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Autore: Made of Snow and Dreams    05/03/2022    1 recensioni
Leonardo, Michelangelo e Donatello sono destinati a morire. Raffaello è la loro unica speranza di uscire vivi dalle Sacks Industries... se non fosse che di lui si sono perse le tracce.
(Dal film del 2014, Bayverse)
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Ipocrisia


 

E' questione di pochi attimi. La donna asiatica inizia ad usare un tono imperioso ed irritante. 'Modotte, modotte! State indietro, tutti quanti! '

Stare indietro? Stare indietro per cosa? Le unità di contenimento sono fatte di plexiglass e lega d'acciaio, e niente e nessuno può scalfirle, tantomeno distruggerle.

'Dove siamo? ' chiede il mutante con la maschera blu. Gli occhi sono acquosi e distanti, umani proprio come Emily Robinson si aspettava e sperava, e la voce è roca, ancora impastata. Tuttavia il tempo di ripresa è, per sua fortuna e delizia, più breve rispetto a quello umano. Le iridi della creatura sono di un azzurro ghiaccio incontaminato dal verde o dal castano, e ciò non fa che aumentare la curiosità della donna. Un mutante su tre ha aperto gli occhi e no, non è affatto delusa da ciò che i suoi occhi hanno la fortuna di vedere; mancano però gli altri due, e la curiosità è tanta.

Eric Sacks ha la decenza di voltarsi verso il suo interlocutore. Se gli occhi del mutante in blu irradiavano puro odio con un tocco di ansia e preoccupazione, ora sono carichi di qualcos'altro, molto più animalesco e primitivo, eppure stranamente controllato; come se ci fosse qualcosa che lo trattenesse dall'attaccare Sacks, o almeno provarci. No, non è corretto. Le sue braccia sono incatenate, i polsi bloccati, e lo stesso trattamento è stato riservato anche agli arti inferiori. Che pena. Un tale miracolo della scienza dovrebbe esser messo nelle condizioni di muoversi, di correre, saltare, di essere cronometrato, studiato, toccato, e...

'Benvenuto alle Sacks Industries. Oh, perdonami se mi rivolgo solo a te, ma credo che i tuoi fratelli reciteranno la parte della Bella Addormentata ancora per un po'. Anzi mi stupisce che tu sia già sveglio. '

Il mutante guarda i suoi simili, anch'essi prigionieri nelle gabbie – gabbie da circo, proprio come per i fenomeni da baraccone – e i suoi lineamenti alieni si distorcono in uno strano mix di preoccupazione, ansia, dolore. Ma l'odio c'è ancora, ad inquinare tutte quelle emozioni umane. Emily è sconcertata, e ancor di più da se stessa. Dovrebbe essere felice che quelle creature presentino dei tratti umani, che si comportino e atteggino da tali; eppure qualcosa stona in quel quadretto di fascinazione puramente scientifica, l'ansia che siano fin troppo umani. Che l'istinto primordiale sia soppresso o addirittura assente. Ecco, quello sarebbe una delusione. Di uomini umani il mondo è pieno. Di creature mutanti, invece, restano solo quei tre, bellissimi esemplari, con i corpi strizzati dalle cinture e i piedi coperti da strane calzature che le ricordano tanto l'oriente, il Giappone, il mondo dei samurai e il loro codice d'onore. Che sia quello, uno strano codice accessibile solo a loro, a sopprimere una reazione violenta, impulsiva e assolutamente giustificata? C'è tantissimo materiale di studio, e per una volta Emily è tentata dall'uscir fuori dal rango da soldato semplice che le è stato assegnato e fare un salto di qualità. Sono tanti i metodi di studio per capire esattamente cosa siano quegli esseri... e la vocina nella sua testa, che sia dannata in eterno, continua a serpeggiarle nel bagagliaio della macchina in corsa che è la sua mente in subbuglio, a sussurrarle che per una volta la risposta non è nel mondo artificioso e sterile di provette, centrifughe e variopinti liquidi chimici... no, la risposta è nella parola, nella comunicazione, tutto ciò che ha sempre unito gli esseri umani dagli albori del loro tempo. E poi, da un punto di vista molto più pragmatico, sarebbe il metodo d'azione più semplice ed effettivo per guadagnarsi la loro fiducia per semplificare il lavoro degli altri, qualunque sia il compiti che venga assegnato a quelle maschere comiche dagli occhi strabuzzati all'inverosimile e le mani imperlate di sudore.

