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Autore: Eririchan    04/03/2022    1 recensioni
[Ren x HoroHoro]
Ren e Horokeu non sono mai stati semplici amici ma, non essendoselo mai detti, le loro strade hanno preso direzioni diverse. E' la morte di Jeanne che, paradossalmente, gli concede una seconda occasione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Horo Horo, Ren Tao
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Quella bocca sapeva di neve. E Ren la odiava.
La odiava perché, ogni volta che si posava sulla sua, il mondo smetteva di girare. E per un attimo, solo per quel brevissimo attimo, Ren smetteva di essere il leader del suo team.
Quelle labbra screpolate dal freddo, infatti, si appoggiavano sulle sue in modo fugace, poi si ritraevano subito. Lasciando come testimonianza del loro passaggio solo quel leggero aroma di neve.
Accadeva sempre più spesso e senza preavviso. In genere quando i due restavano da soli o rimanevano indietro rispetto agli altri. Oppure in mezzo a tutti, ma quando nessuno stava guardando.
Dopo ogni schiocco, Ren restava a fissare l’ainu in attesa che dicesse qualcosa. In fondo era sempre lui a iniziare. Ma Horo Horo negava che ci fosse qualcosa dietro a quei baci rubati, e Ren era troppo orgoglioso per ammettere che non gli dispiacessero. Tuttavia era anche troppo preoccupato che il giapponese smettesse di darglieli, se avesse fatto la mossa sbagliata.
Così quei baci, semplicemente, accadevano. E Ren si limitava a cogliere l'attimo. Senza pretese né ambizioni. Perché, in fondo, si trattava solo di lapsus corporei senza significato, di automatismi che semplicemente avvenivano… come la pioggia o i fulmini. Erano meri momenti da godersi senza pensare troppo.
E così lo sciamano del ghiaccio si ritrovava puntualmente quegli occhi puntati addosso. Occhi del colore del sole, ma che lo fissavano con la freddezza dei cimiteri nelle notti invernali. Sperava sempre che Ren, famoso per non avere peli sulla lingua, si esponesse, desse voce ai suoi pensieri o, perlomeno, gli desse un segno di essere presente.
Non dubitava che al suo team leader piacesse essere baciato di sorpresa, altrimenti si avrebbe protestato in qualche modo. E inoltre chiudeva sempre gli occhi quando Horo Horo si allungava su quelle labbra di loto e tuono.
Però non diceva mai niente. Si limitava a fissarlo in modo neutro. Senza astio né interesse.
Meglio non pensarci.
Ren era davvero caparbio quando ci si metteva: se non gli dava segni di nessun tipo, di certo è perché aveva i suoi motivi.
O perlomeno questa era la spiegazione che si era dato per dormire meglio la notte.
 
Una notte, tuttavia, Horo Horo non riuscì a dormire, preda di un desiderio di quella bocca particolarmente forte, particolarmente urgente.
Così si alzò dal proprio giaciglio, si diresse verso il letto dell’erede dei Tao e si chinò sulla sua sagoma rannicchiata. Si sporse per chiamarlo sottovoce: - Ren, svegliati, Ren, per favore. - 
La chioma viola si mosse appena. Probabilmente stava sognando qualcosa come essere finalmente incoronato Shaman King o vincere una fornitura a vita di momoman. O di essere diventato più alto, forse.
L'ainu lo chiamò ancora e finalmente Ren aprì gli occhi.
Nel buio della stanza, il cinese non poteva riconoscere nessuno, ma percepì la presenza dell'amico.
- Devo parlarti. - 
Ren si alzò a sedere. - Dimmi. - disse con voce impastata dal sonno.
Horokeu non era mai stato bravo con le parole, e il fatto di non aver prima pensato a cosa dire non aiutava di certo. In aggiunta si ricordò solo in quel momento che Chocolove e i loro spiriti erano lì attorno, assopiti, quindi tentennò a lungo, finché l'altro gli chiese: - Pensi di dirmelo? - 
- Forse è meglio se usciamo. - fu la risposta.
Era sicuro che Ren lo avrebbe mandato a quel paese, e invece, inaspettatamente, Ren mormorò un "ok, come vuoi" e fece per scendere dal letto.
- No, aspetta, non intendevo in questo senso. - si affrettò a dire l’altro appena sentì il fruscio delle lenzuola.
