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Autore: paige95    07/03/2022    3 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Ferite aperte 
 
 
 
 
Milat Super Speciality Hospital – Kabul, 23 settembre 2018
 
«Gwen, mi senti?»
«Capitano, la ricevo»
La voce di Christian, attraverso la ricetrasmittente fornita dal comandante Reyes, era un contenuto sussurro. La ragazza era rimasta in attesa trepidante di notizie, purché esse non si rivelassero nefaste. Gwendoline lottava contro le sue stesse paure, non si era allontanata dai centri abitati, diventando per i due militari impegnati nell’operazione un valido supporto. A bordo dell’elicottero che le era stato affidato, manteneva uno stabile controllo e senza la fiducia del tenente Richardson non avrebbe mai creduto di esserne dotata. Era innegabile che si fosse affezionata al seal, al ricordo che lui potesse ancora possedere del sergente Ward; si era legata all’idea di non sentirsi più sola nella vita e in missione, apprezzata nella sua divisa anche se essa non copriva del tutto le fattezze femminili.
«Stai sorvolando l’ospedale?»
«Sto perlustrando i dintorni. Al momento non rilevo anomalie, è ancora tutto tranquillo»
La giovane risultava essere per Christian la migliore scommessa per non rendere vana la loro incursione nel segno della pace. Avrebbe voluto ricordarle quanto fosse orgoglioso del soldato che era e con la quale collaborava dai primi istanti in cui aveva rimesso piede in Afghanistan. Il tenente scrutò il cielo attraverso le imposte, non la scorse, lei aveva valutato con prudenza la debita distanza dai bersaglieri della milizia jihadista. Le aveva raccomandato di mantenere un atteggiamento misurato e stava dimostrando, con soddisfazione del seal, di seguire quel valido consiglio.
Beatriz era profondamente contrariata. Non le importava che Christian fosse insubordinato al cospetto di ogni sua decisione, non le importava che fosse totalmente incurante dei ruoli, sospettava fosse una pessima abitudine nei riguardi di qualunque superiore. Lo fissava nervosa. Non era preoccupata di affidare a lui la sua vita, ad impensierirla era il destino che avrebbe riservato a se stesso. Il tenente aveva contattato tutti i velivoli coinvolti nella missione e Gwendoline rappresentava l’ultimo mezzo disponibile da sfruttare; aveva condotto a bordo degli elicotteri bambini e madri, coprendo loro le spalle nel caso in cui i talebani avessero impedito l’evacuazione di ostaggi indifesi. Al capitano non rimase altro che esporre il piano alla giovane aviatrice per attuare il prima possibile in sicurezza l’ultimo volo verso la base.
«Cosa stai pilotando?»
Christian sentì la recluta indugiare. Ebbe l’accortezza di attendere una sua reazione, non aveva mai smesso di considerare la poca esperienza di Gwendoline e di averne rispetto.
«È un Boeing AH-64 Apache»
«Hai solo un posto libero per l’equipaggio»
«Signore, è un elicottero d’attacco. Quella di cui parla è la postazione del copilota mitragliere»
«Lo so, ma ora la mitragliatrice non ci serve»
Il tenente gettò un’occhiata pensierosa alla collega con la quale condivideva la stanza; la donna ricambiò confusa. Christian lasciò in sospeso la conversazione con la recluta e si rivolse a Beatriz.
«Tu e Gwen portate fuori da qui quel bambino. È appena nato e necessita di cure urgenti»
«Perché non lasci che il neonato salga sull'elicottero con sua madre?»
«Perché tu non pagherai ancora una volta per le mie scelte»
Non riuscì a comprendere di preciso a quale circostanza si stesse riferendo; non osò chiedere, si limitò a scrutare lo sguardo imperativo dell’uomo.
«E tu come pensi di uscire da qui? Sentiamo. Se ti capita qualcosa, sarà solo una tua responsabilità. È bene che tua moglie lo sappia»
Gli sfuggì un sorriso, Katherine avrebbe creduto a quelle parole senza alcuna remora. Beatriz voleva mostrare risolutezza e distanza morale, ma temeva davvero che lui potesse rimetterci la vita e non allontanarsi dall’ospedale sulle sue gambe, in quel caso non si sarebbe sentita estranea ai sensi di colpa. Il comandante dell’unità militare si privò di una delle sue armi per cederla a lui e alla sua temerarietà; la impose tra le sue mani in modo tale che non potesse rifiutarla per alcuna ragione.
«Ne avrai bisogno e non fare lo stupido. Se devi sparare, spara. Prendi la mira»
Non mollò la presa su di lui, continuò a sfiorargli le dita, finché fu sicura di averlo convinto. Christian non indugiò per mero spirito di sacrificio, a lasciarlo sorpreso furono le raccomandazioni di lei; la compagna conosceva ogni sua singola debolezza sul campo, in primis la vita altrui, che fosse amica o nemica poco importava. Beatriz temeva proprio che potesse cedere alla compassione che aveva dimostrato di nutrire ancora verso il prossimo. Gli era mancata e fino a quel momento non era riuscito a rendersene conto; ebbe l’istinto di abbracciarla, ma temeva potesse fraintendere quello slancio d’affetto. Era sicuro in passato di aver scambiato la loro intensa complicità in campo per un sentimento che potesse sfociare in amore, si pentiva solo di non averglielo confessato a tempo debito e di averla illusa; per la precisione, un giovane appena maggiorenne e ferito lo aveva fatto. Trovò inadatto confessarlo in quel covo di talebani, aveva un ennesimo motivo per salvarsi e tornare vivo alla loro base.
Il tenente recuperò la ricetrasmittente con urgenza, in parte contava sul fatto che la donna al suo fianco si fosse rassegnata all’idea di voltargli le spalle per fuggire dal pericolo e anticiparlo verso una via di salvezza.
