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Autore: MusicAddicted    14/03/2022    5 recensioni
Jessica fa un’importante scoperta che la porta a prendere una decisione che potrebbe cambiare drasticamente le cose, forse in meglio?
One shot situata da qualche parte nell’episodio 2x10 ‘AKA Pork chop’, quindi aiuterebbe di più conoscere la seconda stagione, però se almeno avete presente la stupenderrima 2x11 ‘AKA Three lives and counting' potete capire cosa stia succedendo.
Questa storia partecipa l’iniziativa #BLOSSOM BY BLOSSOM - THE SPRING BEGINS! @Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom FB
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jessica Jones, Kilgrave
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Non scrivo a scopo di lucro e non possiedo niente e nessuno dei personaggi, pure le idee stavolta sono partite da un prompt geniale di Ecate EFP (assieme ad altri prompt della Challenge ‘Blossom By Blossom' , che però citerò nelle note finali, perché spoilerebbe troppo

 

Setting: Da qualche parte nell’episodio 2x10 ‘AKA Pork chop’, quindi aiuterebbe di più conoscere la seconda stagione, però se almeno avete presente la  stupenderrima 2x11 ‘AKA Three lives and counting'  potete capire cosa stia succedendo.

 

Summary: Jessica fa un’importante scoperta che la porta a prendere una decisione che potrebbe cambiare drasticamente le cose, forse in meglio?


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SOME THINGS NEVER CHANGE 



Jessica finalmente aveva raggiunto un accordo.
Le confessioni di sua madre in cambio della libertà del Dr. Malus.
Questo avrebbe permesso alla donna di non essere trasferita al RAFT. Niente più isolamento.
Niente più vita alienante.
Jessica avrebbe potuto continuare a vedere sua madre durante le visite in prigione, avrebbe mantenuto un legame, non importa quanto flebile, comunque un legame.
Non l’avrebbe persa.

 

Jessica non intendeva più perdere altre persone.
L’ultima le aveva fatto troppo male.
Certo, lui da vivo aveva tramutato la vita della ragazza in un vero inferno, ma da morto… forse era addirittura peggio.
Almeno la prima volta, quando credeva che l’impatto con quell’autobus lo avesse ucciso, lei continuava a percepire la sua presenza, ad esserne angosciata, lo vedeva, lo udiva parlarle, a volte sentiva anche il suo tocco fisico; come se non fosse ancora finita, come se lei in fondo lo sapesse che c’erano ancora delle questioni irrisolte.

Invece Jessica ormai da mesi non soffriva più di quei disturbi: non un incubo che la facesse svegliare con le palpitazioni e il sudore freddo nel cuore della notte, non una benché minima allucinazione visiva o uditiva che fosse, non una parvenza di viola attorno a sé.
Una questione risolta per sempre, con le sue stesse mani.

 

A un occhio esterno poteva sembrare che Jessica fosse guarita, che stesse bene.
Jessica non stava affatto bene, men che meno da quando si era involontariamente creata la fama di ‘vigliante’ attorno a sé.
Ricordava ancora quella donna che l’aveva ingaggiata non tanto perché indagasse sul suo compagno fedifrago ma… perché lo uccidesse.
Davvero la gente pensava questo di lei?
Quella notte al porto aveva cambiato drasticamente la sua vita e Jessica non era più così certa che fosse cambiata in meglio.

 

All’improvviso le venne in mente uno di quegli stupidi film sdolcinati, Stirling aveva insistito per guardarlo con lei, tra i due era sempre stato lui il più romantico.
Stirling, un altro chiaro esempio di come i bravi ragazzi non fossero mai stati il suo ideale.
Non sapeva nemmeno spiegarsi perché la sua memoria avesse rievocato una storia così lontana, seppur molto importante, forse per il contenuto di quel ricordo.

In quel film si evidenziava come un semplice dettaglio differente, come prendere la metro in tempo oppure perderla e aspettare la prossima, potesse fare la differenza.


Jessica si era interrogata spesso negli ultimi mesi sulle sue ‘metro’ da prendere o perdere: e se durante il suo piano di 'riformattazione di Killgrave’ lei ci avesse creduto fino in fondo, gli avesse concesso una possibilità, lo avesse aiutato se non a diventare un eroe almeno a smettere di essere una minaccia per il prossimo?
E se non si fossero mai incontrati? Lui non si sarebbe ossessionato con lei e si sarebbero evitate quelle scie di morti per arrivare a lei.

E se quella notte al porto, lei l’avesse solo tramortito, gli avesse messo una museruola per impedirgli di parlare, lo avesse fatto isolare nel RAFT?
Davvero ucciderlo era stata l'unica soluzione possibile? Per dirlo con un aggettivo a lui tanto caro, la più inevitabile?

 

Jessica fu quasi contenta di essere arrivata al Paradise Suite perché quei pensieri la stavano tormentando.

Un calcio deciso e la porta si aprì facilmente, facendo sobbalzare Karl Malus.

 

“Jessica, ma come?” le domandò frastornato, tentando uno scatto di velocità per scappare dalla porta aperta.
 

Pochi secondi dopo la mano della detective si stava serrando con decisione sulla sua gola, tenendolo sospeso a mezz’aria.

 

“Non credo che fuggire sia una buona idea. E per rispondere alla tua domanda, mia madre è una gran chiacchierona” replicò lei, rimettendolo a terra per consentirgli di respirare.