- Non ci sono molti altri modi per intenderlo. - lo rimbeccò il moro.
Così il giapponese alzò le mani nel buio e, a tastoni, trovò il petto del cinese, il quale trasalì. Le sue mani risalirono quel corpo a testoni finché giunse alle guance, poi gli prese il volto tra le mani. Horo Horo avvicinò la fronte a quella del moro e rimase un attimo in attesa. I nasi che si sfioravano, i respiri che si fondevano.
Si umettò le labbra, pregustandosi il delicato aroma di petali e fulmini che le labbra di Ren gli lasciavano sulle proprie ogni volta che lo baciava. 
- Avanti, fallo. - lo incoraggiò il cinese, preoccupato dal possibile significato di quel ritardo: ormai era quasi naturale essere preso alla sprovvista da casti baci a stampo, e allora perché ci stava mettendo così tanto? Aveva dei ripensamenti?
Era la prima volta che Horokeu Usui riceveva un segno così esplicito. Pensò che in qualche modo fosse merito di quell’oscurità.
Senza pensarci due volte, inclinò la testa e affondò i propri pensieri nella bocca di Ren.
Per la prima volta, approfondì il bacio e gli passò le mani tra i capelli per tenerselo stretto.
Ren rimase in balia degli eventi: la sua testa prese a ondeggiare lievemente, dondolandosi secondo il ritmo che dettava la lingua di Horo Horo.
Lo seguiva devoto, inebetito dalla scoperta che quel ragazzo non sapeva semplicemente di neve, bensì di ghiaccio e tepore estivo.
Dal canto suo, Horo Horo rimase sorpreso nello scoprire che Ren sapeva di acqua. Acqua aromatizzata al loto. Con un retrogusto di sangue, paura e morte. 
Ed era ciò che di più dissetante avesse mai provato.
A renderglielo desiderabile ci avevano già pensato il suo portamento fiero e i lineamenti eleganti e affilati come una spada cinese. Per non contare quella stazza minuta che lo rendeva appetibile oltre ogni modo. Questa scoperta dell’acqua era solo l’ennesima dimostrazione che di Ren gli piaceva tutto. Persino ciò che non conosceva ancora.
Quando si staccarono, entrambi avevano il fiato corto, ma stettero attenti a mantenersi in rigoroso silenzio.
Entrambi fissarono i propri occhi nel buio, nel punto in cui avrebbero dovuto trovarsi gli occhi dell'altro.
Horo Horo deglutì. Ren restò immobile.
- Ren... cosa ne pensi? -
Ren fece spallucce e l'altro lo capì dallo spostamento dell’aria. - Sei tu che hai sempre detto che non significa niente. -
- Io non ho mai detto così. Ho detto solo che... la prima volta che è successo, ho detto che mi era scappato. E tu non hai detto nulla. - 
- Se ti era scappato, non c'era nulla da dire. - 
- E le volte dopo? Non dici mai niente. -
Ren inclinò la testa da un lato. - Non c'è niente da dire, se non significa nulla. - 
Calò il silenzio. Poi Horo Horo provò a dire un “Io non…” ma non finì mai la frase. Finché lui continuava a nascondersi dietro l’alibi di non aver scordato Damuko, Ren non aveva motivo di muovere per primo un passo che gettasse luce su quella situazione. In cuor suo, Horo Horo si ripeteva da tempo che, così come aveva archiviato Damuko nel cassetto degli amori eterni e impossibili, anche con Ren avrebbe potuto fare lo stesso.
L’ainu si morse un labbro: Ren non rispondeva. Stupido lui ad averci sperato.
Alla fine si alzò e tornò nel proprio letto.
Se Ren fosse stato più maturo, o se Yoh non avesse aspettato che incontrassero Nichrom per fargli quel discorso circa il crearsi una famiglia, di certo lo avrebbe fermato. Gli avrebbe detto qualcosa. Ma Ren allora era ancora un ragazzino immaturo, e come tale non disse nulla.
Quella notte Horo Horo riuscì a silenziare la strana sete che il suo corpo adolescenziale stava sperimentando. Ma in futuro, la mancanza di quell'acqua di nome Ren, lo avrebbe portato a morire disidratato, che ci credesse o no.