'Cos'hai intenzione di farci?' continua a chiedere il mutante sveglio, e nonostante Emily possa vedere di Sacks solo la schiena e sia distratta dall'analizzare ogni sfumatura che riesce a cogliere nella voce del blu, è sicura che l'uomo davanti a lei stia sorridendo trionfante.

'Credo sia ovvio. ' dice semplicemente Sacks, con le mani giunte dietro la schiena. Poi si volta e con un gesto teatrale delle braccia fa largo ai suoi sottoposti. 'Ne approfitto per presentarti i miei collaboratori. Puoi parlarci, se vuoi. Non ti risponderanno, ma almeno avrai un bel panorama da guardare. '

Come agire, come posizionarsi, che prima impressione dare? Tendere la schiena come una corda di violino o incurvare il corpo per dare l'idea di una persona sottomessa e, magari, affidabile? Usare il corpo come mezzo di comunicazione principale, almeno durante la presenza di Eric Sacks, è l'unica opzione disponibile. In quel momento di indecisione, Emily si maledice internamente per aver scelto la sua posizione in prima fila, a fianco di Ella Thompson. E si maledice ancora di più per i suoi riflessi lenti, per la sua goffagine che non le permette di essere tempestiva in quella frazione di secondo prima che il mutante in blu segua con lo sguardo il braccio di Sacks e fissi i suoi futuri torturatori. Okay, punto suo. Restano due possibilità un'impressione positiva sugli altri due.

Non le sfugge il tremolio della mano destra del mutante in viola. Nella sua mente quell'altra creature dagli arti più smilzi e lunghi del suo simile ottiene il secondo posto in ordine di tempo in ripresa dalla ketamina.

'Donnie... ' sussurra il blu, e di nuovo c'è apprensione.

Troppe nozioni in una sola volta. Il viola ha evidentemente un nome, il che significa che probabilmente anche il blu e l'arancione, quest'ultimo ancora dormiente, ne hanno uno. Gli esseri umani hanno un nome e un cognome ereditato dal padre, gli animali hanno solo il nome scelto dal proprietario. Emily è nuovamente curiosa, ma stavolta con se stessa. Il fatto di affibiare loro un soprannome li rende pari ad un animale, un animale speciale in questo caso, ma pur sempre un animale. Il fatto di chiamarli per il nome scelto da loro stessi li pone al suo stesso piano, diventano un loro pari. Niente da invidiare agli scienziati umani che continuano a fissarli.

'Tu non toccherai i miei fratelli. E neanche me. ' dice il blu lentamente, scandendo parola per parola come se dovesse farsi capire da un essere inferiore. Anche lo sguardo incastonato nei suoi occhi ha un che di autoritario, di nobile, che induce il rispetto dall'altro. Ma Sacks è evidentemente immune a quella dimostrazione di forza interiore. L'uomo ride ancora, da dietro è ancor più visibile il mento che si alza in modo aristocratico, la postura che diventa più sciolta. Sta giocando con il mutante, come fa un gatto con la sua preda prima di divorarla... e forse accadrà proprio questo, prima o dopo.

'Ma davvero? Ti sei forse guardato allo specchio, hai visto dove ti trovi? Hai visto chi hai davanti? Tu non puoi nulla contro di noi, mia cara tartaruga troppo cresciuta. Sei nato come animale e tale sei rimasto, e come tale morirai. Conta pure i giorni, se ti fa stare meglio. Ma lo stesso destino spetterà ai tuoi fratelli. ' Sacks si gira, incurante dello sguardo del mutante che sembra trapassargli la schiena come un laser, e la sua faccia ssume un'aria addirittura annoiata. 'Vedi però il lato postivo: morirete insieme. Questo non ti consola? '

