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Autore: Gaia Bessie    15/03/2022    2 recensioni
Contano i secondi: uno.
Draco dice sempre che non gliene frega un cazzo, ma per davvero, di cosa viene dopo l’uno: è quello che dà il ritmo, il via, e quindi uno – se arrivi al due sei morto, hai perso le speranze e allora devi scivolare in una conta infinita che sai (lo sai) che verrà spezzata quando meno te lo aspetti. E quindi, uno, un respiro, un incantesimo e una maledizione che gli esce male quando meno se lo aspetta.
Draco non sa smettere di contare: uno.
Ma Hermione, che gli fa da eco alle spalle e a ogni sua maledizione replica con un incanto perfetto, precisissimo, lo guarda negli occhi e gli risponde: due.
Giocano a nascondino dai Mangiamorte – cacciano quelli dell’Ordine, un nascondino all’ultimo sangue: Hermione si rifiuta di fuggire, quando li attaccano nascondiglio dopo nascondiglio, rimane sempre a vender cara la pelle. Lui le domanda – quand’è che sei diventata così schifosamente avventata, Granger – ma anche lui inghiotte la paura e poi non scappa mai.
[Draco/Hermione | What if]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria, Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Fatico a scrivere queste note.
Ci tengo tanto, a questa storia: era da qualche anno che mi ero persa la mia tradizione di postare qualcosa il giorno del mio compleanno - ma a venticinque anni chi non muore si rivede e quindi eccomi qui.
Storia con ampio Canon divergence, basata sul presupposto che la battaglia di Hogwarts si sia risolta in un nulla di fatto.
Dramione, accenni di Drastoria e Frastoria. Spero vi piaccia.
Gaia
P.S. Grazie a Cress per il banner


Draco vive di notte.
È la voluta di fumo che proviene dalla sua stessa sigaretta – Hermione gli dice sempre che dormire fa metà della resistenza: ma non si parla di resistenza fisica, non è una gara a chi dorme di meno per sconfiggere Voldemort in una partita d’insonnia.
Draco ride a denti stretti (e non l’ascolta mai).
 
 
1/2


 
Hai mai pensato a cosa
Cosa ti rende felice veramente
Cosa è importante davvero per te
Hai mai pensato a quanto sia prezioso ogni fottuto istante?
 
