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Autore: Imperfectworld01    06/03/2022    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Trentanove.

Dal momento che il cinema si trovava vicino a Piazza Duomo, ebbi l'occasione di vedere quest'ultimo anche di notte una volta che uscimmo dal cinema, e ne rimasi semplicemente incantata.

La Piazza non era gremita di persone così come lo era di giorno, così la cattedrale non faceva che risaltare ancora di più in mezzo in tutto il suo splendore, illuminata dalle luci della luna e delle stelle e dalle poche luce artificiali che lo contornavano.

Mi presi qualche secondo per perdermi a osservarlo, dopodiché io e Vittorio ci avviammo verso casa, insieme anche a Irene, la quale andava dalla stessa parte.

L'unica cosa che volevo era tornare a casa il prima possibile, motivo per cui iniziai a camminare davanti a loro con passo spedito. Almeno li avrei lasciati un po' da soli, in disparte.

Li sentivo parlare e ridere sommessamente di tanto in tanto, ma non mi voltai mai per osservarli per paura di rovinare il momento. Sembrava stesse andando bene. Dentro la sala del cinema si erano anche seduti vicini.

Mi sarebbe piaciuto dire che li trovavo carini, perché in effetti lo erano, ma in realtà mi davano anche un po' di voltastomaco. Il mio modo di vedere le cose non era cambiato, detestavo ancora le coppiette e stare nei loro paraggi.

Quando arrivammo davanti al portone di casa nostra, una decina di minuti dopo, io continuai a procedere avanti, dato che non avremmo mai permesso che Irene tornasse da sola, ma mi stoppai non appena Vittorio mi chiamò: «Nina, ferma, aspetta» disse.

A quel punto retrocedetti e li raggiunsi in una manciata di secondi. «Che c'è?» domandai, parecchio confusa, così come lo era la mia amica.

«Dai, non ha senso che venga anche tu. Vai tranquilla a casa, la accompagno io Irene» mi rispose.

Corrucciai la fronte. «Perché? Tanto non ci vuole niente, non mi scoccia.»

Tutto quel discorso e poi trovava ancora il modo di escludermi?

«Sì, Nina, Vittorio ha ragione. Non preoccuparti, davvero, se sei stanca, vai pure a dormire» intervenne Irene, e riservai anche a lei uno sguardo stralunato.

Ma che cosa stava succedendo? Mi ero persa sicuramente qualche passaggio.

«Si può sapere che razza di... Ah!» Ecco che giunse l'illuminazione. Simulai uno sbadiglio. «Sì, in effetti è stata una giornata pesante ed è tardi, è il caso che vada a letto» mentii, stando al loro gioco.

Volevano restare da soli.

Quindi sì, era vero che non mi volevano fra i piedi, ma era per un valido motivo. Mi stupii per la prontezza e l'ingegno di Vittorio: allora quando ci si metteva d'impegno ci sapeva fare davvero. Anche Irene era stata molto furba e perspicace, a cogliere subito le intenzioni di Vittorio e a "cacciarmi" a sua volta.

Salutai Irene con un bacio sulla guancia e un abbraccio, io e Vittorio ci scambiammo uno sguardo d'intesa e dopodiché tirai fuori le chiavi di casa dalla tasca del giubbotto e aprii il portone.

Una volta rientrata in casa, andai come prima cosa in bagno. Aprii il cassetto dove mia mamma teneva il suo struccante e, armandomi di un dischetto di cotone, iniziai a passarlo su tutto il viso. Non era stato molto astuto da parte mia sforzarmi per realizzare un trucco decente considerando che dentro la sala buia di un cinema nessuno avrebbe potuto farci caso, eppure una parte di me aveva ingenuamente creduto che Filippo lo avrebbe comunque notato.

Comunque meno male che alla fine non era venuto, perché a riguardarlo meglio quell'eyeliner lo avevo applicato davvero da schifo, e mi sorprese il fatto che nessuno me lo avesse detto. Probabilmente non ne avevano avuto il coraggio.