«Gwen. Abbassati il più vicino possibile al tetto dell’edificio. Aspetta il comandante Reyes, ma sii prudente. Mi raccomando»
Non concesse alla ragazza la possibilità di ribattere, lei comunque non avrebbe posto esplicite questioni, anche se le rimase il dubbio che lui potesse rischiare si costrinse a fidarsi incondizionatamente. Christian incentivò Beatriz a sbrigarsi, indicandole la direzione con la canna dell’M40. La donna lasciò che fosse il dottor Smith a spiegare in lingua afghana alla madre del piccolo le buone intenzioni del seal in divisa che si stava avvicinando a loro con aria rassicurante. Richardson assisté al dramma di quella madre, nella certezza che sarebbe riuscito presto a ricongiungerla a suo figlio. Quando con delicatezza Beatriz trasportò tra le sue braccia il piccolo verso l’uscita, si fermò un istante davanti al collega. Avrebbe voluto dirle che anche a casa sua si trovava una bimba in attesa del suo ritorno, ma non ebbe il coraggio, temeva potesse giudicare il rischio che stava correndo in quell’ospedale come un atto di pura incoscienza. Beatriz si limitò a pregarlo di essere prudente attraverso un fugace sguardo.
«Andate. Porta il bambino al sicuro, il dottor Smith ti indicherà la strada»
Era la stessa via che Christian aveva percorso diverse volte in quelle ore con il rischio che i talebani li scoprissero e uccidessero civili innocenti. Non se la sentì di rischiare oltre, si ritenne soddisfatto, riuscire a salvare per il momento poche anime senza inutili spargimenti di sangue era un successo in guerra e mancava poco per portarlo del tutto ad adempimento.
Christian attese il ritorno del medico accomodandosi sul pavimento e sostenendo la schiena contro il muro, in una porzione di parete ancora intonsa, risparmiata dalla crudeltà degli occupanti per attuare le loro esecuzioni. I due avevano diviso brevemente le loro strade, consapevoli che insieme avrebbero dovuto affrontare la parte più rischiosa del piano: uscire e scortare con loro la madre del neonato. Il dottor Smith esigé solo una condizione: lui avrebbe fatto ritorno dai suoi pazienti e non avrebbe lasciato l’ospedale, finché anche l’ultimo ostaggio non si fosse trovato al sicuro. Gli faceva onore, a malincuore il tenente fu costretto a cedere alla richiesta del medico, nonostante ci fosse la concreta possibilità di non rivedersi più.
Nell’attesa Christian iniziò una revisione sommaria del fucile di precisione che stringeva tra le mani, accertandosi che fosse inserita la sicura, ma anche che fosse dotato di abbastanza munizioni in caso di bisogno, in ciò parve che Beatriz fosse stata piuttosto accurata. Era quasi certo che sarebbe giunto allo scontro diretto e doveva essere pronto, aveva la responsabilità di più di una vita, non poteva fallire. Solo una leggera vibrazione nella tasca della kurta lo distrasse. Il nome sullo schermo del telefono fu del tutto inaspettato in quella circostanza, quasi dissociante. Rispose cercando di trasmettere entusiasmo, ma mantenendo un tono di voce misurato per rispetto alla sofferenza vissuta in quel luogo.
«Amore mio, che splendida sorpresa!»
Per Katherine l’impeto di Christian dall’altro capo del mondo risultava intenzionalmente smorzato. Colse le sfumature nel tono del marito, fu un processo naturale, l’uomo non riusciva mai a nasconderle né gioia né tristezza: lei era troppo perspicace e lui troppo limpido.
«Ti ho disturbato?»
«Non mi disturbi mai, è sempre un piacere poterti sentire. Mi sei davvero mancata, non puoi immaginare quanto»
Lo sguardo del capitano fluttuò sulla porta che a breve avrebbe dovuto sfondare per imboccare insieme ad altri due fuggiaschi una via di evasione. La mente dell’uomo era catturata da quei pensieri, la voce della moglie, però, aveva un effetto rassicurante sul cuore; non riusciva a valutare se il tempismo di Katherine fosse perfetto o pessimo. Dal canto suo, la donna si trovava tra il sollievo e la confusione: suo marito stava bene – o almeno così sembrava –, ma non erano quelli gli accordi con cui si erano lasciati; cercarlo lei equivaleva a trovarlo spesso irreperibile. Le aveva assicurato che non l’avrebbe lasciata vivere per mesi nell’incertezza, era sempre stato in grado di onorare la parola data, almeno fino a quella missione lunga ed estenuante per entrambi.
«Katherine, non ti sento»
«Perché non sto parlando»
Il velo di delusione nella voce della consorte catturò del tutto la sua attenzione.
«Non abbiamo più avuto tue notizie»
«Lo so, ma ormai avrai capito che non riesco a contattarti spesso»
Katherine si impose di trattenere qualunque tipo di lamentela, avvertì da sé quanto fosse rammaricato. Razionalmente lo comprendeva, era il cuore ad affogare nell’apprensione costante.
«Amore, mi dispiace. Un amico ha rischiato la vita e…»
«Non sono arrabbiata, se è questo che ti preoccupa»
Lo interruppe per impedirgli qualunque riferimento alla situazione di pericolo che viveva di continuo, la conosceva già dai media; era una tortura ricordare le condizioni in cui si trovava.
«Mi rincuora un po’ saperlo. Sto bene, Kathe. Se non ricevi notizie, non ti allarmare. Almeno non subito»
«Hai ragione, il silenzio dell’ambasciata dovrebbe tranquillizzarmi»
Non la sentì convinta, tentava di mascherare un'intensa preoccupazione. Era impegnata a preservare il suo umore e quello del marito, lui non avrebbe dovuto subìre anche l'angoscia della sua sofferenza con quasi dodici ore di fuso orario tra loro. Quasi dieci anni di matrimonio avevano dato la possibilità a Christian di riconoscerla in ogni sua sfumatura emotiva, in ogni tentativo di proteggere l’anima di coloro che amava.