 
 
Quando iniziò lo Shaman Maze, o qualsiasi cosa fosse, Horokeu lavorò tre mesi per mettere da parte i soldi necessari a comprarsi un biglietto aereo per Kinshu. Solo andata, ovvio: confidava che i Tao lo avrebbero rimpatriato a proprie spese, qualora fosse giunto il momento.
Aveva bisogno di vederlo. Voleva dirgli quanto fosse in cordoglio per la sua perdita… voleva essergli amico, dopo tanto tempo passato distanti.
Ma ancora una volta, quando si presentò davanti al castello dei Tao e fu Ren in persona ad aprirgli, ecco che lui non aveva pensato a cosa dire. E Ren, che non si aspettava tale visita, rimase in silenzio con gli occhi sgranati. Probabilmente si stava chiedendo se ciò che vedeva era vero.
- Ecco… volevo vedere come stavi. –
Ren sbatté le palpebre un paio di volte. No, quello stupido era davvero lì, non se lo stava immaginando.
- Scusa, sai che non sono bravo con le parole… volevo portarti una spalla amica… ma mi rendo conto solo ora di quanto sia ridicola questa scusa. È che volevo vederti. Come stai? –
Ren si riscosse all’improvviso. - Avanti, entra. –
Horokeu seguì il capofamiglia per i corridoi di quel castello cinese. Salutò maggiordomi kyonshi e i signori Tao, i quali lo riconobbero e lo squadrarono da cima a fondo. Per fortuna Ren tirava dritto senza rallentare, così ebbe una scusa per non fermarsi a farsi mortificare per il proprio status da pezzente.
Sbucarono su una balconata che dava sulla vallata montuosa: uno scenario mozzafiato. Ma Horo Horo rimase senza parole per un altro motivo: - Che ci fai qui, Horo Horo? –
Dritto al punto. Ottimo.
A differenza del giovane Tao, Usui non lo guardò negli occhi. – Ero stufo. Non ci siamo visti per anni, poi abbiamo fatto una rimpatriata veloce e poi di nuovo niente per altri anni. Sono stufo di essere il ricordo di un’amicizia, Ren, noi eravamo amici per davvero, e adesso che hai dovuto affrontare una tragedia simile… volevo esserci. –
Ren incrociò le braccia e gli si avvicinò. Prese a guardare l’orizzonte insieme a lui. – Jeanne lo sapeva. –
- Che cosa? Il perché hai chiamato vostro figlio Men invece che Jen? Se lo stanno chiedendo tutti, in fondo: Maiden era un nomignolo, se volevate combinare i vostri nomi, avreste dovuto usare entrambi quelli di battesimo. –
- Quando hai finito con gli sproloqui fammelo sapere, che torniamo al vero motivo per cui sei qui. –
I due si fissarono; gli occhi di fulmine si videro riflessi in quelli celestiali dell’altro, come oro nell’opale. Ghiaccio e topazio.
- Te l’ho detto il perché: voglio essere l’amico presente che non sono stato in questi anni. –
- Se sei tornato per ripristinare lo status quo di prima, non sono interessato. –
Il turchino sgranò gli occhi.
- Se invece sei tornato per dirmi quello che non mi hai mai detto, - riprese l’altro dopo la pausa a effetto, - sono qui che ascolto. –
- Ma cosa… Ren, ti riferisci a… ? –
Il più giovane inclinò la fronte verso l’amico ormai uomo e lo fissò con occhi taglienti.
Horo Horo deglutì. Poi abbozzò una risata, – Perché mai dovresti volerlo sentire ora? Non ti è mai interessato! –
- Non ero io quello che si portava sempre appresso la fidanzata. –
- Cosa c’entra? È il mio spirito custode! –
Ren si appoggiò con la schiena a una colonna di quel portico. Dando le spalle allo spettacolo che Madre Natura aveva regalato ai suoi avi. – Il punto non è lei, il punto è che ancora adesso non sai cosa vuoi. Non lo hai mai saputo. Beh, a parte il campo di farfaracci, credo. –
- Oh, perché? Tu hai sempre saputo cosa volevi? – rispose l’altro quasi sbraitando.
Ren lo fissò con aria seria, senza scomporsi. – Io volevo una famiglia mia. Un lavoro che mi permettesse di insultare gli inetti e di far invidia grazie ai soldi. Direi che ci è voluto un po’, ma alla fine ho ottenuto tutto. –
Horokeu non sapeva se dar voce al suo pensiero oppure starsene zitto. Alla fine vinse il suo animo senza filtri: - Evidentemente non tutto, visto cosa mi stai chiedendo. –
Ren fu punto nell’orgoglio. Perché quel ragazzo aveva ragione.