 
Contano i secondi: uno.
Draco dice sempre che non gliene frega un cazzo, ma per davvero, di cosa viene dopo l’uno: è quello che dà il ritmo, il via, e quindi uno – se arrivi al due sei morto, hai perso le speranze e allora devi scivolare in una conta infinita che sai (lo sai) che verrà spezzata quando meno te lo aspetti. E quindi, uno, un respiro, un incantesimo e una maledizione che gli esce male quando meno se lo aspetta.
Draco non sa smettere di contare: uno.
Ma Hermione, che gli fa da eco alle spalle e a ogni sua maledizione replica con un incanto perfetto, precisissimo, lo guarda negli occhi e gli risponde: due.
Giocano a nascondino dai Mangiamorte – cacciano quelli dell’Ordine, un nascondino all’ultimo sangue: Hermione si rifiuta di fuggire, quando li attaccano nascondiglio dopo nascondiglio, rimane sempre a vender cara la pelle. Lui le domanda – quand’è che sei diventata così schifosamente avventata, Granger – ma anche lui inghiotte la paura e poi non scappa mai.
Nei suoi conteggi senza senso e senza scopo, Draco trova sé stesso: quell’uno solitario con la pretesa di essere speciale ma, quando la Granger lo guarda negli occhi e gli risponde due, allora cade tutto.
Londra sa di morte.
Londra sa di tutte quelle cose sfiorite e inutili che calpesti come uno scarpone sporco di pioggia quando il malumore sale come marea e, scendendo, disbosca di ogni emozione: sa di ricordo, rimpianto – possibilità. Hermione ci crede davvero, realizza Draco quand’ha il coraggio di domandarglielo, ci crede per davvero che ne usciranno vincitori.
Dice qualcosa di assurdamente Babbano – i buoni trionfano sempre alla fine del film – e allora Draco non capisce e scrolla le spalle: uno, il momento in cui la guarda che gli manca tutto di ogni cosa (tra cui la comprensione), ma Astoria Greengrass un po’ di più.
Hanno perso tante cose. Che è il motivo per cui Hermione quando combatte non si controlla mai dietro le spalle – sa che lui è lì e quindi: due.
Ma, quando si spostano di base segreta in base segreta, lo vede – che per quanto ad oggi Draco Malfoy sia un sopravvissuto, è ancora morto d’inquietudine: e chi dice che non si possa morire per finta o in apparenza, non ha capito un cazzo. Draco Malfoy ha l’ansia che lo smangiucchia come la polvere con i ricordi e, quando conta le pecore per addormentarsi, c’è un solo ovino che corre in tondo nei prati della sua mente.
Hermione lo sa, e lo capisce anche: che la sua non è insoddisfazione, bieca voglia di far l’eroe o banale senso di colpa. Draco Malfoy è stanco di pensare che, se i numeri sono infiniti, qualcuno debba farli finire per forza: e forse il bene trionfa sempre, e chi cazzo lo sa cosa è un film, ma non in questo caso. Perfino Potter, scampato alla morte per miracolo e alla disperata ricerca di un modo per fermare Voldemort, sembra essersi arreso.
La Granger resiste. È quella che dorme meno, che fa di più, che prima combatte per salvarsi la pelle e poi medica la stessa pelle a tutti gli altri – anche a lui.
Glielo ha detto lei. Di rivedere le proprie priorità che, per quanto quel senso di inutilità possa per davvero sgranocchiarselo fino al midollo, qualcosa va fatto. Draco non sa chiederle cosa, cos’è che per lei è abbastanza importante da farla saltare da un compito al successivo come una trottola impazzita – dubita che saprebbe rispondere: perché Hermione Granger, anche quando lui le offre una sigaretta fumata a metà e lei storce il naso mentre aspira, a un certo punto si spegne.
A un certo punto si spegne e Draco non sa chiederle perché in quel viso, che preserva traccia di dolorosa felicità anche quando sono con i Mangiamorte attaccati al culo e la morte che gli gratta le spalle, c’è traccia di una consapevolezza affilatissima – che la felicità dura tra l’uno e il due.
E glielo chiede, con invidia e curiosità (cos’è che ti rende così felice, Granger), ma lei scrolla il capo e gli dice. Siamo ancora vivi.
A Draco non basta – perché se avesse un briciolo di sincerità in corpo per consentirgli di dirle che, lo farebbe: sussurrarle che noi siamo vivi, ma gli altri? – solo che poi tace e parte l’intervallo: la Granger odora di popcorn bruciati quando a cena non mangia niente e poi spizzica qualcosa seduta per strada, in mezzo al niente, con il puzzo di sigaretta incollato alle ossa e i capelli elettrificati dall’umidità.
Conta i secondi: due.
Uno per decidersi, uno per compiere quel passo – Draco Malfoy rimane in piedi, alle sue spalle, e ogni tanto si china per rubarle una manciata di popcorn dalla ciotola: fa una smorfia, la Granger ha smesso di mangiare salato quando l’unica sete ammissibile è divenuta quella di sangue e di potere, ma poi non si lamenta mai.
Glielo chiede spasmodicamente – cosa cazzo ci sia, da essere felici, quando Potter non sa che fare, Weasley è disperso, l’Ordine in frantumi e nessuno riesce a capire che numero ci sia dopo il due. Lei non risponde mai fino all’unica volta in cui, guardandolo negli occhi come se solamente in quel momento s’accorgesse della sua presenza al suo fianco e glielo dice così, con un gesto.
Hermione Granger alza due dita, l’indice e il medio, con aria seria: due.
Uno: i buoni trionfano sempre alla fine del film – quindi anche tu.
Due.
I secondi che li separano quando lei ride, scuote il capo e rientra nel covo segreto: lo lascia nel buio pesto della mancanza di comprensione, Draco finge di comprendere.
 
***
 
Hai mai pensato a quanto sia prezioso ogni fottuto istante?
Cosa sarebbe successo se non ti avessi mai incontrata
Se non ti avessi amata davvero
Se ciò in cui credo fosse una cazzata
Se quella strada fosse stata più illuminata
 
