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Autore: Zobeyde    16/03/2022    6 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL VOLO DI ICARO

 
 
 
 
Jim non sapeva cosa fare. «Solomon… riesce a sentirmi?»
Blake aveva gli occhi chiusi, ed era talmente pallido da sembrare morto. Ma grazie al cielo respirava ancora.
«L’antidoto…» mormorò a un tratto, con voce terribilmente fievole.
«L’antidoto» ripeté Jim, confuso. E poi realizzò che si riferiva alla boccetta nera a forma di prisma che portava sempre in tasca. «L’antidoto, sì!»
Gli tastò la giacca, dentro e fuori. Quando finalmente la trovò, però, si accorse che era rimasto ben poco all’interno. «Crede che possa bastare?»
Blake si aggrappò a lui, cercando di mettersi seduto; adesso tremava forte e le occhiaie livide risaltavano sul volto bianco e sudato.
«Nella mia stanza» ansimò. «Devo…»
Jim si passò il braccio dello stregone attorno alle spalle, sostenendone il peso mentre lo aiutava ad alzarsi. «D’accordo, la porto a casa.»
Come ogni volta che usava il salto, avvertì una forza risucchiarlo all’indietro, e l’odore di terra umida, di pietra e muschio del cimitero svanì improvvisamente, così come il freddo della notte. Un istante dopo erano nell’atrio di casa Winters, con Blake di nuovo privo di sensi accasciato su di lui.
«Valdar!» chiamò il ragazzo, con tutto il fiato che aveva. «Ci serve aiuto!»
Non passò molto tempo che una porta a vetri si spalancò, rivelando l’enorme orco vestito di tweed.
Jim provò a spiegare cosa era successo, ma la creatura non sembrava stupita dalle condizioni in cui si trovava il padrone; lo raccolse tra le braccia, come fosse un bambino, e lo portò su per le scale senza una parola. Jim lo seguì a ruota.
«Che cos’ha?» chiese, tallonando Valdar. «Si è sentito male all’improvviso, è malato…?»
Senza degnarlo di una risposta, l’orco si fermò davanti a una porta chiusa in fondo al corridoio; vi tracciò sopra dei segni con l’artiglio e la porta si aprì da sola.
La camera padronale non era diversa da quella occupata da Jim, appena un po’ più grande. Contrariamente al resto della casa, però, si capiva che appartenesse a un mago…oppure al dottor Frankenstein: ogni superficie era coperta da libri – libri diversi da quelli della biblioteca, dall’aria molto più antica e con i dorsi screpolati dal tempo –, e di fronte alle finestre vi erano tre tavoli occupati da una giungla di alambicchi di varie forme. C’erano poi apparecchiature piene di manopole e un sensore collegato a un rullo che oscillava tracciando onde sopra un grafico. Un’intera parete era rivestita da una lavagna piena di equazioni e la pattumiera era talmente zeppa di fogli accartocciati che anche il pavimento ne era invaso.
Mentre Valdar adagiava lo stregone sul letto a baldacchino e gli toglieva giacca e scarpe, Jim si mise alla ricerca dell’antidoto, ma c’erano un’infinità di ampolle contenenti sostanze colorate e nessuna somigliava a quella che gli serviva.
E se l’avesse finita? Doveva prepararne lui dell’altra? Non era granché come alchimista e non aveva idea di quale fosse la ricetta…
Di sicuro Alycia avrebbe saputo cosa fare. Sì, forse era il caso di contattarla, doveva sapere cosa era accaduto a suo padre…ma come funzionavano esattamente le comunicazioni con Arcanta?
Accidenti a Blake e ai suoi segreti! Lo avrebbero ucciso!
Mentre era lì che impazziva, trafficando con gli ingredienti, Wiglaf si posò sopra una pila di libri e gracchiò per attirare la sua attenzione.
«Cosa?» scattò Jim, i nervi a fior di pelle.
Il corvo albino zampettò tra le strumentazioni fino a un apparecchio coperto da una campana di vetro e collegato a un cilindro che ruotava vorticosamente; l’interno era rivestito da piccoli specchi, cui un trasformatore infondeva scariche elettriche sotto forma di filamenti luminosi. Al di sotto, un bacile di pietra con delle rune incise raccoglieva una sostanza diversa da qualunque composto Jim avesse mai visto: sembrava al tempo stesso liquido e gassoso, di un nero intenso screziato da improvvisi lampi viola acceso. Come un temporale in miniatura e sottovetro.
