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Autore: EllyPi    17/03/2022    0 recensioni
Dopo la morte del tiranno Galbatorix ognuno prese la sua strada, due donne sedevano sui loro troni, due cavalieri alla ricerca di qualcosa. Il destino a volte porta a risultati diversi da ogni speculazione e previsione. Come procederà la storia di Alagaesia dopo la pace?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nasuada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo l’assoluzione pubblica di Murtagh, la popolarità della giovane sovrana era lievemente diminuita, costringendola a vivere reclusa nella fortezza, costantemente sotto osservazione delle guardie, o di Murtagh quando era nella capitale. La cerimonia dell’unione reale aveva quietato gli animi nei nobili, ma non aveva avuto l’effetto sperato sulla popolazione rurale, anzi, nessuno era nemmeno minimamente contento del suo matrimonio, secondo le voci raccolte e riportate dalle mille orecchie di lady Elessari. Eppure, un anno era già passato dalla morte di Galbatorix e Nasuada si sarebbe aspettata di aver ottenuto molto di più nella ricostruzione di quel paese per quella data, ma invece era addirittura meno popolare dei primi mesi dopo la sua elezione, perciò le mura delle città di Alagaesia avevano ripreso a chiudere i cancelli la notte e i coprifuoco erano stati riapplicati per la sicurezza della popolazione, contro i manifestanti violenti. O peggio, il loro nemico sconosciuto che turbava i momenti di riflessione della regina.

Ciò che la faceva più arrabbiare, era la gioia che avevano riservato tutti alla notizia del matrimonio di Orrin. Persino sapere che lei lo avrebbe celebrato non li aveva scossi, come invece temeva. L’ex-re si era velatamente fatto beffa di lei, per la sua superbia che l’aveva portata a essere per la prima volta impopolare. Era riuscito a guardarla dall’alto in basso, lui un Protettore e lei una regina, qualche giorno prima di ripartire per Aberon. Ma ormai era troppo tardi per sposarlo, un uomo che non aveva mai perso il suo fascino agli occhi delle folle, e nulla se non i festeggiamenti diffusi in tutto il paese per la Liberazione, potevano risollevare l’opinione riguardo la regina nella popolazione. Eppure, non avrebbe saputo l’esito delle previsioni di Elessari, fino alla fine di quella giornata.

Murtagh si era svegliato sentendosi leggero, quella mattina, mentre Nasuada era più scontrosa che mai. Lui aveva aperto gli occhi al fruscio della sottoveste della regina, che stava cercando di svolgere il bozzolo che le si era creato intorno per colpa del sonno agitato. Le prese il polso, fermandola. “Buongiorno, Amore mio. Lascia che ti aiuti.”
Lei non rispose, se non con un sospiro stizzito - anche se lui riuscì a capire al volo che non fosse diretto a lui personalmente, o al suo comportamento - . Ridacchiò appena, mentre sfilava i piedi dalle lenzuola, l’unica cosa rimastavi sotto grazie al risvolto sotto il materasso, poi circondò la moglie con le braccia, sollevandole il busto di peso, per liberare il telo bianco.
“Notte tormentata?” , le chiese lasciandole un bacio mentre ancora era prigioniera del bozzolo, “Spero non sia stata colpa mia o di mio figlio.”
Lei scosse il capo, ancora senza sciogliersi dal suo mutismo.
Qualcuno bussò alla porta. Nasuada sfruttò l’occasione per liberarsi dalle braccia del marito, saltando fuori dal giaciglio e lasciandolo con il broncio scocciato sul volto. Corse alla porta, affacciandosi.
“Mia regina, volevo informarti che i preparativi per i festeggiamenti sono pronti in tutto il paese.” , disse la voce profonda di Jormundur.
Murtagh si alzò a sedere incuriosito, non essendosi mai recato il Consigliere in persona a informare la regina di qualcosa.
Si mosse silenziosamente per la stanza, andandosi ad accostare alla giovane dalla pelle d’ebano. Ricevette un breve sguardo torvo dall’uomo anziano, che non condivideva ancora il desiderio del Cavaliere di dormire ogni notte assieme alla regina, nonostante gli appartamenti reali prevedessero la stanza per il consorte come di consuetudine accanto al Talamo.
“Festeggiamenti?” , chiese il giovane.
“Sì, gli elfi ci hanno gentilmente concesso una sostanza che produce fuoco, scoperta dal loro illustre fabbro per sbaglio.”
“Perciò si accenderanno dei falò nel regno, per festeggiare la morte di Galbatorix?”
“No, ci saranno degli spettacoli di luci nel cielo, grazie alla sostanza elfica. Non ne so molto, immagino che dovremo attendere stasera per goderne.”
Murtagh sorrise radiosamente. “Sarà sicuramente una giornata memorabile in tutto il paese.”
A quelle parole, la regina s’irrigidì. Voltò i tacchi e si diresse nel suo guardaroba, chiamando le sue ancelle a gran voce.

