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Autore: amuhinamori    06/03/2022    1 recensioni
"Da bambina, quando mi guardavo allo specchio, vedevo quello che mi diceva sempre la mia mamma: “Sei bellissima, amore mio”.
Non mi soffermavo sulle gambine un po’ troppo in carne, sulle guance paffute o sulla pancetta un po’ più tonda. Vedevo solo un visino felice, con il nasino a patata preso da papà e gli occhioni nocciola della nonna materna ma con la stessa forma di quelli di mamma, che si divertiva un mondo a provare le smorfie più buffe e divertenti. Il fatto di sorridere e di divertirmi mi faceva credere di essere bella come le cose che provavo".
Una ragazza con problemi di peso decide di mettere per iscritto la sua storia, di raccontare quello che prova nei confronti del proprio corpo e cerca di fare chiarezza tra i suoi pensieri in una serata malinconica.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciao a tutti voi che state leggendo.
Questa non è una vera e propria storia. Non ha una trama o uno svolgimento.
Soprattutto ai giorni nostri, siamo spesso tentati di dire o scrivere tutto quello che ci passa per la testa, magari sui social, senza pensare che la nostra opinione può avere delle conseguenze.
Con questo "racconto", se così vogliamo chiamarlo, non voglio imporre il mio pensiero, far cambiare opinione o insegnare niente a nessuno. Sono semplicemente delle considerazioni personali, a cui sono arrivata con gli anni, che mi faceva piacere scrivere sotto forma di pagina di diario in cui la protagonista racconta dei suoi problemi di peso e delle conseguenze che hanno avuto sulla sua crescita e nella sua vita. Ho deciso di pubblicarlo qui perchè ho pensato che, come me, potessero esserci altre persone interessate all'argomento.
Buona lettura e grazie :)
 
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Caro diario.

O forse sarebbe meglio dire caro sproloquio digitale, visto che non so nemmeno io dove voglio andare a parare. In questo momento ho la mente strabordante di pensieri su un argomento che, quasi certamente, ahimè, non smetterà mai di ferirmi.

Questa sera mi sento un po’ come Albus Silente in “Harry Potter e il calice di fuoco”, mentre si scaccola il cervello per riuscire a raccapezzarsi con i suoi stessi pensieri e ricordi, quindi spero che, mettendoli per iscritto, io riesca finalmente a prendere sonno.

Da bambina, quando mi guardavo allo specchio, vedevo quello che mi diceva sempre la mia mamma: “Sei bellissima, amore mio”.
Non mi soffermavo sulle gambine un po’ troppo in carne, sulle guance paffute o sulla pancetta un po’ più tonda. Vedevo solo un visino felice, con il nasino a patata preso da papà e gli occhioni nocciola della nonna materna ma con la stessa forma di quelli di mamma, che si divertiva un mondo a provare le smorfie più buffe e divertenti. Il fatto di sorridere e di divertirmi mi faceva credere di essere bella come le cose che provavo. Quando vedevo un altro bambino al parco, al supermercato o all’asilo, la prima cosa che pensavo era che potevo aver trovato un nuovo amico, non mi interessava come fosse fatto.

Crescendo ho imparato che non tutti i bambini la pensavano come me. Ricordo ancora che alle elementari un mio compagno mi ripeteva sempre che ero grassa. Io ed il peso abbiamo sempre lottato e solo anni e anni dopo ho capito che questo era dovuto a disfunzioni ormonali dovute ad una patologia genetica. All’epoca, però, non riuscivo proprio a capire quale fosse il problema di questo bambino. Ogni volta che mi diceva “sei grassa” o “ma come puoi essere così cicciona?” rimanevo sempre spiazzata.

Io non mi vedevo poi così diversa da lui o dagli altri, ero più paffuta dei miei coetanei, ma non al punto da farsì che la cosa fosse un problema per me o per la mia salute. Nonostante questo, ricordo distintamente l’imbarazzo, il bruciore sulle guance e quel nodino allo stomaco che mi faceva venire una gran voglia di piangere. Così un giorno, all’ennesima provocazione, gli ho detto che le sue parole mi facevano stare male e gli ho chiesto, per favore, di non farlo più.

