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Autore: Razaghena    06/03/2022    4 recensioni
Settembre 3019, a un mese dall'incoronazione di Re Éomer, notizie di incursioni da parte dei Sudroni raggiungono il Mark. A 288 miglia di distanza da Edoras, a Dol Amroth, l'introversa principessa Lothíriel apprende che la sua mano è stata concessa a uno dei nobili della città, un uomo che è poco più di uno sconosciuto per lei. Sarà proprio la spedizione militare congiunta tra Gondor e Rohan a mettere in pausa i progetti di matrimonio e a stravolgere le vite della Principessa e del Re.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eomer, Lothirìel
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di J.R.R. Tolkien. Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro.

                                        Éomer proseguì ad ignorare la giovane moglie che gli sgambettava timidamente attorno e che ancora andava farfugliando ragioni, cercando il suo sguardo, la sua attenzione. Non poteva affrontare la questione in quel momento. Era arrabbiato. Furioso. Sentiva di doversi allontanare al più presto da lei.

La sua armatura però non sembrava voler collaborare. Dopo aver nuovamente fallito a sganciare lo spallaccio con cui stava armeggiando, trattenne a stento un ringhio in gola. Sentiva l’acido caldo del suo temperamento scorrergli nelle vene, pronto a detonare. Si arrese. Sarebbe uscito a cavalcare così, in armatura, non aveva importanza.

Si sollevò in piedi e incontrò in quel momento gli occhi confusi di Lothíriel, che ancora non aveva smesso di argomentare, anche se più debolmente. Il torrente di emozioni crude che gorgogliavano nel suo petto si placò per un istante.

La sua mano si mosse da sola e si insinuò nella chioma scura della ragazza. Chiuse il pugno sulla sua nuca, attirandola a sé, facendola finalmente tacere. La ragazza sussultò appena, stupita, ma rispose comunque al suo brusco bacio. Serrò di più il pugno attorno i capelli di lei, costringendola a dargli maggiore accesso alla sua piccola bocca, che esplorò avidamente. Sentì vibrare contro la lingua un gemito soffocato che gli fece allentare di poco la presa.

Quando si separò dalla moglie le impresse un ultimo, possessivo, bacio, poi la superò, lasciandosela alle spalle.

«No». Un sussurro pressoché inudibile raggiunse Éomer quando era già alla porta.

«No?», voltò appena la testa verso di lei.

«No», ribadì Lothíriel con maggiore convinzione, «Vorrei- Voglio che usi le parole. Parlami… Spiegami».


Non finì nemmeno di ascoltarla. Era già al suo terzo passo lungo il corridoio quando si bloccò sul posto. Sospirò, frustrato, rendendosi conto di averla lasciata con uno sbuffo quasi derisorio.

Tornò indietro, affacciandosi alla stanza. «Questa mattina…», si appoggiò allo stipite, «Questa mattina ti avevo detto di aspettare. Se-… Iriel, maledizione, se ti fosse successo qualcosa…». Serrò gli occhi, inspirando profondamente.

«Lo so, lo so. Sono stata avventata, lo so. Ma solo perché sapevo che stavi per arrivare».


Éomer guardò negli occhi sua moglie e si sforzò di addolcire la propria espressione. No, lei non poteva capire. Non poteva capire quanta paura gli facesse. E lui non era stato preparato a tutto questo. Non aveva messo in conto che amare qualcuno potesse essere così spaventoso. «Iriel…», sospirò passandosi una mano sul viso. «Tu non puoi-… Io- Sono così- così arrabbiato…».


«Qui», un altro sussurro.


«Qui?».


«Sì. Non parlarmi da lì, sulla porta. Parlami da qui», gli chiese mentre indicava lo spazio che li divideva. «Ti-ti prego…», aggiunse più docilmente di fronte al suo aggrottamento di sopracciglia.  


Éomer inspirò di nuovo, lasciando che il silenzio calasse nella stanza. Poi si avvicinò a lei lentamente, mantenendo gli occhi nei suoi. Si fermò a un passo di distanza, torreggiando sulla moglie.

