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Autore: slanif    11/03/2022    3 recensioni
100 Prompt.
100 Storie.
Alcune collegate, altre no.
Un'infinità di personaggi, anche i più improbabili.
Coppie sia Het che Slash.
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Vari personaggi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Titolo: Argento
Autore: slanif
Prompt: 19
Personaggio/Coppia: Remus Lupin, Sirius Black, accenni Sirius/Remus
Contesto: 2° Guerra Magica / Libri 5-7
Rating: Verde
Parole: 1.272

Remus Lupin si svegliò piano, sentendo un raggio di sole carezzargli il viso segnato dalle tante cicatrici. Si passò una mano magra sul viso e si sentì stanco come non mai, benché si fosse appena destato dal sonno e fosse ancora adagiato sul soffice letto che Sirius aveva messo a disposizione per lui a Grimmauld Place. La stanza odorava di polvere e abbandono, ma era sicuramente uno dei luoghi più suntuosi in cui avesse mai dormito. A causa della sua licantropia, era mal visto dai più e difficilmente riusciva a tenersi un lavoro abbastanza a lungo da poter avere un letto comodo su cui distendersi. Probabilmente, il periodo più lungo che aveva passato in uno stesso luogo, era stato quando, anni prima, aveva fatto il Professore di Difesa Contro le Arti Oscure a Hogwarts. Lì aveva potuto rivedere Harry e, soprattutto, Sirius, che per dodici anni era stato rinchiuso ad Azkaban, solo e spaventato, preda dei Dissennatori e della follia che aleggiava in ogni fessura di quella fortezza costruita in mezzo al mare.
Remus non osava nemmeno pensare a quali tipi di orrori avesse dovuto assistere Sirius in tutti quei lunghi e solitari anni, ma di sicuro sapeva cosa voleva dire avere paura ed essere soli. Per dodici anni aveva creduto che tutti i suoi migliori amici fossero morti – chi letteralmente e chi figurativamente – ed era stato difficile da accettare, soprattutto dopo gli anni a scuola dove, per la prima volta, aveva creduto di avere degli alleati in Sirius, James e Peter, che si erano addirittura trasformati in Animagus per lui.
Ma quei tempi erano passati, ormai. Remus era un uomo più vicino a quarant’anni che ai trenta, perciò era inutile che si crogiolasse in pensieri cupi come quelli, nonché in ricordi malinconici che non lo avrebbero portato da nessuna parte.
Con un sospiro fiacco si alzò a sedere, mentre il piumone pesante scivolava giù dal suo busto e si raggruppava sui suoi fianchi, fasciati dai pantaloni del pigiama. L’aria era fredda, ma qualcuno si era preoccupato di accendere il camino presente nella stanza, quindi un lieve calore giungeva fino a lui.
Si stiracchiò, sbadigliando, quando sentì bussare alla porta. Sorpreso, disse: «Avanti.»
Subito, fece capolino la testa di Sirius Black, il suo più vecchio amico, che a causa degli anni in prigione aveva perso parte della sua bellezza. Certo, il fatto che finalmente potesse dormire tranquillo in una vera casa e non accampato da qualche parte, così come il fatto che mangiasse regolarmente, avevano contribuito a fargli rimettere su un po’ di peso e a togliergli quegli occhi incavati che facevano spavento, ma la fulgida e brillante bellezza che aveva avuto da ragazzo era ormai sparita per sempre. Persino i lunghi capelli scuri sembravano meno lucenti, come se non potesse più brillare come un tempo. Come se la stella di cui portava il nome si stesse spegnendo piano piano, risucchiata lentamente nell’oscurità infinita dello Spazio aperto.
«Sei sveglio, vedo,» lo salutò, entrando nella camera e avvicinandosi al letto. Indossava uno dei suoi completi per casa, fatto di pantaloni comodi e maglione. Il contrasto tra l’aspetto da giovane uomo e il viso emaciato, segnato a tal punto da sembrare quello di un vecchio, faceva stringere il cuore di Remus ogni volta che lo guardava.
«Da poco, sì,» rispose, incrociando le gambe e sedendosi contro i cuscini, facendo così spazio all’amico con un gesto del capo, che subito si accomodò sul bordo del letto, vicino a lui. «Volevi qualcosa?»
Sirius lo fissò per un lungo momento prima di dire: «Volevo solo sapere se ti andasse di fare colazione con me.»
