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Autore: Huffelglee2599    04/03/2022    0 recensioni
Buongiorno a tutti! Eccomi qui con una nuova storia, un racconto che dà il via ad un progetto molto ardito. In realtà era stata la mia prima idea quando ho iniziato a scrivere, ma per fortuna non sono mai passata all'azione, dato che la mia esperienza a livello di scrittura era zero e probabilmente avrei fatto un disastro.
Comunque..il mio intento sarebbe quello di creare sette storielle ambientante nel mondo di Harry Potter, ma con i personaggi di Glee, in particolare la Dannata Trinità, che sarà il fulcro di tutte le storie, e soprattutto Santana, autentica protagonista dei racconti, ma ovviamente, a tempo debito, la necessaria presenza del Brittana.
Ora, veniamo al dunque.
La storia è ambientata 25 anni dopo la caduta del Signore Oscuro e vede come protagoniste Santana, Quinn e Brittany, intente ad affrontare il loro primo anno ad Hogwarts. Tuttavia, il periodo di permanenza all'interno della scuola, già abbastanza arduo da affrontare, soprattutto per Brittany, si rivela ancora più problematico, nel momento in cui qualcosa comincia a muoversi dentro ad una parete..
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Santana Lopez
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Arrivo al castello


Un cumulo di vapore si disperse nell’aria, mentre l’ennesimo fischio della locomotiva sollecitava i ritardatari a deporre nella stiva i loro effetti personali e ad affrettare i loro passi in direzione del primo vagone disponibile. Tuttavia, malgrado l’imminente partenza, vi era ancora chi indugiava tra le braccia dei propri genitori, in particolare i novellini del primo anno, ai quali sembrava interessare di più il bisbigliare confortevole di parole rassicuranti, piuttosto che il pungente stridio delle ruote che si stiracchiavano, oramai in procinto di mettersi in moto. Un penetrante cigolio di avvertimento a cui solo una ragazzina sembrava dare effettiva importanza: sostava d’innanzi al treno, con le braccia conserte, osservando con una smorfia di superiorità il convoglio che, finalmente, avrebbe condotto il suo sguardo a posare la propria attenzione sulla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, il luogo che suo padre detestava di più al mondo. Un piccolo sbuffo di avversione lasciò la sua bocca, prima di permettere al proprio corpo di muoversi, raggiungendo uno degli sportelli.
Il legno scricchiolava sotto il passaggio sicuro dei suoi piedi, accompagnando l’indifferenza dei suoi occhi scuri attraverso il lungo corridoio, alla ricerca della giusta cabina. Solo dopo un centinaio di metri i suoi passi si fermarono, attirati dal silenzio di un abitacolo alla sua destra, dove decise di entrare senza alcuna esitazione: prese posto sul lato sinistro, vicino al finestrino, attendendo il cambiamento di un panorama che aveva già iniziato a perdere la sua attrattiva, troppo caotico e rumoroso, quasi plebeo, per una persona della sua levatura. Sospirò, appoggiando la schiena contro il morbido tessuto della poltrona, innervosita dalla consapevolezza che la sua mente non si fosse presa la briga di ricordarle che sarebbe stato saggio prendere con sé un libro, data la lunghezza del viaggio che la attendeva, nonostante ciò, non poteva di certo arrabbiarsi più di tanto: con tutte le informazioni che aveva dovuto imprimere nella sua memoria, per essere in grado di raggiungere in solitudine la stazione di King’s Cross, era evidente che il suo cervello avesse eliminato quello che riteneva superfluo. Così lasciò che il suo capo si adagiasse sul vetro leggermente appannato della finestra, in attesa che quel tragitto senza significato trovasse la sua fine.

 

Il treno aveva lasciato Londra solamente da una trentina di minuti, tuttavia, malgrado l’abbondanza di tempo che rimaneva a disposizione, prima di avere la possibilità di scorgere la destinazione ultima, la lucentezza di una mantella nera risplendeva lungo la corsia centrale della locomotiva, risultando quasi avulsa rispetto alla normalità di un abbigliamento che ancora veniva indossato dalla maggior parte dei ragazzi. Eppure, la giovane studentessa non pareva curarsene, sistemando con la mano destra il nodo della sua cravatta e stringendo nella sinistra il libro degli Incantesimi di Priscilla Corvonero, uno degli innumerevoli testi che aveva letto quell’estate, in preparazione all’inizio delle lezioni.
Camminava rapidamente, con lo sguardo che vagava veloce da una cabina all’altra, alla ricerca di un altro posto di cui poter godere fino alla fine del viaggio: nell’istante in cui si era alzata, allontanandosi dal suo abitacolo, per raggiungere il bagno più vicino e poter finalmente assaporare la meravigliosa sensazione di essere a tutti gli effetti una allieva della scuola più rinomata di tutto il mondo, un gruppetto di ragazzi si era impadronito della sua postazione, non permettendole di riacquisire la sua ubicazione una volta ritornata. Malgrado, in un primo acchito, il suo istinto le aveva suggerito di rispondere al crudele ghigno che si era trovata d’innanzi, dando sfogo alla parte più irascibile del suo carattere, in un secondo momento, la sua accortezza le aveva fatto notare che non era il caso di entrare in conflitto con alunni più grandi di lei (frequentavano almeno il quinto anno), i quali sfoggiavano con orgoglio i maglioni della divisa da Quidditch di Serpeverde. Pertanto, era passata oltre il suo scompartimento, sperando di intercettare un vagone con un posto ancora libero.
