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Autore: Milkyna    14/03/2022    0 recensioni
[Kemono Jihen]
Yuka è una Kemono della Neve diversa da tutte le altre: non sa cacciare bene e non vuole essere l'ennesima culla della vita. Soprattutto, considera il capo del Villaggio come una persona con dei sentimenti.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Yuka odiava il Villaggio della Neve.

I lunghi capelli lisci e blu scuro le arrivavano sotto le spalle e gli occhi color del ghiaccio erano costantemente nascosti dal velo delle yuki-onna, sebbene lei detestasse celare il suo volto per sottomettersi alle assurde regole di quella comunità.

Yuka aveva diciannove anni, non era la più abile nella caccia e non aveva mai generato figli, ragion per cui era considerata l’ultimo gradino della scala, scavalcata da donne arroganti e tediose nel loro continuo ricercare le attenzioni di Shirona, il capo di quel clan spregevole.

Lei non era come le sue amiche, non era fagocitata dalla volontà di preservare una cosa marcia, che sarebbe dovuta morire oppure aprirsi all’esterno e rinnovarsi.

“Noi, copulare con altri Kemono o con gli esseri umani?” l’aveva apostrofata malamente Hisame quando aveva avuto l’ardire di dirle come la pensava. Non l’avesse mai fatto! Uno schiaffo le aveva fatto volare via il velo e sanguinare il labbro.

Hisame l’aveva guardata. Yuka era forse la più bella yuki-onna che avesse mai camminato nel loro Villaggio a memoria di Demone.

La sua pelle era soffice come una pesca matura, non aveva opposto la minima resistenza alla sua mano dura, callosa, rovinata dal legno delle frecce e sfregiata dai denti di lupi ed orsi.

Il suo nasino era delicato, così come le labbra.

Gli occhi però, erano determinati, sferzanti, colmi di quello che sembrava odio, un sentimento troppo turpe per poter appartenere ad una creatura così efebica, più somigliante ad una Fata delle Nevi che ad un Demone.

“Non osare più sputare simili assurdità. Noi non mescoleremo il nostro sangue con quello di bestie impure.”

La bocca di Yuka si era piegata in una smorfia che a stento conteneva ciò che provava:

“Parli di purezza? Quale, esattamente? Quella che abbiamo perduto mille anni fa, dopo la guerra con gli umani? Hisame, ci siamo rinchiuse su queste montagne e ci ostiniamo ad usare i pochi uomini che abbiamo come animali da riproduzione! Non ti fa schifo una cosa simile?”

Per tutta risposta, la donna più anziana l’aveva afferrata per il colletto del suo yukata decorato a fini cristalli di neve e l’aveva minacciata con voce bassa, ma ringhiosa:

“Sai cacciare solo lepri. Non hai ancora generato figli. Credi che il tuo bel faccino ti farà vivere a lungo? Oggi pomeriggio ti recherai nella stanza di Shirona e farai il tuo dovere, altrimenti ti condurremo nella foresta e lì ti lasceremo a morire di stenti, legata ad un albero.”

Gli occhi di Yuka fissavano il velo di Hisame, fermi e inamovibili.

Forse sarebbe stato meglio morire.

Nonostante tutto, poche ore più tardi la ragazza venne condotta a forza nella camera del capo.

Yuka non lo aveva mai visto, almeno fino a quando non emerse un uomo di mezza età dalla penombra.

Aveva i capelli corti e ricci, bianchi come la neve, e due occhi gentili, blu come il cielo notturno.

Un tempo doveva essere stato un uomo forte e fiero, ma la prigionia e i rapporti forzati lo avevano ridotto ad una creatura timida, che aveva perso forza muscolare e molto probabilmente la voglia di vivere.

“Tu devi essere Yuka…” le disse, carezzandole il volto.

Avevano potuto guardarsi negli occhi, e la ragazza aveva provato una profonda nostalgia in fondo al cuore, e dagli occhi le erano sgorgate due lacrime.

Non avevano fatto sesso, erano stati a parlare per due ore.

E così la settimana dopo.

E quella dopo ancora.

Yuka stava rischiando, l’occhio esperto e rapace di Hisame non l’abbandonava mai, ma lei voleva godersi quel sentimento senza nome che aveva iniziato a provare per l’infelice e bellissimo Shirona.

Amore, pietà, rabbia, senso di consolazione si erano miscelati nell’animo di Yuka così come i profumi di sandalo e d’incenso venivano posti a bruciare per nascondere il puzzo di sudore, di fluidi, di corpi volgarmente sfregati gli uni contro gli altri.

Yuka non voleva ridurre tutto a quello; Shirona non era un pezzo di carne, un produttore di sperma.

Era un uomo che un giorno una di loro aveva portato in grembo e partorito, ma nessuna pareva ricordarselo. A nessuna importava, un Kemono della Neve che avesse un pene e dei testicoli non aveva possibilità di scelta, dignità e forse neppure un’anima.

La terza settimana Yuka si unì con Shirona, ma non le importava di avere figli, voleva solo donare amore a quell’uomo, invece del solito sesso crudo e disonorato.

Le bastò quell’unica volta per restare incinta, e ancora non sapeva quanto quella gravidanza avrebbe cambiato drammaticamente il destino di tutto il Villaggio.

Lei stessa aspettava con trepidazione la nascita della sua bambina.

Che errore.

Yuka dava per scontato che fosse una bambina.

Credeva che sarebbe stata una delle tante, una yuki-onna qualunque che faceva il suo dovere. E invece…

Partorì due bellissimi neonati, maschi.

Avere due nuovi potenziali riproduttori al posto di uno mandò in visibilio l’intera comunità, e fece fremere dall’orrore la povera Yuka.

Aveva chiamato il primo dei suoi gemelli Yui, ed il secondo Akira.

Yui aveva i suoi capelli blu, giusto un po’ più chiari, mentre Akira li aveva azzurri tendenti al bianco.

Entrambi avevano gli occhi azzurri.

La giovane donna non ci stava. I suoi figli non sarebbero finiti a soddisfare le voglie di donnacce senza scrupoli né morale. Piuttosto si sarebbe fatta ammazzare.

Così accadde, infatti. Quando Hisame venne a sapere che Yuka voleva scappare nella notte portandosi dietro i bambini, diede di matto e la fece crivellare di frecce appuntite. Questo, ovviamente, dopo averle strappato dalle braccia i suoi bimbi.

Mentre giaceva a terra, nella neve sporca di rosso, la veterana si era chinata fino ad incontrare i suoi occhi, ancora una volta colmi di un odio incontenibile.

“Le tue ultime parole?” le aveva chiesto.

“Siate sempre maledette.” rispose, prima di spirare.

Quando Shirona venne a sapere cos’era successo, la sua sanità mentale ebbe un crollo spaventoso, e quattro anni dopo la morte della sua amata Yuka venne preso e chiuso in uno stanzino buio, in mezzo alla paglia, circondato dai suoi escrementi e dagli avanzi fetidi di cibo.

L’ultimo desiderio di Yuka, il più oscuro, quello che non poteva essere contenuto nel suo sguardo di ghiaccio, si sarebbe realizzato anni dopo, grazie al primo dei suoi figli, il ragazzo cresciuto da donne malate con l’intenzione di ripetere un ciclo infinito di violenza e sopraffazione.

 

 

   
 
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