«Non voglio trascorrere il nostro anniversario lontano da voi»
«A Natale mancano novanta giorni di attentati, Chris. Non siamo nelle condizioni per darci appuntamento»
Era più consapevole di lui del pericolo che correva ogni giorno. Poteva solo immaginare cosa la rendesse così tristemente lucida a chilometri di distanza dal luogo in cui si trovava il marito. I mezzi di comunicazione erano fonte di ansia per i familiari di coloro che si trovavano a combattere altrove per l'America. Cercò di coinvolgerla in ricordi lieti, quegli stessi che per lui rappresentavano un rifugio dalla crudeltà umana. Katherine sembrò apprezzare, solo accompagnata dalla voce del marito riusciva ad abbandonarsi a quei momenti trascorsi insieme dimenticando il presente di solitudine che stava vivendo.
«Sono dieci anni, amore»
«Quasi dieci anni. Ricordo che era appena terminata la Messa di Mezzanotte, ti sei voltato verso di me e mi hai detto...»
«…"non voglio vivere alcun Natale futuro senza di te. Lo vuoi anche tu?"»
«E sei volato dal parroco dopo un mio impercettibile assenso»
«"La prego, Padre, ci dedichi solo cinque minuti. So che è tardi"»
«Era l'una passata»
«Ci ha sposati solo ad una condizione: dovevamo buttare William giù dal letto»
Sentì il sorriso della moglie, era fresco e liberatorio per entrambi. Settimane di esplosioni e sparatorie erano seppellite da quel dolce suono; era terribilmente lontano però, unica nota della telefonata che rattristò Christian. 
«Ci avrà maledetti?»
«In chiesa non penso, magari sul sagrato»
«È stata una follia»
Il vibrato di Katherine era diventato malinconico. Lo stava contagiato, gli stava trasmettendo agitazione, a tal punto da convincersi che i timori della moglie sulla guerra potessero essere fondati e nel luogo in cui si trovava ancora più concreti. 
«Una follia che rifarei ogni giorno»
La voce di Christian si stava incrinando. Il silenzio che seguì tra loro diede la possibilità al seal di raccogliere i pensieri e l'onda di emozioni che il breve dialogo con Katherine gli aveva infuso. Per quanto il sacrificio in Afghanistan fosse stato ben ponderato dal tenente, restava un uomo stufo di non poter parlare con la moglie sfiorando gli occhi che tanto amava. 
«Sono prudente e tu lo sai, Katherine. Sono solo un po’ stanco e sento la mancanza della serenità della nostra famiglia. Ma tu potresti tranquillamente biasimarmi, dicendomi che ho deciso io di partire. So che in cuor tuo vorresti insultarmi, urlarmi quanto sei stufa di pensarmi in guerra. Stanca di vedere Alisia soffrire a causa mia. Non lo fai mai e questo ti rende l’unica compagna che un seal potrebbe avere accanto. Sei la sola donna che vorrei al mio fianco. Penso sempre a quello che vi sto facendo sopportare e ti...prometto che ciò che abbiamo vissuto prima che partissi non diventerà la nostra ultima volta»
«Christian»
«A Natale sarò a San Diego»
«Ti amo»
Avvertì la voce di lei spezzata sotto il peso di intime confidenze e sincere promesse, per lui fu una lama nello stomaco che gli impedì quasi di tornare a parlare. I timori della donna di non essere all’altezza del marito si sciolsero in quel frangente, le aveva offerto importanti convinzioni.
«Katherine, mi hai insegnato ad amarti e ad amarmi. Ora devo andare, perdonami»
Sentì i passi del medico avvicinarsi, li riconobbe con sicurezza, provenivano dalla direzione verso cui erano spariti poco prima lui e Beatriz.
«Solo un istante. Non potrei essere più fortunata ad averti sposato»
Fu lei ad attaccare per non trattenerlo oltre. Le ultime parole di Katherine non ebbero una giustificazione, ma gli offrirono certezze essenziali in un clima di conflitto armato.
«Mi scusi, dottore, era mia moglie»
Il medico lo notò emotivamente provato. Lo vide stropicciarsi le palpebre, manifestava la fragilità umana di un civile comune, soldato o meno non era nulla più che un uomo, esattamente come i pazienti di cui si occupava ogni giorno il dottor Smith. La donna che avrebbero dovuto salvare giaceva ancora nel suo angolo, la speranza non la sfiorava, era rassegnata per se stessa e sollevata per le sorti del suo bambino.
«Capitano, se la sente?»
Christian rispose ai dubbi del connazionale alzandosi e imbracciando con convinzione l'arma.
«Certamente»
 
 
Base militare semidiroccata – Confine Nord/Est di Kabul, 23 settembre 2018
 
Beatriz affidò il piccolo sopravvissuto alle giovani braccia di Gwendoline, che lo accolsero tese senza opporre resistenza. 
Le due donne erano appena atterrate nei pressi della loro base, ma il comandante non perse tempo, sfruttò il tempismo dell'esperienza e della freddezza, evitando di abbandonarsi ai sentimentalismi. Prese possesso dei comandi cercando la radio e indossando le cuffie. Andò a colpo sicuro, intercettando la frequenza giusta con tenacia. 
«Comandante, chi sta contattando?»
«Chiedo rinforzi all’ambasciata. Questa storia è giunta al capolinea»
«Non sono sicura che il tenente Richardson sia d’accordo»
«Il tenente Richardson è incosciente. Non ho più intenzione di assecondarlo»
Gwendoline avrebbe voluto strapparle le cuffie, impedirle un errore, lei si fidava del capitano, ma non osò tanto, remore proprio dell’insegnamento di Christian che l’aveva sempre invitata a non essere impulsiva. Per tentare la dissuasione, trasformò la conversazione in una confidenza, o almeno sperava di riuscirci. La recluta strinse al petto il piccolo appena affacciato ad un mondo di sofferenze, la sua presenza calmava l’apprensione per il tenente; la ragazza stessa era in pena per le sue sorti, ma non poteva permettere alla preoccupazione di spegnere il barlume di lucidità che avrebbe potuto evitare a Beatriz di compiere uno sbaglio.
«Se non sono indiscreta, sembra che siate emotivamente legati»
«Sei molto indiscreta, Ward»
«Dico solo che forse è questo a renderla più protettiva nei suoi confronti»
Lei non replicò, ma si bloccò lasciando la comunicazione con l'ambasciata in sospeso.