 

“Alisa? Lei dov’è? Sta bene? Io… io devo andare da lei..” replicò lui, massaggiandosi il collo.

“Lei è dove sarebbe sempre dovuta essere, dal giorno in cui tu l’hai trasformata in un fottuto mostro, come hai fatto con me!” ringhiò la detective, esasperata.

 

“Tu non capisci!” le urlò lo scienziato.

Di nuovo sollevato di peso, stavolta per essere sbattuto contro il muro.

 

“Non ti azzardare a dirmi che cazzo capisco e cosa no!” sibilò lei.

“Io amo Alisa e lei ama me. Noi .. ci siamo sposati, proprio qui.” le confessò.

 

Stavolta fu lo shock a farle allentare la presa, ma riacquistò subito il suo consueto sangue freddo.


“Lei era legalmente morta, io non credo che sia ufficiale,” replicò, nel tentativo di sminuire la cosa.

 

“Lo era per noi. Il nostro sentimento è reale.”

“Parlando di reale, levati gli occhiali datti una sistemata e mettiti contro la parete così ti faccio le foto per il passaporto contraffatto che ti darò per farti lasciare il paese.”

“Io non lascio Alisa.”

“Tu farai quello che dico, che poi è quello che vuole lei. Dipendesse da me, ti spezzerei le ossa, ma lei ti vuole al sicuro. Partirai per il Sud America  e non sentiremo mai più sentir parlare di te.” spiegò lei, cominciando a scattargli le foto.

“Non sarebbe dovuta andare così,” mugugnò lo scienziato. “Jessica, avrei dovuto tenerti con noi. Ci saremmo potuti conoscere meglio, sarei potuto essere un ottimo padre per te.”

 

Jessica decise che di scatti ne aveva a sufficienza, ragion per cui non esitò ad assestargli un pugno che lasciò subito il suo livido sotto l’occhio sinistro.

“Io un padre ce l’avevo e tu non sei degno nemmeno di pronunciare quella parola!” sbraitò.

“Mi basterebbe tornare indietro nel tempo e fare tutto diversamente stavolta…” rifletté il Dr. Malus, solo che lo fece ad alta voce.

“Di che stai blaterando?”

“L’IGH… Il potenziamento dei soldati non è il loro unico interesse. Immagina affrontare la Seconda Guerra Mondiale, se non addirittura la Prima, con le tecnologie odierne.. avremmo vinto sul nemico in un istante!”

“Non starò un minuto di più ad ascoltare i vaneggiamenti di un pazzo!” lo guardò con sdegno lei in procinto di andarsene.

Torchwood!” disse a un tratto il Dr. Malus.

“Cos’è Torchwood?” si accigliò lei.

“Un’organizzazione segreta Inglese, con tecnologie non proprie di questo pianeta. L’IGH in uno dei loro covi ha rinvenuto tempo fa un dispositivo. Sospettano che consenta di viaggiare nel tempo, ma lo stanno ancora studiando, non sanno bene quali possano essere le controindicazioni…” confessò lui, catturando la completa attenzione della ragazza.

 

“Dov’è questo dispositivo?” lo spronò a parlare lei, strattonandolo.


“Il vecchio laboratorio dell’IGH. Sembra abbandonato, ma è solo una farsa. C’è un passaggio segreto che conduce al vero laboratorio, quello sotterraneo, sorvegliato a vista.”

 

“Dimmi l’esatto punto in cui si trova e al resto penserò io.” gli intimò Jessica.
 

Era quasi ironico. Aveva fatto di tutto per sfuggire al controllo di quel persuasore senza scrupoli e ora si ritrovava invischiata in una delle peggiori trappole mentali che potessero esistere, dalla quale sentiva di non poter sfuggire.
Non se quella trappola le stava facendo vedere esattamente quello che voleva.


Un piano assai azzardato si stava facendo strada nella sua mente.
Sentiva di dover rischiare il tutto e per tutto.

Karl Malus decise di raccontarle tutto.


“Vedrai, Jessica, quando mi porterai quel dispositivo, troverò il modo di capire come funziona e tu, io e Alisa avremo la vita che ci meritavamo.” cominciò a sognare a occhi aperti il Dr Malus.


“Chiudi il becco! Non è per la tua malata idea di fottuta famigliola felice che voglio quel dispositivo. Anzi, c’è qualcosa che puoi fare per me, prima che ti riporti il passaporto. Del resto, per uno scienziato con le tue conoscenze immagino sia uno scherzo creare qualcosa che contrasti una malattia neurodegenerativa in un bambino di sette-otto anni, con un’aspettativa di vita di forse non più di altri due anni.”

Ora era il Dr. Malus a guardarla senza capire.

“Allora, c’è qualcosa che puoi fare?” insisté lei, spazientendosi.

“Uh beh, potrei… potrei creare un vaccino che aumenti le difese immunitarie, senza intaccare il sistema nervoso… qualcosa da iniettare nel midollo osseo della colonna vertebrale…” cominciò i suoi ragionamenti lo scienziato.

“Bene, fammelo trovare per quando ti porterò il passaporto. Poi passerò alla fase successiva.”

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Il Dr.  Karl Malus non aveva deluso le sue aspettative e due giorni dopo, anche se Oscar non aveva ancora ultimato il passaporto, era tornata da lui, trovando quanto richiesto.