Le sue gambe avevano percorso buona parte del convoglio, soffermandosi ogni tanto d’innanzi alle porte scorrevoli di alcune cabine, solo per riprendere il passo nell’attimo in cui i suoi occhi non avevano trovato il favore di uno spazio vuoto o di uno sguardo amichevole, quando, ormai arresa alla consapevolezza che avrebbe dovuto trascorrere le rimanenti ore di viaggio sui muscoli già indolenziti dei propri arti inferiori, l’attenzione del suo udito venne catturata dallo strano alone di silenzio che alleggiava in quella remota zona del treno, inducendola a rivolgere lo sguardo verso la sua destra.
Le sue sopracciglia si sollevarono leggermente, sorprese nel constatare che l’abitacolo fosse completamente deserto, fatta eccezione per la presenza di una ragazza, la quale, con la schiena addossata alla parete e le scarpe appoggiate sul sedile di fianco al suo, sembrava aver trovato la giusta posizione per abbandonarsi ad un pisolino.
La giovane alunna rimase immobile per alcuni istanti, indecisa su come procedere: avrebbe potuto introdursi di soppiatto nel vagone e prendere posto nel primo sedile, lontano dall’altra bambina, in maniera tale da non disturbare il suo sonno, oppure le sue nocche avrebbero potuto sbattere sulla superfice di plexiglass dell’ingresso, ridestando la ragazzina e rendendola partecipe della sua esistenza. In tutti e due i casi non si sarebbe meravigliata se, dando adito alla prima opzione, avrebbe dovuto tranquillizzare lo spavento di una ragazza che, allontanatasi dal suo risposo, si sarebbe scontrata con la presenza di un’estranea nella sua medesima carrozza, viceversa, seguendo la seconda possibilità, avrebbe potuto trovarsi d’innanzi ad un rimprovero, accompagnato da uno sguardo infuocato.
Prese un respiro profondo, prima di fare un passo in avanti. Le assi del pavimento scricchiolarono, offrendo alla bambina accovacciata sulla poltrona l’occasione di sapere che qualcuno si stava addentrando nel suo settore: dischiuse le palpebre, incontrando la figura di una sua coetanea che, bloccata sulla soglia d’ingresso, la osservava, in un misto di preoccupazione e nervosismo.
-“Ehm..scusami, ma..ecco..mi hanno rubato il posto..e il treno è tutto occupato. Ti dispiace se mi siedo?”-
Era insolito riscontrare un principio di insicurezza e timore nel tono con il quale era abituata a conversare, ciò nonostante, non ebbe la forza di infondere coraggio alla sua cadenza vocale, nel momento in cui le sue iridi avevano incrociato l’oscura freddezza di uno sguardo. Attese, con le piante dei piedi saldamente ancorate al suolo, malgrado nelle sue ginocchia si era diffuso un lieve tremore, diretta conseguenza della minuziosa ed accurata ispezione a cui il suo aspetto era sottoposto.
La ragazzina dagli occhi scuri non si era mossa di un millimetro, scrutando con sospetto la sua intrusa, nel vano intento di cogliere un qualche indizio che potesse indirizzare la sua indagine sul soggetto che si ritrovava di fronte, ma a parte la capacità di constatare il fatto che provenisse da una buona famiglia, data la stoffa pregiata con la quale era stata realizzata la sua toga, non era in grado di distinguere di quale ceppo si trattasse. Purosangue? Mezzosangue? Babbana? Rabbrividì al pensiero che potesse trovarsi d’innanzi ad una delle due ultime condizioni. Inoltre, non sapeva se quella novellina potesse fare parte della sua casata, anche se la vista di un libro nella sua mano sinistra allontanava completamente i suoi sospetti. Così, senza alcuno straccio di risposta, malgrado le numerose lezioni impartite da suo padre, si limitò a scuotere il capo, permettendo alla giovane studentessa di varcare la soglia e prendere posizione nel secondo sedile, al centro della poltrona.
Il silenzio non si fece attendere, nonostante il carattere loquace e spigliato della ragazza in divisa, in quell’istante sopraffatto da un tenue sentore di disagio che diveniva sempre più elevato ad ogni secondo che passava: sebbene la sua attenzione fosse rivolta ad accertare lo stato della rilegatura del volume che teneva sulle gambe era, comunque, in grado di percepire i suoi occhi continuare ad esaminare i propri lineamenti, alla disperata ricerca di qualcosa.
Spazientita dal suo indiscreto comportamento decise di mettere da parte quel senso di malessere e inferiorità che cominciava ad attecchire con insidia nella sua anima, sollevando il capo e posando le sue iridi in quella enigmatica tenebra.