Il ragazzo incrociò gli occhi scintillanti del corvo e capì che qualunque cosa fosse quella roba era proprio ciò di cui Blake aveva bisogno. Stappò la fiaschetta e la immerse nella strana nube liquida, e subito il sensore iniziò a oscillare su e giù come un matto, tracciando onde sempre più alte sopra il rullo.
Jim si precipitò al capezzale dello stregone, febbricitante e con le coperte tirate fin sopra il mento. La sua fronte scottava.
«Jonathan» gracchiò, muovendo appena le labbra.
«Sono io, Jim» disse il ragazzo, sollevandogli la nuca per aiutarlo a bere. «Ecco, ora starà meglio.»
Blake biascicò qualche altra parola senza senso. Con un gesto fiacco, provò ad allontanare la boccetta.
«Beva» lo esortò Jim.
Un sorsetto alla volta, riuscì a somministrargli tutto il liquido, dopodiché rimase a osservarlo in attesa. Pian piano, i tremori si placarono, e lo stregone tornò a respirare normalmente. Solo allora Jim tirò un sospiro di sollievo e crollò sulla poltrona accanto al letto.
«Se la caverà, vero?» domandò con ansia a Valdar.
«Padron Blake uomo forte» borbottò lui, scrollando le enormi spalle. «Tu va a dormire.»
«No» rispose Jim, di getto. «Io…non voglio lasciarlo solo.»
Valdar inarcò le sopracciglia rozzamente abbozzate, ma lasciò la stanza senza fare commenti. Poco dopo, Jim lo sentì tornare e poi una pesante coperta di lana gli piovve sopra le spalle.
«Ehm, grazie» disse, senza nascondere il suo stupore.
L’orco grugnì qualcosa a denti così stretti che Jim faticò a capirlo e uscì di nuovo, chiudendo la porta. Certo che quella creatura era proprio strana.
Rimasto solo, Jim rivolse lo sguardo allo stregone, la cui espressione distesa indicava che si fosse addormentato.
Ciononostante, il ragazzo non riusciva a calmarsi. L’attacco di poco prima gli aveva ricordato spaventosamente le crisi di cui aveva sofferto sua madre. Che avesse contratto lo stesso virus magico? E che cos’era la strana sostanza nera che gli aveva somministrato?
Blake aveva promesso che avrebbe dato una risposta a tutti i suoi interrogativi…e invece, si trovava con più domande di prima.
Ma non era solo questo a turbarlo.
Quando aveva visto il maestro accasciarsi a terra aveva avuto paura, paura davvero; si era abituato all’idea che lo stregone fosse una roccia incrollabile, in grado di fare qualsiasi cosa e di tirarlo fuori da ogni pericolo, e invece questa volta aveva rischiato di perderlo.
Aveva già perso sua madre, suo padre e poi la seconda famiglia trovata nel circo. E Solomon Blake, per quanto spesso volesse prenderlo a pugni, era tutto ciò che gli era rimasto.
Non poteva rinunciare anche a quel legame.
La sua attenzione cadde sull’orologio d’argento che Valdar aveva poggiato sul comodino insieme al grimorio: era un oggetto appartenente a un’altra epoca, elegante e consumato proprio come il suo padrone.
Il ragazzo esitò, ma la curiosità ebbe la meglio e prese l’orologio per esaminarlo da vicino; passò il pollice sopra le delicate incisioni, che sul coperchio rotondo formavano il disegno di un albero e le iniziali J.I.B. Chissà chi era, forse il primo proprietario dell’orologio. Quante cose non sapeva, dopotutto, sul suo maestro…
Quando lo aprì, però, rimase di stucco. Era rotto. Il quadrante era attraversato da una serie di crepe e le lancette segnavano le cinque e un quarto. Nell’interno del coperchio, inoltre, era stata inserita una vecchia fotografia: ritraeva la stessa bella donna apparsa nella visione nel cimitero, con in braccio una neonata paffuta. Isabel e Alycia.
Sotto la foto, la grafia di Blake tracciava due semplici parole: per loro.
Jim sentì il cuore gonfiarsi di almeno tre taglie e un nodo opprimergli la gola. Ecco cosa lo stregone guardava in realtà, ogni volta che controllava l'ora.
“Il Vuoto mi ha portato via qualcosa di importante. Qualcosa che ho tutte le intenzioni di riottenere.”