Una volta ogni tre mesi, poi, ricordano i morti – è che la misura del tempo è labile, in guerra, e solamente Molly Weasley conta i giorni, incidendoli con la punta della bacchetta su una superficie diversa ogni volta. Hanno trascorso novanta giorni sotto le suole delle sue scarpe, novanta giorni sotto il calderone di Lumacorno, novanta ancora su un muretto abbandonato nella campagna del Kent. Hanno trascorso duecentodieci giorni pestati e bruciati, incisi nel tempo solamente dal gesto debole e discontinuo di dar loro un significato.
Ogni novanta giorni, la lista s’è allungata inesorabilmente: i morti della battaglia di Hogwarts sono fantasmi che giocano ad acchiapparella come i primi della lista, tutti gli altri seguono silenziosamente. Qualche volta la memoria vacilla – ma Molly se li ricorda tutti quanti – e incespicano su un nome, perché troppe sono state le morte ingiuste che, come quella voluta di fumo, si sono schiantate sopra un cielo pieno di romantiche stelle cadenti.
Malfoy è sempre il primo a presentarsi alla cerimonia, a quel cerchio spezzato sul posto di Fred Weasley (e George e Ginny non sanno raggiungersi per colmare quel vuoto), ma lui ricorda e onora un nome soltanto. Non se ne accorge nessuno che, quando pronunciano l’elenco dei caduti, Draco Malfoy tace per tutti i nomi, meno uno – Hermione sì.
Hermione se ne rende conto, che Draco Malfoy pronuncia il nome di Astoria Greengrass come se fosse una catena rovente che gli sta scollando via la pelle dal palato: di malavoglia, masticandone le sillabe per farsi più male e, quando è finito quel secondo (uno), sospira e tace.
Astoria Greengrass è stata una dei primi, al venticinquesimo giorno dall’inizio della conta di Molly Weasley, a smettere di contare qualcosa nell’inesatta sequela di numeri che tutti hanno a cuore quanto la propria vita. Astoria Greengrass s’è fermata a venticinque giorni, a sedici anni appena compiuti, e non l’hanno trovata più. Quasi.
Draco c’era – la ricorda più lui di chiunque altro abbia la presunzione di poterlo fare: Astoria Greengrass, sedici anni su un metro e cinquantatré di capelli biondissimi e occhi grandi come scodelle, era una sua responsabilità. C’è stato un momento in cui l’Ordine ha pensato che far combattere i minorenni fosse una scelta saggia e, allora, hanno raccattato le prime anime disposte a perdersi per sempre.
Ma, mentre Daphne chinava il capo e si snudava il braccio per ricevere il Marchio Nero, chiedendo perdono per i peccati della propria famiglia (e pagando un prezzo altissimo), Astoria non s’era arresa. Quando Potter, invecchiato e stanco nei suoi diciotto anni, le aveva domandato perché, per lei era stato facile rispondere.
Che c’era stata una frazione di secondo, tra uno e due, in cui aveva guardato Fred Weasley negli occhi e aveva deciso che era ingiusto: i suoi genitori le avevano detto che avrebbe sposato Draco Malfoy perché era giusto così. Lei, che aveva soppresso quella cotta ingiusta sui margini della propria adolescenza troncata, aveva acconsentito – solamente quando aveva scoperto che Malfoy aveva tradito i suoi genitori, quando Narcissa era stata lasciata a penzolare dalla forca perché bugiarda e traditrice, e il proprio sangue per andare a chiedere perdono a Harry Potter.
L’aveva spiegato, chiaro e tondo, che lei voleva costruirsi una vita che aveva solamente immaginato con una persona perduta: che voleva una casa, felicità, una famiglia e cantare alla domenica quando avrebbe impastato biscotti al lampone per tutto il vicinato. Potter aveva sorriso e aveva detto d’aver capito – che il bisogno di normalità è quel che muove il mondo e quindi tutti loro.
Quando Astoria si era presentata, Draco aveva pensato distintamente che fosse tutta un po’ cliché: indubbiamente bellissima, con una sensibilità rara e quell’aria da principessa in frantumi che spezzava il cuore. E, poiché lei gliel’aveva chiesto per favore e con una buona dose di lacrime, aveva dovuto innamorarsi di lei.
Non se n’era accorto nessuno – nemmeno lui: ma, missione dopo missione, attacco di Mangiamorte dopo attacco di Mangiamorte, Draco Malfoy aveva dovuto farci i conti. Con il fatto che pesava, l’eredità dei sogni infranti di quella ragazzina, ma doveva anche venire a patti con il fatto che poteva esser lui, quello che l’avrebbe fatta impastare crostatine alla crema a cantare canzoni Babbane davanti alla finestra di una casa in campagna o al mare, poco importa.
La Granger sì. Gliel’aveva detto in un sussurro che sapeva di quella metà precisa tra l’uno e il due, di incertezza: è pericoloso innamorarsi in questo momento storico, Draco, dove vogliamo tutti vincere e invece la vita ci fotte e basta. Era una volgarità strana, da sentire nella bocca della Granger, una bestemmia sussurrata al mattino e ripetuta alla sera: il mondo le avrebbe perdonato molte cose, gli aveva detto un giorno – la mancanza d’amore, quella mai.
E lo trova ancora a piangere ogni venticinque giorni, nascosto tra l’erba o semplicemente nei fili dei suoi pensieri: Hermione non gli domanda mai il perché – semplicemente si siede al suo fianco e glielo dice: due, perché vuol dire che prima o poi ci sarà anche un tre.
Ma Draco, che è bloccato tra quei due numeri, l’uno e il due, non le crede proprio mai: e non gliene frega un cazzo, le dice, non gliene frega proprio un cazzo – la mancanza di una persona la superi solamente nel momento in cui scade in dimenticanza e, di dimenticare, lui non è in grado proprio per niente.
«Che avresti potuto fare?» gli domanda la Granger, ogni venticinque giorni. «Ci sono piombati alle spalle e lei sapeva che rischi stava correndo».
Quando si sono insinuati nei territori attorno ad Hogwarts, alla ricerca di un modo per recuperare la Pietra della Resurrezione – l’hanno trovata ma Albus Silente s’è rivelato criptico anche da morto – senza farsi sorprendere dai Mangiamorte: dovevano andare in due, Draco e la Granger, ma Astoria aveva preso armi e bagagli e detto. Prima o poi si diventa tre.
Faceva così buio che non li hanno visti arrivare – tre o sei o nove, che importa? – e Draco ha percepito di quel momento solamente un fruscio.
«Se solamente avessimo illuminato la zona» sussurra. «Li avremmo visti arrivare».
Poi non ha sentito più.
 