-“Mi chiamo Quinn..comunque..Quinn Fabray”-
In un primo momento la ragazzina dallo sguardo indagatore rimase statica, nessun turbamento o imbarazzo sembravano risiedere nel suo volto, nonostante fosse stata colta in flagrante in quella che pareva una vera e propria scansione corporale, successivamente, una volta preso atto del nome della sua indesiderata ospite, il suo sopracciglio sinistro prese a sollevarsi leggermente, mentre il cognome della bambina d’innanzi a lei veniva ripetuto con rapidità nella sua mente, nel tentativo di stabilire quale potesse essere la sua posizione all’interno del mondo magico. Tuttavia, il suo nominativo non trovava alcun riscontro tra i personaggi illustri delle famiglie che suo padre le aveva indicato come punto di riferimento; oltretutto, i suoi tratti erano molto comuni: capelli biondi ed occhi verdi, nulla che avrebbe potuto definire quale fosse la sua appartenenza. Così, la giovane dal temperamento tutt’altro che amichevole, fu costretta a rivelare il suo nome, almeno per eliminare una delle due ultime possibilità rimanenti: stava parlando con qualcuno che faceva, anche se solo per metà, parte del suo universo, oppure si stava ritrovando a conversare con un estraneo?
-“Santana Lopez”-
I muscoli del corpo di Quinn si irrigidirono, mentre un tenue bagliore di consapevolezza attraversava le sue iridi, rendendola conscia di chi fosse la persona a pochi centimetri da lei o, se non altro, della rilevanza del cognome che portava.
Nonostante, Quinn avesse ereditato solamente dal ramo materno la possibilità di diventare una strega, le notizie sul mondo magico non erano mai state considerate un tabù all’interno della sua famiglia, pertanto, la giovane studentessa era sempre stata aggiornata sulle questioni economiche, politiche e sociali dell’istituzione a lei parallela, prendendo atto di quali fossero le figure di spicco e le casate di maggior influenza del suo adiacente universo. Ed una di quelle presentava proprio il nome dei “Lopez”. Tuttavia, la loro dinastia non era soltanto affiancata al potere che erano in grado di esercitare e alle ricchezze che possedevano: la maggior parte dei membri di quella rinomata discendenza erano stati seguaci del Signore Oscuro e giravano parecchie voci sul fatto che quel piccolo particolare non fosse affatto cambiato.
Si maledisse per non essere riuscita a cogliere i segnali con il giusto anticipo, in maniera tale da evitare di ritrovarsi costretta a viaggiare con qualcuno che, probabilmente, non la riteneva nemmeno degna di vivere. Per un momento prese in attenta valutazione la possibilità di alzarsi e uscire da quel vagone carico di freddezza, ma, in seguito, si rese conto che il suo gesto sarebbe stato la riprova di una paura che in quel momento non voleva mostrare. Così annuì distrattamente, riportando la concentrazione sul libro e cominciando a sfogliarlo, malgrado la sua memoria fosse in grado di anticipare ogni pagina, come se nessuno dei suoi pensieri avesse preso piede nella sua mente, come se i suoi sensi non riuscissero a percepire il ghigno divertito e consapevole che solcava le labbra di Santana.

 

Nonostante il convoglio riecheggiasse del vociare entusiasta e incontenibile delle centinaia di ragazzi presenti al suo interno risultava davvero difficile non riuscire a distinguere il frenetico ed angosciato passo che si dilungava attraverso lo stretto corridoio della locomotiva.
-“Fievel!”-  
Una ragazzina dalle lunghe trecce bionde correva a perdifiato in direzione della coda del treno, con l’affanno che scuoteva le sue spalle ed un inquieto allarmismo a fare da padrone al suo sguardo, il quale, non abbandonava mai il pavimento.
Si concesse una piccola pausa, appoggiando il palmo della mano destra contro ad uno stipite in legno che delimitava l’accesso ad una cabina, mentre le dita dell’altra mano si stringevano intorno all’orlo del suo maglione di lana. La sua bocca era dischiusa ed il suo caldo alito si mescolava all’aria circostante, in un momento di ricercata tregua che, tuttavia, non ebbe nemmeno il tempo di iniziare: una serie di altisonanti urla e colorite imprecazioni ridestarono la giovane inseguitrice dal suo breve attimo di riposo.
Riprese la sua folle corsa, rincorrendo il fragore di quelle grida che, ad ogni passo, divenivano sempre più distinte e terrorizzate, finché, dopo aver raggiunto l’ultimo scompartimento, la sua attenzione venne catturata da una carrozza alla sua destra, dove risiedeva l’origine di quel panico.
-“Levamelo di dosso! Levamelo di dosso!”- sbraitava una ragazzina dai lunghi capelli neri, rivolta alla bambina di fronte a lei, la quale, sventolando un libro verso il suo petto, tentava di rimuovere il piccolo intruso.
-“Fievel!”- la giovane padroncina si introdusse con rapidità nell’abitacolo, rivolgendo i propri passi in direzione del suo animaletto che, tuttavia, spaventato dal trambusto prese a zampettare sul torace della ragazzina dagli occhi scuri, la quale, in preda al ribrezzo, lo colpì, scaraventandolo sul pavimento, mentre, a tentoni, si alzava in piedi sul sedile, alla ricerca di un distacco che avrebbe considerato vitale.