Conservava quella preziosa fiala con il vaccino in una piccola valigetta ermetica, mentre si muoveva con disinvoltura nel laboratorio segreto dell’IGH, tramortendo chiunque le si parasse davanti con facilità.
Non perché non fossero degni avversari, ma perché Jessica era troppo determinata.

Ormai era arrivata alla stanza di suo interesse, sollevando la pesante cupola che proteggeva il prezioso dispositivo: un bracciale dall’aspetto molto futuristico.

 

Una nuova orda di soldati si precipitò contro di lei.
La stavano circondando ed erano tutti armati, pronti a fare fuoco.

“Jessica Jones, allontanati subito da lì o apriremo il fuoco!” disse uno di loro, forse il capo.

 

L’identità della super eroina non era certo un mistero per loro.

Incurante delle loro minacce, lei strappò via il dispositivo dal suo supporto indossandolo sul polso destro.

Ora erano i soldati a sentirsi minacciati e nemmeno uno di loro aveva osato sparare.
Il rischio di colpire il dispositivo era troppo alto e le conseguenze troppo ignote.

“Giocattolino interessante, vogliamo vedere come funziona?” disse Jessica, perfettamente a proprio agio.

“Non lo toccare! So-sono mesi che lo stiamo studiando, dobbiamo prima capire le componenti, a quali tecnologie risponde, se ci sono controindicazioni…” disse uno degli scienziati presenti, preso dal panico.


“C’è un solo modo per scoprirlo: provare!” ghignò sprezzante lei, aprendo il frontalino.

Chiuse gli occhi, visualizzò nella mente una data precisa, una data che aveva ancora ben impressa nella memoria, quando nella sua vecchia casa Killgrave le aveva mostrato quel video.

 

31 ottobre 1985.

Se ricordava bene, l’ultima fatidica iniezione che lo aveva infettato con quel virus era avvenuta nel primo pomeriggio, focalizzò nella sua mente di esser lì per l’ora di pranzo.

Richiuse il frontalino con uno scatto fulmineo, si augurò con tutto il cuore che funzionasse… e funzionò.

L’IGH la vide svanire in un lampo.

 

Jessica fluttuò in uno spazio astratto e nebuloso, bellissimo e nello stesso tempo terrificante.

Stava davvero viaggiando nel tempo?

 

Non era in grado di stabilire se fosse durato qualche secondo, qualche minuto oppure qualche ora, capì solo che il viaggio era terminato, quando con un bagliore tanto intenso quanto istantaneo comparve proprio in quel laboratorio che aveva visto nel video conservato in quella chiavetta.

 

E quel bambino con i cavi collegati ai neuroni, la fissava in silenzio a bocca aperta dal vetro, così sorpreso da lasciar cadere a terra parte delle costruzioni che stava componendo.

“Albert, ma… cosa succede?” starnazzò Luise, spaventata, stringendo per un braccio il marito.

“Io.. non lo so…” borbottò l’uomo, parandosi davanti a lei, con un atteggiamento protettivo, prima di rivolgersi a quell’intrusa.


“Chi sei? Come ti sei introdotta qui? Vattene, subito!” berciò, inasprendo i toni.

“Oh, andiamo, lo avete visto tutti come sono entrata qui e non è stato certo usando la porta!” fece spallucce Jessica. “Vengo dal futuro e dovete credermi, perché è tanto vero quanto so fare questo!”

 

E dicendolo afferrò uno sgabello di acciaio che era nelle vicinanze, schiacciandolo tra le sue mani come se fosse una pallina di carta.

“Albert! Io… ho paura!” mugolò la scienziata.

“Io no.” disse il bambino, che raramente parlava nel corso degli esperimenti.

 

“Bravo, Kevin, non devi aver paura di me. Io sono qui per salvarti.” gli sorrise Jessica, parlandogli con una dolcezza che non aveva mai avuto nei suoi confronti.


“Sai il mio nome?” le domandò lui, ancora più stupito.

“Io so tutto di te,” annuì lei, per poi tornare a rivolgersi ai suoi genitori. “Di voi. So cosa volete fare. L’intento è nobile, ma è il metodo ad essere sbagliato. Non avete idea del guaio che state per causare, ma io sono qui per impedirlo.” spiegò loro, aprendo la valigetta.

 

“Vuoi ucciderci?” domandò Louise, allarmata, sicura che stesse per estrarre una pistola, ma rimase interdetta quando si accorse che era una fiala.
 

“Ma cosa…”

“Se volete guarire Kevin, dovete somministrargli questo, attraverso il midollo osseo.” li informò, porgendo ad Albert la cura.

 

“Ma… sarà un’iniezione dolorosissima…” mugugnò lo scienziato, perplesso.


“Perché le estrazioni del fluido cerebrospinale sono una passeggiata di salute, vero?” controbattè sagace la detective.


“Ma t-tu… c-come?” balbettò Louise.

“Ve l’ho detto, no? Io vengo dal futuro. So tutto. E so cosa succederà se non fate come vi dico.” insistette Jessica.


“Mamma, papà… sono malato?” chiese con un vocino flebile Kevin.
 

Del resto, nessuno gli aveva mai spiegato nulla, non capiva il perché di quegli esperimenti. Lui obbediva e basta perché era questo che facevano i bravi bambini.

Jessica si avvicinò al vetro, posando sopra la mano.

 

“Sì, piccolo Kevin, hai una malattia brutta e cattiva, ma io sono qui per aiutarti. So che sei un bambino forte e coraggioso e combatterai vero?”