Quell’uomo era strano, complicato, e a volte insopportabile…ma qualunque cosa stesse macchinando, non stava agendo per egoismo.
Jim chiuse il coperchio e lasciò l’orologio sul comodino. Poi, si avvolse nella coperta, cercando una posizione comoda, e in pochi minuti la stanchezza lo vinse.
 
Stava calpestando le assi di legno consumate di una banchina a Coney Island, sotto un sole al tramonto che faceva scintillare l’infinita distesa d’acqua increspata dal vento. Sentiva l’odore della salsedine che si mescolava a quello degli hot dog e delle noccioline abbrustolite, il rumore delle onde, la musica e il chiacchiericcio della gente dagli stabilimenti balneari: sensazioni che lo riportavano indietro nel tempo, a uno dei pochi momenti davvero felici condivisi con suo padre.
«Avresti dovuto portarmici prima» disse una voce alla sua destra. «È bellissimo qui.»
C’era Alycia con lui, con indosso un vestito di pizzo bianco che ondeggiava al vento. In testa portava un cappellino di paglia con un nastro azzurro, e sorrideva.
Alle spalle della ragazza, si stagliava un’imponente ruota panoramica illuminata e il profilo sinuoso dell’ottovolante Thunderbolt. Tutte le giostre erano in funzione, e le grida eccitate dei bambini arrivavano fino al lungomare dove si trovavano loro.
«Credevo che il Luna Park avesse chiuso per la Crisi» replicò Jim.
Passeggiarono rasentando il parapetto, mentre i gabbiani si libravano stridendo sopra le loro teste.
Di tanto in tanto, Jim occhieggiava Alycia; c’erano così tante cose che avrebbe voluto dirle e chiederle, ma le parole proprio non volevano saperne di uscire. Ce le aveva incastrate le une sopra le altre in mezzo alla gola.
Ma sentiva di non avere più molto tempo a disposizione. Di doversi sbrigare.
«Alycia, io…»
In quel momento, il vento cambiò direzione e il cielo terso si riempì di grosse nuvole nere, che gettarono la loro ombra sul mare di piombo.
Jim si guardò attorno, assottigliando gli occhi per proteggerli dal forte vento che ingrossava il mare e faceva ondeggiare pericolosamente le palme. I passanti erano scomparsi, così come la musica e le risate. Sul molo, deserto e silenzioso, erano rimasti solo loro due.
«Dove sono andati tutti?» domandò.
Alycia si fermò di fronte al parapetto, lasciando vagare lo sguardo verso l’orizzonte. Jim si girò e vide, tra cielo e mare, una massa di oscurità senza fine, nera e solida come cemento armato. E stava avanzando rapidamente verso la costa.
La pelle d'oca gli coprì le braccia. «Cos’è?»
Alycia gli si affiancò, i capelli sciolti che turbinavano attorno al suo volto. Il vento le aveva strappato via il cappello. «La fine.»
Impietrito, Jim tenne gli occhi puntati sull'immensa nube nera che stava per abbattersi su di loro. La mano di Alycia strinse la sua.
 

Si svegliò di soprassalto, ricacciando in gola il principio di un urlo.
«Buongiorno», lo salutò laconicamente una voce e, dopo un attimo di smarrimento, Jim ricordò di essere ancora in camera di Blake. Le tende erano state aperte e dalle finestre entrava la luce grigiastra di un mattino uggioso.
Lo stregone era seduto a letto e stava sfogliando il suo grimorio, con i pince-nez appollaiati sul naso storto. Al posto dell’orologio, sul comodino erano apparse due tazze di caffè e un piattino di biscotti al burro.
«Si sente meglio?» chiese Jim, studiando il volto del maestro con apprensione; era ancora piuttosto pallido, i ricci neri arruffati e la camicia stropicciata, ma nel complesso sembrava aver recuperato il solito vigore elettrico.
«Sufficientemente» rispose, senza staccare gli occhi dalle pagine. «Bevi il tuo caffè prima che si freddi, ci aspetta una giornata impegnativa.»
Jim si stiracchiò, massaggiandosi il collo indolenzito per via della notte trascorsa sulla poltrona. «Mi ha fatto prendere un bello spavento ieri, lo sa?»
«Ne sono consapevole e mi dispiace» disse lui. «La situazione... è sfuggita al mio controllo, ecco.»
«Non lo faccia mai più.»
Finalmente, lo stregone si decise a guardarlo in faccia.