***
 
Fanculo, questa è la vita e la vita cambia
A volte può spogliare e lasciare solo la rabbia
L'amore è come un fiore nel deserto
Io cammino, io lo cerco
Ma se mi guardo intorno adesso vedo solo sabbia
Io vedo soltanto sabbia
 
La cosa peggiore che riesce a pensare, fra tutto quanto, è che nemmeno è riuscito a capire chi abbia scagliato la maledizione che ha tolto il respiro ad Astoria Greengrass – almeno avrebbe il lusso di potersela prendere con qualcuno che non sia sé stesso, lei e la Granger per averle permesso di partecipare a quella missione suicida.
Così, adesso che passa le sue sere a fumare mezza sigaretta (il resto lo passa alla Granger in cambio di quegli osceni pop-corn senza sale) guardando il cielo scuro come l’ala di un corvo, Draco Malfoy pensa d’aver perso le speranze per strada e che niente gliele può far recuperare. La Granger non lo smentisce – non ne ha la forza – quando lui le tira sui capelli un pop-corn e le dice siamo fottuti, Granger, qui non si va oltre l’uno.
Ma lei sorride, e c’è qualcosa che è ingiusto e sbagliato in quel sorriso, e alza l’indice e il medio e glielo dice: due.
La campagna del Kent sa di sabbia e argilla essiccata: anche il tempo è cambiato, da quando Harry Potter ha fallito nella possibilità di liberar il mondo da Voldemort – e, adesso che tutto il mondo è desertificato, non rimane altro che la ricerca di quelle rose che germogliano in pietra sotto la sabbia. Ma Draco non trova niente.
Quando si volta indietro, a cercare una spiegazione sul perché Astoria Greengrass si sia imbarcata in una vita di conteggi senza lieto fine, non trova niente – solamente altra sabbia: è che siamo sempre allo stesso punto, conviene la Granger scrollandosi le briciole di pop-corn dai capelli. Un punto morto fatto di clessidre spezzate, sabbia dorata e tempo perso.
Perché andare oltre il due è sempre una perdita di tempo e, qualche volta, deve farsi violenza per pronunciare quel numero e distogliere Malfoy dalla propria idea solipsistica della vita – uno.
A volte, Hermione vorrebbe mettersi a gridare non uno, non due. Mezzo. Ci vediamo a metà strada, ha detto ad Astoria Greengrass quando le ha tenuto la mano, il cuoricino di passerotto che batteva debolmente mentre il sangue defluiva dal corso, ci vediamo lì dove sta lui.
Non l’aveva detto a nessuno, se l’avessero saputo non sarebbe andata mai: che il sangue, quella cosa che ti salva per metà della tua vita, alla fine segna anche il punto fermo della storia. Non si può fermare un Sectumsempra, se il sangue non è abbastanza forte – Hermione, se aveva sospettato, non s’era pronunciata: le aveva tenuto la mano, ci vediamo a metà strada.
Che è una cazzata, una cazzata abnorme, perché percorrere una strada a metà non significa niente – solamente scorticarsi i talloni quando perdi le scarpe, lì dove le ha lasciate anche il Signore, e l’asfalto ti si conficca sulla pelle. Ci vediamo a metà strada, le ha detto.
Che vuol dire che la vedrà sempre in tutti i suoi sogni o non la vedrà mai più: Hermione non si concede il lusso di un sogno da parecchi mesi, Draco non riesce a scacciarla via dalla retina nemmeno quand’è a occhi aperti.
Astoria Greengrass è macerie e possibilità sfumate: ma, quando Draco prova a tirarne fuori il nome, chiunque si mostra pronto a dirgli. È così anche per me. La guerra s’è portata via tantissime cose, persone. Ma non basta, cazzo, certo che non gli basta.
Non gli basta perché, per quanto la Granger possa fare una smorfia a ogni boccata di fumo aspirata, lui lo sa.
Astoria Greengrass s’è sacrificata sul cadavere delle loro occasioni perse.
 