Un vero crimine contro la scienza. Qualunque cosa debbano far loro, i mutanti devono essere lasciati vivi. Ed è sicura che anche i suoi colleghi siano d'accordo, nel loro intimo. Se solo ci fosse lei al posto di Sacks, se solo fosse lei il capo, se solo le sfuggisse qualche parola, magari davanti alla stampa, potrebbe avere qualche possibilità di salvarli. O forse si riempirebbe solo di ridicolo. E perderebbe il posto, insieme alla sua dignità. Comunque vada, una cosa è certa. Eric Sacks è quel tipo di scienziato, uno di quelli che ama seminare il panico nelle proprie vittime, che ama spaventarle inutilmente. E' più crudele di quanto si aspettasse, molto più di quanto Emily Robinson avesse intuito nei pochi momenti in cui si erano rivolti la parola. Eric Sacks può far finta di sorridere, può ingannare tutti storcendo la bocca, ma i suoi occhi restano sempre gelidi e distaccati, assenti. E ciò lo rende molto più pericoloso di quanto pensasse. Il suo atteggiamento verso il blu ne è la prova finale.

Emily riporta l'attenzione sulla creatura quando quest'ultimo alza il tono di voce. E' un cambiamento quasi impercettibile ma al tempo stesso radicale. Le braccia cercano di strattonare le funi che le tengono prigioniere, cerca di fare un passo in avanti ma anche quello gli risulta impossibile. La sua unica arma è la parola. 'Non dategli retta! Eric Sacks lavora per Schredder, il capo del Clan del Piede che da mesi io e i miei fratelli cerchiamo di combattere! Ricordate l'attacco alla metro? C'eravamo noi a proteggervi, e continueremo a farlo se ci liberate ora, subito! Non ascoltate le sue parole... '

'Stai zitto, mostro! ' ringhia la donna asiatica scattando in avanti. 'Non osare parlarci in questo modo, lurido essere inferiore! '

'Oh, non se la prenda, signorina Karai. ' dice Sacks in modo quasi casuale, 'Mi creda, non ne vale la pena. Adesso... ' continua, sempre disinteressato, '... è tempo per me di andare. ' Un'occhiata all'orologio da polso. 'Sono già in ritardo. Quanto a voi tutti, sapete cosa fare. Non c'è bisogno che sia io stesso ad assegnarvi i compiti, giusto? '

Un sorriso insolente, le labbra ad espandersi fino a rivelare gli incisivi bianchi e perfetti.

No. Non c'è bisogno che sia lui ad assegnare i compiti. Ma questa è una cosa che Emily non ha il coraggio di pronunciare. E' l'ape regina a farlo al posto suo. Ed è meglio così. Che si occupi lei della burocrazia interna. Emily ha già tutto quel che vuole. Le va bene qualsiasi compito, davvero. Le va bene anche pulire la polvere dal pavimento, a patto che sia il pavimento su cui poggiano le zampe di quelle tre creature.

Ma Sacks continua. 'Affiderò il lavoro a voi tutti. La dottoressa Thompson si occuperà di fare da tramite. Lascerò a voi il piacere di scegliere le vostre occupazioni. Tornerò quando avrete sintetizzato il mutageno per il nostro progetto. I vostri colleghi qui presente vi aiuteranno a tenere a bada le creature. Oh, e un'ultima cosa... ' dice, non prima di voltarsi con gli occhi velenosi, '... buona fortuna. '

Quella sembra essere l'unica frase sincera pronunciata da Sacks. Quando la sua figura però oltrepassa lo stipite della porta e i soldati a guardia rizzano le schiene, è sollievo generale. Sfortunatamente, però, dura poco.