«Tu. Tu. Non ascolti mai», iniziò pacato, «Corri rischi evitabili. Di continuo», la sua voce cavernosa andava caricandosi di irritazione, «Tu. Sei così-».

Questa volta fu Lothíriel a zittirlo con un bacio. Aveva agganciato le dita nella parte superiore del suo pettorale per attirarlo a sé, sollevandosi sulle punte fino ad arrivare a unire le labbra alle sue, modellando impazientemente la bocca contro la sua. Éomer non tardò a circondarla con le braccia. Attraverso la sua schiena, poteva sentirle il cuore battere imbizzarrito.


«Ti chiedo scusa». Lothíriel esalò con un filo di voce contro le sue labbra. Il fiato già corto, le guance colorate.


«Tu- Mmh- Uhmf-». Éomer tentò di pronunciare una risposta ma la moglie non aveva smesso di rubargli baci. Abbandonò la vita di lei per prenderle il viso tra le mani, «Lasciami parlare, Iriel», le intimò con tono pacato ma fermo.


Non voleva le sue scuse. Voleva arrabbiarsi, rimproverarla. Farle capire. Ma quando incontrò il suo sguardo, lei gli sorrise. Gli sorrise, con uno dei suoi sorrisi, quelli belli, che le sollevavano gli zigomi e coinvolgevano gli occhi, facendoli brillare ancora di più. Maledetti quei suoi occhi che brillavano. Gli sorrise e lui si ritrovò a ricambiarla, mentre sentiva qualcosa tendersi e squarciarsi dentro la sua cassa toracica.


«Maledizione…», esalò esasperato prima di tornare a baciarla.


L’amore era davvero qualcosa di spaventoso.

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Due anni prima...

14 settembre 3019, Terza Era

Campo dei Tumuli, Edoras, Rohan
288 miglia a nord

                                        Settembre di quell’anno memorabile era iniziato più dolcemente di quelli precedenti. Il vento era gentile e sorprendentemente caldo, correva vivace sui pascoli per poi spazzare le piazze di Edoras, accarezzando con le sue dita invisibili i visi dei passanti. Gli eorlingas esorcizzavano il ricordo dell’Ombra che aveva abitato le loro terre tessendo arazzi per il re defunto e componendo canti in onore degli ospiti che si attardavano ancora nel Palazzo d’Oro: il sovrano di Gondor e il suo nobile seguito.

Éomer stava risalendo la strada verso i Cancelli, conducendo Zoccofuoco a piedi, quando gli giunsero alle orecchie le voci che si sollevavano dai cortili della città. Sorrise tra sé e sé mentre i suoi occhi si spostavano sui tumuli che costeggiavano la via, fermandosi su quello dello zio.


«Lo senti, mio signore?», parlò a bassa voce, «Canta, la tua gente. Guarisce».

Passò lentamente la mano sui bianchi ricordasempre che stavano gradualmente prendendo possesso del nuovo tumulo, facendoli scuotere piano. Avrebbe volentieri indugiato un po’ più a lungo, ma tre uomini che conversavano tra di loro gli stavano già venendo incontro.


«Siamo stati ingannati, Re Éomer. A Gondor si dice che i venti del Mark non conoscano moderazione», il Principe Imrahil lo apostrofò bonariamente appena lo avevano raggiunto; accanto a lui, Éomer riconobbe il figlio che lo aveva accompagnato in guerra, Erchion. Un’ottima spada e immagine del padre, anche se decisamente meno impostato e formale, come aveva avuto modo di osservare nei mesi passati.


Il suo amico, Brandwine*¹, passeggiava con loro.


«Eppure», proseguì il Principe dopo che gli uomini si erano scambiati un cenno di saluto con il capo, «Questo vento è più tenero della brezza della nostra costa. Inizio a credere che fossero solo dicerie per scoraggiare i visitatori».


«Non mi stupirebbe se queste dicerie fossero provenienti da Rohan», Éomer rivolse un sorriso dal sapore amaro al Principe, «Temo che non siamo stati una terra particolarmente accogliente negli ultimi anni».