Benedetta l'avrebbe fatto. E mi avrebbe anche aiutata a sistemarmi, impedendomi di uscire conciata in quel modo.

Una volta terminato, andai in camera mia e mi cambiai per la notte. Tuttavia, non avevo alcuna intenzione di andare a dormire. Non prima di aver atteso il ritorno a casa di Vittorio.

Andai in salotto a prelevare il gatto dal divano e a portarlo in camera mia affinché mi tenesse compagnia. Lo appoggiai delicatamente sul mio letto. Era ancora parecchio assonnato, dato che quando l'avevo preso in braccio per spostarlo lo avevo svegliato dal suo solito torpore, ma non appena si riprese, mi lanciò un'occhiataccia e poi scese dal mio letto con un balzo, finendo poi per camminare fuori dalla mia cameretta.

Sbuffai.

Gatto inutile.

*

Vittorio ritornò una cosa come tre quarti d'ora dopo, o poco più. Mi stavo quasi addormentando, una volta dopo essermi arresa e aver capito che non sarebbe tornato nel giro di una decina di minuta, e fu lì che sentii il rumore delle chiavi che venivano ruotate all'interno della serratura e le zampette del felino che accorrevano in fretta verso la porta.

A quel punto scattai anch'io in piedi e mi diressi verso la porta d'ingresso: «Forza, raccontami tutto immediatamente!» esclamai e Vittorio sobbalzò per lo spavento.

«Nina, sei impazzita? Mi hai fatto prendere un coccolone! Pensavo fossi già andata a dormire» disse, portandosi una mano sul petto.

«Sì, ti piacerebbe. Ero qui ad aspettare soltanto il tuo ritorno. Dopo come mi avete sbolognata malamente, il minimo che puoi fare per farti perdonare è raccontarmi tutto.»

«Raccontare?» fece il finto tonto.
 «Raccontare?»Che ci sarebbe da raccontare?»

Pensava di essere furbo e di evitare il discorso, ma non sapeva che io ero più furba di lui. «Sai, c
i sono rimasta male, potevate anche farmi capire che volevate stare da soli in una maniera più carina di quella...» lo misi alle strette, facendo leva sulla sua bontà d'animo e sul fatto che certamente si sarebbe sentito in colpa se avesse pensato che me l'ero presa. Anche se non era così e la mia era solo una finta per ottenere ciò che volevo.

«Davvero te la sei presa? È che non sapevo come altro fartelo capire senza dirlo direttamente, e poi era anche una sorta di prova del nove, perché ecco... nel caso Irene non avesse voluto, avrebbe insistito per farti rimanere, e io avrei capito che non era cosa. Invece mi ha assecondato, e quindi... però mi dispiace che tu l'abbia presa così sul serio» si scusò, e quasi mi veniva da ridere per il fatto che stesse davvero credendo alla mia arrabbiatura.

La mia doppia faccia lo rendeva piuttosto semplice, avevo un talento naturale a mentire, a detta di qualcuno.

«Be', accetto le tue scuse, ma che non ricapiti più che prima mi tenete a fare da terzo incomodo e poi fate così... per di più mi avete ignorata per tutto il tragitto dal cinema fino a casa, ve ne stavate a parlare solo fra di voi» aggiunsi, e fui soddisfatta nell'accorgermi che il dispiacere nel suo viso stava aumentando. Stava funzionando. Vittorio era davvero una brava persona. Io un po' meno.

«Scusa, davvero, che tu ci creda o meno, mi dispiace un sacco. Se non altro ti farà felice sapere che il tutto non è stato vano...» sganciò la bomba con un piccolo sorriso imbarazzato, e i miei occhi si spalancarono per la sorpresa. «Volevamo tenercelo per noi in un primo momento, ma non penso di avere più questo privilegio, altrimenti non mi parlerai mai più, non è così?» mi canzonò, e da quella frase capii che in realtà aveva capito benissimo le mie intenzioni, e che mi avrebbe raccontato tutto a prescindere dal fatto che io me la fossi presa o meno.

