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Autore: Shichan    04/03/2022    0 recensioni
Rex Lapis ha visto persino le rocce spezzarsi, ma una persona mai. E non sa come fermarlo.
[Morax/Barbatos | Zhongli/Venti ; character study]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Venti, Zhongli
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N/A: ci sono piccole imprecisioni volute riguardo l’Archon war o la situazione di Mondstadt, considerando il pov di Morax. Per il resto è più un character study con contorno di Morax/Barbatos, per cui non serve avere tutti i dettagli delle vicende ma solo un quadro generale!

 

 

Then slowly one by one
We carried our past and cradled the storm
We tried to conceal the scars we wore
'Cause we couldn't show what we couldn't show

 

Potersi aggirare tra le strade di Liyue Harbor è il privilegio della mortalità. Zhongli ha avuto molti nomi nella sua vita, alcuni dati dal popolo, altri così vecchi da non ricordare con precisione nemmeno lui chi li abbia coniati. Con il tempo il mondo ha imparato a conoscerlo e le leggende hanno formato la sua storia e la sua eredità, rendendolo l’Archon che è stato e non è più, il Dio senza il quale la sua gente sta imparando a vivere. Lo stesso ad aver siglato dei contratti con gli Adepti, ancora oggi impegnati nella protezione di una terra a cui non sarebbero più legati da alcun vincolo se non quello morale e degli affetti. Li capisce, per questo non li libera - non può fare più di quanto ha già fatto: inscenare la sua dipartita, siglare l’ultimo dei contratti a proprio unico beneficio e sperare che il mondo andasse avanti, Adepti compresi.

Tra chi ora incrocia la sua strada nella città dove ha scelto di vivere da mortale, quando si chiede a chi potersi rivolgere per conoscere qualche dettaglio sulla storia, le tradizioni, le leggende quasi tutti dicono alla persona di turno di rivolgersi a lui. A Zhongli non dispiace spiegare ciò che vogliono sapere, raccontare secoli di storia a cui gli altri attribuiscono solo un'immensa passione e un lungo studio quando invece a lui è bastato semplicemente vivere ogni singolo avvenimento. Nonostante questo, ci sono aspetti che giorno dopo giorno ha la sensazione finiranno irrimediabilmente per sfuggire anche ai suoi ricordi. Forse non se ne dovrebbe stupire: seimila anni sono lunghi per chiunque e quando si è rimasti solo in due ad aver visto e vissuto attivamente certe cose.

Pensare che in tutto il mondo esiste una sola persona con cui poter parlare di tempi che non torneranno mai più e che, presto, spariranno anche dalla memoria degli umani. Una sola.

E' incredibile.

*

Rex Lapis abbassa lo sguardo, soffermandosi sulla famiglia che sta proseguendo lungo una delle vie mercantili di Liyue, un sentiero appena battuto dove non è comunque consigliabile addentrarsi senza un buon carro e animali da traino che possano sopportare certi tipi di terreno. Forse, per un istante, il bambino lo scorge quando alza gli occhi per seguire il volo di un uccello nel cielo azzurro, ma l'Archon quasi non deve sforzarsi per sfuggire al suo sguardo in un attimo. Liyue è una terra grande e a lui basta un battito di ciglia per poterla attraversare tutta e assicurarsi che nulla stia sfuggendo al controllo che gli spetta, ma per il quale non ha mai forzato la mano sui mortali che abitano quel luogo. Se fosse come loro, forse la chiamerebbe casa. Il suo sentimento però è molto più complesso.

«Moooraaax» cantilena una voce alle sue spalle e sente di non poter fare altro che sospirare, le braccia incrociate al petto che si stringono di un poco prima di voltarsi a guardare una figura che è già consapevole troverà. Lì a librarsi a mezz'aria l'Archon Anemo lo guarda divertito, con quel cipiglio eternamente infantile e l'aspetto innocente che non potrebbe essere più fuorviante di così. Rex Lapis non ha qualcosa di particolare contro di lui, ritiene solo di essere incompatibile con lui. E che il suo presentarsi costantemente ubriaco sia di pessimo gusto. E—

«Mh?» si lascia sfuggire tra le labbra Barbatos, sporgendosi leggermente oltre la montagna su cui lui è rimasto fino a quel momento; le braccia incrociate dietro la schiena e l'aria incuriosita, si ritrae solo quando gli occhi chiari incontrano la famiglia che poco fa Rex Lapis stesso stava osservando: «Che bravo! Controllavi arrivassero sani e salvi?» lo prende in giro, lo fa sempre. Non ha idea di cosa ci sia di divertente per Barbatos all'idea che lui segua con lo sguardo qualche mortale in momenti di pace come quello. Cos'altro si suppone dovrebbe fare non è una cosa che riesce a comprendere.