«Non ditelo nemmeno, mio signore. Noi gondoriani abbiamo trattato con sospetto i nostri stessi fratelli, se vivevano anche solo un passo fuori dalle nostre mura. Ma è vano guardare al passato ora», Imrahil allungò un braccio e strinse la spalla del Re in un moto di affetto, «Guardate Meduseld, guardate come fiorisce! Uomini, Elfi, Nani, Mezzuomini… Tutti accolti dalla vostra gente con canti e calici traboccanti. Non credo possibile che qualcuno di noi chiamerebbe mai Rohan inospitale».


«Che sia come avete detto, Principe. Che sia come avete detto». Éomer si rivolse al suo amico, «Dove porti oggi i nostri ospiti, Brandwine? Non è tardi per uscire a piedi?».


«Oh, io non credo ci siano luoghi qui nei dintorni che i Principi non abbiano già visitato. Stasera li accompagno solo alla Guardiola Est».


«Uhm», Éomer annuì. Poteva pensare solo a una ragione per recarsi in un posto così banale. «Un altro messaggio da Sud, Principe?».


«Temo…», Imrahil tossicchiò quasi imbarazzato, «Temo sia di nuovo così, mio signore».


«State forse cercando di governare tutto il Belfalas via lettera?».


«Ci credereste se vi dicessi che i messaggi non sono indirizzati a me?».


Gli occhi dei presenti si indirizzarono sul Principe Erchion, che si era semplicemente stretto nelle spalle.
«Non sapevo aveste moglie», Brandwine inquisì, curioso.

«Oh no, no-no-no», il giovane si affrettò a correggerlo, «Non una moglie. Ma una sorella. Una sorella così avida di notizie che se fosse possibile esigerebbe da me il rendiconto dei capelli in capo a nostro padre».


Imrahil sospirò, «Erchion… Queste conversazioni non interessano i nostri amici».


«E che se potesse cavalcare», continuò il giovane non curandosi del velato richiamo del padre, «Sarebbe già venuta a riportarlo da sé».


«Le vostre donne non cavalcano?», domandò Éomer, mal celando la propria confusione.


«Oh… Mia figlia cavalca, mio signore».


«È questo il problema». Erchion si schiarì la gola cercando di nascondere il sorriso dietro al pugno.


La cagnesca occhiata che Imrahil aveva appena riservato al figlio cozzava buffamente con i suoi lineamenti nobili. «So che per voi può risultare difficile da comprendere, ma mi fa dormire meglio la notte sapere che mia figlia non ha sempre a disposizione un cavallo».


«Uhm… Capisco», Éomer asserì. Non capiva affatto. Ma era saggio abbastanza da non pretendere di comprendere gli usi della nobiltà gondoriana in tutte le sue numerose declinazioni. Con la coda dell’occhio, colse Brandwine incrociare le braccia sul petto e assumere quella che avrebbe potuto descrivere come la postura della pettegola del villaggio. Inspirò profondamente. Sapeva che l’amico – come suo solito – si preparava a immischiarsi in affari che non lo riguardavano.


«Posso immaginare che un padre preferisca far scortare la figlia ovunque si sposti», Brandwine cercò di approfondire la questione.


«Pft-…», Erchion si affrettò a premere le labbra in una linea, visibilmente divertito. «Sì. L’intento di mio padre era quello, esatto. Per quanto riguarda l’attuazione… L’attuazione è risultata lacunosa, possiamo dire».


«Uhm-mmh…». Éomer si limitò nuovamente ad annuire, ma Brandwine incoraggiò il giovane Principe con uno dei sui «Oh~ È così».


«Dovete sapere che mio padre aveva in tasca la strategia perfetta», si era lanciato il giovano gondoriano che ci aveva evidentemente preso gusto nel testare la pazienza del genitore. «Un figlio per ereditare il principato. Un figlio per la guerra», così dicendo indicò se stesso, «E un terzo figlio per custodire mia sorella, la più piccola».


«Erchion…», Imrahil si stava massaggiando la rughetta verticale che si era formata tra le sue sopracciglia scure.