«Boeing AH-64, vi riceviamo»
«Sa, il generale Flores ci ripete sempre di non mischiare vita privata e lavoro. Forse ha ragione, non crede?»
Gwendoline lo ricordò a se stessa. Le parole della giovane recluta spinsero Beatriz a riflettere.
 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
Veniva chiamato con enfasi. Venne distratto dal lavoro che stava svolgendo, ma sentiva di non poter ignorare le grida di terrore che giungevano dalle porte della base. Una bambina era riversa a terra in una pozza scarlatta. Le gambe di Christian erano di cemento; nonostante la fatica a muoversi, un'energia lo costrinse a scrutare il volto della piccola. L'orrore di riconoscere sua figlia gli fece rifiutare il pensiero che fosse la realtà. Provò a svegliarsi, ma non riuscì, una stretta sulla spalla lo tenne ancorato ad un mondo che rifiutò di credere fosse la verità. Incrociò lo sguardo della moglie dietro una maschera di lacrime e quella fu l’ultima immagine che comparve davanti al suo volto.
«Katherine...è colpa mia»
Una surreale disperazione lo stava pervadendo. Si sentì impossibilitato ad agire, ma il pensiero della sofferenza di moglie e figlia continuava a martellare nel cervello. Le tempie pulsavano e il tocco di una mano sul polso gli infuse una scossa inaspettata. Provò a ritrarsi spaventato. Non vi era nulla di minaccioso, anzi chiunque fosse era delicato; sperò con il cuore si trattasse di Katherine, pronta a rassicurarlo su un incubo così terribile. L'amarezza del sogno gli era rimasta sotto pelle.
«Capitano, stia tranquillo, è al sicuro»
Riconobbe la voce di Gwendoline senza scrutare il suo viso, l'aveva udita in tante occasioni ed aveva sempre rappresentato una fonte di conforto nel grigiore della guerra. Impiegò qualche istante per mettere a fuoco ciò che lo circondava; era confuso come se faticasse a riconoscere la base dilaniata. La recluta rispose ai suoi silenziosi interrogativi.
«È svenuto. I colleghi dell'ambasciata l'hanno trovata riverso a terra. Il comandante Reyes ha chiamato rinforzi, ma stia tranquillo, non hanno fatto irruzione nell'ospedale, ha trovato opportuno rispettare la sua volontà per oggi»
Un barlume di lucidità lo colse spaventandolo. Il recente passato ricompose i dettagli nella sua mente. Uscito dal nosocomio aveva una missione da compiere, ma non era certo di essere riuscito a portarla a termine.
«Il dottor Smith e la madre del bambino!»
«Non erano con lei quando l'abbiamo trovata, ho ragione di credere che siano riusciti a mettersi in salvo»
Christian sperò solo che fossero davvero riusciti a scappare e che la ragazza non gli stesse riservando solo false e vuote certezze per non inquietarlo. Non furono notizie liete, persino Gwendoline indugiò ad informarlo, convinta di ferirlo. La ragazza attese qualche istante, lo aggiornò a tratti; nelle sue condizioni psicofisiche la prudenza fu maggiore. Lei era convinta che la notizia lo avrebbe spiazzato.
«A pochi metri da lei si trovava un afghano senza vita»
La giovane attese che il tenente ricordasse. L'uomo esibiva uno sguardo vacuo, perso in un passato che non riusciva a mettere a fuoco. Era mortificato, per mano sua o di altri era comunque morto un essere umano, che fosse buono o malvagio poco importava; le conseguenze del loro ingresso nel nosocomio erano ben distanti dalle reali intenzioni.
«Pensi lo abbia ucciso?»
«Ha estratto la pistola dalla fondina»
Christian sfiorò il punto in cui aveva riposto la sua arma sotto la kurta, ma ebbe l'amara certezza che era vuoto. Se insieme all’arma fornita da Beatriz, era stato anche costretto ad estrarre la sua pistola significava che la situazione in cui si era trovato era degenerata rapidamente.
«Tenente, si è solo difeso»
«Come faccio a guardare negli occhi mia figlia e dirle "Sai, Alisia, tuo padre è un assassino"?»
«Lei non lo è affatto, è l'uomo più buono che io conosca. Piuttosto, hanno la sua arma, questo può rappresentare un potenziale problema. Il comandante Reyes ha già informato il suo amico in ambasciata fornendo la matricola. Karim, invece, le ha suturato la ferita all'orecchio. Ah, quasi dimenticavo, ci sono anche buone notizie: Samuel è fuori pericolo»
Glielo riferì con commozione, ma Christian riuscì ad essere felice solo in parte. Si accorse della fasciatura all'orecchio in quel momento; la pelle tirava, ma risultava essere un male minore, rispetto alle numerose ferite dell’anima che aveva subìto nelle ultime settimane.
«Gwen, non ricordo cosa sia successo uscito dall'ospedale»
«È solo una piccola amnesia, potrebbe aver battuto la testa»
«Dov'è Beatriz?»
«È appena qui fuori. Attende il suo risveglio»
Tentò di sedersi, ma la stanza iniziò ad ondeggiare. Ebbe bisogno di qualche istante per assestare l'equilibrio; quando si sentì pronto, fece il passo successivo, ma Gwendoline si mostrò contraria a qualunque azione precipitosa. Diverse volte Christian era rimasto ferito e mai aveva goduto del tempo necessario per una massima riabilitazione; rischiava di cedere e la sua unità di restare priva di una forza fisica e morale diventata ormai essenziale.
«Capitano, faccia attenzione. Necessita di riposo»
«Ce la faccio»
Quando ricadde seduto, la ragazza si sporse per sostenerlo. Il seal rifiutò la mano pòrta dalla recluta, ma lei non si offese, aveva imparato a conoscere il lato orgoglioso del superiore.
