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Autore: Parmandil    14/03/2022    1 recensioni
Dopo tre anni di sanguinosa guerra civile, l’Unione Galattica si appresta a soffocare gli ultimi focolai di ribellione. Mentre i Voth colonizzano la Terra, una progressiva sterilità condanna gli esuli Umani all’estinzione. La Presidente Rangda si accinge a trasferire la capitale sul suo mondo d’origine, mentre prosegue l’indottrinamento di massa per cancellare ogni memoria del passato.
Messi di fronte all’annientamento, i ribelli della Keter giocano l’ultima carta. Andranno ad Andromeda, dove ancora vivono i Proto-Umanoidi, per implorarli di fare da arbitri della contesa. A loro si unisce la banda dello Spettro, la cui sorte è però segnata da un nemico implacabile e forse dal tradimento. Nel frattempo una forza inarrestabile avanza verso l’Unione, diramando un famigerato messaggio: «La resistenza è inutile».
È l’ultima battaglia per la salvezza della Terra. Molti la abbandoneranno, giudicandola persa; altri lotteranno fino all’ultimo per difenderla. E quando Rangda lancerà il suo ordine finale per estirpare l’Umanità, inizierà la corsa contro il tempo. Amico contro amico, fratello contro sorella, ciascuno compirà il suo destino. Al termine della Guerra Civile, la Galassia è cambiata per sempre. E anche per noi è tempo di dire addio agli eroi della Keter.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Klingoniani, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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-Capitolo 3: Lo Sciame
 
   «Attenzione, un vascello non identificato sta uscendo dalla Necro Cloud».
   «Sullo schermo» ordinò Ghul, distraendosi dal rapporto sulle attività dei cantieri. Fissò la Franklin che emergeva dai gas nebulari, per dirigersi a mezzo impulso verso la Forgia.
   «È quel relitto di Altamid, l’USS Franklin» riconobbe Vulok, affiancandosi al superiore. «Il suo arrivo è oltremodo illogico... mi chiedo come sia potuta tornare in volo».
   «Non importa il come, ma il perché» disse il Commodoro, tagliente. «Segni vitali?».
   «Solo tre... tutti Umani» rispose l’addetto ai sensori.
   «Come i superstiti dell’equipaggio» notò Vulok. «Ma non possono essersi risvegliati da soli. La logica dice che questa è opera del nemico».
   «Sarà un’opera inutile» borbottò Ghul. «Allarme Rosso, pronti a colpire». Le batterie phaser si attivarono e i tubi lanciasiluri si aprirono sul guscio esterno della Forgia.
   «La Franklin ci chiama, signore» riferì un addetto.
   L’Osnullus si fermò a metà del gesto con cui stava per ordinare il fuoco. Da ufficiale meticoloso qual era, ritenne avventato distruggere la nave senza indagare sulle circostanze che l’avevano riportata in volo. «Rispondiamo» ordinò, lasciando ricadere la mano.
   Balthazar Edison apparve sullo schermo, attorniato dai suoi due ufficiali. «Sono il Capitano Edison dell’USS Franklin, al servizio della Federazione Unita dei Pianeti» annunciò. «Vi ordino d’identificarvi».
   «Lei non è nella posizione d’ordinare alcunché, Capitano Edison» ribatté il Commodoro. «Tuttavia, affinché comprenda la situazione, la informo che dopo il naufragio su Altamid siete rimasti ibernati per 429 anni terrestri. Intanto la Federazione ha accolto nuovi membri e si è espansa fino a inglobare questa regione di spazio. La stazione che vede, detta la Forgia, è sotto il mio comando: sono il Commodoro Ghul».
   «Siete della Flotta Stellare?» chiese Edison, fingendo completa ignoranza.
   «No. Deve sapere che negli ultimi decenni la Federazione si è evoluta nell’Unione Galattica e anche la Flotta è stata riformata» spiegò l’Osnullus. «Pertanto noi apparteniamo alla Forza di Pace dell’Unione. L’avverto inoltre che siamo in guerra contro alcuni sistemi ribelli, che si definiscono Federazione, ma non sono altro che terroristi xenofobi. E ora vengo al punto, Capitano Edison. Voi tre eravate ibernati e non potevate risvegliarvi senza un intervento esterno. Dunque chi è stato?».
   «No, aspetti un attimo» farfugliò Edison, fingendosi confuso. «Sta dicendo che sapevate già di noi, ma non ci avete svegliati? Perché diavolo non l’avete fatto?!».
   «Il vostro risveglio non ci avrebbe apportato alcun beneficio» rispose gelidamente il Commodoro. «Ora risponda alla domanda: chi vi ha rianimati dalla stasi criogenica?».
   «Noi... non lo sappiamo» mentì Edison, seguendo il piano concordato coi corsari. «Ci siamo risvegliati nei nostri alloggi sulla Franklin, dopo aver subito procedure salvavita. Chiunque sia stato, non ha voluto mostrarsi».
   «La vostra nave era gravemente danneggiata. Chi l’ha riparata?» incalzò Ghul.
   «Non sappiamo nemmeno questo. Al risveglio la Franklin era già a posto» sostenne l’Umano.
   «Le sue risposte sono illogiche e inattendibili. Capitano Edison, la informo che lei e i suoi ufficiali sarete presi in custodia e interrogati a fondo» disse l’Osnullus. «Consegnerete altresì la vostra nave; non perché ci sia di qualche utilità, ma per permetterci di capire chi l’ha riparata. Non opponete resistenza, o useremo la forza» avvertì.
   «Come Capitano al servizio della Flotta Stellare, non posso consegnare questa nave a chicchessia. E ogni azione ostile intrapresa contro di noi è un’ostilità contro la Federazione» disse Edison, sempre fingendosi indietro coi tempi.
   «Non mi ha ascoltato? La sua Flotta, la sua Federazione non esistono più» ribadì Ghul. «Ora siamo noi Pacificatori a far rispettare la legge. E lei obbedirà, o il suo antiquato vascello sarà distrutto». Al suo cenno, i Pacificatori immobilizzarono la Franklin con un raggio traente, impedendole di fuggire. Le armi la tenevano sempre sotto tiro; bastava una parola del Commodoro e l’avrebbero annientata.
   Edison fissò a lungo il pavimento; infine parlò in tono cupo. «Quando nacque la Federazione... pochi anni fa, dal mio punto di vista... ci dissero che si apriva un’era di pace e progresso. Ci promisero che i partecipanti si sarebbero aiutati a vicenda e nessuno avrebbe usato la violenza contro gli altri. A quanto pare era pubblicità ingannevole» disse caustico. «Se ci minacciate di distruzione, devo cedere. Venite pure a bordo, non opporremo resistenza. Del resto siamo appena in tre. Spero solo che saremo trattati in modo... umano» ironizzò.
   «Questo ve lo posso garantire» disse l’Osnullus, più inquietante che mai. «Sarete alloggiati con altri Umani che si trovano a bordo e potrete rendervi ancora utili alla collettività. Ghul, chiudo».
   Terminata la comunicazione, il Commodoro si rivolse ai suoi ufficiali: «Voglio una squadra d’assalto sulla plancia della Franklin. Accertatevi di avere il controllo completo dell’astronave. Poi portatela nella Forgia e attraccatela al molo 21. Fatela a pezzi, se necessario, ma scoprite chi l’ha rimessa in volo. Tanto alla fine la smantelleremo in ogni caso».
   «Subito, signore» disse Vulok in tono servile.
   «Per quanto riguarda i tre Umani, interrogateli con le Lobo-Sedie. E se alla fine saranno ancora capaci d’intendere, aggregateli alla nostra forza lavoro» ordinò Ghul. Dopo di che riprese a leggere il rapporto sull’attività dei cantieri.
 
   Quando la squadra d’assalto si materializzò sulla plancia della Franklin, i tre federali alzarono prontamente le mani. «La nave è vostra» disse Edison, lasciando la poltrona di comando. «Trattatela bene».
   «Certo, la tratteremo come una regina!» scherzò il caposquadra, sedendo al suo posto in una posa arrogante. Gli altri agenti, intanto, occupavano le postazioni. Nello stesso momento una seconda squadra prendeva possesso della sala macchine.
   Appena si furono accertati che la nave non era in procinto d’esplodere, i Pacificatori la diressero verso la Forgia. Per la verità ebbero difficoltà a usare quei comandi antiquati, tanto che dovettero chiedere aiuto ai tre Umani. Questi, dal canto loro, collaborarono senza creare difficoltà.
   La Franklin raggiunse l’ingresso principale della Forgia, che si spalancò per farla entrare. Osservando il portone blindato aprirsi in due, come delle fauci, Edison ebbe la sgradevole sensazione che non ne sarebbe uscito. Tuttavia non lasciò trapelare i suoi timori. Passato l’ingresso, l’astronave imboccò un lungo tunnel che portava verso il centro della stazione, dove si trovavano i cantieri. I tre Umani spalancarono gli occhi, osservando le estensioni urbane della Forgia che s’intravedevano attraverso il condotto di trasparacciaio. «Ci sono civili?» chiese Edison. I corsari gli avevano detto di no, ma gradiva averne conferma.
   «Negativo, gli abitanti furono evacuati decenni orsono, quando la stazione era minacciata» rispose un agente. «Ora ci sono solo addetti ai lavori».
   «Bene» si disse Edison, augurandosi che il piano funzionasse.
 