Remus sentì una fitta al cuore. Quelle poche parole portavano a galla un’infinità di ricordi e sentimenti. Cose andate perdute e dimenticate, nascoste alla vista per non soffrire.
Si erano amati, un tempo. Quando erano più giovani e sciocchi. Quando credevano che la vita non potesse essere nient’altro che una meravigliosa avventura. Ma adesso, a distanza di così tanti anni e con così tanta sofferenza nel mezzo, entrambi sapevano che la vita può essere tutt’altro che lieta.
Remus era consapevole che qualcosa, dentro il suo cuore, continuava ad agitarsi, per Sirius Black, ma non era più così sconsiderato da amare l’altro senza condizioni. La vita li aveva allontanati. Avevano dubitato l’uno dell’altro nonostante si amassero – Sirius pensando che fosse lui il traditore che lavorava con Voldemort; Remus credendo davvero che Sirius avesse potuto uccidere Peter e tutti quei Babbani – e questo non era forse il significato di tutto?
Eppure, quando Sirius gli chiedeva certe cose, con quella voce bassa e quel tono dolce, Remus faceva davvero fatica a ricordarsi che non poteva amarlo di nuovo.
«Certo. Dammi il tempo di mettermi qualcosa di più caldo e arrivo.» Tra loro non avrebbe mai più potuto esserci niente, ma ciò non voleva dire che non potessero essere ancora amici e passare del tempo insieme.
Sirius sorrise lievemente. Gli occhi chiari pieni di una malinconia struggente che Remus conosceva fin troppo bene.
L’ultimo erede della famiglia Black allungò una mano e, con delicatezza, prese alcune ciocche dei suoi capelli tra le dita, strusciandole tra i polpastrelli callosi.
«Che stai facendo?» chiese Remus, mentre il cuore cominciava a battergli più forte.
«Il sole li stava colpendo,» bisbigliò Sirius, continuando a guardare il movimento della sua mano piuttosto che lui. «Sembravano risplendere. Non potevo non toccarli.»
Remus sbuffò. «Sono solo pieni di fili argento, ormai. Sono vecchio e logoro.»
Sirius rise piano e lasciò andare le ciocche, facendogli scivolare il dorso delle dita sulla tempia e poi sulla guancia, nella più leve delle carezze. Dopodichè, finalmente, lo guardò negli occhi. «Sei malinconico e bello, come quella Luna che ti fa tanto paura, Moony.»
Erano quei momenti, proprio quelli, in cui Remus faticava di più a ricordare a se stesso che quell’uomo che lo guardava non era più lo stesso che aveva amato, così come lui non era più quel ragazzo. Troppa vita e troppo dolore erano passati tra di loro. Troppi anni separati. Ma quando Sirius lo guardava con quello sguardo, era difficile dimenticare che non fossero più quei ragazzi spensierati che, nel buio del dormitorio di Grifondoro, avevano tracciato ogni costellazione sulla reciproca pelle. Ogni cicatrice e avvallamento. Un bacio dopo l’altro, una carezza dopo l’altra, cercando di essere silenziosi per non svegliare gli altri e farsi scoprire.
Con un groppo in gola, Remus cercò di sorridere e si alzò, scostandosi da quel tocco che sembrava scavargli il cuore come i suoi artigli di Lupo Mannaro potevano squarciare la stoffa. «Spero per te che ci sia del porridge, perché stamattina ne ho proprio voglia,» buttò lì, cercando di scacciare l’imbarazzo.
Alle sue spalle, ci fu un lungo momento di silenzio, poi un sospiro e la voce calma di Sirius: «Dirò a Kreacher di preparartene una ciotola, allora.» Seguì un fruscio e poi l’uomo gli passò di fianco senza guardarlo. «Ti aspetto di sotto.»
Remus vide la porta chiudersi e sentì Sirius scendere le scale. Il suo cuore batteva imbizzarrito mentre respirava piano dal naso, cercando di calmarsi.
Davanti a sé vi era lo specchio e Remus si guardò i capelli, che ormai erano più grigi che castani. Vi passò una mano in mezzo, scompigliando le ciocche, come a scacciare la carezza fantasma delle dita di Sirius, mentre le sue parole continuavano a echeggiargli nella testa.
Sospirò e, per la prima volta da molto tempo, li vide con una connotazione positiva, piuttosto che il simbolo della sua vita complicata, perché se c’era una cosa che Sirius Black sapeva fare anche a distanza di quindici anni, era dire sempre la cosa giusta per calmare il suo cuore in tumulto.
   
 
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