Sospira piano, Rex Lapis, e scuote appena la testa prima di cominciare a muoversi nella direzione opposta a quella dove Barbatos si è sporto. Lo sente seguirlo, nello stesso modo in cui si percepisce una brezza soffiare quasi stesse dando una spinta leggera contro la schiena di chi cammina. Rex Lapis si è domandato spesso, quando ha sentito qualche mortale parlare di come gli sembrasse di essere incoraggiati dal vento durante un viaggio, al pari delle navi le cui vele si gonfiano d’aria, se qualche volta sia stato davvero Barbatos a dare un piccolo incoraggiamento a qualcuno di loro. 

D’altronde anche in questo sono estremamente diversi: Barbatos ha un affetto smisurato per i mortali. Rex Lapis non ne capirà mai il perché - sono ingegnosi, considerato che non possono contare su dei poteri superiori come gli Archon, ma al di là di questo vede in loro quasi soltanto dei limiti.

«Penso che se vivessi tra loro,» comincia a parlare Barbatos, incurante dei suoi silenzi, come sempre «li ameresti. Hanno una forza smisurata e una testardaggine niente male nel combattere le cose più grandi di loro.»

Rex Lapis cammina, cammina e solo quando arriva vicino a delle rocce su cui siede durante le ore più calme del giorno osserva in direzione di Barbatos. Si siede, notando che l’altro Archon aspetta a fare lo stesso. La pietra su cui ha preso posto non ha spazio accanto a lui per un’altra persona, ma Barbatos tende a sederglisi sempre di fronte e mai di fianco, perciò non se ne preoccupa. Poggia la schiena contro la parete rocciosa alle sue spalle, una gamba viene piegata e la caviglia posata sul ginocchio dell’altra gamba. E’ una posizione che assume spesso, agli occhi dei mortali sarebbe come un re sul proprio trono con fare assolutamente poco nobile. Barbatos lo guarda e sbuffa divertito, i suoi piedi nudi ancora non toccano l’erba rada.

Si abbassa il cappuccio proprio quando Barbatos si muove verso di lui, lo sguardo vispo di chi sta pianificando qualcosa; non ha nemmeno con lui il solito vino che porta in dono durante le sue visite sempre inaspettate, nonostante poi ne beva una buona parte da solo perché non sa frenarsi. Rex Lapis inarca un sopracciglio, cercando di anticipare le sue intenzioni, ma non riesce finché non se lo ritrova seduto su una gamba.

Per un lungo momento nessuno dei due parla. Poi Barbatos scoppia a ridere, le mani si poggiano sulla sua gamba solo per non rieschiare di cadere all’indietro quando la schiena si inarca appena e il collo si piega leggermente in un movimento naturale ad accompagnare quella risata. E’ un suono cristallino che affascinerebbe i mortali, ma lui ha imparato a riconoscerci anche una nota capace di suscitare una vaga irritazione.

«Scendi.» gli dice, non un’intimazione ma nemmeno una richiesta cortese. Barbatos però, tanto per cambiare, non gli dà ascolto e si limita a offrire scuse assurde come «La pietra è dura, dov’è la tua ospitalità, Morax?!»

Come sempre ciò che esce dalla bocca altrui non ha alcun senso per lui.

*

Dopo la guerra degli Archon è stato come uscire da una bolla di unicità destinata a non ripetersi mai più. Rex Lapis è considerato il dio di moltissime cose, tra cui anche la guerra, e il paragone con uno come Barbatos è sempre stato abbastanza immediato - sarà la vicinanza delle loro terre, divise da un confine immaginario che molti mortali non si rendono conto di aver oltrepassato fin quando non si affacciano ai primi villaggi sporadici e vi riconoscono architetture completamente diverse. O sarà che la natura di Barbatos è completamente diversa dalla sua. 