Kevin si strappò via i cavi dalla testa, per alzarsi e correre verso il vetro, appoggiando la mano dove l’aveva messa lei.
 

“Sì, ragazza del futuro, io combatterò la malattia brutta e cattiva!” le promise, determinato.


Jessica gli sorrise un’altra volta, prima di voltarsi verso i genitori, con un cenno di assenso.
 

Albert si procurò la siringa apposita, versò la fiala  ed entrò nella stanza di Kevin, che guardava l’ago terrorizzato, poi spostò lo sguardo su Jessica.

 

“Kevin, non ti mentirò. Questa cosa ti farà male, malissimo, ma dopo ti farà solo un gran bene. Ti fidi di me?”

 

Il bambino annuì debolmente con la testa, mentre il padre lo faceva chinare sul tavolo e anche la madre si aggiungeva per tenerlo ben fermo.

“Coraggio figlio mio, andrà tutto bene.” sussurrò lei, prima che Albert facesse pressione e l’ago entrasse.


Fu lento, straziante e Kevin gridò tutto il tempo, prima di perdere i sensi.

 

Anche Jessica entrò nella stanza.

 

“È normale. Potrebbe rimanere svenuto anche per ore, lo scienziato che ha progettato questo vaccino mi aveva informato di questa possibilità. Dovete credermi, avete fatto la cosa giusta.” si congratulò, mentre Louise prendeva in braccio il figlioletto. “Portatelo nella sua cameretta, necessita di molto riposo. Resterò con voi tutto il tempo necessario per accertarmi dei risultati.”

 

Jessica fu di parola.
Kevin impiegò tutto il giorno prima di riprendersi e proprio quando Louise era a un passo dall’accusare Jessica di aver ridotto il figlio in coma, lui riaprì gli occhi.


“Kevin, tesoro!” gioì la madre, così come anche il padre appariva più sereno.
 

“Ragazza del futuro, sei rimasta!” la salutò, con un’espressione di gioia, dando prova di come le sue funzioni cerebrali non fossero state intaccate.
 

“Sì, piccolo Kevin, rimarrò finché non ti sarai ripreso al cento per cento.” gli accarezzò la mano lei e lui non perse tempo e gliela strinse, mentre con l’altra si teneva la gola.


“Ho sete.” disse, tossendo un poco.
 

“Lo so, figlio mio, è una conseguenza dell’iniezione che hai fatto, ma non posso farti assumere liquidi fino a domattina.” gli spiegò il padre.

“Ma io voglio dell'acqua. Subito!” fece i capricci lui. “Portatemi dell’acqua!”


“Kevin, davvero, non si può, è per il tuo bene. Se urli è solo peggio, perché ti viene più sete.” lo tranquillizzò Jessica, parlandogli pacata. “Domattina potrai bere tutta l’acqua che vuoi, questione di poche ore che passeranno prima di quanto tu non creda.”
 

“Ha ragione lei, Kevin.” approvò Albert. “Da bravo, cerca di dormire così non penserai alla sete. Hai ancora bisogno di molto riposo.” lo consigliò e il bambino sbadigliò, sentendosi le palpebre farsi più pesanti, fino ad addormentarsi nel giro di pochi minuti.

 

Jessica seguì Louise e Albert fuori dalla stanza.

 

“Meraviglioso.” commentò la detective.
 

“Ma come? Mio figlio muore di sete e tu lo trovi meraviglioso?” ribatté brusca Louise.

 

“Voi non capite, è meraviglioso che lui abbia comandato qualcosa e voi non lo abbiate accontentato.”


“Ci manca solo che mi faccia comandare da un bambino di sette anni!” brontolò Albert. “Perché eri così preoccupata a riguardo? Ci vuoi dire una volta per tutte chi sei tu e perché ci hai aiutato?”

“Avete ragione. Vi devo delle spiegazioni. Vi dirò tutto, a patto che rimanga un segreto fra me e voi. Il piccolo Kevin non lo dovrà mai sapere.” prese una decisione lei e proseguì solo quando vide Albert e Louise annuire.

“Mi chiamo Jessica e questa è la mia storia.”

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Il giorno seguente, Kevin si era ripreso a tal punto da poter uscire dal letto e ne approfittò per giocare un po’ con Jessica, farle vedere la sua collezione di figurine dei giocatori di Rugby.
Le prestò anche il suo pallone, andando con lei fino al giardino, dove lei fece un tiro degno di nota.
Albert decise di concedere al figlio un po’ di libertà, prima di riprendere i test, che ebbero luogo il giorno seguente.
I risultati andarono oltre ogni più rosea aspettativa: non c’era più alcun segno della malattia e nessuno degli altri organi era stato compromesso.


“Kevin, sei guarito. Niente più esperimenti, piccolo mio, potrai avere una vita normale, come tutti gli altri bambini.” lo abbracciò Albert, seguito anche da Louise, mentre gli toglievano quegli odiati cavi che non sarebbero serviti più.
 

“Jessica, non ti ringrazieremo mai abbastanza.” la guardò commossa Louise.

 

“Io ringrazio voi e anche te, piccolo Kevin, sei stato bravissimo.” lo abbracciò Jessica.

In quei pochi giorni si era davvero affezionata a lui e lui a lei.


Era un bambino adorabile e ora sarebbe stato anche felice.
 