 

 

Con Sacks fuori dal palcoscenico, l'atmosfera della stanza dopo pochi secondi si è fatta tesa e pesante, affilata come la lama di un coltello da macellaio. Lo scambio di sguardi – disperati, confusi, a tratti innocenti come quelli di un bambino – rende tutto ancora più buffo. Emily riderebbe volentieri se lei stessa non facesse parte del quadretto. E inoltre sarebbe tutto molto, troppo ipocrita. Steve Brown l'ha raggiunta in una frazione di secondo, sente il calore sprigionarsi dal suo corpo alla sua schiena, e in altri tempi sarebbe stata una piacevole distrazione... ma non adesso, non ora, non quando i suoi occhi non vogliono saperne di smettere di viaggiare nella landa desolata che sono gli occhi del mutante in blu, solo per tornare nel porto sicuro che è la normalità, la realtà che ha sempre vissuto e che ha sempre considerato tale. Che menzogna, che madornale, stratosferica bugia, che vita noiosa e disperata ha vissuto fino a quel momento, e la consapevolezza di avere a che fare con qualcosa – qualcuno? - che viola le leggi stresse della scienza la distrae momentariamente dall'ondata di tristezza che sicuramente la travolgerà una volta tornata nel suo grigio appartamentino di città.

Ella Thompson interrompe il silenzio generale scrollando le spalle, composta e perfettamente ordinata anche nella voce elegantemente misurata. 'Sono certa di star provando i vostri stessi sentimenti. Su tutto questo. Su di... loro. ' e con il mento fa un cenno verso i tre mutanti, 'Ma avete sentito il dottor Sacks. '

'Cosa avete intenzione di farci? ' ringhia il mutante in blu, mentre i suoi occhi gelidi si fissano sulla Thompson come schegge di ghiaccio letali.

Ella Thompson si volta, dandogli le spalle. Ciò non fa altro che aumentare la confusione, la rabbia, la paura negli occhi della creatura... - Interessante. Quanto sei autocosciente, piccoletto?

'Non sono cose che ti riguardano. ' gli risponde la donna senza batter ciglio. La sua voce è gelida, monocorde, come quella di un robot. 'Quanto a noi. Avete sentito gli ordini del dottor Sacks. Mettiamoci all'opera. '

'E di grazia, come dovremmo dividerci i compiti? ' chiede una curiosa voce maschile. Una zazzera di capelli scuri, due occhi neri da falco che sembrano scrutare tutto e tutti, la lingua affilata e piena di sarcasmo, pronta a canzonare l'altro al minimo segno di debolezza. Questa è l'impressione primaria che ha di lui Emily, che si limita ad assistere alla scena in disparte con finto interesse. Perchè la vera meraviglia è un'altra, e certamente non sono quelle chiacchiere da quattro soldi. Tutti i libri gettati per la disperazione, il sudore e le lacrime versati per imparare barbose nozioni scientifiche... tutto inutile e banale, noioso. Niente poteva prepararla per quello.

'Cos'hai da guardare? ' soffia nuovamente il blu come un gatto arrabbiato. Che voce ostile. Che riservatezza. Deve averlo fissato per ben più di qualche secondo. E deve avergli rivolto ben più di qualche, innocente, occhiata.

Dio, mi ha parlato... questo miracolo mi ha rivolto la parola!

Cosa fare? Ignorarlo sarebbe la scelta migliore. Mai disobbedire agli ordini del dottor Sacks. Eppure c'è qualcosa di profondo e viscerale che le fa tremare le ginocchia dall'entusiasmo di poterci parlare. Anche solo di scambiarci qualche parola. Pochi secondi, niente di più. Pochi secondi fugaci per un'eterna felicità. Che occasione. Pochi passi, basta muoversi lentamente, che quegli sciocchi non la notino appropriarsi del loro tesoro. Un tesoro comune, sì.

Ma non per molto.

'Dottoressa? Ha sentito quello che le ho detto? ' squilla quella maledetta voce femminile. L'ape regina ha rovinato i suoi piani. Toc toc, fregata in pieno.

'Amy... ' deve aver sussurrato Steve Brown.

Emily Robinson è sicura che la sua maschera di fintissima perfezione non lasci intravedere alcuna crepa. Nessun segno di debolezza. Nessun motivo per essere considerata l'elemento debole della catena. 'Scusate. Mi sono lasciata trasportare dall'entusiasmo del momento. Di cosa dovrei occuparmi? ' Sorride, e lo mantiene bene. Nonostante la Thompson la stia squadrando da capo a piedi. Nonostante i suoi lineamenti si siano induriti abbastanza da farla assomighliare ad una statua di marmo. Rigida, fredda, distante. E altrettanto statica nella sua ottusità.