Nel frattempo, la bambina dalle bionde trecce si era sporta verso il suolo, fino ad inginocchiarsi sulle stridenti assi di legno, nel disperato intento di acchiappare il suo topolino, ma la giovane bestiola era rapida e le minute mani della ragazzina faticavano a stare dietro ai suoi improvvisi scatti.
I versi di orrore e disgusto della ragazzina dalla pelle mulatta continuavano a risuonare nel vagone, cadenzati dal cigolio della struttura della poltrona che, sotto ai suoi rapidi e pesanti saltelli, dava l’impressione di essere sul punto di cedere; mentre, la bambina dagli occhi verdi rimaneva immobile, con i piedi leggermente sollevati e il suo libro stretto al petto.
-“Fa’ qualcosa!”- strillò la giovane mora, puntando per una manciata di secondi lo sguardo sulla ragazzina seduta all’altro lato della cabina, prima di ritornare ad esaminare con insistenza maniacale la superfice sottostante, terrorizzata dalla possibilità che quell’infido ratto avesse nuovamente invaso la sua area personale.
La bambina dai lisci capelli biondi prese a spostare con frenetica agitazione il capo da una parte all’altra della carrozza, alla ricerca di un modo che potesse aiutare la nuova arrivata a recuperare il suo animale, ma nulla di rilevante affiorava nella sua mente, ancora offuscata dal timore di un paio di occhi neri.
-“Che cosa vuoi che faccia?!”- le domandò, con il tono di voce strozzato dalla tensione e lo sguardo rivolto alla ragazzina chinata sul pavimento che continuava ad inseguire il suo topolino, malgrado fosse ben chiaro che tutti i suoi tentativi sarebbero stati un totale fallimento.
-“Non lo so! Sei tu che hai in mano un dannato libro degli Incantesimi!”- le fece notare la mora, stizzita dalla sua completa mancanza di raziocinio, mentre si cimentava in una danza impropria, con l’unico scopo di sfuggire alle grinfie di quella orripilante bestia.
Il precario respiro della giovane studentessa arrestò per un momento il suo affanno, giusto il tempo necessario per accendere un bagliore di vita nella sua mente, restituendo alla memoria della ragazza la miriade di formule a cui aveva prestato la sua attenzione per tutto il periodo estivo. Mosse con rapidità le palpebre, prima di deglutire e indirizzare lo sguardo verso la sua toga, sul lato sinistro, dove la sua bacchetta riposava tranquilla. Percepiva il proprio petto risuonare dei battiti del suo cuore, mentre, una volta estratta la sua arma, concentrava le sue fervide iridi in direzione del piccolo topo.
-“Impedimenta!”-
Il movimento della creatura si fece ad ogni secondo sempre più lento ed instabile, finché, fermatosi del tutto, divenne finalmente possibile riacquisire il controllo su di lui: la bambina dalla capigliatura curata lo racchiuse tra le sue mani, mentre mormorava al suo orecchio parole di conforto.
Intanto, le urla della mora erano cessate, sostituite da uno sguardo truce che non lasciava alcuna speranza di ripensamento nei confronti del moto di rabbia a cui la sua anima stava offrendo il suo appoggio.
-“Per la barba di quel vecchio idiota di Merlino! Come ti salta in mente di portare a bordo quella sudicia bestiaccia!?”- imprecò, rivolgendo alla causa del suo malessere una gelida occhiata, prima di orientare il suo totale interesse alla delicata stoffa del suo pullover nero, alla ricerca di qualche foratura o macchia che potesse averlo intaccato. Si rimise seduta composta sulla poltrona, senza badare al disappunto che comparve sul volto della ragazzina dalle bionde trecce.
-“Non è una bestiaccia. È un topolino delle risaie..e si chiama Fievel”- lo difese con decisione la sua proprietaria, mentre faceva scorrere con delicatezza i suoi polpastrelli tra i ciuffi del suo morbido pelo marroncino.
Le dita della ragazzina di fronte a lei si bloccarono, ponendo un freno alla sua ansiosa ispezione, solo per sollevare il capo e lasciare che il proprio sguardo vagasse, con un principio di avversione sempre più crescente, sulla figura di quella mocciosa che aveva osato contraddire le sue parole.
Il suo sopracciglio sinistro era inarcato verso l’alto, mentre le sue iridi scure si immergevano nel limpido bagliore di un audace azzurro, così temerario da credere di possedere il giusto coraggio per sostenere lo sguardo di una “Lopez”. Oppure era solamente ingenuo ed inesperto, una ipotesi alla quale la giovane mora dava molto più accredito.
Rimasero immobili, in un conflitto di sguardi a cui nessuna delle due voleva cedere terreno, dal momento in cui la ragazzina seduta sulla poltrona, con le mani ancora posate sul maglione, doveva mettere in chiaro la sua già evidente superiorità, mentre la bambina in piedi di fronte a lei, con i palmi impegnati a proteggere il suo animale, non voleva concedere alla sua coetanea il diritto di insultare il suo piccolo amico.