Lui mi ha risposto che se volevo sentirmi dire che ero magra lo avrebbe fatto, ma che sarebbe stata una bugia perché lui, semplicemente, aveva sempre detto la verità.  Per l’ennesima volta mi ha lasciata stupita. Nella mia testa era tutto dannatamente semplice da comprendere e non ho potuto non rispondergli: “Ma perché devi per forza dire qualcosa? Potresti anche non dire niente e basta”.

Con il tempo le cose non sono migliorate. Dopo le elementari non ho più parlato con quel bambino, ma ho scoperto, a mie spese, che lui era probabilmente il male minore.
A quanto pare, nel mondo degli adulti, esiste una linea invisibile che separa l’età in cui è accettabile essere cicciottelli (o in carne, sovrappeso, grassi, obesi o delle balene, scegliete la dicitura che più si addice al vostro modo di vedere la cosa) da quella in cui diventi un enorme spreco di spazio per la società e tutti si sentono in dovere di farti notare che sei diverso, a prescindere dal motivo più o meno nobile per cui lo fanno. Questa linea sta tra gli 11 e i 12 anni. O almeno, così è stato per me.

Mia nonna paterna aveva deciso che così non andavo più bene e non mancava di farmelo notare ogni volta che mi vedeva. Eravamo arrivati al punto in cui, quando ci trovavamo alla domenica per il classico pranzo di famiglia, da buoni terroni quali siamo, non mi chiedeva nemmeno “come stai?” o “come va la scuola?”, mentre ci salutavamo, ma direttamente “come va la dieta?”.
Purtroppo, per anni, nessuno è riuscito a farle capire che non ero neppure a dieta, semplicemente mangiavo come una qualsiasi ragazzina a cui, però, il metabolismo non funzionava.

La cosa affascinante è che non è stata l’unica. Anche il mio insegnante di ginnastica delle scuole medie sembrava essere d’accordo con la nonna, e non mancava mai di farlo presente davanti a tutta la classe durante le lezioni. Lui, però, aveva decisamente meno tatto di lei.Ti faccio un esempio.
Avevamo le due ore di educazione fisica a cavallo con la ricreazione, quindi, alla prima campanella, ci sedevamo tutti insieme a fare merenda e a chiacchierare; lui stava con noi. Una volta si discuteva dei gusti di ciascuno rispetto alla colazione e io avevo detto che, nonostante la facessi quasi sempre con i cereali nel caffè-latte, mi piaceva tanto mangiare il cornetto, quando possibile. Il professore ha commentato a voce alta dicendo: “Ecco perché sei grassa”.  

Mi sono sentita così umiliata che avrei voluto sotterrarmi. Quel giorno non ho finito la merenda e, una volta tornata a casa, mi sono rifiutata di fare pranzo. Fosse dipeso da me avrei saltato anche la cena, nonostante avessi una fame terribile, ma, per mia fortuna, ho dei genitori molto attenti che si sono immediatamente accorti che qualcosa non andava e mi hanno fatta sfogare. Il giorno dopo mio papà è andato a parlare con il professore e con il preside. L’anno successivo abbiamo cambiato insegnante.

Malgrado i miei problemi di peso e la maggiore fatica che mi costavano gli esercizi motori, cercavo sempre di impegnarmi al massimo per non essere da meno rispetto ai miei compagni. Mi terrorizzava l’idea di vedere e di dover accettare la mia diversità rispetto agli altri, perché io mi sentivo bene. Avevo degli amici, andavo al cinema, facevo festa con le amiche, mi divertivo come una normale adolescente ma il mondo intorno a me mi faceva convincere, ogni volta con maggiore insistenza, che ero diversa, che non ero come le mie amiche snelle e atletiche, che il ragazzo per cui avevo una cotta non avrebbe mai guardato me perché sì, ero grassa e questo mi rendeva brutta.

Con esempi simili potrei riempirci un gigantesco camion virtuale. Potrei andare avanti a raccontare “aneddoti” simili durante il liceo, con i ragazzi che mi piacevano, o mentre camminavo per strada mangiando un banale pezzo di focaccia perché era ora di pranzo, non sarei potuta tornare a casa prima di sera e la colazione, quella mattina, l’avevo saltata perché ero in ritardo per la scuola, ma non sono qui per raccontare tutte le disavventure della mia vita.