«Non c'è fretta»
«Devo parlare con il comandante»
Le suppliche di Gwendoline erano quasi materne, la sua voce era accomodante, ma a nulla servirono. Con una spinta più convinta Christian riuscì ad alzarsi. Per camminare attese qualche secondo, si voltò verso lo squarcio nel muro a sagoma di finestra ed intravide l'ombra della donna riflessa sul terreno sterrato. La raggiunse con precaria stabilità, Beatriz si trovava in una posizione apparentemente rilassata, appoggiata alla parete esterna della base, intenta a contemplare una fotografia. Avvicinandosi, il tenente si accorse che il volto della donna riluceva, strisce salmastre lo stavano solcando.
«Sei preoccupata per me?»
Si asciugò le guance, ma la speranza che lui non avesse colto il suo stato d'animo fu flebile, non desiderava essere posta nelle condizioni di dover fornire spiegazioni. 
«Neanche per sogno, so che hai la pelle dura»
Gli accennò persino un sorriso per dissimulare. Christian non ringraziò Beatriz per il tempismo con cui l'aveva salvato, era certo che la compagna avesse trovato in quel gesto il modo per sdebitarsi; soffermò la sua attenzione sulla foto che lei continuava a stringere tra le mani: era un ragazzino che non poteva superare i dodici anni, poteva solo essere il figlio a cui aveva accennato, i lineamenti erano molto vicini a quelli della madre.
«Ho una figlia piccola anch'io»
Lo fissò come se non se lo aspettasse. Dopo un primo istante di incredulità, la confidenza di Christian le offrì l'incentivo di aprirsi con lui, avvertiva la più vera e reale comprensione da parte sua.
«Il padre di mio figlio non mi consente di trascorrere del tempo con lui. Sostiene sia una pessima madre. Non si trovano nemmeno più negli Stati Uniti da mesi ormai. Si è rivolto ad un giudice per ottenere l'affido del bambino e l'ha ottenuto per il semplice fatto che la mia presenza è troppo incostante»
La donna scrutò l'orizzonte, oltre il quale si trovavano i suoi affetti. Si lasciò catturare dalle luci del cielo, per lei risultavano un angolo di pace nei momenti più sconfortanti nello scenario di guerra che stavamo vivendo. Il conflitto, in fondo, era anche nella sua vita di ogni giorno lontano dall'Afghanistan. 
«Hanno ragione, Christian, non sono affidabile, un soldato non può esserlo. Tu dovresti capirmi. Tua moglie è comprensiva?»
«Evita di dirmi cosa pensa veramente, ma non credo faccia i salti di gioia»
«Tienila stretta, è raro trovare una compagna di vita che ti sostenga come fa lei»
Lo sapeva, era consapevole che Katherine fosse la sua fortuna più grande, lo era sempre stata.
«Mi ha chiamato in ospedale, le ho ricordato proprio questo»
Beatriz gli accennò un mezzo sorriso sincero, a cui lui però non rispose per rispetto alla sofferenza di lei.
«Sei innamorato davvero di lei. I tuoi occhi risplendono quando ne parli. È una semplice constatazione, come lo è il fatto che sia stato un suicidio la tua missione. Ti senti orgoglioso? Sei riuscito a salvarli come desideravi?»
A quella missione lei stessa aveva preso parte; nonostante le titubanze lo aveva seguito, il rimprovero era poco credibile, se non per sottolineare la preoccupazione che l'aveva attanagliata nelle ultime ore. Si era fidata di lui e il peggio era che l'avrebbe rifatto senza rifletterci troppo. Non aveva mai negato la sua posizione discordante da quella del tenente, benché i fatti rivelassero altro.
«Alcuni sì e per ora mi ritengo soddisfatto»
«Doveva essere l'atto finale della nostra missione, non l'inizio di una guerra contro quegli uomini!»
«Bea, siamo in guerra»
Pronunciò le parole con dolcezza e pacatezza, ebbe l'istinto di chiamarla come se il tempo dei loro anni in accademia si fosse fermato. Si rivolse a lei con un'ovvietà per nulla offensiva, delicata quanto la pazienza che avrebbe impiegato con sua figlia. Espressero i loro ricordi attraverso gli sguardi, ma Beatriz non cessò le critiche e nemmeno la retorica che esibiva in preda allo stato d’animo.
«Non me ne ero accorta, sai?»
La rabbia del comandante fu prevedibile per il tenente, ma era per lui una conseguenza minore. L'atmosfera in cui erano immersi defibrillava, era inquieta e solitaria. Christian non mutò opinione, non venne catturato dai rimorsi.
«Non ho peggiorato la situazione»
La donna si voltò di scatto stizzosa, non lo scosse, ma spense nei suoi occhi la soddisfazione per i successi conseguiti.
«Tu credi??»
«Ho detto che mi sarei assunto le mie responsabilità e intendo farlo, ma io non credo sia stato un fallimento»
«Dipende dalla prospettiva, Christian»
Il seal puntò la spalla contro il muro, era debole e pensieroso, come se volesse quasi cambiare discorso, in effetti per lui non vi era più nulla su cui discutere.
«È come se avessero voluto lasciar scappare quei bambini, non ti sembra strano?»
«Sei tu ad essere strano»
Gli occhi della donna diventarono tristi, cambiarono sfumatura, non erano più quelli del soldato carico di esperienza e di fermezza, gli stessi con cui spesso scrutava anche lui; la sua mente era tornata prepotentemente ai pensieri originari di quegli attimi di raccoglimento in solitudine risalenti a pochi minuti prima. Beatriz fu grata a Karim, quando spezzò quel confronto con il suo arrivo.
«Occupati di lui, dottore, è ancora frastornato»
Il comandante se ne andò, lasciando Christian contrariato; al seal non restò che rivolgersi al medico, ma fu costretto a cercare le risposte ad interrogativi diversi.
«Come stanno?»
«La loro salute non è compromessa»
Karim rimase a qualche passo di distanza, scrutò il sollievo del capitano, il quale riuscì solo a temere in silenzio per le sorti della giovane madre e del dottor Smith che li stava accompagnando verso la libertà.


