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Autore: BerryPoison    16/03/2022    0 recensioni
Tic.
Tac.
Tic.
Tac.
Tic.
Tac.
Tic-
Quando le lancette della Torre dell'Orologio si fermano, tutti sono costretti a fare lo stesso. Dimenticare cosa stavi facendo fino ad un secondo prima e smettere di muoverti. In quei momenti, aspetti solo che dagli altoparlanti smetta di suonare il “biip” della sirena e ritorni a battere il suono dell'orologio. Se non rispetti la regola... muori.
Genere: Angst, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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             Bambina-madre



 

<< Buonasera. Ti piace? >>

 

In una mano stringo il braccio di una bambola di pezza. Ha i capelli ridicolmente lunghi, troppo per la sua altezza, tanto che una delle due trecce finisce per toccare terra. Indossa un grembiule rosa, sulla quale spicca l'immagine di un fiore bianco. Quel sorriso inanimato la colloca proprio lì, tra le cose morte che non hanno mai vissuto.

 

La bambina alza la testa. Le sue iridi ambrate si posano sulle mie, subito le vedo storcere quel piccolo naso ricoperto di efelidi. Poi sposta lo sguardo, lo posa sulla bambola, la indica con l'indice della mano libera. Con l'altra regge un rametto con cui poco prima stava tracciando delle linee sulla ghiaia sottile.

 

<< Quella bambola ha i capelli come i miei. >>

 

<< I tuoi capelli sono ruvidi come i suoi? >>

 

La bambina emette un grugnito, il rametto le scivola tra le dita e cade in silenzio sull'asfalto. Inclino la testa davanti al suo viso corrucciato: ho dialogato poche volte con i bambini, ma fin da subito ho capito che è tremendamente facile prendersi gioco di loro.

 

<< No, non dicevo questo, e poi... tu chi sei? Cosa vuoi?! >>
 

Avanzo di un passo, lei indietreggia. Ha ripreso a stringere quel rametto insignificante, umido di pioggia, ed ora lo punta verso di me. Se l'avesse stretto troppo, probabilmente si sarebbe sgretolato tra le sue dita. Nonostante questo lo impugna saldamente, come la più affilata delle lame. Mi chino sulle ginocchia, quella boccuccia sottile trema, mormora qualcosa. Il suo corpo si allontana da me sempre di più, mentre sporgendomi verso il disegno tracciato sulla ghiaia riconosco il corpo tozzo di una rana.

 

<< Ti piacciono le rane? >>

 

<< Sei sorda?! Mi ascolti quando parlo? >>

 

La bambina emette un sospiro frustrato, adesso agita la sua “arma” davanti ai miei occhi, nel disperato tentativo di attirare la mia attenzione.

Decido di non risponderle ancora una volta, o il dialogo sarebbe finito troppo presto. Così mi limito a sorridere o, meglio, a tirare su gli angoli della bocca con pollice e indice: non sono ancora molto pratica con le espressioni, non so come si faccia a parlare senza dire niente. La vedo storcere sempre di più il naso, tanto che dopo poco è costretta a rilassare i muscoli del viso e massaggiare le parti doloranti. Sposto la sua mano dalla faccia con la mia, aiutandomi con l'altra a stenderla perfettamente sul mio dorso, e solo in quel momento constato che è davvero piccola. Con un minimo movimento, potrei romperle le falangi e farla paralizzare dal dolore. Il corpo degli esseri umani è pieno di risorse, ma la loro carne è così debole, ed il cuore si ferma facilmente. I polmoni si infiammano, la mente è una formica che cammina su un filo sospeso. Nulla è stabile, nel labirinto interno dell'uomo.

Poi c'è questa bambina: le sue gambe tremano, posso sentire da qui il petto che minaccia di esplodere sotto il tessuto di quel morbido pigiama colorato. Ha paura, ma non si fa scrupoli a ritirare bruscamente la sua mano e a cacciare fuori la lingua in una smorfia infantile.

 

<< Sento molto bene, invece. Noto anche che sei in pigiama. Sono le tre del mattino, cosa ci fa una bambina con un rametto al centro di una strada buia come questa? >>

 

La piccola arrossisce appena, scuote il capo, agita furiosamente le mani. Con la coda dell'occhio scorgo un giornale aperto abbandonato su una panchina, per terra una sigaretta accesa produce ancora fumo. Mi concentro di nuovo sulla mia interlocutrice, e questa volta i suoi occhi sono fissi sulla bambola che tengo dal braccio, e sembrano risplendere di desiderio. Nel rispondere alla mia domanda, però, il suo volto si corruccia ancora una volta. Incrocia le braccia al petto e chiude gli occhi, assumendo una falsa e buffa aria saccente.

 

<< Non te lo dico! Mamma mi dice sempre che non devo parlare con gli estranei, soprattutto se sono strani come te. >>

 

<< Oh, bene. Vorrà dire che questa bambola la riporterò a casa. >>

 

Mi raddrizzo, ma non sono intenzionata ad andarmene davvero. Sento quasi subito la sua manina stringere la manica della mia giacca, quegli occhi dapprima serrati aprirsi lentamente e divenire più mansueti. Le sue labbra si schiudono, le esili spalle si curvano. Sbuffa su una fastidiosa ciocca di capelli per allontanarla dal volto e dice:

 

<< Sono scappata... tu però non dirlo a nessuno. >>

 

A quel punto, lascia definitivamente il rametto, e questa volta lo sento: cade al suolo con un “crack”, e si spezza sul colpo.