Nel frattempo, la ragazza in divisa sostava nella sua posizione iniziale, irrigidita dalla tensione che percepiva diffondersi in tutto l’abitacolo, un senso di inquietudine al quale voleva porre un rimedio, malgrado il timore che portava con sé quella sua decisione. Dischiuse la bocca, pronta a mitigare quello stato di turbamento, quando, un lieve cigolio irruppe nel silenzio del vagone, frenando il suo ardito intento.
-“Qualcosa dal carrello care?”-  
La giovane studentessa ripose lo sguardo sulla soglia della carrozza, avvertendo il proprio nervosismo diminuire, d’innanzi alla serenità che traspariva dal suo sorridente volto, malgrado fosse dissimulato da una serie di grinze e rughe.
-“No”- la voce lapidaria della mora fece riaffiorare quel sentore di oppressione che sembrava oramai saturare le pareti dell’abitacolo, dando vita ad una cappa di prevaricazione alla quale era necessario sottrarre valore.
-“Per me invece si”- accumulata la giusta dose di risolutezza la ragazzina dagli occhi verdi decise di alzarsi, dirigendo i propri passi verso l’anziana signora e il suo fedele carretto, ricolmo di una infinità di leccornie -“Direi..un paio di cioccorane..”- sollevò il braccio destro, puntellando il polpastrello del suo indice sul suo labbro superiore -“..e..due sacchetti di caramelle gommose. Ti va?”- si voltò in direzione della giovane dalle lunghe trecce bionde, in attesa che la sua inaspettata proposta trovasse il riscontro di una replica.
Le sopracciglia della bambina dagli occhi azzurri si innalzarono, mentre la sua bocca si schiudeva, in una espressione di inatteso stupore che, tuttavia, racchiudeva un sincero piacere: sorrise, inclinando leggermente il capo in avanti, in un gesto di assenso a cui l’altra ragazzina rispose con il suo stesso entusiasmo.
Si accomodarono sul soffice tessuto della poltrona, una di fianco all’altra, lasciando il posto di fronte alla giovane dalla pelle mulatta vuoto.
La ragazza dalle gote cosparse di lentiggini depose il suo topolino sulla sua spalla destra, dando così alle proprie mani la possibilità di muoversi con maggior destrezza.
-“Ti ringrazio molto..”- mormorò, mentre scartava il primo involucro di caramelle, aspettando che il tono sospeso della sua voce fosse colmato dà una risposta.
-“Quinn”- ribatté rapida la giovane in divisa, intuendo la sua implicita domanda. La bambina sorrise e portandosi alla bocca un pezzo di frutta gommosa diede forma al suo nome.
-“Piacere..io sono Brittany”-
 
Nessuno strumento di tortura avrebbe mai potuto provocare uno strazio simile a quello inflitto alle elitarie orecchie di Santana Lopez. Il solitario e silenzioso viaggio a cui la giovane aveva ispirato fin dal momento in cui era giunta nei pressi della stazione di King’s Cross aveva assunto le sembianze di un vero e proprio incubo.
Il suo illustre udito si era ritrovato costretto ad essere partecipe delle loro insulse e insignificanti conversazioni, dalle quali, l’unica cosa che era stata in grado di cogliere fu la tremenda constatazione che le sue indesiderate compagne di cabina fossero esattamente quel genere di individui di cui suo padre le aveva raccontato: una lurida mezzosangue dalla parlantina moralmente seccante e una che aveva passato la sua infanzia nel mondo dei babbani.
La mente di Santana si era domandata che cosa avesse fatto di male per essere stata sottoposta a quel penoso supplizio, tuttavia, nulla di rilevante era emerso dalla sua ricerca di risposte. Così, per la prima volta da quando era salita su quel treno, il suo corpo aveva percepito il remoto desiderio di raggiungere la fatidica meta.
Per quel motivo i suoi piedi non avevano atteso nemmeno un istante, nel momento in cui l'annuncio dell'imminente arrivo ad Hogwarts si era diffuso per l'intera locomotiva, prima di catapultarsi fuori dal vagone, senza degnare di uno sguardo le due novelline, alla ricerca di un luogo consono dove avrebbe potuto indossare la sua personale divisa.
 

 
Una volta che il cigolio delle ruote si era trasformato in un debole eco lontano gli sportelli del convoglio si schiusero, lasciando spazio alle centinaia di studenti che, ogni anno, si ritrovavano a percorrere quel medesimo sentiero. Un itinerario a cui i novizi avrebbero avuto il permesso di accedere solo al secondo anno: il loro primo ingresso al castello sarebbe avvenuto tramite le direttive della guardiacaccia.
-“Primo anno! Primo anno! Da questa parte!”- una voce poderosa irruppe nel frenetico vociare delle nuove reclute, riportandole all’ordine e facendo avvicinare i loro passi alla fioca luce di una lanterna, il cui bagliore illuminava i contorni di un paffuto volto. Un mormorio di stupore si levò dalle bocche inesperte dei giovani studenti, d’innanzi alla figura della donna che sovrastava di almeno una ventina di metri le loro teste.
Aveva i capelli corti e ricci, di un marrone scuro, in netto contrasto con il chiarore che traspariva dal suo sguardo gentile. Indossava un paio di grossi pantaloni verdi, colore che richiamava quello degli alberi che costeggiavano la fermata del treno, una maglietta bianca dalle lunghe maniche e un largo cappotto di pelliccia nero.