   Nell’attimo in cui il portone della Forgia si apriva, la Stella occultata si mosse. «Adagio... restiamo in coda alla Franklin» disse lo Spettro. Era la parte più pericolosa del piano, introdursi nella stazione con tutta la nave, approfittando dell’apertura del portello. Ora che erano al dunque, gli sembrò una follia il solo averlo pensato. Ma non c’era altro modo per entrare; così dovevano incrociare le dita e procedere.
   La Stella occultata tallonò la Franklin, introducendosi nel condotto finché l’ingresso era aperto. A complicare le cose, la nave corsara era assai più massiccia dell’altra, tanto che passava a stento nel tunnel.
   «Trecento metri dalla Franklin, mantengo la distanza» disse il timoniere, pallidissimo.
   «Ingresso varcato... abbiamo meno di cento metri di margine, su ambo i lati» aggiunse Siall dalla postazione sensori.
   «Bene così, continuiamo» disse Jack.
   «Attenzione, richiudono il portello!» avvertì il Boliano. «Venti secondi alla chiusura totale».
   «Più veloci, ma occhio a non tamponare la Franklin!» raccomandò lo Spettro, pur sapendo che erano ordini contradditori. Una piccola accelerazione e avrebbero colpito la nave davanti a loro; e così facendo si sarebbero scoperti. Ai Pacificatori non sarebbe certo sfuggito il sussulto della Franklin. Ma l’alternativa era peggiore: oltre ad essere rilevati, sarebbero stati bloccati dal portone, divenendo un facile bersaglio per il nemico.
   Il timoniere impresse un’accelerazione lievissima alla Stella, portandola a un soffio dalla Franklin. Intanto il portone si richiudeva, celando le stelle. Era questione d’attimi; tutti in plancia trattennero il fiato.
   La poppa della nave corsara scivolò tra le ante mentre queste si serravano. Un ultimo istante di terrore... e fu fatta. Leggendo i dati sull’oloschermo della poltrona, Jack si avvide che se l’erano cavata per un margine di pochi metri. «Eccellente; ora torniamo a distanza di sicurezza» disse.
   La Stella rimise un po’ di spazio fra sé e la Franklin. Seguì la vecchia nave nel tunnel, addentrandosi nei meandri della Forgia. Invece di prendere qualche diramazione, i due vascelli tirarono dritto, raggiungendo la parte più riposta della stazione. Solo allora sbucarono nell’immenso spazio vuoto che costituiva gran parte della sfera; al che i corsari ammutolirono.
   Gli anelli abitativi più interni della vecchia Yorktown erano stati smantellati quando la stazione era divenuta un cantiere. Al loro posto c’erano le astronavi in costruzione, assiepate attorno al nucleo centrale della Forgia. Lunghi bracci meccanici saldavano gli scafi, mentre le Work Bee erano al lavoro ovunque. Nella sua precedente esplorazione, la Banshee non era riuscita a vederlo. Se lo avesse fatto, avrebbe riferito il dettaglio cruciale: i vascelli erano di classe Moloch.
   Nata come evoluzione della Keter, quella classe contava finora un unico prototipo, il Moloch appunto. Dall’inizio della guerra si era distinto come la nave più armata, più resistente e in generale più pericolosa dell’Unione. Aveva braccato la Keter per ogni dove, costringendola ripetutamente alla fuga. Aveva partecipato alle maggiori battaglie, distruggendo parecchi vascelli della Flotta Stellare. E grazie allo scafo in neutronio, aveva resistito a colpi che avrebbero annientato ogni altra nave. Se un solo Moloch era risultato così devastante, che effetto avrebbe avuto un’intera flottiglia? A peggiorare le cose, i lavori erano prossimi alla fine: gli scafi squadrati erano quasi interamente ricoperti dalle corazze di neutronio. Ancora poco e sarebbero diventati invulnerabili.
   «Eh, no... questo non è giusto...» mormorò Graush, passando lo sguardo da un vascello all’altro. «Ma quante risorse hanno i Pacificatori?!».
   «Tutte quelle di un’Unione militarizzata e rifornita dai Voth» rispose cupamente lo Spettro. «Ciascuna di quelle navi è una minaccia esistenziale per la Federazione».
   «Beh, noi non possiamo occuparcene! Sarà già tanto uscire vivi da qui, con lo Sciame!» sbottò Skal’nak.
   «Dobbiamo almeno capire quanti sono i Moloch e quanto manca al loro completamento» insisté Jack. «Signori, cominciamo a contare».
 
   «La Franklin è attraccata, le squadre ingegneristiche sono a bordo. Stiamo trasferendo i tre Umani nella sala degli interrogatori» riferì un addetto.
   «Restiamo in Allarme Giallo. Analizzate i paraggi in cerca di altre navi» decise Ghul. «Voglio anche una squadra su Altamid, per determinare se ci siano intrusi. Inviate la Rukh».
   Il vascello di classe Horus lasciò la Forgia, tramite un secondo condotto che sbucava sul lato opposto. Si addentrò nella Necro Cloud con gli scudi alzati, zigzagando tra i pericolosi asteroidi.
   «Proprio come speravamo» sorrise Garid, dalla plancia del Dorvic occultato. «Finché saranno impegnati in inutili ricerche all’interno della nebulosa, saranno tagliati fuori dalle comunicazioni. Quindi non riceveranno nemmeno le richieste di soccorso della Forgia, quando l’attaccheremo».
   «Speriamo che ci restino abbastanza a lungo» commentò un Cacciatore. «Non possiamo reggere il confronto con una classe Horus».
   «Ora che la Forgia è relativamente indifesa, i corsari dovrebbero entrare in azione» disse Garid, osservandola con apprensione. «Se avranno successo, lo sapremo presto».
 
   La Rukh si era addentrata da poco nella nebulosa, e nel centro di comando della Forgia sembrava tornata la normalità, quando i sensori dettero un allarme. «Che succede?» chiese Ghul.
   «Signore, è molto strano. Rilevo teletrasporti multipli in tutta la stazione, ma non sono opera nostra» avvertì un addetto. «Coinvolgono i lavoratori».
   «Qualcuno li sta portando via?!» si allarmò il Commodoro.
   «Negativo, i segni vitali sono sempre lì» rispose l’ufficiale. «Non capisco cos’è che viene teletrasportato...».
   In quella si udì un ronzio, accompagnato da un piccolo bagliore. Qualcosa si era materializzato sul pavimento al centro della plancia. A vederlo da lontano, pareva un minuscolo mucchietto metallico. «Allarme bomba!» gridò l’Ufficiale Tattico. Tutti indietreggiarono precipitosamente, salvo il Comandante Vulok, che invece si avvicinò.
   «Non è una bomba» disse il Vulcaniano, osservando il mucchietto di frammenti. «Sono piccoli congegni metallici, di forma quadrata. A prima vista, paiono...». Il suo sopracciglio destro s’inarcò vistosamente. «No, sono le micro-cariche dei prigionieri» si corresse. Si girò fulmineo, proteggendosi la testa con le braccia.
   L’attimo dopo le decine di micro-cariche esplosero, ciascuna con la potenza di una granata. Erano programmate per detonare se qualcuno avesse cercato d’estrarle, e ora che i corsari le avevano rimosse col teletrasporto, ciò si ritorse contro i Pacificatori. Il centro di comando fu devastato: i pannelli che lo dividevano in sotto-sezioni andarono in frantumi e molte consolle furono distrutte. Vulok fu scagliato attraverso il salone, urtò la parete di fondo e si accasciò al suolo, privo di sensi. Gli altri ufficiali, sebbene più lontani, furono anch’essi gettati a terra; quasi tutti rimasero ustionati dalla fiammata e feriti dalle schegge. Il fumo invase la plancia, mentre l’illuminazione sfarfallava.
   «Allarme Rosso! Siamo sotto attacco!» gridò Ghul, rialzandosi per primo. Aveva il volto coperto di sangue, ma non era ferito gravemente. Nel frattempo si udivano altre esplosioni in lontananza.
   «Qualcuno usa le micro-cariche come arma» disse un ufficiale scientifico, trascinatosi fino a una consolle ancora operativa. «Le teletrasportano via dai prigionieri e le usano per colpire i nostri punti nevralgici. Le caserme, le camerate, le armerie... sono tutte sotto attacco!».
   Il Commodoro alzò gli occhi allo schermo e vide gli anelli abitativi punteggiati d’esplosioni. Non erano tali da compromettere l’integrità della stazione, ma stavano comunque decimando i Pacificatori. E c’era una conseguenza ancora più grave. «I prigionieri hanno compreso d’essere liberi dalle cariche?» chiese.
   «Temo di sì» rispose l’ufficiale con voce rauca. «Ci sono già rapporti di tafferugli e anche aperte rivolte. Cosa facciamo?».
   «Isolate le sezioni compromesse. Uccidete i rivoltosi. Confinate gli altri nelle celle e negli spazi comuni» ordinò l’Osnullus, con la massima calma. «Ma soprattutto, trovate il vero nemico. Voglio sapere chi ci sta attaccando». Un’esplosione più vicina delle altre fece tremare la plancia, tanto che il Commodoro dovette reggersi alla poltroncina.
   «A questo posso rispondere subito» disse l’Ufficiale Tattico, indicando lo schermo. La Stella del Polo era appena comparsa all’interno della Forgia. Sparava a tutto spiano contro le caserme dei Pacificatori e le loro navicelle, accrescendo il caos. Tuttavia si asteneva dal colpire i cantieri, per non massacrare i forzati che vi lavoravano in gran quantità.
   «Lo Spettro!» riconobbe Ghul. «Dovevo immaginarlo; solo lui poteva sferrare un attacco del genere. Di certo è entrato seguendo la Franklin... erano tutti d’accordo. Ora cercheranno d’imbarcare i prigionieri, per poi aprirsi un varco all’esterno. Ma hanno commesso un errore. Anche se non possiamo contattare la Rukh, siamo tutt’altro che indifesi. È tempo di usare lo Sciame».
   Mentre i suoi ufficiali diramavano gli ordini per stroncare la rivolta, l’Osnullus si diresse a grandi passi verso la sedia di controllo, ancora integra nella sua nicchia. Vi si accomodò, posando i palmi sui lettori di DNA. Subito il sedile si attivò attorno a lui: gli oloschermi si accesero, dandogli il pieno controllo dello Sciame. Migliaia di Api, quasi tutte imbottite di siluri, erano pronte all’attacco; e il loro obiettivo era la nave corsara.
 