«Ho promesso che l’avrei aiutata» disse Jim. «Ma mi rifiuto di andare avanti se lei continua a tenermi nascoste cose importanti. Come il suo stato di salute, per esempio.»
«Hai ragione.»
Con un sospiro, Blake rimosse i pince-nez e li posò sul grimorio.
«Credevo di avere più tempo» spiegò, tenendo lo sguardo fisso sulle proprie mani, bianche e affusolate. «Che l’antidoto mi avrebbe permesso di tirare avanti ancora un po’…ma a questo punto non posso più rinviare.»
«Che cos’è di preciso questo l’antidoto?»
«Materia Vuota.»
Jim fissò il maestro senza capire. Lui sospirò ancora.
«Ti ho detto che il Vuoto è assenza di materia, ma non è del tutto vero. In base a quanto ho avuto modo di verificare, così come esiste una corrispondenza tra gli elementi che costituiscono il Tutto, ne esiste anche una tra il Tutto e il Vuoto. Ogni atomo che forma la materia fisica nel nostro mondo ha un corrispettivo nell’antimateria del Vuoto. È un rapporto simmetrico, mi segui fin qui?»
«Due facce della stessa medaglia» disse Jim.
«Esattamente. Capisci ora perché il Decanato non permette che siano portati avanti questi studi? Farebbero crollare le certezze su cui si regge la realtà. Porterebbero caos, anarchia. Tutto ciò che con la fondazione di Arcanta hanno cercato di eliminare.»
«E che la Strega Eretica diciassette anni fa ha minacciato di riportare a galla» completò Jim, la fronte aggrottata. «Ma cosa spera di ottenere lei dal Vuoto?»
«Mia moglie» rispose Blake, grave. «Durante la Guerra Civile ad Arcanta, ho affrontato l’Eretica, ma il suo potere andava oltre le mie capacità. Così, trovai il modo di confinarla all’interno del Vuoto: Isabel era un’alchimista geniale e aveva scoperto che gli specchi hanno la capacità di contenere il potere del Vuoto. Insieme riuscimmo a imprigionare l’Eretica oltre uno specchio…ma lei trovò il modo di portare con sé anche mia moglie.»
Jim aprì la bocca, frastornato. «Sta dicendo che è ancora viva, quindi?»
«So che lo è.»
«Gli specchi» mormorò Jim. «Nell’ala ovest…non li usa solo per spostarsi, sta cercando un modo per entrare nel Vuoto.»
Blake spostò lo sguardo verso una delle finestre aperte, come rapito da un pensiero improvviso.
«Sono oggetti davvero affascinanti gli specchi» disse piano, negli occhi una strana luce. «Restituiscono un’immagine fedele di noi, un’immagine però in cui spesso non riusciamo a riconoscerci. Più oscura, se vogliamo. Ma possono fare molto altro: per esempio creano tra loro un ponte, che permette di attraversare il Tutto senza lasciare traccia di sé. Grazie all'attraversamento catottrico riesco ad essere praticamente invisibile agli occhi del Decanato, e negli anni ho accumulato abbastanza conoscenze da poter portare avanti i miei esperimenti in segreto, tessendo relazioni nel mercato nero dell’occulto, di cui maghi come Angeline Laveau fanno parte. Ma spingersi oltre i limiti fisici ha un prezzo: attraversare lo iato tra gli specchi significa annullare sé stessi, anche solo per pochi istanti. E a lungo andare è una pratica che ti consuma, che ti priva poco alla volta della tua essenza. Perciò ho dovuto prendere delle precauzioni.»
«Assumendo Materia Vuota» mormorò Jim, scioccato. «Si sta praticamente avvelenando!»
«Tutto è veleno» replicò lo stregone, citando Paracelso. «È la quantità che fa la differenza. Anni fa ho incontrato un mistico entrato nella corte dello zar di Russia, uno strano individuo che si era fatto così tanti nemici da temere di essere avvelenato da un giorno all’altro. Così iniziò ad assumere ogni mattina una piccola dose di cianuro, per immunizzarsi. E sopravvisse a ben più di un attentato, al punto da far nascere la leggenda che fosse immortale.»
«E lo era davvero?»
«No, alla fine gli hanno sparato. Ma non è questo il punto…»
«Lo so qual è il punto» disse Jim. «Lei userà lo Scambio Equivalente per riottenere sua moglie dal Vuoto…e in cambio vuole sacrificarsi!»