'Il suo compito sarà affiancare il dottor Drew qui presente. Insieme analizzerete le specifiche del sangue dei nostri ospiti. '

'Sarò lieto di collaborare con lei, dottoressa. ' s'intromette l'uomo dai capelli castani e lo sguardo rapace. Il suo tono è colmo di sarcasmo.

Che voglia di schiaffeggiarti che ho... ma che mi prende, tutto a un tratto? Perchè questi pensieri?

'Cosa volete fare col nostro sangue? ' ripete il blu.

'E' piuttosto ovvio... ' risponde una voce roca, strascicata, impastata dalla sbornia chimica capace di stendere uno stallone in piena forma fisica. 'Tutto ciò che vogliono è il nostro sangue. Il mutageno. E nient'altro. ' Ed è con sorpresa – e soddisfazione – che Emily collega quella voce, molto più interessante rispetto a quelle umane dietro di lei, al mutante in viola. 'Non aspettarti niente di buono. '

'Donnie... ' sussurra il blu. 'Cerca di muoverti il meno possibile. Ci sono andati giù pesanti con te. ' 'L'altro inarca le labbra lisce e stranamente, ad una prima occhiata, soffici – sta sorridendo! Sta sorridendo per davvero e io sono qui ad assistere allo spettacolo, in prima fila!

'Con te ci sono andati molto più pesantemente. Non preoccuparti per me, fratello. Pensa a Mikey. Non si è ancora svegliato. '

Mikey. Dev'essere sicuramente l'arancione. Sembra essere il più basso dei tre, ma la sua corporatura è possente tanto quanto quella del blu, l'alpha della situazione.

Non possiamo permetterci che muoia. Che non si risvegli più. Dobbiamo fare qualcosa.

'Io direi di preoccuparci di una faccenda più importante. Quella creatura non si è ancora ripresa. Suggerisco di elaborare un piano. ' dice Emily Robinson con un coraggio che decisamente non le si addice, ma l'urgenza di salvare da una probabile morte l'arancione è più forte di qualsiasi timore di essere licenziata in tronco. Con tutte le conseguenze del caso. E l'offerta è decisamente allettante per tutti loro... no, forse non per la biondina, il cagnolino di Sacks. Ma si potrebbe far leva su Connor e Drew. E ovviamente Brown. Sono amici, dopo tutto. Non è educato dire di no ad una signora.

'Forse sarebbe meglio avvertire il dottor Sacks... ' mormora Steve Brown. Perfetto. Esattamente come previsto.

'Forse facevi meglio a stare zitto, Donatello. ' s'intromette la voce, ormai riconoscibile, del blu. E c'è una punta di isterico divertimento ad aleggiare tra le parole. Interessante. Come previsto, i due – tre? - mutanti hanno una varietà di espressioni paragonabile a quella umana. Persino quando sono concentrati, fissi su qualcosa, il loro sguardo è neutrale e rilassato come quello di un umano.

'Cosa ne dice, dottoressa Thompson? '

Passano pochi secondi in cui la donna mastica con veemenza il labbro inferiore. Poi la risposta, e il significato non è mai sembrato più dolce ad Emily, che fissa i suoi occhi imploranti sulla persona a cui dovrà rendere conto per tutta la durata del progetto Post-Rinascimento.

'Sta bene. Avvertirò subito il dottor Sacks. Ammesso che non si sia ancora allontanato troppo... '


 


 

Prima il dolore. Ancora e ancora e ancora, a intervalli di pochi secondi tra una scarica e l'altra. E poi era venuta l'oscurità. Un tempo odiava l'oscurità, la detestava e al tempo stesso la venerava, proprio come i principi che il ninjutsu imponevano di fare. La odiava, perchè non aveva conosciuto altro che quella per i quindici anni della sua miserabile esistenza. La luce non gli apparteneva, non apparteneva alla sua vita. Solo quella elettrica dei neon, o quella naturale delle candele che puntualmente era inquinata dal fetore delle fogne. Per anni aveva immaginato che il loro tepore fosse lo stesso del sole che accarezza la pelle degli esseri umani in superficie. Immaginazione e basta, ma nessuna concretezza. Quanto fastidio, quanta tristezza, quanto dolore per qualcosa che neanche si conosce... eppure era stata la sua stessa fantasia a salvarlo da un destino incerto. Il suo animo sarebbe stato lo stesso senza i mondi fantastici e visionari dei videogiochi? Chi ironia. Gli esseri umani passano così tante ore a cantare di un mondo che non gli appartiene, dando tutto per scontato. Per scontato. E lui, cosa dava per scontato? Ed era una domanda giusta da farsi – no, infatti, era solo pericolosa e basta – perso in quell'assenza di colore in cui era precipitato, e da cui non era tanto sicuro di volersi svegliare?