   Sembrava un giorno come tanti altri, nella vita da forzata di Vitani. Svegliata da uno sgradevole squillo dopo poche ore di sonno, si era messa in fila con gli altri prigionieri, aveva ingurgitato la solita sbobba disgustosa in mensa e si era diretta al luogo di lavoro, sotto la costante vigilanza dei carcerieri. Giunta tra le Api, aveva cominciato a revisionare i sistemi di guida, come faceva da mesi. L’unica differenza, rispetto alla deprimente monotonia di prima, era il pensiero che i corsari sapevano di lei e avevano promesso di salvarla; ma ci sarebbero riusciti? Erano già passati dieci giorni e ancora non si erano fatti rivedere.
   «Un’operazione del genere non si pianifica in pochi giorni» si disse l’Hirogena, per farsi coraggio. «Gli serve tempo per organizzarsi. Ma un giorno o l’altro verranno... me l’hanno promesso...» pensò, lottando contro la disperazione che l’attanagliava. E se i corsari non ci fossero riusciti? E se i Pacificatori li avevano già trovati e distrutti? E se...
   «Muoviti, fannullona! Non stare lì impalata!» strepitò una guardia, accortasi che Vitani era sovrappensiero. Era il Talariano che l’aveva frustata dieci giorni prima. Sebbene avesse ancora il viso maculato, dopo l’esperimento costato la vita al prigioniero Trill, era già tornato in servizio. E non aveva perso il gusto per la violenza, come dimostrò prontamente. «Questo lavoro è tutto sbagliato!» sbraitò, dopo aver dato un’occhiata superficiale al sistema di guida dell’Ape. «Che hai in testa? Sono mesi che fai lo stesso lavoro, e non riesci ancora a farlo bene?! Ma sei ritardata?!».
   «Chiedo scusa, sistemo subito...» disse Vitani, volendo mantenere un basso profilo.
   «Mentre tu perdi tempo, la catena di montaggio si ferma per colpa tua!» ringhiò il sorvegliante, accennando ai forzati che dovevano subentrarle per revisionare gli altri sistemi dell’Ape. «Ti rendi conto che in questo modo stai danneggiando gli sforzi di tutti? Eh, lo capisci? Lo capisci che sei una buona a nulla, che non merita di stare qui fra noi?!».
   Così dicendo il Talariano impugnò la frusta neurale e dette una sferzata alla prigioniera, che cadde al suolo, contorcendosi per il dolore. «Avanti, di’ che sei una nullità! Dillo!» ordinò l’aguzzino, frustandola ancora sotto lo sguardo compiaciuto dei colleghi.
   Vitani stava per cedere, ma in quella avvertì una strana sensazione al collo. Se lo tastò e si accorse che il bozzo provocato dalla micro-carica era scomparso. Osservando gli altri forzati, si accorse che anche loro si tastavano il collo meravigliati. Che fosse il segno tanto atteso?
   In quella si udirono dei boati. I forzati alzarono gli occhi e videro che gli altri anelli abitativi della Forgia erano punteggiati da esplosioni. Erano ancora con gli occhi al cielo quando dal nulla apparve la Stella del Polo, che aprì il fuoco contro alcuni punti della stazione. Allora ci fu un nuovo boato: le grida d’entusiasmo dei prigionieri. Per la prima volta da mesi, o anche anni, avevano una speranza di libertà.
   «Frell!» imprecò il Talariano, facendosi pallidissimo. «Cosa guardate, idioti?! Bisogna subito evacuare questa zona. Non temete, vi proteggeremo dai terroristi. Ma dovete fare tutto quello che vi diciamo! Muovetevi, svelti!» ordinò, frustando un forzato che se ne stava ancora col naso all’aria.
   Vitani comprese che era il momento d’agire. Si rialzò, pur essendo ancora dolorante. Mentre il Pacificatore alzava il braccio, per assestare un’altra sferzata, si gettò a testa bassa contro di lui. Lo colpì duramente al plesso solare, mentre al tempo stesso gli afferrava il polso, impedendogli di frustare.
   Passato il primo attimo di sbigottimento, il Talariano si dimenò e scalciò come un ossesso, cercando di liberarsi. Dette una testata in faccia a Vitani e arrivò persino a morderle la mano, nel tentativo di farle mollare la presa. Ma l’Hirogena non cedette. Lo tenne fermo e continuò a torcergli il polso, fino a spezzarglielo brutalmente. Con un grido strozzato, il Talariano dovette mollare la presa. La frusta neurale cadde... e Vitani l’afferrò al volo con l’altra mano. Senza perdere un istante, colpì l’avversario all’addome con una sferzata. Questi si piegò in due, strillando ancora più forte. Alzò uno sguardo assassino sulla prigioniera. «Ti ammazzo!» promise, impugnando il phaser con la mano sana. Prima di sparare, perse un secondo per regolarlo su uccisione.
   Quel secondo gli fu fatale, perché Vitani sferrò una seconda frustata, colpendolo in pieno viso. Il Talariano fu scagliato all’indietro, accecato e semi-stordito. Colpì il parapetto che recintava l’anello abitativo, si arrovesciò e cadde dall’altra parte... nel vuoto. Il suo ultimo strillo si affievolì, perdendosi in lontananza.
   L’Hirogena non stette a compiangerlo. Attaccò un altro sorvegliante, riuscendo a stordirlo con una frustata alla massima potenza. Rapidamente gli prese il phaser; solo a quel punto si guardò attorno. Tra guardie e carcerati era scoppiata una feroce lotta. I prigionieri si ribellavano con la forza della disperazione, cercando di strappare le armi agli aguzzini; ma pochi ci erano riusciti. Quando i Pacificatori presero a sparare, Vitani e gli altri si nascosero dietro alle Api. Nello stesso momento, la rivolta divampava anche in altre zone della Forgia.
   «Okay, vi ci siete messi d’impegno» pensò l’Hirogena, osservando la Stella che sparava sopra la sua testa. «Ma come contate di salvarci?».
   In quella i Pacificatori ricevettero ordini dal centro di comando, tramite i comunicatori. Vitani non riuscì a udirli, ma vide il risultato: i sorveglianti si ritirarono dalla zona, in modo ordinato. «E adesso che succede?» si chiese l’Hirogena, con un nodo allo stomaco.
   Non dovette attendere molto per scoprirlo. Le Api che stavano revisionando si attivarono con un ronzio sincronizzato. I portelli si chiusero, mentre i sistemi di guida entravano in funzione. Le navicelle decollarono, non solo da lì, ma da tutti gli anelli abitativi su cui erano assiepate. Erano migliaia e migliaia, l’intero Sciame. Con la perfetta coordinazione garantita dal segnale-guida subspaziale, si diressero contro la Stella del Polo, in serrata formazione d’attacco. L’avrebbero sventrata, distrutta a forza d’impatti.
   Allora Vitani capì la strategia dei Pacificatori. Si erano ritirati per consentire ai rivoltosi di assistere alla distruzione della nave corsara – la loro speranza – così da spezzarne il morale. Poi avrebbero attaccato in forze, uccidendo i pochi che facevano ancora resistenza e rimettendo in catene tutti gli altri. «Ma è possibile che i corsari non l’abbiano previsto?» si chiese l’Hirogena, fissando la Stella con apprensione. No: se li conosceva, dovevano aver elaborato una contromossa. «Avanti, ragazzi... non deludetemi ora!».
 