Kevin corse in camera e tornò subito dopo
 

“Ragazza del futuro, questo è per te.” mormorò allungandogli un disegno stilizzato che la ritraeva col suo fidato giubbino nero di pelle e il bracciale per i viaggi nel tempo bene in mostra.

“Oh, Kevin, grazie, è bellissimo, lo conserverò come un tesoro.” sorrise lei, piegandolo e mettendolo in tasca.

 

Era il momento degli addii.

“Il mio compito qui è finito,” dichiarò sfoderando il bracciale e aprendo il frontalino. “Siate la famiglia felice che meritate di essere!”

Furono le sue ultime parole, prima di focalizzare nella mente la data che desiderava raggiungere.


Con qualche lacrima che le rigava il volto, Jessica riapparì nel 2017, a Hell’s Kitchen a casa sua.

La prima cosa che fece fu sfilarsi quel bracciale e sgretolarlo tra le sue dita.

 

I viaggi nel tempo erano una cosa troppo pericolosa e non poteva rischiare che finissero nelle mani sbagliate.

La seconda cosa fu salire al piano di sopra, dove, anche senza aprire la porta, poteva sentire Robyn e Ruben bisticciare e mai quelle loro grida le parvero più meravigliose.

 

Tornò nel suo ufficio per fare determinate ricerche: nulla che riguardasse Hope Shlottman, se non le sue gare atletiche.

Probabilmente se ne stava a casa propria nel Missouri in compagnia dei suoi genitori.

 

Non aveva bisogno di altre conferme, sapeva già di non essere più la responsabile della morte di Reva, che avrebbe continuato un matrimonio felice con il marito Luke.

Non c’era il tempo di rallegrarsi, aveva delle questioni importanti da risolvere.
Oscar finalmente aveva realizzato quel passaporto contraffatto, perfetto in ogni suo dettaglio.
Jessica, che non aveva detto a nessuno del suo piano, né aveva lasciato la benché minima traccia, ritrovò il Dr. Malus dove lo aveva lasciato.

 

Le modifiche che aveva fatto nel passato avevano fatto in modo che lui non ricordasse nulla del dispositivo del quale le aveva parlato.
Karl Malus raggiunse il Sud America, secondo i piani, Alisa rilasciò la sua confessione, confidando nel fatto che lui ormai fosse intoccabile e in cambio ottenne di poter rimanere in quel carcere senza essere trasferita al RAFT.

Jessica l’andava a visitare appena poteva, felice di riavere in qualche modo sua madre.
Il fatto che Trish non si fosse mai imbattuta in Will Simpson e tutto quello a cui l’aveva portata, aveva fatto in modo che lei rimanesse concentrata solo sul suo ruolo di speaker, senza più febbre da super eroina.
Tuttavia, se molte cose erano migliorate, una di sicuro era peggiorata: Jessica si rese conto che le cose non funzionavano più allo stesso modo con Oscar e ruppe con lui, pur rimanendo amici.

 

Era  un’altra persona a mancarle terribilmente.

Qualcuno che non esisteva più.

Jessica però poi giunse ad altre conclusioni: okay, non esisteva più Killgrave, ma rimaneva Kevin, da qualche parte nel mondo, forse l’Inghilterra, forse Londra.

 

Kevin che poteva trovarsi ovunque, a svolgere qualsiasi tipo di lavoro.

 

Quante probabilità avrebbe avuto di trovarlo?

Probabilmente meno dell’1%, cosa che le fece domandare perché mai stesse preparando il suo borsone, prenotando il primo biglietto disponibile per Londra.

 

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Jessica fece ritorno con le pive nel sacco.
Non sapeva nemmeno cosa si augurava che potesse accadere, aveva girato Londra in lungo e largo per tre giorni, visitando tutte le società di prestigio.

Aveva come l’impressione che Kevin fosse diventato un importante uomo di affari.

Tuttavia doveva arrendersi all’evidenza: non lo avrebbe mai più incontrato e doveva mettersi il cuore in pace, concentrandosi sugli aspetti positivi ai quali aveva portato la sua scelta.


********************************* (Contemporaneamente)


“Dottor Thompson, Dottor Thompson, il paziente della stanza Dieci è andato in arresto cardiaco!” lo avvisò l’infermiera caposala.

 

Kevin Thompson non se lo fece ripetere e si precipitò nella stanza.
 

“Non c’è un minuto da perdere. Datemi il defibrillatore, tenterò una rianimazione cardiopolmonare.” comandò al suo staff che eseguì rapido e preciso.

 

Il primo esito non ebbe fortuna, neppure il secondo, ma il Dottor Thompson era testardo e determinato.


“Non provarci nemmeno a morire nel mio ospedale!” disse, applicando nuovamente i defibrillatore, con un’intensità un po’ maggiore, un rischio da correre.


Ci fu un sussulto del paziente e poi il crescendo di ‘beep, beep’ che testimoniavano la ripresa delle funzioni vitali.
 

L’applauso dello staff del Royal Devon, prestigioso ospedale universitario di Exeter, non tardò ad arrivare.

Il loro Primario non smetteva mai di meravigliarli con le sue prodezze.

 

“Vi ringrazio, ma non c’è tempo per lodarci. David, sollecita il laboratorio perché voglio le analisi del paziente della Otto al più presto, Krysten, prepara il paziente delle Quattro per il suo intervento. Rachel, occupati del nuovo arrivo al Pronto Soccorso.” impartì i suoi ordini.