Gli mancava una cosa, tra tutte quelle che aveva sempre voluto.
O meglio, una persona.
Fece un ghigno senza accorgersene: - Sentiamo, cos’è che vorrei, secondo te? –
Una lieve brezza mosse i capelli di Horo Horo, tenuti su da una fascia bianca annodata dietro la testa. Si fece serio. Così serio che finalmente sembrò dimostrare la sua vera età. Ren finalmente vide l’uomo che era diventato, invece del solito eterno Peter Pan.
- Ti sei sposato e hai avuto un figlio: se davvero era una famiglia tutta tua quello che volevi, dovresti accettare la mia amicizia senza rivangare certe cose. –
Ren gli si avvicinò di due passi, giusto la distanza che li separava dall’essere uno affianco all’altro. Sporse il viso e lo fissò dritto negli occhi. Era cresciuto molto in altezza, ma Horo Horo restava più alto di lui ancora di qualche centimetro.
– Sei tu che sei venuto fin qui mentre mio figlio non c’è. –
- Credevo ti sentissi solo. –
- E la tua compagnia che effetto dovrebbe farmi, secondo te? –
Horokeu deglutì. – Quello che vuoi, sono venuto qui come amico. Se hai bisogno di qualcosa… non lo so che cosa, lo sai tu. Dimmi cosa vuoi che faccia per farti sentire meglio. –
A Ren scappò uno “tsk” mentre tornava a guardare il paesaggio. – Ormai è troppo tardi. L’unica cosa che potevi fare non l’hai fatta quando è stato il momento, quindi ora è tutto inutile. –
- Di che cosa stai parlando? –
Ren non pareva intenzionato a rispondere, così il giapponese ritentò: - Ren, a cosa ti riferisci? Dimmelo, avanti… come posso aver fatto qualcosa di sbagliato se non ci vediamo da anni? –
Ren, che si era rabbuiato, si frizionò la frangia. Poi decise di chiudere lì il discorso. – Niente, lascia stare. –
- Ehi, non provare ad andartene! –
Appena si sentì trattenere per il polso, Ren si voltò con tutta l’intenzione di fulminare l’ospite con lo sguardo… ma appena i suoi occhi incrociarono quelli azzurri e preoccupati dell’altro, non ce la fece. – Ti prego, - lo stava supplicando, - dimmi a cosa stai pensando. –
Ren si avvicinò per afferrarlo al bavero del giubbotto con la stessa mano che l’altro gli aveva bloccato. Tirò a sé quel colletto e aprì la bocca per dire qualcosa di cattivo… ma non riuscì a dire nulla.
Rimasero a fissarsi in silenzio. I respiri che si confondevano data la vicinanza. Entrambi, a un certo punto, si morsero l’interno di una guancia. Poi un labbro. Infine deglutirono.
Senza rendersene conto, il maggiore portò le mani a racchiudere il viso dell’altro. Ren sgranò di più gli occhi, ma non disse nulla.
Horo Horo, dal canto suo, pareva in trance: com’era cresciuto, il suo Ren. Se non avesse saputo che era lui, probabilmente non lo avrebbe riconosciuto facilmente.
- Ren… cosa pensi? –
- Che importa? –
- Importa. Perché… -
- Perché? –
- Non lo so. Non sono mai stato bravo con le parole. Cos’ho fatto per ferirti, me lo dici? –
Ren chiuse un attimo gli occhi e respirò profondamente. Poi li riaprì. – Tutto quanto. –
- Mi spiace. Voglio rimediare. –
- Ormai è tardi. – fece per divincolarsi, ma l’altro lo trattenne. - Non è vero, non è mai troppo tardi. Dimmi cosa desideri e io lo farò. –
Ren riusciva a pensare solo a una risposta “sparisci”. Ma non la avrebbe mai detta. Era la risposta più razionale, la soluzione più facile e giusta, ma non era quella che voleva.