Dopo anni, a furia di accumulare queste sofferenze e nascondendole sotto a muri di finta allegria ed esagerata positività (che sono sicuramente caratteristiche che mi appartengono, ma che ho ingigantito ed estremizzato al punto da farle diventare una muraglia, pur di non sentire quelle emozioni che mi facevano più male), sono scoppiate tutte insieme.  Quando sei un bambino, o un adolescente, non hai gli strumenti mentali ed emotivi per gestire la cattiveria della gente. Gli stessi adulti, spesso, non sanno come controllare le loro emozioni e non riescono a convivere con il proprio corpo: come può riuscirci una ragazzina adolescente troppo sensibile con la vita incasinata?

I miei genitori, i nonni materni e mio fratello hanno cercato di sostenermi come meglio potevano. Non mi hanno mai forzata a diete ferree, non mi hanno criticata, mi hanno lasciata libera di fare ciò che sentivo. Mia mamma ha sempre cucinato un sacco di verdure e pasti equilibrati, ho perso il conto del numero di visite da dietologi, nutrizionisti e palestra ma niente ha mai funzionato.

Non arrivavo mai a perdere più di 2 o 3 kg in mesi e mesi. Solo dopo anni siamo arrivati alla fonte del problema. Adesso sto prendendo dei farmaci per rimettere in quadro i miei problemi di tiroide, ormoni e metabolismo, ma questi non ti portano a dimagrire con la sola assunzione, semplicemente smetti di ingrassare anche solo guardando il cibo (che è sicuramente un gran vantaggio), ma  comunque non cancella le ferite e l’insicurezza che ormai fanno parte del mio essere.

Ci è voluto tanto tempo, un’immensa sofferenza e una serie di crolli psicologici per farmi capire che nessuno aveva il diritto di farmi sentire in questo modo. A prescindere che la critica arrivasse da qualcuno della famiglia “allargata”, da un amico o da un estraneo e da quale motivo li spingesse a farla: ero stanca di sentire opinioni non richieste su cose che ero perfettamente in grado di vedere anche da sola.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata dopo l’ennesima cena con i parenti. Era estate, avevamo deciso di andare a mangiare una pizza tutti insieme per poi goderci i fuochi d’artificio di una festa cittadina. Avevo comprato un vestito che mi piaceva da morire ma che mi vergognavo ad indossare, nonostante fosse sobrio e adatto al mio corpo. Ci è voluta una settimana di incoraggiamenti da parte dei miei genitori e di lotte mentali per convincermi a metterlo, ma alla fine ho ceduto. Ero orgogliosa di me per esserci riuscita e, guardandomi allo specchio, avevo l’impressione di essere quasi carina. Durante la serata ho sentito uno zio dire: “Si ma con delle gambe così non bisognerebbe mettere un vestito del genere”.

Mi sono sentita morire. Tutta la fatica mentale fatta in quella settimana, gli anni di commenti e le critiche mi sono piovuti addosso come una zavorra. Non volevo rovinare la serata al resto della famiglia, così ho nascosto il dolore sotto ad un sorriso per l’ennesima volta, ma il giorno dopo ho parlato con i miei genitori, gli ho raccontato quello che avevo sentito e li ho informati che non ero più disposta a sopportare: o parlavano con il resto della famiglia dicendogli di smetterla, con i toni che ritenevano più opportuni, oppure lo avrei fatto io ma con modi sicuramente meno educati, e me ne sarei infischiata della buona educazione e delle conseguenze.

Ormai sono un’adulta e, in alcuni momenti, riesco quasi a convincermi che l’opinione degli altri non mi tocchi più e che le cose ormai mi scivolino addosso, ma ci sono volte in cui tutta la sicurezza acquisita in questi anni, grazie al lavoro fatto su me stessa, crolla come un castello di carte. Proprio come è successo questa sera.

Perché vedi, caro diario, queste cose lasciano delle ferite che si riaprono non appena sei un po’ più fragile: nei momenti in cui sono più vulnerabile, mi sembra quasi di udire tutte quelle voci insieme che mi ripetono quanto io sia orribile, che il mio aspetto fisico non mi dà il diritto di essere amata o di provare attrazione nei confronti dei ragazzi e che non è possibile che loro possano sentirla per me.