Brittany era meravigliata da quella creatura, così possente e massiccia, ma al tempo stesso priva di qualsiasi pericolosità: sorrise, dando adito a quel fervore che sembrava caratterizzare il viso della loro guida.
Al suo fianco, Quinn, osservava con interesse la fisionomia del soggetto, nel tentativo di collocare le sue fattezze in una delle categorie che aveva incontrato all’interno del suo libro di Enciclopedia Magica; mentre, Santana, in ultima fila, si sforzava di non esprimere un giudizio negativo sulla, alquanto discutibile, scelta degli indumenti.
-“Benvenuti. Io sono Shannon, ma potete chiamarmi anche Beiste..e sono la responsabile dell’area forestale e selvatica che circonda il castello..”- rimase per un momento in silenzio, forse in attesa che l’entusiasmo della sua presentazione venisse in qualche modo ricambiato, ma d’innanzi al suo sguardo vi erano solamente espressioni di sconcerto per l’immensità della sua statura, oppure di lieve timore.
-“Okay..seguitemi”- si arrese, voltando il proprio corpo e dirigendo i suoi pesanti passi verso la zona di attracco. Sotto le sue direttive i ragazzi presero posto sulle scialuppe che, attraversando il Lago Nero, li avrebbero condotti ad Hogwarts.
Espressioni di pura estasi solcavano i volti dei nuovi arrivati, di fronte alla maestosa struttura che si ergeva d’innanzi ai loro increduli occhi: incastonato tra le guglie di una montagna rocciosa si levava la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, un castello la cui magnificenza non era ancora stata eguagliata.
Tutti erano immersi nel suo splendore, tutti i cuori di quei bambini gioivano per essere parte di quel mondo. Tutti, tranne Santana.
Se ne stava con le braccia incrociate, lo sguardo fisso sul castello, lo stesso che venticinque anni prima aveva decretato la fine dei genitori di suo padre.
 


Terminata la traversata i giovani allievi vennero scortati nei pressi del portone principale, la cui successiva apertura, venne accompagnata da un sospiro generale di stupore: la grandezza del salone lasciava a bocca aperta, ma bisognava individuare nelle migliaia di quadri e nelle dozzine di scale la reale attrattiva a cui gli occhi di futuri maghi e streghe si stavano rivolgendo.
Tuttavia, il tempo per la contemplazione poteva attendere e, una volta esortati dalla guardiacaccia Beiste a procedere in direzione di una rampa di scale, i novizi si ritrovarono a fronteggiare una nuova figura.
Sulla cima della gradinata, ad aspettare il loro arrivo, vi era una giovane donna, con un cappello a punta nero ed una veste grigio scuro, ornata da una sottile linea di blu. Il colore dei suoi capelli rispecchiava le tipiche sfumature autunnali, mentre i suoi occhi offrivano alla mente l’immagine di un prato verdeggiante. Per un momento Brittany si ritrovò a pensare che potesse trattarsi della rincarnazione di Bambi.
-“Benvenuti ad Hogwarts giovani streghe e maghi. Fra qualche istante potrete accedere alla Sala Grande e godere del banchetto che è stato preparato per voi, ma prima..”- fece scorrere il suo sguardo da cerbiatta sulle reclute in piedi d’innanzi a lei, esaminando con cura e attenzione i volti dei suoi probabili futuri allievi, alla ricerca, forse, di una valida studentessa -“..verrete smistati nelle vostre case. Grifondoro, Tassorosso, Corvonero, di cui la sottoscritta detiene la direzione, e Serpeverde”- fece loro un breve sorriso, prima di voltarsi e raggiungere con decisione le grandi porte d’orate, al cui suo cospetto si spalancarono.
Un magnifico cielo stellato accompagnava il passo delle giovani reclute, talmente impegnate ad ammirare il risultato di quello straordinario incanto da non accorgersi delle centinaia di occhi puntati su di loro.
Una volta percorsa la stretta corsia che separava i due tavoli principali i futuri studenti arrestarono la loro camminata, trovando a qualche metro di distanza da loro un piccolo sgabello di legno, sul quale sostava un grande cappello marrone.
Dietro di esso, una schiera di insegnanti, disposti su un lungo tavolo, attendeva con trepidazione che la cerimonia di smistamento avesse inizio.
La donna, a cui era stato dato il compito di condurre i novizi all’interno del salone, si avvicinò alla solitaria sedia e, dopo aver estratto dalla sua toga il rotolo di una pergamena ed aver sollevato con la mano sinistra il copricapo, si rivolse nuovamente ai nuovi arrivati.
-“Quando sentirete chiamare il vostro nome dovrete fare un passo in avanti e raggiungere lo sgabello. Una volta seduti poserò il Cappello Parlante sulle vostre teste e sarete suddivisi in una delle quattro casate. Dopo essere stati collocati potrete accomodarvi vicino ai vostri compagni”-
Il silenzio che seguì le parole della giovane insegnante le diede la conferma per poter procedere con il tradizionale rito di iniziazione: srotolò la pergamena, prima di schiarirsi la gola e annunciare il primo nome.