   Assiso sulla poltrona di guida, il Commodoro Ghul si apprestò a distruggere i corsari che avevano osato invadere la sua stazione. Stava per inserire la sequenza finale d’attacco, quando fu circondato dai bagliori del teletrasporto.
   «Scendi da lì, cocco bello!» intimò la Banshee, apparendogli davanti.
   L’Osnullus si guardò attorno. I corsari avevano invaso in gran numero il centro di comando: lo avevano circondato e tenevano sotto tiro i suoi ufficiali. Oltre alla Banshee c’era lo Spettro, sempre minaccioso nella corazza nera. L’Ufficiale Tattico impugnò il phaser, cercando di sparargli, ma il corsaro fu più veloce: lo freddò a distanza ravvicinata. A quel punto gli altri Pacificatori si arresero. Apparvero anche i tre Umani della Franklin, trasferiti dal blocco detentivo, che presero a disarmarli.
   «Complimenti per la vostra strategia» riconobbe Ghul. «Ma se volevate evitare il bagno di sangue tra i detenuti, avete già fallito».
   «Ho detto levati!» ringhiò la Banshee. Lo afferrò per un braccio, strappandolo brutalmente dal sedile. Il Commodoro ruzzolò a terra e lì rimase, tenuto sotto tiro dai corsari. La mezza Andoriana sedette al suo posto, cercando d’assumere il controllo dello Sciame. Ma la sedia di guida le negò l’accesso: sugli oloschermi comparvero messaggi d’allerta.
   «Ah ah, vorresti impadronirti dello Sciame? Povera illusa!» la canzonò Ghul.
   «Questa sedia usa un lettore di DNA. Se non collabori, posso sempre tagliarti le mani e apporle sui sensori» minacciò la Banshee.
   «Fa’ pure! Non ti servirà a niente!» rimbeccò l’Osnullus. «La sedia è in grado di riconoscere questi trucchetti. Se mi tagli le mani, o me le premi di forza sui sensori, l’interfaccia neurale si accorge che non sono quelle del pilota. No, io solo posso dirigere lo Sciame. E devo essere del tutto consenziente, o l’interfaccia mi taglia fuori dai comandi. Rassegnatevi... stavolta avete fallito!» disse, rivolgendosi allo Spettro.
   «Posso sempre ucciderti, così lo Sciame non sarà di nessuno!» ringhiò Jack, puntandogli il phaser in faccia.
   «Ma presto dovrete fuggire, mentre lo Sciame resterà qui» puntualizzò il Commodoro. «Alla fine tornerà sotto il nostro controllo».
   Ci fu un breve silenzio, mentre i corsari pensavano a come superare l’ostacolo. Inaspettatamente fu il Capitano Edison a prendere la parola. «Forse c’è un modo per ingannare la sedia di guida» disse con voce rauca. «Ma comporterà un grosso sacrificio per uno di noi».
   «Si spieghi» disse lo Spettro.
   «Questo mostro è l’unico che può controllare lo Sciame» disse Edison, accennando all’Osnullus. «E noi sappiamo che, proprio su questa stazione, c’è una tecnologia capace di trasferire il genoma da una specie all’altra. Mi offro volontario per tentare».
   A queste parole cadde il gelo. I Pacificatori fissavano l’Umano con orrore, i corsari con speranza; Jack con un misto d’entrambi. «Non posso chiederle un tale sacrificio; non sappiamo nemmeno se funzionerà» disse.
   «Non deve chiedermelo; sono io che mi offro. E quanto al successo, non ci resta che tentare» dichiarò Edison.
   «Pazzo, ci ucciderai entrambi per nulla...» rantolò Ghul, ma per la prima volta i corsari avvertirono in lui la paura.
   «Lei temeva di perdere se stesso... in questo modo, accadrà di certo» avvertì la Banshee, temendo che l’Umano uscisse di senno.
   «Ho già perso tutto ciò che amavo» disse Edison con amarezza. «Perdere me stesso non farà una gran differenza. Avanti, c’è poco tempo!» incalzò.
   Lo Spettro esitò. Stavano per varcare una linea rossa: avrebbero compiuto un’azione crudele e innaturale, senza nemmeno la certezza che servisse a qualcosa. Forse era meglio rinunciare allo Sciame e fuggire, finché potevano. Ma con la forza combinata dello Sciame e dei nuovi Moloch, i Pacificatori sarebbero divenuti inarrestabili. Così anche quella era una scelta obbligata. «Allora procediamo» disse ai tre Umani del passato. «La Banshee vi accompagnerà in infermeria con metà della squadra, dato che è l’unica ad aver visto il trasferitore in azione. Noi resteremo a presidiare la plancia». Dopo di che contattò la Stella del Polo, per richiedere il teletrasporto diretto.
 
   Nella Forgia infuriava la battaglia tra i Pacificatori e i prigionieri. I primi erano stati duramente colpiti dagli attacchi della Stella, ma erano ancora numerosi e bene armati. Passati i primi attimi di sgomento, stavano riguadagnando terreno. Quanto ai rivoltosi, avevano messo le mani su alcune armi, ma erano disorganizzati; inoltre la maggior parte di loro non aveva esperienza di combattimento. Ma i corsari avevano previsto anche questo, e infatti non intendevano lasciarli così. Non appena li ebbero liberati dalle micro-cariche, presero a imbarcarli sulla Stella.
   Così i prigionieri furono prelevati dalla stazione, ovunque si trovassero, e trasferiti nelle ampie stive della nave corsara. Apparivano a piccoli gruppi, con il teletrasporto che operava alla massima velocità. Ma considerato il loro numero elevato – erano cinquemila – serviva parecchio per trasferirli tutti. Nel frattempo la Stella doveva tenere gli scudi abbassati, esponendosi agli attacchi dei Pacificatori. Per fortuna i Moloch nei cantieri non erano ancora operativi e lo Sciame era inerte, ora che i corsari occupavano la plancia. C’erano solo alcune navette che spararono alla Stella, senza provocare gravi danni; e il contrattacco le distrusse quasi tutte. Paradossalmente, finché i corsari rimanevano dentro la stazione erano relativamente al sicuro. Ma quello stallo non poteva protrarsi a lungo, perché i Pacificatori avrebbero cercato di riconquistare la loro plancia, e c’era sempre la possibilità che ricevessero aiuto dall’esterno. Per la riuscita del piano, il tempo era essenziale. Quindi era con crescente inquietudine che Graush, ora al comando della Stella, osservava lo Sciame, chiedendosi se sarebbero riusciti a impadronirsene.
   «Localizzate gli Hirogeni e trasferiteli nella sala teletrasporto 1» ordinò il Letheano, sapendo che la loro salvezza era indispensabile per rimanere in buoni rapporti coi Cacciatori. «Appena avremo Vitani, portatela subito qui».
   In quel momento l’Alfa si trovava ancora sull’anello abitativo della Forgia. Si era nascosta in un palazzo diroccato, assieme agli altri rivoltosi, per resistere a oltranza; ma i Pacificatori avanzavano implacabili. L’Hirogena si sporse da una finestra, sparando un paio di colpi, dopo di che tornò a nascondersi per sfuggire alla rappresaglia. Udì delle esplosioni e sentì il palazzo tremare. I Pacificatori stavano colpendo le fondamenta con armi di grosso calibro, per abbatterlo. Il crollo era imminente... ma in quella fu prelevata dalla Stella. Si ritrovò in sala teletrasporto, assieme agli altri membri del clan che erano stati rapiti dai Pacificatori. Molti di loro non li vedeva da mesi, perché li avevano smistati in gruppi di lavoro diversi, affinché non facessero fronte comune contro i carcerieri. Li abbracciò, lieta di vederli vivi.
   «Lei è Vitani? Venga in plancia, svelta... non è ancora finita» la avvertì un corsaro.
   L’Hirogena lo seguì di corsa, sentendo l’astronave che tremava per la battaglia. Giunta in plancia, si aspettava di trovarvi lo Spettro e la Banshee. Rimase leggermente delusa nel vedere che invece c’era Graush al comando.
   «Ah bene, è qui!» l’accolse il Letheano. «La informo che Garid ci sta aspettando col Dorvic, fuori dalla stazione. Prima di raggiungerlo imbarcheremo tutti i prigionieri. Inoltre stiamo cercando d’impadronirci dello Sciame».
   «Vi ringrazio per tutto» disse Vitani. «Lo Spettro e la Banshee sono sulla Forgia?».
   «Sì... e mi chiedo che stiano combinando» mugugnò Graush, osservando i meandri della stazione.
 
