Nella GIF, tratta dal film “La conseguenza”, come
immagino Sarah ed Hermann nel 1947.
Capitolo
56
Arrendersi
Prima parte
- Come petalo di margherita caduto in terra -
“Mi piaci quando
taci perché sei come assente.
Distante e
dolorosa come se fossi morta.
Allora una
parola, un sorriso bastano.
E son felice,
felice che non sia così.”
Pablo Neruda, Mi
piaci quando taci
Danza
di sguardi rugiadosi sullo sfondo della luce soffusa propagata dal lume sul
comodino, Sarah abbassò gli occhi sul mazzo di fiori che Matteo teneva
penzoloni in una mano e anch’egli vi rivolse lo sguardo. Se n’era quasi
dimenticato e comprese quanto fosse stata fuori luogo l’idea di ripresentarsi a
lei con dei fiori. I loro occhi s’incontrarono ancora, prima che lo sguardo
deluso e insofferente di Sarah ritornasse sul pavimento. Altrettanto
amareggiato verso di sé, Matteo guardò di nuovo il mazzo di fiori e lo scosse
leggermente, come a voler sottolineare a se stesso l’errore.
Le
bianche margherite persero così alcuni dei loro bei petali bordati di rosa che
si riversarono ai piedi di Matteo, unendosi alle ceneri del suo matrimonio
infelice per la cui salvezza non sarebbe bastato chiederle scusa né
giustificarsi attribuendo la colpa a un terzo. Di questi, tuttavia, avrebbe
potuto parlarle indicandolo come uno dei motivi della propria infelicità e si
sentì pronto a tale confessione.
Sentimenti
contrastanti albergavano e si scontravano nell’animo di Sarah e, giacché non
aveva provato alcun sollievo nel rivederlo, capì quanto la speranza ch’egli non
tornasse fosse più forte rispetto alla paura di averlo perso, sicché l’apatia e
la rassegnazione presero a dominare su quella combattiva volontà di parlargli,
di chiedergli il perché scaturita dal ricordo di Lucia.
Il
mazzo di fiori coi petali strapazzati dal malcontento di Matteo finì su una
seggiola accanto alla porta e, intanto, in lui veniva meno il coraggio infusogli
dal signor Gennaro del cui discorso prese a ricordare, in un crescendo di
tormento, soltanto le parole che lo avevano ferito sminuendo il suo valore.
Si
avvicinò a Sarah lentamente, a testa china, piegato sotto il peso della
disistima verso di sé, dell’afflizione di sentirsi immeritevole di lei, della
paura di perderla e ne fu sopraffatto.
Non
provò stupore né compatimento e neppure compiacenza Sarah al tonfo delle
ginocchia di Matteo che batterono sul pavimento innanzi a lei. Soltanto sentiva
nel cuore l’eco del vuoto, spento anche l’ultimo palpito d’amore.
Matteo
si era inginocchiato malamente in terra, quasi a volersi punire e un singhiozzo
strozzato, soffocato, premendo la guancia ispida sul ginocchio nudo di Sarah,
ne aveva preannunciato il pianto.
Al
primo suono rauco, più somigliante a un colpo di tosse, Sarah restò turbata e,
da esso derivanti, le lacrime convulse le sottrassero ragione e intenzioni. Il
suo cuore trasalì e confuse per battito di rinnovato amore quel ch’era mero
sussulto di compassione la quale si radicava nel sentimento di bene.
Matteo
versò allora tutte le lacrime trattenute per pudore ed orgoglio in presenza del
signor Gennaro e, nel pianto che andava quietandosi, biascicò: “Mi dispiace.”
Ma,
forse, lo era più per se stesso. E questo Sarah dovette accorgersene, poiché
fermò la mano a mezz’aria sul suo capo in un gesto esitante.
Pensò
a quanto, come Lucia, fosse stata manchevole di coraggio, mentre la domanda –
quel «perché» che, se pronunciato, avrebbe potuto spingere Matteo ad aprirsi –
rimaneva incastrata tra il cuore e la gola. Di lei, però, non avrebbe imitato
l’ardire di andar via e si arrese all’infelicità.
Per
un istante, chiuse gli occhi per sottrarsi alla realtà a cui s’era già da tempo
rassegnata e sospirò debolmente, prima di infrangere la promessa del silenzio
che gli aveva fatto la sera precedente.
“Anche
a me”, rispose in un sussurro e affondò le dita nello scompiglio dei suoi
capelli ricci, carezzandogli la testa.
Un
alito di vento si levò, l’ultima sferzata di fresco, prima dello stabilizzarsi
della bella stagione, che intirizzì, da sotto la vestaglia di seta bianca, la
pelle nuda delle gambe di Sarah e drizzò i folti peli delle braccia di Matteo,
scoperte dalle maniche della camicia arrotolate fin sopra ai gomiti.
Danzarono
le tende in organza alle finestre di casa e vorticarono, sparendo verso il
corridoio, i petali caduti in terra. La brezza di mare batté alla porta
d’ingresso e, accompagnati dallo sciabordio delle onde che s’infrangevano con
maggior forza contro la banchina, i sospiri del vento fecero da preludio agli
ansiti d’amore.
Perché
quella stessa notte Sarah venne meno ad un’altra promessa – quella fatta a se
stessa – e cedette alle carezze di Matteo, mentr’egli usava il proprio corpo
come strumento per chiederle perdono.
A
nulla valsero il ricordo di Lucia, la paternale del signor Gennaro e l’amor
carnale fu il fallimentare epilogo di un discorso fra i due mai cominciato.
Per
la prima volta, Sarah raggiunse con Matteo l’ebrezza dei sensi, accogliendo
come disperata passione quello smanioso fremito suscitato dalla paura di
perderla, per poi sentirsi ancor più sola, vuota e violata.
Infastidita,
quasi umiliata dallo sguaiato sospiro di appagamento di Matteo, Sarah si volse dall’altra
parte del letto e una lacrima le scivolò sulla guancia livida, mentre guardava
il mazzo di fiori appoggiato sulla seggiola perdere un altro petalo il quale
volteggiò nell’aria, prima di cadere anch’esso in terra.
“Cercando solo
te, io vivo, poi tu mi fai morire
per un nuovo
amore, per i silenzi che mi hai dato e che ti porti via.
Ed ora che mi
chiami «amore mio» potrei anche perdonarti,
ma nella mente
mia non sento niente.”
Gli alunni del
sole, I tuoi silenzi