E so già che molti vorrebbero rispondermi: “Se non ti piaci così come sei, se questo ti fa stare così male, soprattutto ora che hai trovato il problema e lo stai curando, perché non ti metti a dieta e inizi ad andare in palestra invece di lamentarti e piangerti addosso?”

La mia risposta è grazie al cazzo, capitan ovvio.

Quando sei abituato ad anni ed anni di ferite e tentativi non riusciti, l’idea di riprovare e scoprire che nemmeno così ce la fai è spaventosa. Così tanto da impedirti di fare un ultimo tentativo.
Quello che mi fa più rabbia è che tutte queste ferite, questa sofferenza e queste insicurezze non sono davvero frutto del mio aspetto fisico ma della cattiveria, dell’ignoranza e della mancanza di empatia delle persone.

E sono convinta di quello che dico. Ogni volta che mi sono sentita rivolgere un insulto o un commento su questo, la mia mente ha continuato a dare la stessa risposta di quando ero bambina: perché dovete necessariamente parlare anche, e soprattutto, quando la vostra opinione non è richiesta?

La dieta non è solo mangiare sano e fare sport, bisogna fare i conti con tutta una serie di fattori psicologici che molto spesso le persone trascurano e dimenticano. Vedere il proprio corpo che cambia ma non come avevamo immaginato, o che nonostante gli sforzi e i sacrifici non lo fa o non velocemente come vorremmo, sono tutte cose che, aggiunte all’insicurezza e al dolore accumulati nel tempo, possono essere difficili da gestire e non tutti sono abbastanza forti da farcela senza crollare.

Una persona che conosco una volta mi ha detto: “Preferirei essere anoressica piuttosto che grassa”. Non sapevo se sentirmi offesa per me o per tutte quelle persone che lottano tutti i giorni contro l’anoressia e con i disturbi alimentari in generale. Nel dubbio mi ha disgustata l’insensibilità e la superficialità mostrata nei confronti di entrambi i problemi.

Il punto di questo “flusso di coscienza”, caro diario, è che molto spesso ci si dimentica dei sentimenti degli altri, del fatto che le parole hanno un peso (e, dato il discorso, giuro che questa non vuole essere una battuta di spirito) e possono fare danni pari o superiori alle percosse fisiche.
Bisognerebbe prendere coscienza del fatto che, se non si hanno le competenze per parlare e non si hanno i modi giusti per farlo, alle volte sarebbe meglio tacere e che dare la propria opinione su tutto non è necessario.

Noi persone con problemi di peso, che sia in più o in meno, ci vediamo ogni giorno, sappiamo benissimo come siamo fatte, come dovremmo o vorremmo essere e alle volte, strano ma vero, capita che ci piacciamo anche così.  Siamo perfettamente coscienti del fatto che il peso può essere dannoso per la nostra salute, ma volete davvero farmi credere che commentate perché vi interessa di me, di noi? Per quanto mi riguarda posso garantirvi che i miei esami sono perfetti: ho valori tutti nella norma, il colesterolo è nei range, il mio cuore non ha problemi e ho valori di diabete e glicemia invidiabili quindi grazie per la premura, ma anche meno. In futuro questo potrà portarmi degli scompensi? Verissimo. Ma continuano a non essere problemi vostri. Non si vuole e non si deve normalizzare il concetto di “grasso è bello” perché la salute è fondamentale e sarebbe ovviamente meglio impegnarsi per raggiungere il peso forma, ma bisognerebbe capire che è più facile salvare qualcuno con la gentilezza che con un insulto e che comunque la salute di ciascuno, unica "giustificazione che posso sforzarmi di trovare accettabile" per i commenti che mi sono sempre stati rivolti, è solamente affar suo.

Condivido il detto “mente sana in corpo sano”, è sacrosanto, ma sono anche convinta che sarebbe più semplice prendersi cura di entrambi se il mondo intorno a noi fosse un po’ meno cattivo, un po’ meno esigente e un po’ più umano.

Per ora, caro diario, credo che mi concentrerò sul riuscire di nuovo a guardarmi allo specchio e ad essere felice perché a fare le smorfie e le facce buffe sono sempre stata un asso.
  
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