***
 
Il sole lo odio, brucia l'ustione che ho nel cuore
E non so dove ma me ne vado
Vago senza direzione
C'è una parte di me che muore
Ad ogni passo fin che non collasso
E cado vicino a un fiore
 
C’è bisogno d’amore.
È quel che dice Molly Weasley quando una coppia viene separata brutalmente (che è forza bruta, la morte) o quando qualcuno s’innamora e finisce a farlo fuori, all’aperto, con la schiena sui sassi: c’è bisogno d’amore. A Malfoy non lo dice mai.
Non ne ha la certezza, è una sensazione che scivola lungo la pelle come un bacio, ma Draco Malfoy ha perso qualcosa di sé – ed è uno di quelli che finisce a farlo fuori, con il gelo e con la sabbia che diviene vetro dietro la pelle: non importa mai con chi. Alla sera torna sempre a fumare con la Granger, le dita che tremano sulla sigaretta, e glielo dice: anche oggi non è servito a niente.
Non è servito perché non ha senso – il sesso – come via per la dimenticanza: non ha senso scopare per cancellarsi di mente la morte di una persona, non ha un cazzo di senso questa vita, questo universo che lentamente si dipana e s’aggroviglia senza alcun criterio razionale. Solamente la voglia di alleggerire o appesantire le parti più inutili di quest’esistenza sfilacciata, lanificata, dove Draco tira i fili e non scioglie mai niente.
C’è bisogno di amore – anche quando Draco si rialza dal terreno, allacciandosi i pantaloni, e trova la Granger che sgranocchia unghie e popcorn: ha le mani tutte rovinate, pensa distrattamente, in un riflesso inconscio dei propri pensieri. È tutta rovinata, quando finalmente si rende conto che è tutto perduto, tutto da rifare: Harry Potter ha perso e Ron Weasley è perduto, lei adesso chi è?
Draco si trova a vagare per i campi brulli della propria mente, alla ricerca di una risposta (lei adesso chi è?) quando Hermione lo guarda e sorride, perché s’è dimenticato d’infilarsi la camicia dentro i pantaloni, che adesso gli pende dalla pancia come una coda al contrario.
C’è bisogno d’amore – anche per lui.
 
***
 
Fumavamo guardando le stelle
Ora qualcuno fa parte di quelle
Questi ricordi sono come fiamme
Ancora bruciano sulla mia pelle
E fumo ancora guardando le stelle
E questa sera è una sera di quelle
Mi porto dentro tutto quanto
Le mie vittorie più dure, le mie sconfitte più belle
 