-“Quinn Fabray”-
Il cuore della ragazzina dagli occhi verdi prese a battere con insistenza, mentre percepiva lo sguardo della professoressa vagare sul gruppo di studenti, in attesa che la persona chiamata venisse avanti.
Chiuse gli occhi, accumulando aria nei suoi polmoni, prima di rilasciare un lungo e silenzioso sospiro e indurre le proprie gambe ad eliminare la distanza dal suo destino.
Prese posto sullo sgabello, ingoiando a vuoto, nell’istante in cui il suo capo venne avvolto dal calore di un tessuto animato: il cappello cominciò a muoversi, ruotando di qualche centimetro il suo collo, mentre mormorava parole di indecisione al suo orecchio.
Quinn attendeva il responso, con le dita affossate nella stoffa dei pantaloni e i palmi a stringere il lembo di tessuto che eccedeva dalle ginocchia. Un senso di agitazione ghermiva il suo stomaco, dando alle sue mani un candido aspetto, intanto che il cappello continuava a muoversi, ritardando la sua scelta.
In cuor suo, Quinn, sapeva a quale casata avrebbe voluto appartenere e sperava che anche il Cappello Parlante fosse in grado di percepire il suo desiderio.   
Il ritmo dei suoi battiti divenne più intenso, mentre avvertiva il borbottio nelle sue orecchie cessare, segno che la sua sorte era stata appena decretata.
-“Corvonero!”- sentenziò il Cappello Parlante, facendo scaturire uno scroscio di applausi nel tavolo chiamato in causa e concedendo a Quinn la possibilità di tirare un sospiro di sollievo.
La giovane scese dalla sedia, dirigendosi verso la sua destra, dove la attendeva la sua nuova famiglia, mentre la professoressa rivelava il secondo nome.
-“Mercedes Jones!”-
Una bambina dai folti capelli ricci e la pelle scura fece un passo in direzione dello sgabello, imitando i movimenti di Quinn.
Una volta che il cappello venne posto sul suo capo impiegò solo una manciata di secondi, prima di decretare a gran voce la sua collocazione.
-“Grifondoro!”-
La nuova studentessa si diresse verso il tavolo festante dei suoi compagni, esattamente di fronte a quello di Quinn.
Uno schiarimento di voce fece acquietare il rumore degli applausi, restituendo alla sala il giusto silenzio per poter procedere con la cerimonia dello smistamento.
-“Santana Lopez!”-
Un lieve bisbigliare di voci sommesse prese piede tra i giovani allievi, mentre nel salone risuonava l’eco dei suoi passi, la cui sicurezza non venne mai meno, neanche quando la percezione di alcuni sguardi sembrava andare al di là di una semplice occhiata.  
Mantenendo la sua fierezza ed il suo orgoglio prese posto sullo sgabello, in attesa di una sentenza alla quale il suo nome era già stato associato da tempo: la mano della professoressa non ebbe nemmeno la possibilità di allontanarsi dal tessuto del cappello che, la sua voce, aveva oramai decretato la sua ubicazione.
-“Serpeverde!”-
Un sorrisetto consapevole ed altezzoso comparve sul suo volto, mentre, con un saltello, si riportava sulle due gambe, soddisfatta ed onorata di essere accolta dai suoi compagni con un frenetico battito di palmi sul duro legno del tavolo, proprio dietro a quello di Quinn.
Una volta che Santana ebbe preso posto e l’indesiderato rumore fatto cessare l’insegnante ripose la sua attenzione sulla pergamena.
-“Brittany Pierce!”-
Il corpo della ragazzina venne attraversato da un breve sussulto, mentre la consapevolezza di essere stata chiamata si univa alla incontrollata trepidazione dei suoi passi che, incuranti della presenza di un paio di scalini, si ritrovarono a scontrarsi con un ostacolo imprevisto.
Il suo equilibrio venne meno, portando il baricentro della sua figura a tendere verso il pavimento. Fortunatamente Brittany era dotata di buoni riflessi e, distendendo le mani in avanti, fu in grado di evitare che il suo viso venisse scalfito dalla pericolosa robustezza del suolo, tuttavia, non riuscì ad impedire al fragore delle risate di estendersi per tutta la sala, inducendo il suo volto a colorarsi di porpora.
-“Scusatemi”- mormorò imbarazzata, mentre risollevava il suo corpo dalla fredda superfice e indirizzava il suo cammino verso il piccolo sgabello.
Sorrise, avvertendo la sua anima scalpitare, intanto che il Cappello Parlante si muoveva sopra la sua testa, alla ricerca della risposta a cui la medesima Brittany si interrogava: non aveva idea di quale sarebbe stata la sua dislocazione, poiché non si era mai soffermata a riflettere sulle capacità che possedeva, né sui requisiti che le casate richiedevano. Pertanto, attendeva con euforica incoscienza un responso a cui il suo entusiasmo non sarebbe, in nessun caso, mancato.
La cadenza dei suoi battiti accelerò la propria andatura, mentre gli angoli della sua bocca si innalzavano senza alcun controllo, d’innanzi al silenzio che riecheggiava nelle sue orecchie, segno che una decisione era stata presa.