   L’attacco all’infermeria fu una delle azioni più difficili che Jaylah avesse mai compiuto, non tanto per i problemi pratici – i Pacificatori furono colti di sorpresa – ma per le implicazioni etiche. Il personale medico fu messo in fuga, assieme ai feriti ancora in grado di camminare; gli altri rimasero sui lettini, sorvegliati dai corsari. La mezza Andoriana sapeva che alcuni di quei pazienti sarebbero morti, senza cure tempestive; ma che ci poteva fare? La guerra era fatta di crudeltà e ingiustizie. Almeno il trasferitore bio-energetico era come lo ricordava: due sedie interconnesse da un complesso sistema di cavi, tutto gestibile dalle consolle. Vedendo il sedile della vittima, Ghul fremette e cercò di sfuggire ai corsari.
   «Mettetelo su quella sedia e tenetelo fermo!» ordinò la Banshee.
   «Maledetti ipocriti! Dite di combattere per la libertà, e guardate ora che fate!» gridò il Commodoro, opponendo una fiera resistenza. Ci vollero quattro corsari per costringerlo a sedersi, e avvincerlo mani e piedi al sedile.
   «Perché, voi che avete fatto dieci giorni fa con quel Trill?» ritorse Jaylah. «E cosa crede che voglia farne Rangda? Ringrazi che questa macchina infernale sarà distrutta tra poco». Ciò detto, procedette a ficcargli in corpo gli aghi, cercando di ricordare come avevano fatto i medici. Non era certa di ricordare tutti i punti, ma non c’era tempo per i tentennamenti. Quando ebbe finito, si rivolse a Edison.
   Il Capitano si era già seduto sull’altra sedia, di sua spontanea volontà. «Mi leghi, così non rischierò di strapparmi accidentalmente gli aghi, durante... il processo» disse.
   «È certo di volerlo fare? Ricordi che non si torna indietro... a meno di non consumare qualche altro Umano...» lo avvertì la Banshee.
   «Lo faccia e basta!» esclamò Edison, scuotendo la testa come per scacciare dubbi e paure.
   Con l’impressione di guardarsi agire da fuori, Jaylah immobilizzò Edison sulla sedia, bloccandogli mani e piedi coi ceppi metallici. Poi inserì gli aghi nel corpo dell’Umano, mentre questi rimaneva stoicamente fermo. Infine si recò alla consolle. Stava per attivare il trasferitore, quando il Comandante Le la bloccò. «Lo faccio io» disse, sollevandola da quella dolorosa responsabilità. Scambiato un cenno d’intesa col suo Capitano, inserì la sequenza d’avvio.
   Il trasferitore bio-energetico prese subito vita. I cavi fremettero e sibilarono come serpenti, mentre una luce ritmica risaliva quelli del Commodoro Ghul, per ridiscendere in quelli del Capitano Edison. Qualcosa stava indubbiamente filtrando, anche se era impossibile dire in che forma. Entrambi i soggetti gridarono e si agitarono come se fossero sul rogo, ma i ceppi li tennero bloccati sulle sedie. Jaylah percepì la loro sofferenza: era qualcosa che travalicava ogni descrizione. Ogni singola cellula dei loro corpi bruciava di dolore; avevano l’impressione che la carne si sciogliesse come cera calda. La mezza Andoriana dovette chiudere del tutto la propria mente, per non essere sopraffatta; ma assistette comunque all’orribile trasformazione.
   Il Commodoro si rinsecchì a vista d’occhio, come prosciugato dei fluidi vitali. Pareva di vedere un filmato accelerato, che mostrasse la mummificazione di un corpo in ambiente desertico. Gli occhietti giallognoli sprofondarono nelle orbite, divenendo bianchi e ciechi. La pelle si fece sempre più tesa e raggrinzita sulle ossa. In alcuni punti si lacerò, ma non ne uscì sangue. Vedendo gli effetti del congegno da lui azionato, Anderson Le distolse lo sguardo.
   «Forse dovremmo interrompere...» mormorò Jessica Wolff, l’altra superstite del vecchio equipaggio.
   «Se lo facciamo adesso, sarà stato tutto inutile» obiettò Jaylah. Bisognava andare fino in fondo, ovvero fino alla morte di Ghul.
   «Maledetti... potete vincere una battaglia... ma perderete la guerra...» rantolò questi. Furono le sue ultime parole, perché di lì a un attimo i suoi segni vitali si azzerarono. L’Osnullus era morto, ma il suo cadavere rimase dov’era, disfacendosi sotto gli occhi inorriditi dei presenti.
   Qualcosa di diverso, ma altrettanto impressionante, accadde a Edison. La sua testa si gonfiò in modo grottesco, mentre i lineamenti si deformavano come cera calda. A un certo punto non riuscì nemmeno a urlare, tanto era profonda la trasformazione. Svanite le sembianze umane, rimasero le orride fattezze di un alieno. Il Capitano non era più un uomo, ma non era neanche un Osnullus; piuttosto brancolava nel limbo fra le due specie.
   Ora che Ghul era morto, il trasferitore bio-energetico perse potenza, fino a spegnersi del tutto. Edison non si agitava più come prima, né urlava, ma il suo corpo deformato era scosso da brividi involontari. I presenti esitarono a rivolgergli la parola, non sapendo in che stato mentale si trovasse, dopo quella devastante trasformazione. Infine il Tenente Wolff gli si avvicinò cauta. «Capitano Edison? Riesce a sentirmi?» sussurrò, mentre gli liberava i polsi.
   Per un attimo l’essere rimase immobile. Poi i suoi occhi gialli si spalancarono e la mano segaligna scattò, afferrando il polso della donna. «Jessica...» sussurrò una voce che non era quella di Balthazar Edison; ma in fondo agli occhi alieni balenò una scintilla di riconoscimento.
 
   Rimasto in plancia con metà squadra, lo Spettro stordì i Pacificatori prigionieri, non volendo che gli causassero guai. Poi cercò di disattivare le difese perimetrali della Forgia, secondo il piano originale, ma si accorse che i comandi erano stati bloccati con codici di sicurezza. Probabilmente i Pacificatori avevano una plancia ausiliaria, da cui mantenevano il controllo delle difese. Quando capì che non ne sarebbe venuto a capo, il corsaro decise d’impiegare l’attesa in un altro modo. La Forgia era una delle maggiori fortezze dell’Unione; come tale svolgeva anche un ruolo di coordinamento degli sforzi bellici. Dunque riceveva gli ordini dal Comando dei Pacificatori e li ritrasmetteva alle navi del settore. Nel suo computer potevano esserci informazioni strategiche che valevano oro; forse persino i piani della prossima offensiva dell’Unione.
   «Vale la pena d’indagare, finché siamo qui» si disse Jack. Una rapida ispezione della plancia lo condusse alla postazione sensori e comunicazioni. Fortunatamente le consolle erano ancora operative. Il corsaro esaminò la lista delle trasmissioni ricevute nell’ultimo mese. Come si aspettava ce n’erano alcune criptate, giunte dalla Terra. Erano quelle che cercava.
   «Bingo» mormorò lo Spettro, sorridendo sotto l’elmo impenetrabile. Non perse tempo a decodificare le trasmissioni; di quello si sarebbero occupati i tecnici della Stella. L’importante era scaricare i dati, e il corsaro sapeva come. Un minuscolo sportellino si aprì sul polso della sua tuta, rilasciando il cavetto di collegamento. Jack lo inserì nell’interfaccia della consolle e scaricò i dati nel computer della tuta. Un apposito programma crawler, fornito dai tecnici della Keter nel loro ultimo incontro, selezionava le trasmissioni interessanti e le scaricava. Bastarono pochi attimi per completare l’hackeraggio, dopo di che il cavetto rientrò nell’alloggiamento, che tornò a sigillarsi. La breve vulnerabilità era finita: il corsaro poteva di nuovo sfasarsi.
   «Banshee a Spettro, stiamo tornando».
   Il resto della squadra tornò dall’infermeria, sempre mediante un teletrasporto diretto della Stella. Jack cercò immediatamente Edison. Era preparato al peggio, ma ciò che vide lo scosse ugualmente. Lo sventurato Capitano era irriconoscibile, nel suo aspetto mutato. La testa era enorme, grottesca, con due occhietti gialli a stento distinguibili dai numerosi fori delle narici. Cosa poteva passare per la testa di un uomo sottoposto a un’alterazione così traumatica?
   «Capitano Edison» disse lo Spettro, per verificare la sua reazione.
   «A malapena» rispose l’interessato con voce gutturale. «Mi sento strano... mi sento diverso...» mormorò, tastandosi il testone gonfio.
   «Ma la sua missione è invariata» lo richiamò al dovere Jack. «Deve assumere il controllo dello Sciame, ricorda?». Nel parlare indicò la sedia di guida.
   «Sì... lo Sciame...» borbottò Edison, trasognato. Andò verso la sedia, accompagnato e quasi sorretto da Le e Wolff. Una volta lì, sedette pesantemente con le mani sui braccioli. Subito gli strumenti del sedile si attivarono, dai lettori di DNA all’interfaccia neurale.
   «L’ora della verità» si disse lo Spettro. Se avevano rovinato la vita di quel pover’uomo per niente...
   «Identità confermata. Bentornato, Commodoro Ghul; i comandi sono operativi» disse il computer, mentre gli oloschermi si attivavano tutt’intorno al seggio. Dai corsari salì un sospiro di sollievo.
   «Bene, voglio il controllo diretto dello Sciame» ordinò Edison. Fu prontamente accontentato: i comandi erano davanti a lui, così intuitivi che poteva usarli senza difficoltà. «Dunque... il piano era portar via lo Sciame...» borbottò.
   «Quello era prima che vedessimo le navi in costruzione» avvertì lo Spettro. «Sono classe Moloch, la più potente che ci sia. Io credo che dovremmo distruggerle, finché possiamo».
   «Questo non distruggerà anche la Forgia?» si allarmò il Comandante Le.
   «Sì, ma possiamo teletrasportarci sulla Stella all’ultimo momento» disse Jack.
   «Assurdo, il Capitano non può...» cominciò Le, accennando al superiore.
   «... non può astenersi dall’andare fino in fondo» lo interruppe Edison. «Ho cominciato questa cosa e devo portarla a termine. Voi però potete già risalire».
   «Ma non vogliamo abbandonarla!» esclamò Wolff, commossa.
   «Allora ve lo ordino. Tornate sulla Stella, mentre io penso ai cantieri» comandò Edison.
   «Potremmo andare invece sulla Franklin, per riconquistarla» propose Le, notandola sullo schermo. I Pacificatori l’avevano attraccata a un molo, ma ora che infuriava la battaglia la stavano sganciando, presumibilmente per usarla contro la Stella. In condizioni normali, la vecchia nave federale non avrebbe avuto scampo contro la moderna nave corsara. Ma finché la Stella doveva tenere gli scudi abbassati, anche gli antiquati siluri spaziali potevano nuocerle seriamente.
   «D’accordo, fatelo» cedette Edison. «Intanto io metto a frutto lo Sciame. Ah!». Guidate dal segnale subspaziale, le Api si diressero compatte contro i cantieri. Qui gli allarmi erano suonati da un pezzo, tanto che i tecnici avevano completato l’evacuazione. I grossi scafi squadrati dei Moloch erano inerti. Decine di Api s’infilarono nell’apertura di uno scafo, non ancora completato, impattando contro la struttura interna. Essendo imbottite di siluri quantici, esplosero con una potenza formidabile. Il colossale vascello cominciò a disintegrarsi dall’interno.
   «Fuori uno, ne restano... diciannove» sogghignò Edison, contando i Moloch superstiti. Mentre il primo era ancora squassato dalle esplosioni, diresse un’altra porzione dello Sciame contro il successivo.
   «Stella a Spettro, che state facendo? Siete impazziti?!» chiese Graush al comunicatore. «Il piano era portarci via lo Sciame, non consumarlo qui dentro!».
   «Ci sono troppe complicazioni, ho dovuto cambiare il piano» rispose sbrigativamente Jack. Nella situazione concitata, non gli andava di affrontare un dibattito col sottoposto.
   «Ma capo, quelle Api ci servono per tornare in pista! Erano il nostro tornaconto, ce l’avevi promesso!» insisté il Letheano.
   «Senza questa sedia di guida è impossibile mantenere il controllo dello Sciame. E poi dobbiamo distruggere quei Moloch» si giustificò lo Spettro.
   «Al diavolo i Moloch! I Pacificatori non smetteranno mai di costruirne! Sii realista, capo...».
   «Stammi a sentire, Graush!» si spazientì Jack. «Sai quanto me che in battaglia le cose cambiano in un lampo. Portarci via lo Sciame purtroppo s’è rivelato impossibile, quindi lo useremo per assestare un duro colpo ai Pacificatori, proprio qui. Sono stato chiaro?!».
   «Sì, capo» brontolò il Letheano, contrariato. «Ordini?».
   «Trasferiteci sulla Franklin, così cercheremo di tenerci almeno quella. Tutti tranne Edison e me» ordinò lo Spettro. In tal modo si sobbarcava il rischio maggiore: sarebbe rimasto a difendere il Capitano fino all’ultimo, mentre la stazione gli esplodeva intorno.
   «Tranne Edison e me» obiettò la Banshee. «Con la mia arma sonica posso tenere alla larga gli intrusi. E poi tu devi tornare sulla Stella quanto prima».
   Jack esitò, sia perché non voleva farla rischiare tanto, sia perché aveva appena contrariato il suo equipaggio e non voleva acuire i malumori, cedendo invece alle richieste della sua compagna. Tuttavia le necessità tattiche, in quel momento, sopravanzavano ogni altra considerazione. «E va bene, resta qui» decise. «Spettro a Stella, energia».
 