Tutto dell’altro Archon rispecchia ciò a cui è associato: libertà e vento sono due cose immediatamente associate a lui e Rex Lapis stesso deve ammettere che le vede in lui così come fanno i mortali di Mondstadt, dove si è recato una sola volta per cortesia. E’ sicuro che gli uomini vedano in Barbatos la leggerezza di una brezza tiepida in primavera e la promessa di vivere in piena libertà senza nessuna catena. Non conoscono la devastazione di un vento divenuto uragano, né il prezzo da pagare per poter andare dove si desidera, sempre. 

Se proprio, ai suoi occhi Barbatos è la perfetta rappresentazione di una bilancia priva di equilibrio: uno dei due piatti si eleva verso l’alto e nessuno spreca uno sguardo per quello che pende verso il basso, pieno di macigni per contrapporsi a una piuma. Mondstadt, già dal passato e in un futuro non troppo lontano forse, dovrà smettere di preoccuparsi della guerra, dei tiranni, della paura e sarà perché qualcuno si sarà preso il compito di tenerli lontani. Il sacrificio di un singolo per un bene comune, così totalizzante, è qualcosa che sfugge alla mente di Rex Lapis - lui che è pietra, dura e solida, spesso inamovibile e al tempo stesso è guerra, è denaro, è storia.

Così glielo domanda durante una visita non richiesta, una delle tante. Sono passati anni (forse dieci, forse cento) e Barbatos si presenta ancora con un vino che berrà per lo più da solo, senza che in lui cambi niente, in virtù degli esseri immutabili che sono entrambi. 

Liyue Harbor è più grande di come l’Archon Anemo la ricorda, prende la forma della città portuale più grande di Liyue che sarà in futuro, della tomba di Morax per un contratto di cui ancora nessuno sa nulla. E’ ancora lontana però dalla luce delle lanterne sempre accese come una guida per chi si è perso, così nella tranquillità di una notte stellata senza l’ombra della Jade Chamber a fluttuare in cielo parlano per più tempo di quanto Rex Lapis avrebbe pensato di impiegare in una conversazione con l’altro.

Sorprendentemente si lasciano andare anche a lunghi silenzi, confortevoli momenti in cui concedono alla mente di riposare. 

«Sono incredibili.» pronuncia Barbatos a un certo punto, lo sguardo verso le case dalle luci spente, il sorriso gentile a incurvargli le labbra. Non è la prima volta che Rex Lapis nota quel suo modo di guardare i mortali, a metà tra l’affascinato e il malinconico, come se fossero creature che non possono far altro che dipendere da lui.

«Posso capirne il fascino,» gli fa eco per la prima volta, considerato come di solito lasci senza alcuna risposta quel discorso fin quando Barbatos non si arrende a farlo cadere. Vede una vaga sorpresa nei suoi occhi, sebbene lui lo stia guardando solo di striscio, ma anziché chiedergli cosa lo stupisce si limita ad aggiungere «ma sono fragili. Si consumano fino a morire e lo fanno con velocità. Come l’incenso bruciano inesorabilmente quando vengono accesi e lasciano una traccia di fumo per un istante appena. Tu sei eterno. Come tu possa legarti a qualcosa di così effimero, va oltre la mia comprensione.»

Si aspetta un rimprovero misto a una presa in giro, l’ennesima osservazione di Barbatos su quanto lui sia duro e rigido. Invece si ritrova un’occhiata curiosa addosso e, dopo poco, il sorriso sulle labbra dell’altro Archon si fa quasi dispiaciuto. Lo vede alzarsi da dove sedeva e muovere diversi passi verso di lui - piedi sull’erba, anziché svolazzare come gli piace fare di solito - fino a sedersi più vicino. Non si sono mai seduti a così poca distanza l’uno dall’altro, se non quando Barbatos vuole prendersi gioco di lui e gli si sistema anche addosso. Ha lo sguardo rivolto alle stelle, quando gli parla di nuovo.

«Hai mai provato paura, Morax?»

Prova a pensarci, prima di rispondergli. Ha appreso nel tempo che i mortali la provano di fronte a un migliaio di cose e che solo alcune di queste sono state in comune con gli Archon che ha conosciuto: fallimento. Sconfitta. Morte, sebbene sia qualcosa di molto remoto al di fuori della guerra che hanno combattuto. 