 

“Sì, Dottor Thompson!” risposero quelli solerti, andando a darsi da fare.
 

Il quasi quarantenne Kevin Thompson amava il suo lavoro, sentiva di avere una vera e propria vocazione per salvare delle vite.
Del resto, una persona davvero speciale quando era piccolo lo aveva salvato da una terribile malattia e questo gli aveva dato la giusta motivazione nello specializzarsi in Medicina Interna, con grande orgoglio dei suoi genitori.

Il suo entusiasmo e la sua dedizione erano tali che nel giro di dieci anni il posto di Primario non si era fatto attendere.

Il giorno seguente, dopo aver assegnato le varie mansioni ai tirocinanti, Kevin si ritrovò a passeggiare nel corridoio della stanza Dieci, notando che il paziente era in via di miglioramento, forse grazie alla sua giovane età, dato che superava di poco i trent'anni.

 

“Dottor Thompson!” lo chiamò, vedendolo da fuori e il Primario gli si avvicinò.
 

“Ci tenevo a ringraziarla, Lei mi ha salvato la vita.” disse il paziente, tirandosi su a sedere.


“Ho fatto solo il mio lavoro.” replicò Kevin. 


“Lei è troppo modesto. Quando mi sono sentito male durante il mio meeting di lavoro ho creduto che non sarei più tornato a New York, a baciare mia moglie, a prendere in braccio la mia bimba di tre anni…”

“Potrà fare questo e molto altro.” gli sorrise il primario.

“Sa, due settimane fa, una ragazza straordinaria ha fermato a mani nude un’auto che stava per investire mia figlia e pensavo di aver già avuto la mia dose di super eroi, ma ora, quello che ha fatto Lei… credo proprio di averne trovato un altro.” gli sorrise.

 

In un primo momento Kevin ricambiò il sorriso, poi registrò meglio quello che gli era stato detto.

 

“Una ragazza dotata di una super forza, ha detto?” chiese, cercando di non sembrare impaziente.


“Oh sì, ma Jessica Jones nella mia città è famosa per queste e altre incredibili prodezze. Pensi che non è nemmeno quello il suo lavoro principale, lei è una detective…” continuò a raccontargli il paziente, non capendo cos’avesse lui da sorridere tanto.

 

“Oh, mi creda, Mr. Rittant, sono io a dover ringraziare Lei.”
 

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“L’ho trovata!” fece irruzione Kevin a casa dei suoi, senza nemmeno premurarsi di salutare.

Lui viveva da solo in un trilocale con un’ampia vista sulle campagne del Devon, ma spesso amava far visita ai genitori, coi quali aveva un ottimo rapporto.

 

“Hai trovato cosa, caro?” le venne incontro Louise, che nonostante l'età avanzata manteneva ancora un portamento elegante.


“Oggi ho parlato con un paziente Americano che mi ha raccontato di una ragazza dotata di una forza incredibile, che agisce da super eroina…” 


“Oh, Kevin, ma allora…” si emozionò Louise, avendo già capito tutto. “Albert, vieni a sentire anche tu!”

 

“Sì è lei, la ragazza del futuro. Vi sarò sempre grato per non avermi mai fatto credere che mi fossi immaginato tutto, che fosse solo la fantasia di un bambino. Abbiamo condiviso questo segreto insieme per trentadue lunghi anni, mentre mi chiedevo se ci fosse un modo per trovarla, mentre la cercavo in ogni volto di donna che incrociavo… ma di lei sapevo solo il nome, Jessica. Nessuna informazione su dove vivesse, e con dove intendo dire in che anni, quanto fosse lontano il futuro da dove mi ha raggiunto…” cominciò il suo resoconto lui. “E invece ora so tutto: Jessica Jones, vive nella mia stessa epoca, ha un’agenzia investigativa, a New York, io…”


“Tu devi andare da lei.” lo incoraggiò il padre.
 

“Corri a fare i bagagli.” gli fece eco la madre e lui non se lo fece ripetere, correndo via con la stessa smania con la quale era entrato.
 

“Ma caro… e se lui dovesse scoprire tutta la verità?” si impensierì Louise.
 

“Tesoro, ricordi? Noi quella sera a Jessica promettemmo che avremmo protetto il piccolo Kevin, forse è ora che quello grande sappia tutto, magari proprio da lei.” replicò il marito, stringendola a sé.

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Kevin aveva agito così d’impulso da non calcolare bene i fusi orari, tanto da ritrovarsi a New York, al 485 W, sulla quarantaseiesima strada, alle quattro di mattina.

Certo, sarebbe stato più razionale andare a dormire all’hotel che si era trovato per poi presentarsi al mattino, ma Kevin non aveva alcuna intenzione di essere razionale e non poteva attendere un minuto di più.

 

Fu fortunato, perché una delle inquiline di quel condominio, forse rientrando da una festa, gli lasciò il portone aperto.
 

Seguì le indicazioni e in breve si ritrovò al quinto piano, davanti all’interno F , dove poteva leggere a chiare lettere la scritta ‘Alias Investigations’.

 

Non gli restava che una sola cosa da fare.


Jessica si era inavvertitamente addormentata sulla scrivania, col computer acceso e il bicchiere di whisky ancora in mano, ma quel rumore la destò.

 

Qualcuno stava bussando ed erano le quattro di mattina.
 

Poteva solo significare un’emergenza.
 