- Anche volendo, non tornerei indietro nel tempo. Non ho rimpianti, io. Solo che non mi aspettavo che saresti venuto fin qui. –
Horo Horo sorrise per un attimo. Poi si rese conto dell’atmosfera grave che era calata tra loro e tornò serio. – Se è quello che vuoi, te lo dico: ti baciavo perché volevo che tu mi dicessi qualcosa. Non sapevo come dirtelo, così lo facevo e basta. –
Ren si voltò a dargli le spalle, deciso a rientrare, e voltò appena la testa verso di lui: - E adesso cosa ne pensi? –
- Che lo farei ancora. Se solo tu non fossi… beh, in un momento fragile. –
A Ren scappò una risatina. – Alla fine sono sempre io a complicare le cose, non è vero? –
Horkeu non rispose. Non ce n’era bisogno. E non voleva usare Jeanne come una scusa, visto che lo aveva fatto pure lui con Kororo per molto tempo.
Rientrarono che il cielo era già buio. E Ren diede ordine di servire la cena nei suoi appartamenti, quella sera. Per due.
 
 
Ren viveva in un piano della casa tutto suo. Il fatto che il figlio fosse in Giappone, inoltre, fece sì che non ci fosse alcuna difficoltà a far pernottare Horokeu Usui in camera sua senza che qualcuno se ne accorgesse.
- Mioddio, dove hai imparato certe cose? – disse l’ainu, con il petto che si alzava e abbassava velocemente.
- Ti ricordo che mi sono sposato. –
- Moglie fortunata… - espirò il maggiore, rotolandosi su un fianco per mettersi a pancia in giù. I suoi capelli erano un disastro, ma mai quanto quelli di Ren. Si sporse a prenderne una ciocca e, nel farlo, gli venne un dubbio: - Ma il tatuaggio ce l’hai ancora? –
Ren si sporse dal letto quel che bastava per raccogliere la propria camicia da terra. – Ovvio, mica va via. –
Il giapponese si issò su un gomito e osservò la cicatrice che ancora attraversava verticalmente il petto del cinese. – E’ solo che con i capelli così lunghi non l’ho visto. –
Ren fece un sorrisetto che lasciava sottintendere diverse cose. – Se stai sotto è ovvio che non mi vedi la schiena, non c’entra averli corti o lunghi. –
Horo Horo arrossì violentemente: - Non sono stato del tutto…! Ah, lascia stare! La vera domanda è perché li hai fatti crescere così tanto. –
Ren indossò la camicia senza abbottonarla e si alzò i capelli per farli uscire da quell’indumento. – Perché a Jeanne piacevano lunghi. In parte proprio perché mi coprivano il tatuaggio. –
- Eh?! – esclamò basito l’altro.
- Non l’ho mai detto a nessuno. - aggiunse poi rabbuiandosi.
Horokeu, nel vederlo così, decise di cambiare discorso. Beh, più o meno: non era mai stato bravo con le parole. – Ma se vado con un vedovo, dici che commetto adulterio? – chiese mentre si sistemava il lenzuolo sull’addome.
Ren smise di litigare con i bottoni dei polsini e si batté un palmo sulla fronte: - Non posso credere che tu l’abbia detto davvero… sei più ignorante di quanto ricordassi. –
- Io mi preoccupo della nostra integrità morale e tu mi offendi?! –
Ren abbassò lo sguardo sul nuovo inquilino del suo letto. Non lo avrebbe mai ammesso, ma ai suoi occhi era ancora bello come dieci anni prima. – Innanzitutto avresti dovuto preoccupartene prima di “andare con un vedovo”. E poi, se avessi voluto offenderti, avrei detto che sei stupido, invece all’ignoranza c’è rimedio. –
Tra un dolore e l’altro, anche Horokeu si mise a sedere. Cercò la sua fascia sotto i cuscini, tra le lenzuola e, con non pochi sacrifici, si piegò fino a sbirciare sotto il letto. La trovò appallottolata in un angolo della stanza, ma non aveva voglia di andarla a prendere. Così si buttò sul grembo di Ren con la schiena e allargò le braccia.
- Parlando d’altro… ora ti serve una spalla, giusto? –
Ren alzò un sopracciglio. – Cosa intendi? –
- Sai… non credo che la tua coscienza ti lascerà stare dopo quello che abbiamo fatto stanotte. –
Ren sospirò e recuperò i fermagli dal comodino. Mentre ricreava le tre punte, rispose: - Te l’ho già detto che lo sapeva. –
L’altro scattò a sedere. – Cosa?! Intendevi quello? Cioè… questo?! Come… come faceva Maiden a…? –
Si fissarono per un attimo. Ren serio, quasi cupo, Horokeu rosso di imbarazzo.