Rex Lapis non ha mai avuto paura di nessuna di queste cose.

«Mai.» ammette quindi con fare laconico, non potendo offrire niente più di questo. Inaspettatamente, però, non segue nessuna frase o rimprovero o presa in giro a quella risposta. Barbatos si limita a guardare qualcosa che, Rex Lapis ne è sicuro, non riuscirebbe a vedere se anche rivolgesse al cielo la stessa attenzione. 

Dopo un tempo difficile da quantificare, sente la testa di Barbatos poggiarsi alla sua gamba come un bambino potrebbe fare sul grembo di una madre. Rex Lapis abbassa gli occhi dorati su di lui, cercando su lineamenti che conosce a memoria la risposta a una muta domanda di fronte a un comportamento privo di logica. Barbatos però si gira su un fianco e socchiude gli occhi, con l’intento di dormire.

Lui conosce l’arte della guerra, ma non questo.

A un certo punto, prima che se ne accorga, Barbatos sembra riuscire a scivolare in un sonno profondo abbastanza da regolarizzargli il respiro e rilassargli i lineamenti. Con le dita Rex Lapis gli sfiora i capelli , quel dettaglio di una fisionomia che non gli appartiene davvero, e si domanda se sia questo che accade quando si comincia a diventare mortali pur essendo esseri immortali.

*

Barbatos diventa fastidiosamente fisico nei suoi confronti. Di per sé non è una grande perdita, non è una ferita che gli impedisce di proseguire la sua esistenza come al solito, specie da quando la guerra non è più tra i suoi affari principali. Rex Lapis non è ancora nemmeno vicino a quando il mondo lo incrocerà lungo la strada chiamandolo con il nome di Zhongli, eppure sente la lentezza data dalla monotonia che quasi lo spinge ad allontanarsi da Liyue con il pensiero mentre pondera se farlo anche fisicamente.

E’ in questo frangente che Barbatos, quando si spinge fino ai suoi territori e lo tedia con una presenza rumorosa alla quale si sta abituando più di quanto si renda conto, dimostra una fisicità nei suoi confronti mai avuta in precedenza. Si tratta per lo più di piccoli gesti, come poggiarsi a lui per dormire o con la spalla contro la sua quando siedono vicini, più di quanto abbiano mai fatto prima di allora. 

Poi, mentre il sole è appena scivolato oltre la linea dell’orizzonte e solo un gioco di luci contro le nuvole ha ancora qualche residuo del giorno prima che l’oscurità della sera finisca di ricoprire il cielo, Barbatos gli prende il viso tra le mani. Rex Lapis alza lo sguardo su di lui, lo punta dritto sul suo viso perché non c’è altro da fare, e inarca appena un sopracciglio cercando di capire quali siano le sue intenzioni senza dover dare voce alla domanda. Barbatos ha gli occhi di un colore che gli ricorda le acque più cristalline e i prati più sconfinati - riconosce nel suo sguardo quasi tutto quello che vi passa attraverso, perché dopo secoli non può essere altrimenti, ma ora c’è qualcosa di incomprensibile.

Barbatos ha le mani più minute delle sue, ma c’è una delicatezza maggiore nel modo in cui gli sfiora la pelle, quasi si aspettasse di scalfirlo con un semplice tocco. Rimangono in silenzio a lungo, più di quanto sia tipico dell’altro forse, finché la bocca di Barbatos è così vicina alla sua che possono respirare insieme.

«Se ne sono andati tutti uno dopo l’altro.» gli sussurra sulle labbra.

Rex Lapis ha visto persino le rocce spezzarsi, ma una persona mai. E non sa come fermarlo.

*

Da quel giorno sono passati anni, secoli. Barbatos ormai si muove tra gli umani con il nome di Venti, esattamente come lui si mescola tra i mortali rispondendo a quello di Zhongli. Si vedono con sempre minore frequenza, per tanti motivi: Liyue è grande, Liyue Harbor ormai il centro nevralgico del Paese; Mondstadt ha i suoi festival, proprio come qualsiasi altra regione di Teyvat, e ha i suoi problemi. A un certo punto Zhongli viene a sapere di Dvalin e si domanda se non dovrebbe recarsi nella regione dell’Archon Anemo per capire come essere di aiuto. Lui che di rado ha toccato il suolo di quella città, così poche volte da poterle toccare sulle dita di una mano.