Brandwine lo incentivò, con fare interessato, «Sembrerebbe un ottimo piano».


«Un ottimo piano sulla carta. Ma il vero scherzo del destino è la complicità tra mio fratello minore e mia sorella. La stessa che sarà il solo motivo per cui un giorno mio padre diventerà il primo della nostra stirpe ad avere la chioma completamente bianca».


«Erch-… Ah, basta così», frustrazione, esasperazione e imbarazzo si susseguirono nel tempo di un secondo sul volto di Imrahil, che si fermò ad esalare un sospiro. «Vi chiedo scusa, mio signore. Perdonate e ignorate ciò che esce dalla bocca insolente di questo giovane. Pago ogni giorno le conseguenze del non aver insegnato le buone maniere a questo… questo mio... figlio per la guerra, come ha deciso di definirsi», scosse la testa con disapprovazione.


Prima che il giovane principe potesse controbattere, una folata di vento portò con sé lo scalpitìo di zoccoli in avvicinamento. L’attenzione dei quattro uomini si spostò sulla linea dell’orizzonte da cui videro presto spuntare un vessillo azzurro raffigurante un argenteo cigno. Era diventata una visione piuttosto familiare.


«Credo che non dobbiate più arrivare alla guardiola», commentò Éomer, segretamente sollevato che la conversazione avesse trovato una naturale conclusione.


Il cavaliere proveniente dal Belfalas li raggiunse in poco tempo. Smontò prontamente di sella esibendosi in un profondo inchino. «Vi saluto Re del Mark, vi saluto Principi. Viaggio sotto lo stendardo del Cigno d’Argento e porto un messaggio da Dol Amroth», si annunciò con la formula di rito, aspettando di ricevere una risposta prima di risollevare il capo.


«Bentornato Rìathos», Éomer lo salutò chiamandolo per nome, avvicinandosi per accarezzare il collo del suo animale. «E bentornata Filiher», riconobbe la giumenta grigia. Con la recente impennata di scambi tra Dol Amroth e Edoras, Éomer aveva avuto modo di conoscere a rotazione quasi tutti i destrieri delle stazioni di cambio tra il Belfalas e i Monti Bianchi.


Erchion si fece avanti, «Con il vostro permesso, sire, vado ad assolvere ai miei doveri di informatore segreto. Del resto, suppongo che il messaggio sia indirizzato a me, corretto?».


«Sì, mio signore, ho una lettera da consegnarvi». Dopo aver parlato, il messaggero sembrò esitare. Aprì e chiuse la bocca, pensieroso.


«C’è altro, Rìathos?», lo incalzò Imrahil.


«Non per quanto riguarda il mio incarico, Principe».


«Parla liberamente».


«Nel Lamedon, mentre aggiravo i Monti Bianchi, ho visto dall’alto, guardandomi alle spalle, altri messaggeri percorrere fianco a fianco la via per Rohan. Tre in tutto. A meno di mezza giornata di viaggio dietro di me».


«Sotto che stendardo viaggiavano?», s’informò Éomer.


«È proprio questo che mi ha portato a sollevare la questione», Rìathos sembrava parlare con cautela, «Nessuno. Nessuno stendardo esposto, mio signore».


«E tu sei sicuro che fossero messaggeri?», si volle accertare Imrahil.


«Indubbio, Principe. Viaggiatori senza fagotto. E ho riconosciuto alcuni dei loro cavalli. Li ho usati io stesso in passato».


«Li hai visti nel Lamedon, hai detto…», Erchion si strofinò il collo, «Perciò provengono dalle Province del Sud. E viaggiano con gli stendardi coperti per venire qui, ad Edoras, dove sono ospitati il Re di Gondor e il suo consiglio quasi al completo».


Ci fu un loquace, per quanto rapido, scambio di sguardi tra i principi gondoriani e i rohirrim.


«Rientriamo», sentenziò asciutto Éomer. Sapeva che le buone notizie non viaggiavano a stendardi ripiegati.