Continua:

 

<< Papà litiga con mamma e le alza le mani. Io sono corsa via perché ho avuto paura di farmi male... >>

 

Il labbro inferiore le trema appena; in lontananza, il rumore di una porta che sbatte costringe alcuni corvi a volare chissà dove. Sento delle voci, qualcuno che ride, bottiglie di vetro che si scontrano.

 

<< Non sei una bambina poi così coraggiosa, allora. >>

 

Una lacrima. Poi un'altra, e un'altra ancora. Cadono sull'asfalto con sonori “plic”, mentre adesso quelle manine si stropicciano gli occhi, si coprono il viso per orgoglio. Il suo corpo è scosso dai singulti.

 

<< Mamma piangeva... è rimasta lì, ma non ce la facevo più a sentirli litigare! Il mio fratellino strillava, perché anche se ha appena un anno capisce quando succede qualcosa di brutto. >>

 

Decido di provare a calmarla. Non voglio che attiri l'attenzione di persone potenzialmente seccanti. Così mi chino di nuovo, con un sospiro sollevo la bambola dalle due braccia e la faccio ballare davanti a lei. La vedo smettere pian piano di piangere, i suoi occhi sono rossi e gonfi di pianto, le gote ancora rigate dalle lacrime. Poi scorgo un barlume di sorriso, poggia il volto contro quello inanimato della bambola e lo struscia dolcemente contro di esso.

 

<< Piangere è da bambine deboli. Se la tua mamma vuole vivere, vivrà grazie alle sue forze. Altrimenti morirà. Funziona così per voi, giusto? >>

 

Mi raddrizzo sotto lo sguardo confuso della bambina, e ora ritorno ad osservarla dall'alto. La fastidiosa luce gialla dei lampioni va e viene, ma i corvi posati su di essi sono l'unica certezza in un oceano di dubbi.

 

<< Ehi, ma perché tu... hai degli occhi così strani? >>

 

Stringo il braccio della bambola tra le dita, fin quasi a stritolarlo. Il respiro si ferma.

 

<< Hanno lo stesso colore del sangue, e poi... non sembri neanche umana. >>

 

<< Vieni con me. >>

 

La afferro per il braccio e la costringo ad alzarsi.

Le voci che udivo poco prima si fanno sempre più vicine, la puzza di alcol invade le mie narici, mi rende nervosa. La strattono per obbligarla a seguirmi, trascinandola lungo sentieri deserti e privi di luce, senza curarmi delle sue proteste. Un barbone tossisce ai lati della strada, con la coda dell'occhio lo vedo sputare sangue e curvarsi fin quasi a toccare l'asfalto con la fronte sudata.

 

<< Dove stiamo andando?! >>

 

La ignoro sistematicamente ancora una volta, quando all'improvviso una voce alle nostre spalle mi costringe a fermarmi.

 

<< Ehi, signoriina. Non ti hanno mai detto di stare attenta a quest'ora della notte? >>

 

<< Tienila. Tienila per me, stringila forte e chiudi gli occhi >>, le sussurro, prima di allungarle la bambola. Quando la prende tra le mani, afferro i suoi polsi e la costringo ad arretrare di qualche passo. Mi guarda con aria confusa, le tremano le gambe, le dita serrate intorno all'oggetto inanimato.

 

<< Chiudili. >>, le intimo ancora, e questa volta lei sobbalza e sgrana le palpebre, come dopo essersi destata da un sogno ad occhi aperti. Infine li chiude, nascondendo parte del viso dietro la bambola.

 

Mi giro. Le iridi si spostano da un estremo all'altro della sporca figura dell'uomo, producendo ad ogni movimento rumori meccanici. Dentro questo corpo nulla si muove, se non gli ingranaggi che simulano la vita. A volte, anch'io sento di essere uno di loro. Un grande ingranaggio che contiene ingranaggi più piccoli.

L'uomo si avvicina, barcollando. Beve dalla bottiglia di vetro, sghignazza qualcosa sottovoce. E' grasso, tanto che i bottoni della camicia minacciano di saltare via da un momento all'altro, e quel sorriso sornione mostra i denti storti macchiati di vino.

 

<< Su, dai, vieni a divertirti con meeee! Porta anche la mocciosa.... >>

 

 

 

E' bastato poco. Un istante prima lui era lì, che ingurgitava vino per spezzare ogni freno inibitore, e ora il suo corpo è disteso sull'asfalto. Un grosso taglio gli squarcia il petto. La bocca aperta simula un urlo sordo, gli occhi sgranati in un'eterna preghiera rivolta al cielo. La pioggia bagna i suoi vestiti, si unisce alla pozza di sangue che gli fa da culla e annacqua i polmoni.

Ho immaginato di vederlo implodere davanti a me. Ho immaginato di farmi spazio con le dita nella sua carne, di usare la sua mente proprio come lui desiderava usare i nostri corpi.

 

Ma non lo faccio. Non ora, almeno.

 

Mi chino, sfioro la sua gola con le dita: è tutto fermo. Una fermezza che mi disarma, anche se l'ho già sentita troppe volte sotto la mia pelle. Mi chiedo come alcuni possano desiderarla, questa fine. Significherebbe concedersi al nulla, rimanere immobili mentre tutto continua a scorrere. Sposto il bavero della camicia, qualcosa luccica alla debole luce della luna: una croce d'argento. Quanto ingrato può essere l'Uomo?

 

   
 
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