   Il Dorvic stazionava ancora a poca distanza dalla Forgia, aspettando il momento d’entrare in azione. L’attesa terminò quando i sensori captarono picchi energetici dall’interno, compatibili con fuoco di disgregatori ed esplosioni.
   «È confermato, la battaglia è in corso» disse l’addetto ai sensori.
   «Allora entriamo in azione» ordinò Garid. «Usciamo dall’occultamento e attacchiamo il guscio, per facilitare l’uscita dei corsari».
   Il Dorvic si rese visibile e attaccò la Forgia, eseguendo rapidi sorvoli. Ad ogni passaggio colpiva un punto del guscio, per poi ritirarsi prima di subire il contrattacco. Ben presto, però, fu chiaro che la strategia non funzionava. Sebbene i corsari presidiassero il centro di comando, gli scudi esterni della Forgia erano ancora attivi, così come le difese. Phaser e siluri bersagliarono il Dorvic, che per quanto agile e veloce non riuscì sempre a schivarli. Ben presto gli Hirogeni furono costretti ad allontanarsi, prima che la loro nave fosse compromessa.
   «Qualcosa è andato storto» commentò Garid.
   «Allora che facciamo?» chiese un Cacciatore.
   «Manteniamo la posizione» decise il Beta a malincuore. «Nella nostra situazione possiamo solo aspettare e sperare che là dentro qualcosa si sblocchi».
 
   All’interno della Forgia divampavano esplosioni sempre più catastrofiche. Dal centro di comando, Edison – o ciò che ne restava – scagliava lo Sciame contro i Moloch. Le piccole Api s’infilavano negli interstizi degli scafi incompiuti, detonando all’impatto con il loro carico di siluri. Esplosioni a catena divoravano i vascelli dall’interno, lasciando solo le porzioni di scafo già ricoperte dal neutronio. I cantieri stessi erano presi di mira, così che non tornassero mai più in funzione. Le esplosioni si propagavano lungo gli anelli abitativi, da cui ormai i prigionieri erano stati tratti in salvo. E arrivavano a lambire il settore centrale, in cui si trovava la plancia stessa. Naturalmente Edison cercava di non autodistruggersi prima di aver terminato il suo compito; ma nel caos generale era sempre più difficile prevedere quale sarebbe stata la prossima sezione ad andare in pezzi.
   In quel marasma, la Stella del Polo era costretta a muoversi in uno spazio ristretto, bersagliata dai detriti. E lo stesso accadeva alla Franklin, da quando aveva lasciato l’attracco. I Pacificatori volevano usarla per attaccare i corsari, ma non avevano dimestichezza con i suoi comandi. E non avevano realizzato quant’erano vulnerabili, dato che la vecchia astronave non possedeva scudi. Lo Spettro e la sua squadra si materializzarono in plancia, attaccando all’istante. Dopo una breve sparatoria, ne ripresero il controllo. Tutti i Pacificatori erano a terra, uccisi o storditi; ma anche di corsari ne restavano pochi in piedi. Fra loro, oltre allo Spettro, c’erano Le e Wolff, i veterani della Franklin.
   «Dannazione, gli ingegneri hanno disattivato la propulsione a curvatura!» imprecò Le, non appena ebbe verificato lo status della nave. «Non riusciremo a portarla via da qui».
   «E ci sono ancora quarantasette Pacificatori a bordo; possono contrattaccare in ogni momento» aggiunse Wolff, consultando i sensori interni.
   «Se la situazione qui è insostenibile, torniamo sulla Stella» disse lo Spettro, ansioso di riprendere il comando della sua nave. Non voleva che la ciurma si facesse venire strane idee, in sua assenza.
   «E abbandonare la Franklin in mano al nemico?!» protestò Le.
   «Hai appena detto che non riusciremo a portarla via» notò Jack. «Del resto, non credo resisterà all’esplosione della Forgia».
   «Se la nostra nave è condannata, allora usiamola per liberare la tua» propose il Tenente Wolff, accennando al guscio della stazione, che gli Hirogeni non erano riusciti a perforare. Scambiò un’occhiata d’intesa con Le, poi si rivolse di nuovo ai corsari. «Tornate sulla Stella; vi raggiungiamo appena pronti» aggiunse.
   «Ne siete sicuri?» chiese lo Spettro, intuendo che probabilmente era un addio.
   «Ormai siamo fuori tempo» confermò Le. «Così almeno faremo qualcosa di buono, come il nostro Capitano».
   «Spero ancora di rivedervi sulla Stella. Terremo i sensori su di voi; chiamate quando sarà il momento» raccomandò Jack. Ciò detto si fece riportare a bordo, assieme ai suoi corsari.
   «Allora, pronta all’ultimo viaggio?» sospirò Le, rivolto alla collega.
   «Pronta» disse lei, andando al timone. «Rotta impostata, attivo i motori a impulso». L’accensione improvvisa fece tremare la Franklin. Ignorando gli allarmi di prossimità, Wolff diresse l’astronave dritta contro il guscio della Forgia. La corazza ablativa era così resistente che nemmeno i siluri spaziali l’avrebbero perforata; ma l’esplosione di un nucleo di curvatura l’avrebbe fatto eccome.
 