 
Redazione Los Angeles Times - Ufficio del Direttore, 3 ottobre 2018
 
Daniel non era nel massimo della sua forma: le palpebre si affaticavano più facilmente e il cuore in convalescenza rendeva spesso il respiro affannoso. Nonostante le condizioni non fossero ottimali, si impose di rioccupare la sua scrivania. Era mancato da troppo e le notizie non si pubblicavano da sole, necessitavano di una guida. Aveva delegato il consuocero per svolgere le attività più urgenti, il giornalista lo aveva fatto beneficiando di competenze e della fiducia del superiore, ma il direttore desiderava tornare a ricoprire al più presto il suo ruolo.
Le prime notizie che passarono tra le sue mani non furono confortanti. Nel suo angolo di lavoro erano state riposte alcune buste di provenienza estera; all'interno di una di esse un biglietto firmato da Samuel lo informava del contenuto. Aveva chiesto un reportage su quelle terre al figlio e lui gli aveva inviato un set fotografico che documentava la vita a Kabul. Daniel aveva indugiato, consultare il contenuto delle buste significava scoprire la vita e i pericoli che stava affrontando Samuel su quel fronte. Erano scorci di vita immortalati, istantanee di guerre. Macerie, volti sfibrati. Fra quegli scatti il fotografo non compariva mai, Daniel non aveva l'occasione di conoscere le sue condizioni, Dio solo sapeva quanto desiderasse avere sue notizie, ma un'incapacità emotiva gli impediva di cedere come forse avrebbe dovuto; l'ultima notizia di suo figlio risaliva a pochi giorni prima e giungeva da sua moglie che aveva avuto la malsana idea di informare Samuel circa la sua salute. Ebbe l'istinto di comporre il numero dell'ambasciata, indugiò appena sulla cornetta, non seppe se per paura di mostrarsi come non era mai stato o per le notizie che avrebbe potuto ricevere.
«Uffici consolari, sezione per la stampa e la cultura. Chi parla?»
«Sono il direttore Clark. Chiamo da Los Angeles per avere notizie del mio corrispondente a Kabul»
Dal Medio Oriente intercorsero attimi di pesante silenzio, anche se non era insolito che comunicasse con il consolato per fornire direttive a Samuel mediante le agenzie governative. Non era certo fosse proprio quell'uomo a tenere la corrispondenza con lui per quanto riguardava il lavoro e le sorti del figlio, quella volta aveva stranamente scelto di comporre direttamente il numero senza, tuttavia, poter riconoscere la voce del suo abituale contatto; non si premurò di alcunché e per un uomo estremamente ponderato nelle azioni e nelle emozioni non fu un gesto naturale.
«Direttore, non è a conoscenza dell'agguato? Suo figlio è rimasto ferito»
«C-come?»
L'indelicatezza del diplomatico gli assestò un contraccolpo notevole. Era seduto, ma ebbe anche l'esigenza di appoggiare i gomiti contro il ripiano che ospitava da anni le sue ore di lavoro. Il cuore di Daniel iniziò a battere forte, si portò una mano al petto iniziando ad avvertire qualche fastidio. Persino la porta dell'ufficio lo fece sobbalzare. Era sua figlia, presa alla sprovvista dal suo malessere, lo spavento circa le condizioni del padre non le diede modo di annunciarsi.
«Ehi, papà»
La dottoressa si avvicinò a lui preoccupata con l'intenzione di afferrargli un polso e valutare i suoi parametri. Aveva subìto un'operazione molto delicata, la ripresa era cominciata da troppo poco per tornare a vivere emozioni intense. Daniel le fece segno di attendere con un'aria sconvolta che contagiò anche lei. 
«D-dove si trova adesso?»
«È ancora ricoverato. Direttore, mi dispiace, non so nulla di più al momento»
«Grazie. Lo contatto tramite il suo recapito privato. Spero mi risponda»
Riattaccò, parlare con i diplomatici non era più fra le sue priorità. Non allontanò le dita dalla cornetta. Lo sguardo interrogativo della figlia non lo convinse a fornire spiegazioni, ma solo a nascondere il malessere dietro una mano per stropicciarsi gli occhi e costringersi a pensare ad una soluzione. Daniel si rimpossessò con convinzione del telefono e si rivolse esasperato a Delilah, rendendosi conto di non conoscere a memoria il recapito di Samuel.
«Mi serve il numero di tuo fratello»
«Cosa gli è successo?»
«Delilah, ho bisogno di quel numero. Ora!»
La donna trovò opportuno assecondarlo, non tanto per i modi burberi, a cui era abituata fin dalla più tenera età, quanto piuttosto per l'urgenza di ricevere ella stessa informazioni sulla salute del giovane reporter.
Trascorsero diversi squilli a vuoto, si sommavano l'uno all'altro aumentando il timore dei due che rimanevano impazientemente in attesa di udire la voce di Samuel. Lo spazio in cui lui avrebbe potuto rispondere era terminato troppo presto. Daniel affogò il viso nei palmi riattaccando la cornetta con maggiore violenza; soffocò le parole a tal punto da renderle quasi eteree per Delilah, ma tristemente comprensibili.
«È colpa mia»
«Sì, è solo colpa tua»
La dottoressa si abbandonò a lacrime dignitose e furiose, ma quando sentì il fiato pesante del padre cercò un contegno, non poteva permettere alla sua rabbia di prendere il sopravvento verso un uomo in convalescenza, non era nella sua etica. 
Il telefono squillò quasi subito, entrambi esitarono. Delilah fu sfiorata dallo sguardo del padre: non le stava domandando consiglio, ma rassicurazione sull'innocenza della chiamata. La donna ricambiò con uno sguardo vacuo, non riuscì ad empatizzare con l'uomo che aveva spinto il fratello in guerra. Daniel cercò da solo un po' di calma e rispose.
«Pronto»
«Papà. Mi hai chiamato?»
La voce di Samuel era flebile, ma c'era. Non era mai stato più bello sentirla per Daniel; invocò il figlio quasi incredulo.