26 settembre 3019, Terza Era
Palazzo del Cigno d’Argento, Dol Amroth, Gondor
288 miglia a sud
                                        Lesti passi sul pavimento marmoreo riecheggiavano per i corridoi del Palazzo. Lothíriel camminava senza celare la propria fretta, tenendosi poco elegantemente sollevate le vesti per non inciampare. Sapeva che la ramanzina che il fratello le avrebbe destinato sarebbe stata proporzionale al suo ritardo. Si arrestò di fronte a una doppia porta laccata, riportante un rifulgente emblema del Cigno d’Argento. Si rassettò l’abito prima bussare e spingere la porta verso l’interno.

«Mi hai fatta chiamare, fratello?», si richiuse la pesante porta alle spalle.


«Dove sei stata?». Elphir l’apostrofò incolore, seduto dietro al suo massiccio scrittoio. Aveva parlato senza sollevare gli occhi dal tavolo.


«Ero scesa in città».


«In città dove?».


«Nella Piazza delle Fonticoperte». Seguì un silenzio che la Principessa trovò presto opprimente. «Uhm… In- in città c’era- c’è una compagnia di cantastorie e… E raccontavano dell’incoronazione del nuovo Re. Io ho pensato di- di andare ad ascoltare e…». Si fermò quando il suo cervello registrò di stare straparlando. Dietro la schiena aveva preso a stropicciarsi nervosamente le mani.


Dopo qualche interminabile minuto, il Principe Erede chiuse il registro su cui aveva fatto delle annotazioni e si rilassò contro lo schienale della sedia, alzando per la prima volta gli occhi sulla figura che aveva di fronte. Lothíriel accennò un timido sorriso nella sua direzione, ma il viso di Elphir rimase inespressivo. «Dove hai detto che sei stata?».


«Piazza delle Fonticoperte».


«Accompagnata?».


«Amrothos e Thïria erano con me».


«Thïria?».


«Thïria… La- La mia dama di compagnia, Thïria». A volte Lothíriel dimenticava quanto il fratello maggiore si disinteressasse di imparare i nomi dei domestici.


Elphir annuì appena. «Dunque, veniamo al motivo per cui sei qui. Il Comandante Sîrfalas si unirà a noi per la cena di questa sera. Mi aspetto da parte tua un abbigliamento adeguato», gli occhi di Elphir si soffermarono sul semplice abito da giorno che Lothíriel stava indossando, «e maggiore impegno per quanto riguarda la conversazione. Non credevo fosse necessario farti queste raccomandazioni, ma tant’è». L’uomo accompagnò le sue parole con un sospiro.


La sorella sentì la gola farsi secca. «Il Comandante? Ci-… Ci ha fatto spesso compagnia negli ultimi mesi».


«Ti stupisce?», inarcò un sopracciglio, «Si attarda dopo le riunioni del Consiglio per dipanare questioni amministrative. È comune cortesia che io lo inviti a rimanere a cenare, Iriel». Il “non essere sciocca” iscritto nel suo timbro mordace era sottinteso, ma affatto velato.


«Sì… Naturalmente… Dico sol-».


«Non farfugliare», la interruppe, freddo, «Parla a modo, Iriel. Ne sei capace».


Lothíriel deglutì. Sentiva il pizzicore delle unghie che aveva affondato nella carne del suo stesso polso. «Mi chiedevo solamente se non fosse sconveniente ospitarlo così frequentemente. Il Comandante potrebbe fraintendere».


«Nessun fraintendimento. Nostro padre non ha interrotto il suo corteggiamento».


«Ma ha respinto la sua proposta di matrimonio».


Elphir si fermò a studiare la sorella. Gli occhi taglienti, quasi felini, ma del tutto imperscrutabili.
«Sorella…», cominciò piano, la voce bassa e innaturalmente calma, «Voglio essere franco con te in modo da non dovermi ripetere in futuro. Nostro padre non ha concesso la tua mano per questioni di tempismo, non di partito. Non ti ingannare. L’iniziativa del Comandante non è stata accolta per via della guerra imminente. Esclusivamente per via della guerra imminente. Inizia a familiarizzare con quest’idea, Iriel. Il nuovo Re di Gondor è stato incoronato, come anche il nuovo Re di Rohan; esauriti i suoi impegni diplomatici, nostro padre non può che fare ritorno e, se dovessi azzardare una previsione, prima della fine dell’anno la proposta del Comandante sarà riesaminata».