Gli feci una pernacchia.

«Complimenti, proprio una recita da Oscar la tua!» continuò a prendermi in giro. «Ci stavo credendo fino a che non hai detto di esserti offesa per il fatto che non ti avessimo parlato, quando sei tu che non appena usciti dal cinema hai iniziato a mettermi fretta affinché arrivassimo a casa il prima possibile, perciò mi viene difficile pensare che te ne fregasse qualcosa di fare conversazione con noi!» esclamò e non aveva tutti i torti.

Poi mi prese per mano e mi condusse verso la sua cameretta. Mi sedetti a gambe incrociate sul suo letto, in attesa del suo racconto. Lui accese la luce e come prima cosa iniziò a togliersi le scarpe e i vestiti, prima di infilarsi il pigiama. «Ecco, ehm... durante tutto il tragitto dall'Odeon fino a qui avevamo parlato un bel po', del più e del meno. Poi, una volta rimasti soli, non lo so cosa sia successo: siamo diventati entrambi più taciturni. Ed era imbarazzante, mi rendevo conto di non aver nulla da dire e che nel frattempo i secondi scorrevano senza che nessuno dei due dicesse nulla, ma al tempo stesso avevo un vuoto tremendo e non sapevo come uscirne. Quasi mi stavo pentendo di non aver lasciato che tu rimanessi. Volevo solo arrivare sotto casa sua il prima possibile, salutarla e andarmene. Ma ovviamente non è quello che è successo alla fine. O meglio, era quello che stava per succedere, dato che lei mi ha ringraziato e stava per andarsene, ma poi io le ho chiesto di rimanere, dato che le dovevo delle scuse.
«In tutto questo tempo avevo evitato la cosa lasciando che rimanesse sepolta nel passato, ma una parte di me ha continuato a sentirsi una merda per come l'ho trattata, per giunta senza mai scusarmi. E quindi le ho detto la verità, ovvero che sì, mi sono comportato da stronzo, e che non ero realmente interessato ma era stato tutto un... una sorta di gioco, e che ho scelto una persona qualunque a cui dare il mio primo bacio per togliermi uno stupido peso, e che la mia testa - e il mio cuore - erano occupate da un'altra persona con cui però non avrei mai avuto alcuna possibilità.»

«Erano?» chiesi, interrogandomi sul perché scegliere di usare un verbo al passato.

Vittorio annuì. «Monica ormai non conta più niente, l'ho superata» rispose e ne fui lieta, tanto che gli rivolsi un sorriso compiaciuto, prima di invitarlo a proseguire col racconto. »Ovviamente non l'ha presa benissimo, ma neanche malissimo, dato che ha avuto un bel po' di mesi per rendersene conto da sola, sebbene una parte di lei avesse continuato a sperare che le cose non stessero realmente così. E poi mi ha fatto notare una cosa, ovvero che forse non è successo per caso, ma semplicemente era così che doveva andare: in fondo, fra tutte le persone, io sono andato proprio da lei. E dopo mesi e mesi, alla fine, grazie a te ci siamo rincontrati. Quante probabilità c'erano che accadesse?»

Una frase in particolare fra quelle che disse mi rimase impressa in mente, e già sapevo che mi avrebbe tormentata tutta la notte: «In fondo, fra tutte le persone, io sono andato proprio da lei».

Vittorio aveva scelto a chi dare il suo primo bacio, così come l'avevo fatto io. E se non fosse stata una scelta casuale? Perché fra tutti avevo scelto proprio Filippo, perché? Aveva iniziato a piacermi dopo quel bacio, oppure il mio cuore era già suo fin da prima che accadesse ed era ciò che mi aveva portato a riservare a lui il mio primo bacio?

«E poi?» domandai, nella speranza che il suo racconto mi distrasse dal casino che avevo in testa.