«Samuel»
Notò la figlia tornare a respirare a pieni polmoni, anche il benessere di Delilah gli giovò.
«Figliolo, come stai?»
Samuel indugiò, faticò a riconoscere il padre.
«Immagino tu abbia saputo dell'agguato, ma mi sto riprendendo. Tu, piuttosto, come stai?»
«Bene bene. Tranquillo, Samuel»
Non si soffermò troppo su se stesso, si mostrò molto svogliato nel rispondere al ragazzo, minimizzò qualsiasi riferimento alla sua salute. Colse, però, il tono preoccupato del figlio, provò un sadico piacere nel trovarsi al centro delle preoccupazioni di Samuel, anche se era stato contrario fino in ultimo con l'intenzione della moglie di comunicare le sue condizioni di salute al giornalista; cercò di accantonare quei pensieri e di concentrarsi sul giovane. Avrebbe voluto intrattenere una conversazione più lunga con lui, ma Samuel la troncò per esigenza. 
«Papà, fatico ancora a parlare, necessito di riposo. Ti dispiace se rimandiamo questa chiamata?»
Daniel fu accondiscendente, ma quando riattaccò la linea, un vuoto gli rimase addosso, rincarato dal rancore della figlia. 
«Fallo tornare»
«Temo non vorrebbe, hai mai visto l'impegno di Samuel nel realizzare reportages per il Los Angeles Times?»
Lo spazio e il tempo tra loro venne attraversato da una profondissima tensione. Delilah aveva potuto osservare e udire quanto il lavoro di suo fratello fosse efficiente e appassionato. La donna evitò qualsiasi altro rimprovero verso il direttore e qualsiasi elogio verso Samuel che entrambi condividevano, scelse di uscire dall'ufficio in silenzio, lasciando Daniel amareggiato con se stesso. Il direttore, rimasto ancora una volta solo, si portò le mani sul volto in pensiero per suo figlio e impossibilitato a spiegare le ragioni della sua opinione. Stavolta recuperò il telefono con più pacatezza e si rimise in comunicazione con l'ambasciata, la frequenza con cui componeva quel numero era inedita. Scoprire che Samuel fosse vivo, placò gli spasmi del suo cuore, anche se l'affanno non accennava a svanire.
«Ho bisogno di parlare con il console»
Il direttore rimase profondamente contrariato dalla risposta, così scelse di esibire un carattere poco piacevole. 
«No, un funzionario non può aiutarmi, solo il console può farlo. Devo parlare subito con lui»
 

 
Coronado - Base navale, 3 ottobre 2018
 
«Fabian. Ti disturbo?»
Sophie entrò con discrezione, non era mai stata così prudente nel muoversi fra corridoi e postazioni del Coronado; non era la sua ala della base, ma quel giorno qualsiasi luogo le avrebbe dato la sensazione di essere in fallo. Intravedere suo marito in una posa informale e familiare le infuse una piacevole sensazione di calore, quella su cui a breve, era certa, non avrebbe più potuto contare; Fabian era seduto su un ripiano, un piede sfiorava terra mentre l'altro era sospeso a qualche millimetro, tra le mani reggeva una tazza fumante con un atteggiamento rilassato, anche se persisteva a fissare pensieroso un punto invisibile nel vuoto. Solo il tono incerto del maggiore dell’aviazione spezzò quell'istante di immobilità. 
«Affatto. Vuoi una tazza di caffè? È bollente, l'ho appena preparato»
Il tenente era cordiale, nelle ultime settimane aveva cercato di mantenere buoni rapporti con la moglie, farle respirare un clima famigliare sereno era stato fra i suoi migliori propositi. Nonostante gli sforzi del coniuge, l'espressione di lei dipingeva un umore pessimo e preoccupante.
«No, grazie»
«Tutto bene? Intendo, per quanto possa andare bene in questo periodo»
«È arrivata la convocazione del Tribunale. Ho trovato la lettera stamattina uscendo di casa. È fra diversi mesi»
«Ti accompagno»
«Non è necessario»
«Devo comunque essere presente, abbiamo trovato noi l'aereo»
Nell'entrare Sophie non aveva chiuso la porta alle sue spalle, trovò conveniente rimediare e al seal il gesto della moglie insospettì. 
«Fabian, devo parlarti»
«Cos'altro c'è?»
Lo squillo del telefono camuffò la diffidenza dell'uomo, ma non la neutralizzò.
«Scusami un istante»
Appoggiò la tazza sul ripiano, consapevole che sarebbe diventata l'ennesima razione di caffè lasciata inesorabilmente raffreddare. Sophie ebbe la tentazione di andarsene, non aveva alcuna voglia di affrontare quel discorso, le interruzioni non erano un incentivo; continuava a fissare la porta tentata, ma si costrinse a concentrarsi sull'espressione tesa del marito. Il maggiore dell'aviazione non ebbe il coraggio di domandargli spiegazioni circa la preoccupante chiamata. 
«Ci sono, dimmi»
Quando bussarono anche alla porta, la donna si spostò appena, esternando tutta la sua rassegnazione, ma non mancò di mostrare anche comprensione, d'altronde era consapevole degli impegni che impartiva il Coronado ai suoi ufficiali. 
«Forse a cena riusciremo a parlare con più tranquillità»
Non le sarebbe comunque dispiaciuto prendere tempo, riflettere sul da farsi e magari alleggerire in qualche modo la notizia che stava per comunicare. Fabian non era mai stato un uomo scostante, i suoi gradi militari erano la prova di quanto fosse un uomo onorevole nella vita come in battaglia, che fosse per mare, per cielo o per terra. Lo sguardo determinato del tenente la sfiorò provocandole un sussulto, la fece riemergere dai pensieri strappandola dalle sue fragilità. 
«Attendi solo un secondo. Avanti»
«Comandante, abbiamo terminato…»
Quando il sottoposto vide che il superiore non era solo, non osò sbilanciarsi nelle informazioni; fu una premura non necessaria, ma era una formalità dovuta a qualunque soldato prestasse servizio nel Pacifico. 