Anche se il padre non era stato schietto con lei come lo era stato Elphir in quel momento, Lothíriel sapeva che il fratello le stava dicendo il vero. Allora perché sentiva lo stomaco attorcigliarsi in quel modo su se stesso?


«Fratello, non sarebbe-… Non- non credi che sarebbe più opportuno aspettare il ritorno di nostro padre per- prima di-… Insomma, promuovere la frequentazion-».


«Parla come si deve, Iriel!», il fratello la sgridò mentre gli angoli della sua bocca prendevano la più lieve increspatura verso il basso, «A sentirti balbettare così mi chiedo a cosa siano serviti quindici anni di precettorato. Quel vecchio si starà rivoltando nella tomba».


«I-il», la ragazza si interruppe quando udì la propria voce uscire ancora più tentennante del solito. Si sforzò di deglutire. «Il mio precettore è vivo. Ora gestisce l’archivio del Consiglio. Lo sai, lo incontri ogni settimana».


«Allora si starà rivoltando nell’archivio», Elphir mosse una mano per aria come a voler scacciare una mosca, «Non vedo come questo cambi il fatto che inciampi nelle tue stesse parole. Ad ogni modo», sospirò, «Non ho altro da dirti per ora. Ti rivedrò a cena». Bruscamente come gli ebbe rivolto la sua attenzione, gliela stava ora togliendo. Gli occhi dell’uomo erano di nuovo sui documenti di fronte a lui.


Se il Principe Erede diceva che la conversazione era chiusa, allora la conversazione era chiusa. Lothíriel ne era più che cosciente. Lasciò lo studio in silenzio e appoggiò la fronte alla porta che aveva appena richiuso. Si prese un momento per poter far entrare aria nei polmoni, mentre i suoi occhi seguivano sovrappensiero le venature del pavimento in marmo. Il suo sguardo cadde sulla mano che ancora teneva sulla maniglia della porta. Avrebbe dovuto indossare un abito a maniche lunghe per la cena.



Note dell’autrice
• Alcuni personaggi introdotti o nominati in questo capitolo sono del tutto inventati ma rivestiranno ruoli ricorrenti. Tra questi segnalo:
            *¹ Brandwine, dal Rohirric brand (lancia) + wine (desinenza maschile che significa “amico”). Personaggio originale, amico d’infanzia di Éomer e suo secondo in battaglia.

            *² Thïria, dall’Ovestron tyriw (fanciulla snella) + (desinenza femminile); origine Sindarin. Personaggio originale, fedele dama di compagnia di Lothíriel.

Feedback riguardo la formattazione
So che è formalmente sbagliato evidenziare in grassetto i discorsi diretti, ma personalmente la ritengo una soluzione efficace per quanto riguarda la lettura su schermo. Fatemi sapere se, al contrario, vi disturba l’uso che ho fatto del grassetto e provvederò a riformattare.

• Vi ringrazio per aver letto questo capitolo! Il cuore della storia sarà ovviamente la relazione tra Éomer e Lothíriel, ma permettetemi di prendere le cose un po’ alla larga. Parole chiave: combustione lenta. A presto!
Razaghena
La storia ti sembra familiare? Una prima versione di questo racconto è stata pubblicata sul sito 10 anni fa, sotto lo stesso titolo. Ho rimosso la storia precedente solo di recente, per non creare confusione.
Chi ha letto la versione precedente deve rileggere tutto da capo? Questa nuova versione è frutto di una radicale revisione: sono stati tagliati alcuni personaggi, caratterizzati diversamente altri. Molti dei nodi della trama sono rimasti però invariati. I capitoli originali che si discostano al 100% dalla versione precedente inizieranno dal decimo capitolo.
  
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