Qualche volta glielo domanda – la Granger butta indietro la testa, scoprendo un collo fragile come lo stelo di un fiore, e dice sempre la stessa cosa: si fa in due, Malfoy, non tutto da solo. La Granger ha convinzioni del cazzo, riporta Draco quando qualcuno goliardicamente gli domanda se non sia riuscito a insidiare anche lei.
La Granger nutre la convinzione, assurda e sbagliata, che tutti abbiano bisogno d’amore – e quindi? – ma non nel senso comune del termine: amore, amicizia, sostegno. La Granger nutre la convinzione, che Malfoy non sa rispettare, che il sesso non provochi la dimenticanza: così, quando Draco piange Astoria Greengrass e quel ricordo bruciante che gli ha lasciato inciso dentro, sopra la pelle e anche dietro, lei gli dice che no, non sarà lei l’artefice di quella dimenticanza – che dimenticanza non è superamento e, allora, Draco Malfoy non si ricomporrà mai più.
E fumano guardando le stelle – si chiedono se Astoria Greengrass faccia parte di quelle, con la sera che scolora lentamente ora dopo ora e lui glielo domanda, glielo domanda sempre: ma Hermione scuote il capo e ne cadono tutti i pop-corn che lui le ha lanciato addosso e dice di no.
Non mi fraintendere: non penso che sia una questione di attesa, gli dice, non penso sia una questione di rimandare l’inevitabile. Penso che qualcosa ci può legare – non quello che vuoi tu, però.
«Merlino, Granger» sibila lui, passandole la sigaretta fumata a metà. «Si può sapere cosa cazzo ti passa in testa?».
C’è un vortice di pensieri – ineluttabile – in cui Hermione si perde dolcemente, si lascia trascinare: non ha senso opporsi, gli dice, i pensieri sono peggio di Voldemort stesso. Te li devi portare dietro, per forza, come fai a spaccarti a metà nel tentativo di ignorarli?
Ma Draco, che ha Astoria Greengrass in mente, non risponde mai.
«E a te?».
«A me niente» borbotta Draco, grattandosi la nuca con aria disinteressata. «Che siamo nella merda fino al collo, al massimo, che domani moriremo tutti in mezzo secondo e…».
La fa ridere – il giorno in cui gli posa sulle labbra un bacio leggero come le ali di una farfalla e lui, per un momento soltanto, torna a respirare.
«Due».
«Sei impazzita, Granger?».
«Al massimo moriremo in due secondi».
Questa volta, è lui a sorridere – amaramente: c’è sempre qualcosa di fuori posto, nel suo sorriso, qualcosa di odiosamente e terribilmente sbagliato. E Draco è uno scricchiolio, tra i denti, quando mastica quelle parole.
«Moriremo insieme» commenta, accendendosi una sigaretta. «Una morte un po’ di merda, Granger».
Ha smesso di chiamarla Sanguesporco dall’inizio della resistenza – quando saranno morti, al primo secondo, saranno fatti della medesima cenere (o così almeno ha dedotto, quando sua madre è morta come una Babbana qualunque).
«Comunque meglio che morire da soli».
«Astoria è morta sola» sussurra Draco, passandole la sigaretta. «Pensi che sia stata una brutta morte?».
«Astoria Greengrass era amata, Malfoy» commenta lei, quietamente. «Aveva degli amici, una nuova famiglia. Ma non era felice».
Lui non le chiede se questo la rendeva meritevole di morte – ha capito: che è un brutto vizio, quello dei giovani, di sentirsi sempre infelici.
Ed il problema dell’infelicità è che non ha mai rimedio: c’è sempre un motivo migliore per sentirsi un po’ più infelici.
Astoria Greengrass non era felice – incompleta sì – ma nemmeno dolorosamente infelice: pensava d’esser inquieta, un’anima in pena e magari era soltanto giovane. Hermione non glielo dice, a Draco, che forse di tutte le morti la sua era stata la più ingiusta (perché la sente come una propria colpa e a lui non lo confessa mai), la più insensata.
Non sempre si muore di gioventù infelice, pensa Hermione sbuffando fumo dalle narici, non sempre si muore di gioventù e basta: ma Astoria Greengrass era divenuta cenere e poi ricordo e, allora, per Malfoy non esiste più pace.
«Era giovane».
«C’è un’età per essere infelici?» domanda Hermione, laconicamente. «Tu lo sai bene, no?».
«Pensi sempre che sia colpa nostra?».
«Non lo penso».
Ma lo sa – che una maledizione del sangue bastava a lasciar Astoria Greengrass lontana dall’azione e lei avrebbe dovuto saperlo: ma, quando Malfoy la guarda con gli occhi spalancati, inermi, non glielo sa dire mai. Che la colpa si smezza come una sigaretta o una ciotola di pop-corn – tutti hanno bisogno d’amore: anche lei. Aveva.
«Ma non ci credi troppo» commenta Draco, quietamente. «Era la mia famiglia e, adesso, ho te soltanto».
«E ti sembra poco?».
Lo fa ridere, quando si china per tirarle una ciocca di capelli sporca di briciole di pop-corn.
«Troppo».
Lei non glielo dice più, di non scherzare, di smetterla di comportarsi in quel modo: tutti hanno bisogno d’amore, continua a ripetersi – ma non l’amore che pensa lui.
 