Forse Trish, o Malcolm che aveva fatto un’importante scoperta, o forse era successo qualcosa al piccolo Vido.


Quando aprì non credette ai propri occhi.
 

Killgrave, no, Kevin Thompson stava proprio davanti a lei.
 

Vestito di nero, seppur sempre elegante, ma nulla di viola.
Nulla di inquietante nel suo sguardo, eppure era lui, bellissimo come lo ricordava.

Quasi rimpianse di essere in jeans, con un semplicissimo maglioncino color crema, anche se il modo in cui lui la stava guardando la faceva sentire una protagonista del red carpet.


“Allora… esisti sul serio!” esclamò lui, il suo accento Inglese marcatissimo.
 

Certe cose non cambiano mai.
 

“Perdona l’orario…”

“Sono un animale notturno,” fece spallucce lei, invitandolo ad entrare.

 

“Ma io questo non lo potevo sapere, suona comunque sgarbato da parte mia. E comunque, no, non sono un cliente che vuole ingaggiarti; non è facile spiegarti chi sono, non se sei abituata a fare tutte le cose strabilianti che fai…” cominciò a parlare a raffica Kevin, visibilmente nervoso.

 

Jessica gli fece segno di tacere, per poi andare alla sua scrivania, prendendo qualcosa dal cassetto.
Qualcosa che conosceva molto bene anche lui.

 

“Io credo di sapere benissimo chi tu sia.” disse, mostrandogli il disegno che lui le aveva regalato. “Te l’avevo detto che lo avrei conservato gelosamente.”

“Ragazza del futuro.” mormorò lui, andandole incontro per abbracciarla, cogliendola di sorpresa, ma Jessica da quell’abbraccio non provò nemmeno a divincolarsi, semmai lo ricambiò.


Perfino il suo profumo era quello di sempre, probabilmente un’acqua di colonia Francese.


“Un futuro che ora è un presente, non più così piccolo Kevin!” ammiccò lei, separandosi per fargli segno di sedersi con lei sul divano. “Ma dimmi di te, voglio sapere tutto.”

E Kevin le riassunse in breve tutto quello che era successo, da quando lei se ne era andata.


“Primario? Quindi darai ordini a destra e manca. Certe cose non cambiano mai. Se non altro, ora lo fai in modo legale e non dannoso.” si lasciò sfuggire lei.


“Uh?” la guardò confuso Kevin.
 

“Niente, niente.” replicò lei con nonchalance.


Avevano parlato così a lungo che fuori stava cominciando ad albeggiare.

 

“Bene, ora sarà meglio che vada e torni da mia moglie.” disse lui, alzandosi dal divano.

Per Jessica fu come una doccia fredda.
Gli aveva permesso di avere una nuova vita, un nuovo inizio, quindi era più che plausibile che lui si fosse costruito una famiglia, una famiglia in cui non c’era alcun posto per lei.

 

“Oh, ma sì certo…” mugolò lei, un po’ giù di corda.
 

Kevin le sfoderò un sorriso impertinente che le ricordò fin troppo Killgrave.


“Scherzavo. Niente moglie o fidanzata. Volevo solo vedere la tua reazione e mi pare che tu non l’abbia presa benissimo. Allora ti piaccio, Jessica Jones.” gongolò lui, smargiasso.

 

“Cazzo! Sei ancora un uomo così arrogante e maniaco del controllo, proprio come ti ricordavo.” sbottò Jessica, poi si rese conto di aver detto qualcosa di troppo un’altra volta.

 

Kevin aggrottò le sopracciglia.

“Che significa ‘Come ti ricordavo’? Noi due ci siamo già conosciuti? Non intendo quando ero un bambino…”

 

“Ma no, che dici? Hai visto che cazzo di ore sono? Logico che io possa dire cose senza senso...” cercò di giustificarsi lei.

 

“No, Jess, non me la bevo Anche prima, appena hai aperto la porta, il modo troppo sorpreso in cui mi hai guardato... ancora prima che parlassi,” rifletté lui.
 

“Ma no, io non…” incespicò lei.

“Jessica Jones, c’è qualcosa che non mi stai dicendo?” la scrutò lui, con i suoi grandi occhi indagatori.

 

“Vieni, torniamo a sederci,” lo invitò lei. “Ascolteresti una storia che ha dell’incredibile?”

Kevin le prese entrambe le mani.

 

“Ho te qui davanti, esiste qualcosa di più incredibile?” le sorrise.

 

Jessica si decise a raccontargli ogni cosa.
 

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Kevin era sgomento nel sentire tutte le atrocità che aveva commesso, eppure c’era un argomento che lo intrigava non poco.

 

“Killgrave. Che nome altisonante! E poi  il controllo mentale…” si accarezzò il mento, pensieroso.

 

“No, non hai idea di quale arma di distruzione sia un potere simile!” lo mise in guardia Jessica.

“Non venire a parlare di arma di distruzione a me: tu mi hai ucciso!” le rinfacciò lui, offeso.


“Però mi sembra anche di aver rimediato!” controbattè lei, scaltra, strappandogli un sorriso.


“E comunque un potere del genere potrebbe anche fare del bene. Immagina: un paziente all’ospedale, in condizioni critiche e io che gli impongo di guarire.”


“Io non credo che funzionerebbe. Per lo più tu hai sempre fatto il contrario.”