- Lo sapeva e basta. –
- Glielo hai detto tu? –
- No. Lo sapeva e basta. –
- Non poteva “saperlo e basta”! Non lo sa nessuno! –
- Lei sì. –
- Ma… - la tachicardia che lo aveva invaso si fermò di colpo, tant’è che Horokeu credette che avrebbe sperimentato presto un infarto. – Significa che lo ha scoperto da sola… in che modo? Quando? –
Gli arrivò un ceffone.
- Smettila di arrovellarti, non è colpa tua. Lo sapeva da quando ci ha affiancati nei plant dei Patch. Lo ha capito lì. –
Ora Horo Horo si fece perplesso: - Ma se lo sapeva da sempre, perché vi siete sposati? –
Dallo sguardo di Ren si capì che era la domanda peggiore che potesse fare.
L’unica a cui non avrebbe mai voluto rispondere.
Perché in qualsiasi modo la avesse messa, Ren li avrebbe feriti entrambi.
Eppure decise di rischiare, quindi lo disse: - Perché credevo che non ti avrei più rivisto. Ed è andato tutto bene, finché non avete insistito per quella stupida rimpatriata. –
Gli occhi di Horo Horo si fecero grandi.
E improvvisamente capì qual era stato l’errore che aveva commesso e che Ren aveva provato a rinfacciargli: si era presentato alla rimpatriata.
- Ren… -
Il moro distolse lo sguardo fin quasi a dargli le spalle. – Sono una persona orribile, lo so. –
L’altro lo costrinse a girarsi e, protendendosi verso di lui, gli afferrò le spalle e accorciò la distanza tra i loro volti.
- Non ti azzardare, Ren. Non ti azzardare a fare questo sguardo triste! È tutta colpa mia e non so nemmeno come fare a chiederti scusa! Per mesi ti ho tampinato e sapevo, lo sapevo benissimo che ti avevo convinto. Lo sapevo perché te lo leggevo in faccia cosa provavi per me. Ti ho fatto cadere per me e alla fine, quando è stato il momento di farmi avanti e dirti che cosa provavo, mi sono incaponito che dovevi darmi una risposta tu, quando sapevo benissimo che non eri in grado di farlo. Se qui c’è qualcuno che è una persona orribile, quello sono io, non tu. Tu ci hai provato ad andare avanti e hai fatto davvero un ottimo lavoro, mentre io… io sono ancor lo stesso Horo Horo di sedici anni che non è in grado di prendersi le proprie responsabilità. –
Ora fu il turno di Ren di arrossire e sgranare gli occhi.
Non sapeva cosa dire.
Di solito decideva di non dire ciò che pensava, adesso invece gli mancavano proprio le parole.
- Horokeu, - sentirsi chiamare così da lui fu strano, bello e inquietante al tempo stesso, - tu cos’hai provato quando ci siamo rivisti, dopo quei sei anni? –
Horokeu voltò lo sguardo e si prese la fronte con una mano. - Ho odiato me stesso. Non immagini quanto. Avevo dato per scontato che anche tu, come me, fossi rimasto impantanato… e invece sei andato avanti. Sei proprio un fiore di loto che germoglia per tendersi verso la luce, a prescindere dall’acqua putrida da cui proviene. Ti sei fatto una famiglia mentre io… –
Ci fu silenzio. Un silenzio che durò troppo, così Ren decise di romperlo: - In Occidente dicono che dal letame nascono i fiori. –
Horokeu lo guardò di scatto, perplesso. - C-cosa c’entra? –
- Niente, è che non è da te essere così serio, dovevo sdrammatizzare o cambiare discorso. –
L’altro si commosse. – Grazie. –
Ren sorrise. Era proprio il guerriero del fulmine: come un fulmine era capace di stordirlo, come una scossa sapeva rianimarlo e, con un semplice tocco o sorriso, era capace di elettrizzarlo come nessun altro.
- Mi hai detto quello che volevo sentirmi dire, - aggiunse poi il padrone di casa coricandosi, - domani discuteremo dell’avvenire. –
Le luci si spensero e, una volta al buio, il giapponese si sporse verso il più giovane e lo baciò. La sua bocca sapeva di seconde occasioni. Ed era dissetante come l’acqua dopo la siccità.
   
 
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