al periodo neolitico, quando ancora l’uomo viveva una sorta di vita primitiva.  La sua bellezza ha vissuto intoccata per secoli e secoli, passando per la civiltà greca e romana, e lungo tutta l’età moderna.
Si tratta infatti di un fiore delicato ma al contempo molto vivo. I suoi petali talvolta posseggono delle venature argentee e color porpora, rendendolo interessante come un quadro appena dipinto da un grande artista.
[www.pollicegreen.com]
 
In oriente si usa regalare il Fiordaliso alla persona amata nella speranza di un legame; è il simbolo della felicità e della leggerezza.
[www.ilgiardinodegliilluminati.it]
 
*Fonte: www.favolefantasia.com

Buongiorno! Come preannunciato, ecco il capitolo del giovedì. Cercherò sempre di essere il più puntuale possibile con la pubblicazione, anche se la storia ha poco seguito: mi piace essere precisa e rispettare il mio lettore. 
Spero che il racconto vi stia piacendo, fatemi sapere che cosa ne pensate. 
Ci aggiorniamo lunedì, questa volta in serata, per il capitolo sei. 
Buona giornata! 

 
   
 
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