«Grazie. Puoi andare»
Fabian si accomodò spossato sulla poltrona accanto ai comandi, con la speranza di poter dedicare a lei qualche minuto senza ulteriori interruzioni. 
«Da quando Christian è partito, i miei oneri sono raddoppiati. Ti ascolto»
Sophie non aveva ancora trovato le parole giuste ed era troppo agitata per camuffare il suo disagio. Era difficile persino ammetterlo ad un uomo comprensivo come lui. 
«L'aereo era manomesso»
Uscì un sussurro dalle labbra della donna, la sua proverbiale tenacia minacciò di svanire. Lo sguardo basso faceva a pugni con la divisa che indossava con orgoglio, era quasi in imbarazzo. Il comandante si era appena rilassato contro lo schienale, quando la notizia lo costrinse ad assumere una nuova posizione tesa. 
«Sono accuse molto gravi. È un'ipotesi o lo sai?»
«Lo so»
«Da chi?»
Gli occhi le si inumidirono davanti all'espressione dura del marito; avrebbe ritenuto legittima qualunque sua reazione, rivelare le menzogne ogni volta a metà era controproducente e sintomo di conseguenze inevitabili. Sophie lo sapeva e non aveva più armi per difendere le sue colpe. 
«Sophie? È stato lui?»
Non servirono risposte, il quadro fu limpido. 
«Da quanto lo sai?»
Fabian rivolse un sorriso amaro verso l'oceano. La superficie dell'acqua profonda e agitata rispecchiava il tumulto che era nato nel suo cuore. 
«Lo sai da sempre. Hai protetto la memoria di un terrorista»
«Lui non era un criminale! Per quale ragione avrebbe dovuto sabotare quell'aereo con la certezza di rimanere coinvolto?»
«Per quale ragione avrebbero dovuto schiantarsi contro le Twin Towers? Sophie, dammi una motivazione, pare tu ne sappia molto più di me. Ti prego, dimmi almeno che non sei coinvolta»
La supplicò in preda alla disperazione.
«Certo che no! Brian...nei giorni precedenti all'incidente mi ha parlato di questioni strane, non le ho veramente capite. Diceva che insieme ad alcuni colleghi voleva apportare migliorie all'aereo»
«Migliorie? E tu gli hai creduto?»
«Quale motivo avrei avuto per non credergli? Mi rifiuto di pensare che lui abbia ucciso intenzionalmente quelle persone e si sia ucciso. Lo hai sentito anche tu, era spaventato quanto me, voleva atterrare prima che fosse troppo tardi»
«Troveranno la verità su quel relitto, ma tu devi dire ciò che sai, altrimenti inizierò a pensare che tu sia davvero colpevole, tanto quanto lui»
«È la fiducia che ti è rimasta in me?»
«Continui a mentirmi»
«Non mi stai ascoltando, Fabian»
«Presumo che un terrorista fosse più bravo di me ad ascoltarti»
«Lui non era un terrorista!»
«Continuare a difenderlo non lo renderà innocente»
Si era alzato con veemenza, ma ebbe bisogno di appoggiarsi per riprendere fiato, il suo cuore minacciava di esplodere. Sophie provò a riportare la discussione su toni normali, aveva notato il comprensibile malessere del marito. La donna non si era allontanata dalla soglia della stanza, non osò avvicinarsi a lui per il timore di essere respinta in malo modo, in lui era sorto un misto di gelosia e delusione che non sapeva come disinnescare in breve tempo.
«Che tu mi creda oppure no, ero all'oscuro delle intenzioni di Brian. Ciò che mi ha detto era troppo confuso per capire. Ho compreso tardi, ma nulla mi potrà dare le sue ragioni ed io sono convinta non abbia voluto provocare l'incidente. Eravamo felici, Fabian»
Il seal si riaccomodò reprimendo l'impulso di scrutare nello sguardo della donna la verità. Per assurdo non riuscì a vincere la rabbia con il terrore che quell'ultima notizia potesse compromettere Sophie; non si sentì nemmeno di spingerla verso una testimonianza forzata, della memoria di Brian gli importava poco, voleva solo preservare la sua famiglia. 
«Mi dispiace di averti coinvolto, sei l'uomo più onorevole che io conosca»
«A cui hai raccontato vent'anni di bugie. È uno strano modo per dimostrare ciò che pensi di me. Sophie, ricorda: vivere con una persona non ti offre la certezza di conoscerla. Io e te ne siamo la prova»
Il telefono tornò a suonare, non gli diedero tregua e forse per lui fu un bene non trovare il tempo di rimuginare. 
«Hai ragione. Ora ti lascio al tuo lavoro, ne riparleremo»
Fabian seguì i passi del maggiore mentre usciva dalla stanza; non alzò la cornetta, finché udì la moglie sulla soglia della sala comandi. Prese un respiro profondo, avvertiva un tremore pervadere tutto il suo corpo, le mani erano altrettanto coinvolte. Non era consono cedere, la solitudine nella quale stava affrontando la situazione lo stava abbattendo più di quanto avrebbe ammesso a terzi. Alzò la cornetta respingendo qualsiasi sintomo di malessere.
«Comandante Hernandez»
«Fabian. Spero tu mi senta, qualche ora fa è saltata la linea»
Dal Coronado avvertì una voce lontana, che gli infuse in parte sollievo e in parte accentuò il suo stato alterato. 
«Christian»

 

Ciao, cari lettori e care lettrici!
Ho impiegato più tempo del previsto per concludere questo periodo, mi dispiace. Fra mancanza di serenità, tempo ed energie non ho potuto fare altrimenti. Inoltre, ad essere onesti, nell’ultimo anno non è emotivamente semplice scrivere sulla guerra.
Vi chiedo davvero scusa, ma ringrazio anche di cuore tutti coloro che sono tornati su questa storia per continuarla insieme a me.  Vi sono davvero grata per la pazienza, è un grande dono per me.
Spero sempre di essere più celere negli aggiornamenti, resta un buon proposito che mi prefiggo sempre.
Un abbraccio grande,
Vale
   
 
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