Questo, e poi erano venuti i suoni. A volte erano striduli, meccanici, metallici, poi diventavano musicali e dolci. Voci di femmine umane, questo aveva immaginato e poi capito. Ragazze dagli occhi teneri e delicati, labbra umettate da una lingua serpentina che sguscia tra quelle sottili linee di carne che aveva sognato così tante volte di assaggiare. O soltanto avere il privilegio di guardare, purchè dal vivo e non su un freddo, lontano schermo, lontano da tutto e tutti.

(Il mio nome è Michelangelo o almeno credo che lo sia e se questa è la morte, oh perchè la morte dev'essere senza luce, che almeno nella morte io possa nuotare nella luce, anche la morte è ingiusta)

Donnie, perchè non si sveglia?

Voci confuse. Maschili e gutturali, giovanili. Donnie, che nomignolo strano. Che nome antico. Che nome... che lui aveva decisamente sentito e pronunciato tante volte. Era qualcosa d'istintivo e viscerale a dirglielo. Donnie, Donnie, Donnie... Le due n rendono il nome severo. La d, la i e la e danno l'effetto opposto. Dev'essere una persona equilibrata, il portatore di quel nome. Un portatore che sicuramente lui conosce, deve aver conosciuto.

Non so, Leo. Probabilmente ha battuto la testa mentre lo trascinavano. Oppure gli hanno iniettato troppo sonnifero. Oppure...

Okay, okay. Ho afferrato il concetto.

Ma non c'è tempo per analizzare quest'altra voce- di nuovo un maschio? - che ecco che un'altra invade quell'oscurità, quella bastarda, quella benvenuta.

Ho avuto un rescontro. Adrenalina. Dottor Connor, se non le è di troppo disturbo...?

Se vuole un parere personale l'adrenalina è un azzardo. Un millilitro di troppo e...

Nessuno le ha chiesto un'opinione, dottore. Questi sono gli ordini e basta.

Clack.

Rumore metallico e assordante. Dovrebbe ritrarsi, vorrebbe ritrarsi... ma non ha le forze.

(Non riesco a muovermi maledizione mi fanno male le orecchie e non posso fare nulla e voglio che quei Donnie e Leo parlino ancora perchè)

Già, perchè?

A questo punto noi le copriremo le spalle, dottore.

Ne sono onorato.

Qualcuno deve aver sbuffato a distanza ravvicinata, perchè lo spostamento d'aria gli sta careazzando la pelle. E' costretto a fiutare-

(Sta succedendo qualcosa di brutto perchè l'oscurità oddio l'oscurità dove vai e perchè adesso vedo i colori)

- quello che dev'essere l'alito di quell'essere estraneo, e sa di qualcosa d'indefinibile, di qualcosa simile al tanfo micidiale del fumo, del petrolio che va a violentare i polmoni, qualcosa che lui aveva sempre odiato perchè ricordava che qualcuno d'importante, qualcuno di molto importante, lo odiava. O che forse lui stesso aveva sempre odiato per semplice curiosità o perchè...

... perchè aveva bisogno di qualcosa che lo facesse ridere, ridere sempre, ridere allo sfinimento, ridere fino a sentire le guance dolere per l'isteria di un male per sempre benvenuto.