 

“Andavo in giro a ordinare alla gente che stava bene di  ammalarsi?" le domandò lui con finta ingenuità.

“Idiota! Lo sai cosa intendo dire!” 

 

Kevin si fece di nuovo serio.


“Jessica, io apprezzo davvero tanto che tu mi abbia voluto raccontare tutto e capisco anche perché non lo hanno mai fatto i miei genitori. Ma proprio perché mi hai raccontato tutto, non posso fare a meno di chiedertelo: con la possibilità che avevi di viaggiare nel tempo… perché non hai impedito l’incidente che hai avuto in macchina coi tuoi?”


“Perché dovevo togliere una minaccia dal mondo, non privarlo di una cosiddetta eroina della quale potessero aver bisogno. Così posso continuare a far del bene, anche se il mondo spesso non se lo merita.” mormorò lei, cercando conforto tra le sue braccia.


“Non so il mondo, ma l’Inghilterra dovrà fare a meno di un ottimo medico.” le rivelò lui.

 

“Stai pensando di prenderti qualche giorno di vacanza per rimanere qui?” domandò lei, speranzosa.


Lui per tutta risposta si alzò, andando verso la porta.


“Oh no, anzi, credo che partirò subito, il taxi è ancora giù che mi aspetta.”

Jessica si imbronciò.


“Sai com’è, dovrò fare i bagagli, vendere casa, dare le dimissioni e far domanda per un posto di primario al Metro General Hospital, dici che ho buone possibilità?”
 

Jessica gli saltò al collo, abbracciandolo felice.

 

L’aria era carica di elettricità e bastò loro uno sguardo per capire cosa volevano entrambi.
 

Kevin la baciò con l’irruenza che lei ben ricordava, mista però a una dolcezza che la sorprese.
Jessica approfondì il bacio, affondando le mani in quei capelli castani, perfetti come sempre.

 

Kevin avrebbe pagato anche mille dollari al taxista che lo attendeva giù col parchimetro attivo, qualsiasi cosa pur di continuare a stringere fra le sue braccia quella ragazza che per lui era una visione.
Qualsiasi cosa pur di baciarla, ancora e ancora.

 

“Sai cosa penso, Kevin?” mormorò lei, a fior di labbra. “Che a volte si incappa nel proprio destino sulla via presa per evitarlo.” sorrise, baciandolo un’altra volta.

 

“E io invece penso che quel Killgrave che non sarò mai più su una cosa però aveva ragione.” gli accarezzò il viso lui, con entrambe le mani. “Noi siamo inevitabili.”


--
 

THE END

 

Prompt Utilizzati:
 

‘Non so questo è un prompt perché forse è troppo lungo, nel dubbio te lo scrivo prima qui in privato: Jessica torna indietro nel tempo a salvare Kilgrave da bambino, in modo che lui rimanga Kevin e non diventi mai Kilgrave, e così facendo lei senza volerlo diventa la sua eroina di infanzia. Dopo Jessica torna nel presente e scopre che Hope è ancora viva, Rubén pure e che quindi Kilgrave non è mai esisto. Ovviamente lei lo va a cercare e lo trova… Lui non è più un criminale, e magari non è così fighetto e modaiolo perché non ha tutti quei soldi e così via…’ di EcateC ,(andate a leggere le sue storie stupende *O*)
Magari su certe cose sono andata un po’ a ruota libera, mi perdoni? *O*


‘Le trappole mentali sono difficili da sfuggire perché le fanno vedere esattamente ciò che vorrebbe’ di GiWeasley 


"A volte si incappa nel proprio destino sulla via presa per evitarlo" di Amalia Frontali
 

‘Effetto sliding dooors’ di Giada beth Dixn Novaresi
 

‘Alle quattro di mattina’ di Arianna Mura.



Per chi conosce ‘Jessica Jones’: basta vedere la 2x11 per capire che con le vicende di Alisa, Karl, ecc. è andata mooolto meno a vino e tarallucci di così…
parlando di Karl, beh, lui è uno scienziato che in un certo senso è riuscito in non una ma ben due ‘resurrezioni’ , mi sembrava più che plausibile per lui inventare dal nulla la cura a una malattia neurodegenerativa infantile..

 

In un’altra mia storia (‘Ineffably Inevitabile’, come può suggerire il titolo, crossover con Good Omens)  Kevin è uno psicologo, qui un Primario di Medicina Interna… insomma, a lui l’appellativo ‘Dottore’ sta così bene che non resisto XDD


E il pretesto per i viaggi nel tempo l’ho preso da Torchwood, che ha a che fare con ‘Doctor Who’, chi ha letto ‘You’re not Ten anymore (?)’ dovrebbe saperlo che mi piace mischiare quei mondi ;) 


Solitamente Louise e Albert io non li sopporto, ma qui c’erano i presupposti per una famiglia davvero serena e me ne sono approfittata <3 

 

Mi sono laureata con una tesi che affrontava fra le altre cose il (meraviglioso) film ‘Serendipity’ , credo che un po’ mi abbia influenzato e spero di avervi commosso un pochino, a me una lacrimuccia è scesa mentre scrivevo *O*
 

Io per Killgrave nutro un amore malsano e viscerale, però per una volta mi è piaciuto scrivere semplicemente di Kevin, spero anche a voi (lasciatemi un commentino piccino picciò se volete, giuro che non mordo)


Alla prossima storia che mi suggerirà questa challenge stupenda ^^

   
 
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