   Il centro di comando della Forgia tremava costantemente, man mano che le esplosioni divoravano la stazione. Il salone era in gran parte immerso nelle tenebre. Solo qua e là qualche faretto dell’Allarme Rosso lampeggiava ancora, gettando una luce sanguigna sulle consolle sventrate e i corpi riversi a terra. Sulla sedia di guida, Edison era tutto concentrato nella sua opera distruttrice. Il Capitano dirigeva lo Sciame contro i bersagli, secondo schemi complessi che solo il suo cervello alterato dal trasferitore riusciva a calcolare.
   Intanto la Banshee sorvegliava la plancia, accertandosi che i Pacificatori non tentassero di riconquistarla in extremis. La corsara percorreva il salone, talvolta rivoltando col piede i corpi dei Pacificatori per accertarsi che fossero fuori combattimento. Ogni tanto dava una fugace occhiata allo schermo, la sua finestra sulla battaglia. A un tratto la postazione sensori e comunicazioni si attivò. C’era una chiamata in corso, nientemeno che dagli uffici presidenziali sulla Terra. Che fosse Rangda in persona, ansiosa di conoscere i progressi dei lavori? L’occasione era troppo ghiotta: Jaylah andò alla consolle e aprì il canale.
   Lo schermo principale sfrigolò, mentre i sistemi automatici ripulivano il segnale subspaziale, disturbato dalla battaglia. Infine l’immagine si stabilizzò. Era proprio Rangda, la dittatrice che aveva gettato l’Unione nel baratro della Guerra Civile. Sebbene la combattesse da anni, da prima ancora della guerra, era la prima volta che la mezza Andoriana aveva l’occasione di parlarle direttamente. Si era chiesta tante volte cosa le avrebbe detto, se mai si fosse presentata l’occasione; ma ora che il momento era arrivato, fu la contingenza a dettare le parole. «La sua macchina da guerra s’è inceppata, dittatrice. Questa installazione non le appartiene più. Ne abbiamo preso possesso in nome della Federazione e la distruggeremo con l’arsenale che contiene» annunciò.
   Il viso grinzoso della Zakdorn si contrasse in una smorfia d’assoluto disprezzo. «È esattamente quello che mi aspettavo da te, cara Jaylah... posso chiamarti così? Tanto ormai la tua identità non è più un segreto. L’Esecutore me la confidò dopo averti catturata» disse, ricordandole la sua peggior sconfitta. «Quindi puoi anche levarti quel casco ridicolo; tanto non spaventi nessuno» aggiunse.
   A quelle parole, la corsara passò dietro uno dei pannelli divisori del centro di comando. Il pannello era trasparente, ma proprio al centro c’era una raggiera di crepe simile a una ragnatela, là dove l’esplosione iniziale lo aveva danneggiato. La mezza Andoriana si fermò lì dietro e solo allora fece rientrare il casco nella tuta, rivelando il proprio volto. Le crepe frantumarono la sua immagine in decine di riflessi, tutti che fissavano Rangda con sguardo glaciale. «La Banshee può essere molte persone diverse. E io ho avuto molte identità, oltre a quella di Banshee. Una o l’altra arriverà fino a lei; e allora sarà la sua fine» minacciò.
   «Non ci credi nemmeno tu» rispose la Presidente, per nulla intimorita. «Sei solo una sciocca ragazzotta che gioca a travestirsi. I ribelli ti hanno dato delle armi, ti hanno indottrinata con la loro ideologia, e così ci hai preso gusto a uccidere. Non sei la prima, né l’ultima. Quando ti farai ammazzare, ti rimpiazzeranno con un’altra. Ma il loro tempo verrà presto. Non credere che la perdita della Forgia sia un grosso inciampo, per me. Presto porrò fine alla vostra capacità di delinquere».
   Mentre Rangda parlava, il Comandante Vulok – stordito dalla prima esplosione – cominciò a riaversi. Il Vulcaniano era imbrattato del suo sangue verde e provava dolori atroci in più punti. A un primo auto-esame giudicò di avere parecchie ossa rotte, forse anche la spina dorsale lesionata. Ma non emise un solo lamento. Socchiuse le palpebre, scorgendo la Banshee che gli dava le spalle ed era distratta dal confronto. Era un’occasione da non perdere: se avesse ucciso la Ricercata Numero 1 sotto gli occhi della Presidente, la sua carriera ne avrebbe notevolmente beneficiato. Per sua sfortuna il Comandante non era armato, perché l’attacco dei corsari era stato improvviso e inaspettato; ma a pochi metri da lui giaceva l’Ufficiale Tattico, con il phaser ancora stretto nel pugno. Obbedendo alla logica, Vulok prese a strisciare verso di lui, il più silenziosamente possibile. Al tempo stesso usò una tecnica di meditazione per escludere il dolore delle sue ferite. Rangda lo notò, ma stette bene attenta a non tradire la sua mossa, sperando che avesse successo. Giunto abbastanza vicino, il Vulcaniano protese il braccio, arrivando a sfiorare il phaser...
   «Ci ha sempre sottovalutati, e continua a farlo» ribatté Jaylah. «Quel che non capisce è che, per ogni schiavo che striscia ai suoi piedi...» così dicendo si voltò di scatto e freddò Vulok «c’è una persona libera che si oppone al suo regime» concluse, tornando a fronteggiare la dittatrice. Per quanto i pensieri del Vulcaniano fossero scevri d’emotività, la telepate li aveva percepiti; e ancora una volta aveva dimostrato chi era la più veloce.
   La Zakdorn serrò la mascella, delusa, ma non commentò nemmeno l’accaduto. Preferì invece continuare la discussione, come se niente fosse. «Per ogni psicopatico che vi segue ci sono cento, mille persone sane di mente che credono in me» ritorse. «Sai qual era la mia percentuale di consensi, prima che scoppiasse la guerra? Il 72%. Adesso, dopo due anni e mezzo di carneficine, è salita al 97%. Quindi voglio ringraziare te e tutti i ribelli, per l’enorme favore che mi avete fatto. Senza i vostri sforzi, non avrei mai ottenuto così tanto amore e fiducia da parte degli elettori!».
   Ciò detto, Rangda rise di gusto e chiuse la comunicazione. Jaylah, invece, rimase a rodersi tra le ombre della plancia. La dittatrice aveva ragione: più la combattevano, più la rafforzavano nei consensi; e non c’era nulla che potesse fermare questo circolo vizioso.
 
   Quando i Pacificatori irruppero sulla plancia della Franklin, coi fucili phaser spianati, i due Umani non opposero resistenza. Tuttavia non lasciarono neanche la postazione del timone. Si limitarono a guardare i nuovi arrivati con distacco.
   «Arrendetevi, la nave è di nuovo nostra!» gridò il caposquadra.
   «La Franklin non è più di nessuno» ribatté il Comandante Le. «Questo è il suo ultimo volo, e voi non potete fermarla».
   I Pacificatori guardarono oltre gli Umani, scorgendo la tremenda realtà sullo schermo. La Franklin era lanciata contro il guscio della Forgia: l’impatto era imminente.
   «È finita anche per voi... abbiamo attivato gli inibitori di teletrasporto!» esclamò il caposquadra. Ciò comportava l’impossibilità, per i due Umani, di farsi trarre in salvo dalla Stella. Con quell’avvertimento, il Pacificatore sperava d’indurli a fermarsi prima dell’impatto; ma aveva sottovalutato la loro determinazione.
   «Cosa non si fa per la propria gente» disse il Tenente Wolff, manifestando la volontà di andare fino in fondo. I due Umani si abbracciarono stretti, senza guardare la muraglia sempre più vicina sullo schermo. I Pacificatori li fissarono allibiti, consapevoli che non c’era tempo per cambiare rotta, né per disattivare gli inibitori e teletrasportarsi via da lì.
   L’attimo dopo, la Franklin impattò come un ariete contro la corazza ablativa che rivestiva la Forgia. Dapprima il suo scafo si accartocciò contro le durissime leghe del XXVI secolo. Ma quando il nucleo di curvatura esplose, vaporizzando la nave con tutto il suo contenuto, anche il guscio fu squarciato. Le fiamme eruppero sulla superficie esterna, venendo rapidamente risucchiate nel vuoto. E non era finita. La Forgia, infatti, era tutta piena d’aria; non appena il guscio fu infranto questa fuoriuscì dalla falla, come l’acqua da una boccia per pesci. In tal modo si creò una corrente d’aria violentissima, che trascinava con sé gli innumerevoli detriti delle esplosioni interne, disperdendoli nello spazio.
   Dalla loro posizione discosta, gli Hirogeni videro tutto: prima l’esplosione, poi il flusso di rottami trascinati via dall’aria in fuga. «Non erano siluri. Solo l’esplosione di un’astronave può avere quell’effetto» commentò l’addetto ai sensori.
   «Già, ma quale è stata distrutta: la Franklin o la Stella?» chiese l’Ufficiale Tattico.
   «Lo scopriremo subito. Timoniere, avanti tutta!» ordinò Garid, più in ansia che mai per la sorte di sua moglie. La nave dei Cacciatori si accostò di nuovo alla Forgia, schivando i colpi ormai erratici e intermittenti delle difese automatiche. Tutto era pronto per l’ultimo atto di quella feroce battaglia.
 