Qualcosa gli stava pungolando la pelle. Aveva sempre avuto la pelle morbida, più morbida – rispetto a chi o che cosa? - e quell'entità estranea gliela stava probabilmente graffiando. Non che a lui importasse tanto in realtà, ma il vaso fu colmo quando sentì quel qualcosa violarlo, penetrarlo, e quel qualcosa rilasciavga una sensazione di freddo mentre un liquido estraneo sgusciava fuori e annacquava il suo corpo. Era troppo, troppo da sopportare. E non tanto per il freddo, ma quanto perchè era tornata la tristezza, la dannata tristezza che lo spaventava, lo terrorizzava, che lo faceva sentire una zavorra nei confronti di quel volto a lui annebbiato.

I colori si erano fatti più intensi. L'urgenza di aprire gli occhi – ecco, finalmente sapeva cosa gli stesse succedendo, doveva essersi addormentato e adesso voleva schiudere le palpebre, doveva farlo in nome di un dovere superiore – si era fatta improvvisamente impellente. La luce lo aveva finalmente travolto in un mare di bianco, e lui era come se fosse tornato a respirare, come se qualcuno lo stesse partorendo e lui inalasse la sua prima boccata d'aria come un assetato, ma contro le sue aspettative, contro le sue speranze, le sue narici inalarono solo l'odore di chiuso, di polvere, di fumo, di cenere.

E fu allora che aprì gli occhi.


 


 

E fu allora che aprì gli occhi.

Ma tutto ciò che sentì fu una raffica di emozioni negative avvelenargli il cuore. Prima fu incertezza. Poi fu timore. Poi fu paura. Poi fu incredubilità. Poi fu furore.

A Leonardo era sempre piaciuto guardare di soppiatto gli occhi dei suoi fratelli. Se lo avesse mai confidato a Donatello, lui probabilmente avrebbe potuto fare un lavoro migliore. Avrebbe elencato ogni singola differenza genetica che aveva portato lui e i suoi fratelli ad avere le iridi di quei meravigliosi colori. Ma lui non era Donatello, lui era una creatura – persona – chiamata Leonardo, lui era Leonardo, e Leonardo non era di certo uno scienziato tanto quanto suo fratello Raffaello non poteva definirsi un tipo tranquillo e pacifico. Leonardo era una creatura romantica, lo era sempre stato. A lui non piaceva litigare, non piaceva fare a botte come piaceva a Raffaello – Raph, dove sei ora? ; non era un appassionato di scienza come lo era Donatello; non era pieno di energia come lo era Michelangelo – Mikey, cosa ti hanno fatto?

A Leonardo piacevano le poesie e i romanzetti d'amore, di quelli che probabilmente si trovano seppelliti negli scaffali delle biblioteche degli esseri umani. Gli piaceva leggere. Gli piaceva sognare. Gli piaceva sognare nonostante una parte di lui rimanesse inesorabilmente ancorata alla realtà. Sapeva di essere uno strano connubio. Lui sapeva di essere la perfezione, o qualsiasi cosa fosse più vicino alla perfezione. Lo sapeva e basta, e fino a qualche tempo fa pensava di essere l'unico a sapere di quel suo vizio – anche i perfetti hanno dei vizi?, di quella sua pretesa di vanità. Lo aveva sperato fino in fondo... ma poi era bastato uno sguardo del Sensei a rovinare tutte le sue certezze, a fargli capire che in realtà il loro padre, suo padre, sapeva tutto senza che lui gli avesse mai detto una parola.

Raffaelllo aveva gli occhi verdi. Non era un verde qualsiasi, era un colore che cambiava in base alla luce, al suo stato d'animo. Diventava tendente al nero alla luce delle candele o nella notte, durante i pattugliamenti in giro sui tetti. Ma alla fine, verde o nero non aveva tanta importanza. Quello che contava era quel brillio che si insinuava proprio lì, tra la pupilla e l'iride, 'la scintilla della vita', come preferiva chiamarla nel suo intimo, come gli avevano insegnato le poesie che tanto amava – e che suo padre sembrava approvare. La scintilla della vita. Illuminava i suoi occhi quando Raph si arrabbiava, quando faceva a botte, quando si allenava, quando l'adrenalina prendeva il controllo della sua mente e la logica si spegneva nell'impeto della passione, in un mare in tempesta.