Non lo fa, alla fine. Manda un messaggio, inequivocabile e con un messaggero d’eccezione, fa sapere di essere ancora lo stesso combattente con cui Barbatos ha lottato fianco a fianco in una guerra di troppi millenni fa ormai.

Barbatos non risponde per diverso tempo e quando lo fa è un messaggio breve. Solo mesi dopo, quando Signora si presenta a Liyue, Zhongli apprende che la stessa gnosi che le sta promettendo come parte di un contratto - perché Liyue è questo e lui è questo, un insieme di contratti che hanno scandito la sua esistenza -, a Barbatos (a Venti) è stata strappata via.

Sono passati quasi duemila anni dalla guerra e per la prima volta da allora Zhongli sente che l’Archon che tutti per anni hanno chiamato Rex Lapis o Morax forse non smetterà mai di esistere. Mentre Signora gli dà le spalle e sparisce tra le vie di Liyue Harbor, un accordo tra loro, Zhongli desidera prendere una vita nel modo in cui un tempo non sarebbe stato un desiderio, ma una semplice ovvietà.

*

Si incontrano di nuovo a ridosso del Rito delle Lanterne, senza invito o preavviso. Le lanterne sono state lasciate da poco libere di librarsi in aria e i fuochi di artificio del gran finale stanno sbocciano in cielo illuminandolo. Il vociare generale è pregno dell’entusiasmo e della gioia, qualcosa a cui Zhongli ha imparato ad abituarsi da quando gli abitanti di Liyue Harbor stanno imparando a vivere con la consapevolezza di non avere più un Archon. 

Hu Tao si allontana con una scusa, ma poco prima di muoversi verso un gruppo di persone lo lascia con una frase enigmatica e un cenno del capo. Ci vogliono pochi istanti perché il posto occupato da lei veda Venti sedersi come se nulla fosse e non avesse fatto altro che assentarsi per qualche attimo. Ha abiti molto diversi da quelli che erano un tempo la sua normalità - più tipici di Mondstadt, tipici del bardo che proclama di essere. Mentre lo osserva godersi lo spettacolo dei fuochi d’artificio, Zhongli si domanda se gli manchi quello che gli è stato sottratto. Se pensi a quanto folle sia stato lui, invece, che se ne è liberato volontariamente.

Lo vede accostarsi con la sedia a lui e sporgersi quanto basta perché quanto gli dice sia udibile nonostante lo spettacolo pirotecnico, ma senza dover urlare cosicché tutti lo sentano.

«Sei vivo.» gli dice, come se fosse l’unica cosa importante. Zhongli è stato razionale per molti anni, incapace di analizzare le cose con l’emotività e concedendo solo alla rabbia e al furore della battaglia di muovere le sue azioni in passato. In questa razionalità ha capito nel tempo che Barbatos ha cominciato a sgretolarsi molto prima della gnosi sottrattae prima persino della fine della guerra degli Archon. Quando, ormai troppo tempo fa, ha creduto che passasse eccessivo tempo con i mortali o a osservarli e che questo lo stesse rendendo debole, lo stesse avvelenando di una fragilità di cui non aveva bisogno ha sbagliato.

Barbatos si è spezzato quando la sua forma non era nemmeno umana e da allora, forse, non è mai stato in grado di tornare intero. Ma non lo ha mai mostrato perché questo sono le divinità e quindi questo sono gli Archon - un immenso potere la cui immagine è somigliante a quello delle persone ma, al contrario dei mortali, non sono in grado di riconoscere da cosa rifuggire e da cosa proteggersi, come preservarsi. Niente se non pochissime eccezioni viventi possono ucciderli e dunque finiscono per autodistruggersi senza quasi accorgersene, più sciocchi delle bestie. Se guarda al passato non vede altro che l’errore ripetersi: Guizhong, Havria, gli yaksha.

Forse una notte di secoli fa, labbra sulle sue labbra, Barbatos ha provato a mostrarsi e salvarsi.

Abbassa lo sguardo mentre le dita di Barbatos sfiorano le sue. Con discrezione le stringe appena, e quello sembra bastare a deformare il lineamenti di un bardo in sollievo, paura e gioia insieme.

Zhongli lo osserva e, oggi come allora, non capisce come proteggere una fragilità così immensa.

   
 
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