   «Sei ancora con me?» chiese Edison, distraendosi momentaneamente dal suo compito.
   «Sì» mormorò la Banshee, accostandosi a lui. Dopo il confronto con Rangda aveva ancora il viso scoperto. «Hai distrutto i Moloch?» volle sapere.
   «Dal primo all’ultimo» confermò il Capitano. «Ma se mi fermo ora, i Pacificatori ricostruiranno i cantieri. Devo distruggere completamente la Forgia. Così eliminerò anche quell’infernale trasferitore bio-energetico. Nessun altro deve subire... questo» disse, passandosi la mano sul volto deturpato.
   «Ti restano abbastanza Api?» chiese Jaylah.
   «Sì, gran parte dello Sciame è ancora integra» confermò Edison, accennando a uno degli oloschermi, che riportava il numero delle Api. Delle 245.000 che componevano inizialmente lo Sciame, ne restavano ben 200.000. «Sto impostando lo schema d’attacco. Le Api continueranno a colpire anche dopo che questa plancia sarà distrutta, finché della Forgia non resterà nulla. Ma tu devi andartene ora!» esortò.
   «Sì, con te» precisò la mezza Andoriana.
   «No, io resto qui» rispose inaspettatamente il Capitano, continuando a istruire lo Sciame.
   «Sei impazzito?! Lo sai che non c’è scampo!».
   «Sono esiliato in un’epoca non mia, che non riuscirei nemmeno a capire. Il mio mondo, tutto ciò che amavo... non ci sono più. Preferisco andarmene facendo la differenza, piuttosto che spegnermi lentamente» rispose Edison. «E poi, preferisco morire da uomo piuttosto che vivere da alieno».
   Quell’affermazione urtò la mezza Andoriana, che era sempre vissuta a cavallo fra due mondi. Ma considerando cos’era successo allo sventurato Capitano, decise di non entrare nel merito. «Forse possiamo restituirti il tuo aspetto...» tentò, non volendo abbandonarlo.
   «L’unico modo sarebbe farmi prosciugare a morte qualche essere umano. Niente da fare!» rifiutò Edison, restando testardamente seduto. «Vattene, finché sei in tempo!».
   «Ma puoi ancora...».
   «Sparisci, maledetta cocciuta, o ti uccido con le mie mani!» minacciò il Capitano, impugnando il phaser. Nel suo stato mentale alterato, c’era il rischio che gli sfuggisse davvero un colpo.
   Davanti a quella determinazione, Jaylah capì che era inutile insistere. Avrebbe rispettato la sua scelta, anche se non la condivideva. «Addio, Capitano Edison, e grazie per quanto ha fatto. Non la dimenticheremo» promise.
   In quella la Forgia prese a scuotersi con inusitata violenza: lo Sciame aveva iniziato l’attacco finale alle strutture portanti. Uno sguardo alle consolle confermò che i Pacificatori superstiti stavano fuggendo con navette e capsule di salvataggio. Era proprio tempo di andare. «Banshee a Stella, riprendetemi a bordo».
   Il bagliore del teletrasporto la avvolse... e svanì, lasciandola dov’era, sulla stazione condannata. «Beh, che succede?!» chiese Jaylah, pur intuendo la spiegazione.
   «Abbiamo dei problemi ad agganciarti» rispose lo Spettro, con voce tesa. «Tutte queste esplosioni e radiazioni interferiscono col teletrasporto. Resta immobile, ci stiamo accostando».
   La mezza Andoriana non poté far altro che seguire la raccomandazione. Restò ferma in mezzo alla plancia, osservando l’agonia della Forgia dallo schermo principale. I mille tentacoli dello Sciame trapassavano gli anelli abitativi ormai deserti, spezzandoli, e colpivano la sezione centrale. Le esplosioni erano ovunque, mentre l’aria continuava a uscire dalla falla nel guscio, trascinandosi dietro un’incalcolabile quantità di detriti. Finalmente la Stella del Polo entrò nel campo visivo. Lo scafo era un poco graffiato dalle collisioni, ma nel complesso sembrava operativa.
   Jaylah diede un’ultima occhiata a Edison, ancora assiso sulla sedia di guida, malgrado gli scossoni violentissimi.
   «Fatemi un favore, vincete questa dannata guerra e restituiteci la Terra» pregò l’Umano.
   «Lo faremo» promise la mezza Andoriana, sebbene non potesse in alcun modo garantire il successo. L’attimo dopo il raggio del teletrasporto tornò ad avvolgerla e il centro di comando si dissolse attorno a lei.
 
   La plancia della Stella era in fermento, ma il ritorno della Banshee fu comunque salutato da molti. «Stai bene?» chiese Jack appena la vide.
   «Io sì... ma Edison ha scelto di rimanere» rispose Jaylah, guardando con rimpianto la sezione centrale della Forgia, ormai avvolta da fiamme ed esplosioni.
   «Lo temevo» si adombrò l’Umano. «E va bene; i prigionieri sono a bordo, non ci resta nulla da fare qui. Usciamo da questa trappola, prima che salti in aria!».
   «Dovevamo andarcene con lo Sciame, invece di sprecarlo così!» borbottò Skal’nak. Parecchi altri corsari manifestarono il loro assenso.
   «Sfortunatamente non è stato possibile» ribatté lo Spettro, fulminandoli con lo sguardo. «Sono gli incerti del mestiere. Svelti, leviamoci di torno, ho detto!».
   La Stella manovrò per girarsi, in mezzo alle esplosioni sempre più grandi. Almeno i corsari poterono finalmente alzare gli scudi, proteggendosi da ulteriori danni. L’astronave tremò mentre i detriti rimbalzavano sugli schermi protettivi. In plancia, Vitani si accostò a Jaylah. «Sapevo che sareste tornati a salvarci! Grazie di cuore... siamo in debito con voi» riconobbe.
   «Aspetta a ringraziarci» disse la mezza Andoriana, ancora tesa. «Prima bisogna vedere se usciremo da qui».
   Compiuta la manovra, la nave corsara si diresse verso lo squarcio nel guscio. Le sue dimensioni erano appena sufficienti a farla passare. Le stelle brillavano attraverso la fenditura, come una promessa di libertà.
   «L’esplosione della Forgia è imminente!» gridò Siall, sovrastando le voci dei colleghi.
   «Entriamo in curvatura, adesso!» ordinò lo Spettro, consapevole che la sua nave non avrebbe resistito.
 
   L’esplosione della Forgia fu l’evento più distruttivo che avesse mai turbato quell’angolo della Galassia. Quando il nucleo primario cedette, materia e antimateria si scontrarono, annichilendosi con inusitata violenza. L’immensa stazione lampeggiò ed esplose come una supernova, diffondendo radiazioni letali. Quei pochi detriti che non furono disintegrati vennero scagliati in tutte le direzioni, disperdendosi nello spazio. L’onda d’urto subspaziale travolse il Dorvic, scagliandolo a grande distanza. Ancora peggio andò alle navicelle e capsule dei Pacificatori: molte furono distrutte o messe fuori uso.
   «Rapporto danni!» ordinò Garid. Il Beta era ruzzolato giù dalla poltrona di comando e si stava rialzando, un po’ dolorante.
   «Abbiamo perso gli scudi, ma l’integrità strutturale è nei limiti di sicurezza» rispose l’Ufficiale Tattico.
   «Motori operativi, stiamo tornando in assetto» aggiunse il timoniere, recuperando il controllo della nave.
   «Che ne è della Forgia?» chiese ancora il Beta.
   «Completamente distrutta».
   «E... la Stella del Polo?» domandò Garid con un fremito.
   «Non ce n’è traccia» rispose mestamente l’addetto ai sensori. «Con tutte quelle interferenze, non so dire se siano riusciti a balzare in curvatura».
   «Lo sapremo presto. Rotta per il punto di rendez-vous» ordinò Garid, tornando a sedersi sulla poltroncina.
   «Prima potremmo vendicarci dei Pacificatori!» ringhiò l’Ufficiale Tattico, accennando alle navette e capsule in fuga.
   «Sarebbe inutile» sospirò il Beta. «E poi, guardate là».
   La Rukh, il vascello di scorta che i corsari avevano indotto a lasciare la stazione per ispezionare Altamid, era già di ritorno. Forse i suoi sensori avevano captato l’esplosione della Forgia, malgrado le forti interferenze della nebulosa, inducendolo a tornare precipitosamente. Comunque fosse, l’astronave emerse dalle volute della Necro Cloud, accostandosi al punto dell’esplosione. Le navette e capsule dei Pacificatori vi si accostarono, così che i superstiti potessero salire a bordo.
   «Non accennano a inseguirci. Stanno soccorrendo i sopravvissuti» confermò l’addetto ai sensori.
   «Allora è il momento di andarcene» comprese Garid. «Ripristinate l’occultamento. Rotta verso il punto d’incontro, e badate a mascherare la traccia di curvatura!» raccomandò.
   Resosi invisibile, il Dorvic fece manovra e balzò a curvatura. Nessuno, a bordo, sapeva se all’arrivo avrebbero trovato la Stella del Polo. Forse la nave corsara sarebbe stata lì ad attenderli, col suo carico di prigionieri liberati, tra cui Vitani. Ma c’era anche la possibilità che il vascello non fosse sfuggito in tempo alla morsa devastatrice dell’esplosione. In tal caso, solo i Cacciatori erano testimoni della sua ultima, disperata battaglia. E ne avrebbero diffuso la leggenda, affinché il ricordo di quel pugno d’eroi brillasse come un faro di speranza in una Galassia sempre più buia...
 
   
 
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