«Io avevo notato che già da diversi minuti controllava ossessivamente il suo orologio, così le ho chiesto se fosse già arrivata l'ora del suo coprifuoco e lei mi ha risposto che non era importante, e che le sarebbe piaciuto rimanere ancora un po' invece che tornare a casa. Però non volevo rischiare che i suoi la sgridassero, così mi sono alzato dal marciapiede su cui ci eravamo seduti a parlare e l'ho aiutata a fare lo stesso. Le ho dato la buonanotte e...»

«Dio, Vittorio, arriva al punto! L'hai baciata sì o no?» lo interruppi, dato che mi era ormai sopraggiunta la stanchezza e mi interessava solo sapere se c'era stato il lieto fine oppure no.

Il moro scosse la testa e io stavo quasi per insultarlo, fino a che lui non parlò e disse: «Perché è stata lei a baciarmi».

Sgranai gli occhi, attonita. Non era di certo la risposta che mi aspettavo di ottenere. Ma andava ugualmente bene. Ero felice per loro.

«Già, mi sono sentito un pisciasotto...» confessò Vittorio, sedendosi finalmente sul letto al mio fianco, dopo essere rimasto in piedi fino a quel momento.

«Perché? In fondo non c'è scritto da nessuna parte che debba fare tu la prima mossa» tentai di rincuorarlo.

«Ma se è quello che mi hai rimproverato di non aver mai fatto con Monica per mesi e mesi» mi contraddisse e io roteai gli occhi: «Posso cambiare anche idea, ok? Comunque com'è andata?» domandai.

Scrollò le spalle. «Bene, credo. All'inizio avevo paura di aver dimenticato come si facesse, essendo che era successo solo in un'occasione» rispose e subito le sue parole sbloccarono in me una nuova insicurezza: si poteva davvero disimparare a farlo se non lo si faceva per tanto tempo? Diamine, perché Vittorio mi faceva sempre venire tali dubbi atroci? Se avessi cominciato nuovamente a ossessionarmi a causa delle sue parole, giuro che l'avrei fatto fuori.

«Ma in realtà non è stato così» disse poi Vittorio, e io sospirai di sollievo. «È un po' come andare in bici. Una volta che sai come fare ti viene naturale, anche se riprendi dopo mesi o anni. Cioè, a parte che è sicuramente più bello che andare in bici» aggiunse con un piccolo tremolio nella voce, probabilmente dovuto all'emozione.

«Bene, ora sì che sono a posto e posso andare a dormire. Buonanotte, romanticone» sussurrai al suo orecchio, prima di pizzicargli la guancia.

«'Notte» mi rispose, e a quel punto uscii dalla sua cameretta.

*

Domenica mattina sentii al telefono anche la versione di Irene, e a differenza di Vittorio fu più precisa e dettagliata, il quale era sempre sintetico e sbrigativo per i miei gusti, tanto da non soddisfare mai a pieno la mia insana curiosità. Mi fece piacere sentirla così felice, specialmente sapendo per quanti mesi era stata a sperare e a sognare a occhi aperti, e alla fine le sue non erano state solo fantasticherie: aveva avuto il suo lieto fine.

Immediatamente mi venne da chiedermi se sarebbe stato lo stesso per me, se anch'io avrei avuto la sua stessa fortuna. Poi la realtà mi piombò addosso di prepotenza, riportandomi sul pianeta Terra: era ovvio che non sarebbe successo, a me certe cose non accadevano. E mi sarei sforzata di farmelo andare bene. Era la cosa migliore.

Nonostante le parole di incoraggiamento di Irene, infatti, non riuscivo a cambiare idea, non riuscivo a vivermela con tranquillità, ma solo con estrema angoscia, che qualcuno se ne accorgesse, che lui se ne accorgesse, che potessi soffrire ancora, che stessi sbagliando tutto, che non mi sarebbe mai passata quella cotta insensata, che lui si innamorasse di qualcun'altra meglio di me (non che fosse difficile) e che smettessi di essere importante per lui, sempre che lo fossi... come potevo vivermela per quello che era e smetterla di usare la testa se ero soffocata continuamente da quei pensieri, senza che potessi controllarli?