***
 
Non sarai mai morto finché il tuo ricordo vive
Sempre e comunque, ovunque vada in giro per il mondo
I lineamenti del tuo volto fra le nuvole al tramonto
 
Una volta ogni tre mesi, poi, ricordano i morti – è che tre mesi passano davvero tanto in fretta, commenta Hermione quando lui la trova in lacrime con una sigaretta fumata quasi del tutto (ha tradito il patto): è che tre mesi passano davvero tanto in fretta, ma i ricordi rimangono.
Draco non versa una lacrima.
Nel silenzio rarefatto della campagna del Kent, ci prova – non ci riesce nemmeno sbagliando, nemmeno graffiandosele via dagli occhi: che senso ha se poi le deve cancellar via, si domanda, per non farle vedere a lei. Non per vergogna – proteggerla.
Il mondo fa schifo al cazzo, Granger – le dice: lei sorride, inclina il capo e qualche pezzo di popcorn le salta in testa come un pensiero sfuggente.
Il mondo fa schifo al cazzo, Malfoy – ripete: ma se lo calpesti con le persone giuste, un po’ meno (e tutti hanno bisogno d’amore: anche tu).
Ma, quando ricordano i morti e scie di nomi scivolano sulla lingua come l’ennesima stupidissima filastrocca, Hermione Granger tentenna e si cava via dagli occhi quelle lacrime e quei pensieri: Malfoy sospira, al suo fianco, e le stringe il braccio. Senza dolcezza, senza cura: un mero aggrapparsi a quel che gli è rimasto – lei.
«Finché li ricordiamo non sono morti» sussurra Hermione, quando lui la guarda. «Ma quando dimenticheremo, lì cosa succederà?».
Lui pensa ad Astoria Greengrass – uno scriccioletto vestito in verde rame, la piccola Astoria, la Ria di Fred – e non sa come dirle che ha ragione: che la dimenticanza si mangia tutto e, quando infine arriverà il due, allora saranno morti anche loro e diverranno frammento di ricordo e poi più niente.
«Va bene così, Granger» commenta Malfoy, quando lei appella dalla cucina un cesto di pop-corn (smorfia: son salati). «Va bene anche se fingiamo che vada tutto bene e che questo mondo non faccia…».
Schifo al cazzo.
La fa sorridere – scopre a diciannove anni che la Granger, ripulita come uno spillo in quel visino lineare e struccato, ride delle parolacce anche se non le pronuncia mai: e lui, che ha appreso ad esser sboccato sulla scia delle mille fregature che la vita gli ha riservato, ride per farla ridere. Non glielo dice mai, che è più bella quando ride: sarebbe una bugia, perché lui la trova splendida anche e soprattutto quando piange e le si arrossa il viso, gli occhi e non sa che fare, come smettere.
Lui ha smesso. Nel bagno di Mirtilla Malcontenta, Draco ha smesso di riuscire a piangere – e adesso, che ne sente la necessità come per respirare, miracolosamente tace.
«Voglio pensare che ce la faremo» sussurra Hermione. «Che la nostra vita non sarà una serie di missioni, che vinceremo anche la guerra e che saremo di nuovo felici».
Lui la guarda – ha quella domanda sulla punta delle labbra: felici. Insieme?
Che non le sa dire, non ha proprio le parole per farlo, ma lui anche dentro un tramonto sbiadito e in pop-corn senza sale riesce a vederci lei. Ovunque: uno spettro con dei capelli allucinanti che, quando lui s’arrende al primo secondo, alza due dita e gli risponde – due.
«Perché no?» biascica lei, a disagio. «D’altronde non credo per davvero, non posso averne la presunzione, di sapere come fare a liberarmi di te».
Draco pensa d’esser stato incastrato, così, con due parole – che sarà lui a doversi liberare di lei quando, venuto a patti con quel fango che tutto ciò getterebbe sul viso di Astoria Greengrass, si troverà a dirle che sogna un anello da metterle al dito, una famiglia insieme, e finalmente quella pace che gli masticherà le ossa (rendendolo inquieto). L’ha fregato perché, se avessero finito per farlo tra i campi come gli è capitato altre centomila volte, forse sarebbe ancora stato in grado di lavarsela via dal viso come uno sbaffo di cioccolato quand’ancora c’era tempo, voglia e possibilità di mangiare una torta.
E ora, che lei lo guarda con quegli occhi spalancati che sembrano potergli leggere il futuro in una tazza di tè, sa che non ha scampo: gli è entrata dentro in un modo tale che, anche se provasse a sciacquarsela via, non saprebbe come fare a riuscirci.
«Pensi che le dispiacerebbe?».
Hermione sospira, si passa una mano tra i capelli con aria pensierosa.
«Credo che non lo sapremo mai» ammette. «Che non glielo potremo chiedere e, allora, ci dovremo inventare una risposta anche per lei: che vuol dire che possiamo scegliere quella che fa più male o quella che fa più comodo».
Lui la odia, quella sua maledetta razionalità – e il fatto che, a parole, sappia dire tutto e non dire niente nella stessa frase: Hermione sorride, ma solamente per finta, quando cerca di convincersi da sola che a Ria Greengrass non gliene sarebbe importato un fico secco, del saperli felici insieme in una conta che supera uno, due e perfino tre. Draco le vuole credere, ma per davvero: solo che, quando Hermione si deve voltare per cancellare tracce di lacrime dalle ciglia, non ci riesce nemmeno per un po’.
«Io so cosa penserebbe».
Lo dice casualmente – come le direbbe che ci vuole il sale, su quei cazzo di pop-corn, e che deve imparare a legarsi i capelli quando mangiano insieme perché lui semplicemente adora lanciarle addosso le briciole.
«Cosa?».
«Non gliene fregherebbe un cazzo, Granger» sussurra. «Perché penserebbe che lei la sua vita l’ha sprecata dietro un sogno a occhi aperti e, allora, la vita vera doveva per forza essere insensata».
Hermione sorride.
«Lo avrebbe pensato» concede. «A volte, vorrei sognare anche io in quel modo».
Lui le sfiora la mano, timoroso.
La fa sorridere – che è così raro che la Granger sorrida che, quando lo fa, Draco pensa sempre d’esserselo immaginato per un secondo.
Ma lei scuote il capo – quella volta – e glielo dice a chiare lettere: due.
«Penserebbe un’altra cosa» sussurra Draco, prendendole le dita e chiudendosele nel palmo. «Credo».
Hermione alza un sopracciglio, ma non domanda.
«Scappate».
 