«Te l’ho detto» replicò lui, con fermezza. «Ho tutte le intenzioni di riottenere ciò che mi è stato portato via.»
«E il mio ruolo in tutto questo quale sarebbe?» s’infuriò Jim. «Cos’è, ha bisogno di qualcuno che le tenga la mano mentre va a suicidarsi?»
«Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a completare il rituale» disse Blake, guardandolo negli occhi. «Un mago che non soccomba al Vuoto e che faccia da catalizzatore. E quel qualcuno sei tu, Jim.»
Il ragazzo si pietrificò. «Cosa?»
«Tu sei ciò che in passato veniva definito un void shaper» spiegò lo stregone. «Plasmavuoto. Si tratta di maghi con una particolare affinità con l’antimateria. Nel Vecchio Mondo erano più diffusi, perché pare che sia un’abilità tipica dei Sanguemisto. Siete diventati più rari da quando Arcanta ha impedito che stregoni e Mancanti mescolassero il loro sangue: l’Eretica è una Plasmavuoto potente, così come lo furono Mordred Blackthorn e il mio antenato Merlino.»
Il cuore di Jim aveva ripreso a battere furiosamente, lo sentiva rimbombare come un tamburo nelle tempie. Provò a deglutire, ma la sua bocca era prosciugata. «Come fa a saperlo con certezza?»
«Lo hai percepito quella notte, nella palude» disse Blake. «Quando ti ho chiesto di entrare in contatto con la fonte del tuo potere: il Tutto ti ha parlato, ma non è stato il solo. Anche il Vuoto ha instaurato con te un legame. È nella tua natura, quella di essere diviso tra le forze fondamentali che reggono il mondo. Tra le due facce dello specchio. Per questo sei in grado di attraversarli con facilità.»
Jim si alzò di scatto e iniziò a misurare la stanza con passi veloci, avanti e indietro, incapace di stare fermo.
«Alycia non sa niente di tutto questo?» chiese con veemenza. Tremava dalla testa ai piedi. Era tutto così…così troppo da sopportare. «Del fatto che sua madre probabilmente è viva e imprigionata chissà dove e che suo padre sta morendo…?»
«Se sapesse cosa sto facendo cercherebbe di impedirmelo» rispose lui, con una tranquillità disarmante. «Anche a costo di farmi rinchiudere per sempre in una cella ad Arcanta. Ma non posso fermarmi, non adesso che sono così vicino…»
«Lei è pazzo!» esplose Jim, furioso. «Un fottuto pazzo masochista, e io non ho intenzione di farmi usare per questa cosa!»
«Non ho mai voluto usarti.»
«Non lo farò» affermò Jim. «Non può costringermi!»
«Hai ragione, non posso. Su questo punto sono stato chiaro fin dall’inizio.» Solomon incrociò ancora una volta i suoi occhi. «Ma sei la mia unica possibilità, Jim. Senza un Plasmavuoto che mi faccia da tramite non posso sperare di compiere lo Scambio. Sono diciassette anni che aspetto…che aspetto di poter rivedere Isabel.»
Una sottile incrinatura percorse la sua voce, facendola suonare diversa, insicura: non più quella autoritaria di un maestro che impone la sua volontà al discepolo. Ma una richiesta.
«Non vado fiero del modo in cui ho condotto la mia vita» concluse lo stregone. «Ma se esiste un modo di darle valore, è questo.»
In qualche modo, Jim riuscì a imporre alle sue gambe di fermarsi. Restò immobile al centro di quella strana stanza da scienziato pazzo, a fissare l’uomo di cui non aveva mai saputo nulla, e di cui più sapeva e più aveva paura. Il maestro a cui aveva giurato cieca obbedienza.
Per lui aveva messo da parte il suo mondo, il circo, i suoi amici…fino a farlo diventare il centro del suo universo. E adesso, gli stava chiedendo di troncare anche quel legame.
E la cosa peggiore era che in cuor suo Jim sapeva che aveva ragione. Che era la cosa giusta da fare. Che lui e Blake erano più simili di quanto volesse ammettere, perché anche Jim aveva passato la vita cercando di trovare un senso a quei poteri che non aveva chiesto di avere, che spesso lo spaventavano, e che gli avevano sempre portato dolore e solitudine…
«Vaffanculo» sputò fuori alla fine, passandosi le mani tra i capelli. «Che cosa vuole che faccia?»
  
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