Gli occhi di Donatello erano nocciola. Castani, screziati di un verde tendente al grigio, che appariva solamente quando si formava una piccola ruga sulla fronte nei momenti di maggiore concentrazione, quando la lingua sgusciava fuori nei momenti di euforia, quando voleva spiegare qualcosa che lo entusiasmava – e lui fingeva di ascoltare, fingeva di capire, fingeva di essere interessato quando in realtà non lo era per niente, e quanto si sentiva in colpa per questo, salvo poi capire a sua volta che Donnie sapeva che lui non lo ascoltava, che lui fingeva... e gli andava bene così. Era brutto mentire – perchè di mentire si trattava – a suo fratello, solo per gentilezza. Raph era molto più diretto con lui. Se non capiva una cosa, lo diceva e basta. Se qualcosa non lo interessava, girava i tacchi e basta. Lui no. Lui era ipocrita. Lui era dannatamente ipocrita – anche i perfetti soffrono d'ipocrisia? - e nonostante fosse perfettamente consapevole di esserlo, non faceva niente per sistemare le cose. Lui e Donatello fingevano, recitavano una parte. Con lui era come andare a teatro ed essere attore protagonista. Non era come Raph, non era forte come loro due. Lui era gentile, di animo nobile. Forse era il più nobile e buono e gentile e intelligente di tutti. Chissà, forse... che Donatello fosse in realtà il migliore – no, il migliore sono io e basta. Sono io il leader del gruppo. Sensei mi ha scelto proprio per questo.

E poi c'erano gli occhi di Michelangelo. Azzurri, ma di un azzurro diverso dal suo. I suoi avevano sposato il grigio. I suoi riflettevano paesaggi gelidi e nostalgici. Quelli di Michelangelo riflettevano un cielo in piena estate, senza alcuna nuvola, una di quelle estati in cui i bambini strillano – proprio d'estate sentiva le loro grida, nonostante fosse prigioniero sottoterra come un morto seppellito da tanti anni, ridotto solo a marcire in solitudine – e gli aquiloni volano e il sole splende libero e fulgido, a scottare le pelli, a rallegrare gli spiriti. Michelangelo era il loro balsamo quotidiano. Il loro angelo custode, forse ancora più di loro padre. Era il loro fratello più piccolo e la loro spugna dai cattivi pensieri. I suoi occhi erano sempre luminosi, i suoi occhi erano sinceri e mai erano offuscati dall'ombra della disperazione. O almeno la maggior parte delle volte. Perchè c'erano momenti, quei momenti, quando Mikey pensava di esser solo con se stesso, di essere avvolto dall'oscurità maledetta e benedetta, di non essere spiato dal suo stesso fratello maggiore, in cui il suo corpo si arricciava su se stesso, la testa rientrava e di lei non si vedeva più nulla, nascosta dal pesante guscio, e il suo corpo veniva scosso dai tremiti. I tremiti che tutti loro nascondevano alla fine, ma che nessuno aveva il coraggio di rivelare al mondo, quel mondo piccolo e innocente che era la loro famiglia. I tremiti del pianto. Lui non si era mai azzardato a chiedere, non si era mai azzardato a confortarlo, ad essere un fratello maggiore, a offrirgli una spalla su cui piangere. Nonostante gli spezzasse il cuore vederlo piangere. Sapeva che tutti loro portavano una croce sul cuore. Quella di Michelangelo era la menzogna costante. Lui aveva sempre lasciato che Mikey si sfogasse da solo. Giusto il tempo di assistere per qualche secondo, di osservarlo come una spia, come una sporca e codarda spia, per poi sgattaiolare come uno scarafaggio, dritto dritto nella sua stanza, fingendo serenità, quando di sereno nella loro famiglia c'era solo il loro maestro dalle sembianze di ratto.

Raffaello, dagli occhi ribelli. Donatello, dagli occhi colmi d'intelletto. I suoi, colmi di arroganza e sicurezza. Michelangelo, dagli occhi gioiosi.

Michelangelo, dagli occhi che, in quel momento, riflettevano tutto e niente, gli occhi vitrei e perfetti come quelli di una bambola, dagli occhi di un morto.


 



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