Davvero, più ci pensavo e più mi mancava il respiro, e non c'era alcuna via d'uscita, alcun modo per stare meglio, se non forse... se non forse vederlo il meno possibile. In fondo come si può continuare a provare qualcosa per una persona senza nemmeno vederla?, mi chiesi. Motivo per cui declinai l'offerta di Vittorio di fare il tragitto per andare a scuola con lui e l'amico il giorno seguente, dato che ci sarebbe stata anche Irene.

Non volevo vederlo. Non volevo parlarci. Non volevo averci niente a che fare. Durante le uscite di gruppo l'avrei evitato il più possibile, lo stesso avrei fatto qualora fosse venuto a casa nostra. Se neanche questo basterà, dissi fra me e me, allora non saprò davvero più cosa fare, ma per ora è meglio evitare di pensarci: devo credere che funzionerà.

Funzionerà.

*

Ovviamente il giorno dopo mi pentii di non essere andata con loro e di non aver visto Filippo, ma lo tenni per me e non lo ammisi a Irene quando la vidi a scuola. Dovevo solo tenere duro, sarebbe stato difficile all'inizio, ma poi ero sicura che ne sarei stata ripagata e che avrebbe smesso di interessarmi.

Il momento preferito di quella giornata giunse quindi alla sera, quando decisi di affrontare finalmente Vittorio per quella che era una motivazione ben più seria di quella per cui l'avevo aspettato sveglia sabato notte.

Era lunedì sera, il lunedì sera che precedeva quel martedì, e io non avrei lasciato che trascorresse senza che sapessi una volta per tutte dove si sarebbe recato Vittorio, svanendo per una giornata intera e ricomparendo al pomeriggio tardi come se niente fosse.

Andai in camera sua, dopo cena, e lo vidi seduto alla sua scrivania, intento a svolgere degli esercizi di matematica. Giunsi silenziosamente alle sue spalle, senza che lui si accorgesse di nulla, e infine mi schiarii la gola per attirare la sua attenzione.

Si voltò confuso, con la fronte aggrottata.

«Perché tutta questa smania di finire i compiti per domani?» domandò, prima di andare dritta al sodo: «Mi pare inutile, dato che non ci andrai, proprio come accade ogni due settimane, sempre e solo di martedì. Di certo non è un caso. Quindi... se non vai a scuola, dov'è che vai?».

Non mi parve sorpreso dalla mia sorta di interrogatorio, non diede alcun cenno di stupore. Rimase in silenzio per qualche istante prima di rispondermi. Appoggiò la penna che teneva in mano sulla scrivania, dopodiché chiuse il quaderno e si alzò in piedi dalla sedia, giungendo dinnanzi a me e sovrastandomi in altezza con la sua figura.

«Sei sicura che sia questa la domanda giusta da pormi?» chiese di rimando.

Non era propriamente la risposta che mi aspettavo. «Sì» replicai tuttavia, nascondendo la mia titubanza il più possibile.

«È davvero questo che vuoi sapere?» insistette.

«Sì» ripetei, con tono più deciso.

Scosse la testa e emise un sorriso amaro. «No, non è vero. Non è questo che ti interessa sapere.»

«Che c'è, mi leggi nel pensiero? Non credo proprio, quindi se ti dico una cosa, è quella e basta!» esclamai, sebbene in realtà si trattasse di una menzogna.

«Sì certo, "e basta"... Dai, vai a dormire che domani ci svegliamo presto» disse Vittorio, disorientandomi ancora di più.

«C-cioè?» chiesi, mentre lui mi scortava fuori dalla sua cameretta.

«Ti porto a conoscere mia madre» rispose solo una volta che fui sulla soglia della sua porta, prima di chiudermi quest'ultima davanti agli occhi.

 

   
 
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