-“Tassorosso!”- esordì il Cappello Parlante, dando finalmente a Brittany la sua ricercata sistemazione.
Le corde vocali della ragazza vibrarono, eccitate e gioiose, di fronte al vociare esaltato dei suoi compagni che non sembrava volesse avere fine, nemmeno quando la ragazzina ebbe ormai preso posto, esattamente a due tavoli di distanza rispetto a quello di Santana.
 
La cerimonia dello smistamento procedette fino a che ogni novizio non venne accolto nella propria Casa di appartenenza. E, una volta che tutti i tavoli furono riempiti e la professoressa fece ritorno al suo posto designato, una figura si elevò dalla sua sedia, attirando su di sé gli sguardi degli studenti, in particolare quelli del primo anno, incuriositi dal luccicante manto bianco che rivestiva la minuta corporatura del Preside Figgins, esaltando la scura carnagione della sua pelle.
-“Buonasera cari studenti e benvenuti ad Hogwarts. Prima di cominciare con il banchetto vorrei ringraziare la Professoressa Pillsbury per il servizio reso..”- la donna sorrise, accennando un breve gesto di gratitudine con il capo, a cui il Preside rispose con altrettanta discrezione -“..e ricordare a tutti voi che l’accesso alla Foresta è proibito..così come quello ai sotterranei. Se infrangerete una di queste regole la vostra Casa perderà punti e il vostro soggiorno potrebbe essere messo a rischio..”- il Preside Figgins si prese un momento, prima di continuare, in maniera tale da sottolineare la serietà e l’importanza di quello che aveva appena comunicato -“..detto questo..diamo inizio al banchetto!”-
Una serie di mormorii e sospiri sorpresi si diffuse per tutta la Sala Grande, mentre lo spazio vuoto dei tavoli veniva colmato da centinaia di pietanze, dai primi piatti, ai secondi, fino ai dolci, e da una sequela di bevande zuccherate.  
Il salone era attorniato da una cappa di serenità e spensieratezza che rendeva la cena dei nuovi arrivati qualcosa di indimenticabile: le mani di Brittany vagavano da un cibo all’altro, riempiendo la sua bocca e quella di Fievel che, ogni tanto, sbucava dalla tasca della sua toga per reclamare un pezzettino di formaggio; mentre, la voce di Quinn non era mai stata apprezzata come in quel momento, dove, con irrefrenabile entusiasmo, descriveva a due suoi coetanei l’incantesimo che aveva permesso al soffitto di trasformarsi in un incantevole cielo stellato.
L’unica a cui quel banchetto non suscitava alcun entusiasmo era Santana. Le sue braccia restavano incrociate e di rado si allungavano per prendere qualcosa da mangiare. Aveva le sopracciglia aggrottate e lo sguardo concentrato, mentre esaminava i profili degli insegnanti, nel tentativo di accumunare le loro caratteristiche a quelle che suo padre le aveva comunicato e individuare la persona a cui si sarebbe dovuta affidare per l’intero anno scolastico.
Un ghigno prese forma sul suo volto, nel momento in cui i suoi occhi scuri si soffermarono su di lei.
 

 
Conclusa la cena gli studenti vennero scortati dai rispettivi Capo Scuola verso la Sala Comune delle relative casate. I Grifondoro si avviarono in direzione delle gradinate, alla ricerca del ritratto della Signora Grassa, i Corvonero rivolsero i loro passi nel senso opposto, percorrendo una scalinata che li avrebbe portati nella zona ovest del castello, nei pressi di una torre; i Tassorosso, invece, procedettero in direzione delle cucine, oltre i tunnel sotterranei, per giungere alla loro tana, infine, i Serpeverde, che, dopo aver attraversato buona parte dei sotterranei, si ritrovarono d’innanzi alle acque oscure del Lago Nero.
Appena giunta nel dormitorio, Quinn, si sedette a gambe incrociate sul suo letto, sfogliando con interesse il programma scolastico delle settimane successive, mentre il lieve battito d’ali del suo gufo accompagnava il resto della camerata nella spirale di un dolce riposo.
A centinaia di metri sotto di lei, Brittany, se ne stava in punta di piedi, con Fievel sul capo, ad osservare da una rotonda finestra il bagliore delle luci che ancora illuminavano le torri del castello, conferendo al paesaggio una sinistra aurea di pace.
Nel medesimo piano, dalla parte opposta, Santana era sdraiata su uno dei divanetti di pelle nera messi a disposizione per la loro Sala Comune, con lo sguardo rivolto alla parete di vetro, la cui trasparenza offriva la possibilità di ammirare le pericolose creature che ospitavano gli abissi del Lago Nero, e le dita impegnate a far scorrere i propri polpastrelli tra il manto corvino della sua gatta che, appollaiata sulle sue gambe, lasciava alla sua padrona il compito di eliminare lo stress accumulato durante il lungo viaggio.  
Santana sorrise, mentre, incrociando le sinuose movenze di una sirena, la sua mente si concentrava sulle parole di suo padre, oramai consapevole che il suo piano avrebbe trovato il proprio compimento.
   
 
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