***
 
Ho camminato notte e giorno
Solo chi cerca e chi lo vuole
Trova l'amore nel dolore più profondo
(…)
Il buio cala, ma adesso ho questo fiore in tasca
E la luna mi illumina la strada
 
Litigano continuamente.
Hermione gli dice, con quel piglio da Grifondoro che lui detesta, che lei non fugge – che è fatta per rimanere.
Draco le risponde, con quell’aria da Serpeverde che lei tollera a malincuore, che se non fuggono sono morti ancora prima di dir uno – che i Mangiamorte ormai attaccano ogni giorno e Potter non s’è più fatto vivo da quando s’è imbarcato in una missione suicida alla ricerca di Nagini.
E litigano, litigano, litigano – poi smettono.
Il giorno in cui finiscono a farlo in mezzo a un campo e sa, dolorosamente, di compromesso: Hermione spera che permettendogli di entrarle dentro in quel modo sia più semplice consentirgli di penetrare tutte quelle barriere che ha in testa.
Lui le dice – senza alcuno strascico di dolcezza – che ormai l’ha fottuto, oltre il senso letterale del termine, e se amerà mai una terza donna, avrà per sempre un rimasuglio orribile delle prime due.
Uno – Astoria Greengrass, che non poteva riamarlo nemmeno con tutto l’impegno che ci stava mettendo.
Due – lei.
Ma, quando si rende conto di aver contato fino a due, Draco esce fuori di testa: cazzo, Granger, dobbiamo andare via di qui. E litigano, litigano, litigano – finché non smettono.
Il giorno bruciato e arido in cui Draco prende e inizia a camminare con solamente la bacchetta e un pacchetto di sigarette in tasca: non lo si vede più.
Qualche volta, Hermione si trova a fumare sui campi dove hanno fatto l’amore quell’unica volta, e ogni tre mesi pronuncia il suo nome (per lei è morto), sbocconcellando la sigaretta fino a metà. Poi la spegne.
Se lo vede – Draco Malfoy a camminare sotto la luna, con un campo pieno di margherite in tasca, a dirle che l’ama.
Ma non è tornato più.
Lei fuma ancora guardando le stelle e mangia pop-corn senza sale contando fino a due – Draco deve essersi fermato a metà.
Non uno – due.
Un mezzo.
 
 
Fumavamo guardando le stelle
Ora qualcuno fa parte di quelle
(Mostro, E fumo ancora)
   
 
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