Il Cavaliere guardò interrogativamente il Consigliere, chiedendogli silenziosamente la sua opinione.
“La nostra regina ha troppo a cuore i suoi sottoposti per accettare di non poter fare del bene per ogni singolo, perciò si comporta così. Anche quando doveva scontentare qualcuno al tempo dei Varden, si comportava come era richiesto logicamente, ma in privato poi si lasciava tormentare dal senso di colpa.”
“Come può credere di poter fare del bene a tutti?!” , esclamò Murtagh.
Jormundur avanzò di un passo, poggiandogli una mano sulla spalla. “Non è stupida, come ben sapete. Il suo punto debole è avere un cuore capace di ospitare ogni singola persona di questo paese.”
Il giovane sospirò. “Immagino che stiate per dirmi che il mio compito come marito è supportarla quando il suo cuore è ferito dal disappunto di non aver potuto accontentare tutti.”
Il Consigliere gli serbò un timidissimo sorriso, annuendo. “Avete lo stesso difetto, perciò ora andate da lei.”
“Io non-”
“Avete smorzato per molti anni la vostra capacità di amare, o meglio vi siete convinto di non volerlo più fare, ma la natura di un individuo non si può cambiare. Ho capito tutto questo del figlio di Morzan quando avete accompagnato Eragon da noi Varden, nonostante sapeste che sareste stato imprigionato anche solo per portare il nome di vostro padre. E anche se poi siete stato costretto a passare dalla parte del re, avete cercato di salvare la vita di Nasuada, di evitarle dolore fisico e mentale con la vostra alleanza. Siete rimasto per lei e per il principe quando i vostri occhi urlavano la paura di essere rimesso in gabbia.”
Il giovane abbassò il capo, sentendosi nudo, anche se almeno i calzoni li indossava. Si portò una mano al fianco, percependo la pelle di consistenza diversa rispetto a quella che ricopriva tutto il resto suo corpo, in corrispondenza della fine della cicatrice. Rabbrividì. “Se dunque abbiamo la stessa debolezza, come potrò aiutarla?”
“È difficile aiutarsi da soli, e vedere il problema in primo luogo. Dall’esterno è più facile, perciò anche se potenzialmente entrambi potreste commettere e ricommettere gli stessi errori, riuscirete a tenervi lontano da quel precipizio a vicenda. È quello che dovrai fare con lei oggi: mostrarle coloro che invece hanno avuto la vita migliore grazie all’instancabile lavoro della regina Nasuada.”
Murtagh annuì, poggiando la sua mano su quella dell’uomo. Si fissarono per lunghi momenti negli occhi, poi il giovane si voltò per prepararsi alla sua missione.
Chi avrebbe potuto utilizzare per una tale dimostrazione?

Si andò a lavare il torso e il volto, vestendosi da solo come al solito, con il suo miglior abito per quel giorno.
Chiese alla servitù dove fosse la regina, non avendola trovata nel suo guardaroba. Con sua fortuna, gli venne detto che stava attendendo la colazione nello studio.
La raggiunse con passo felpato, macchinando come avrebbe potuto migliorarle la giornata.

La giovane era seduta alla scrivania, senza carte di fronte a lei, intenta a fissare il vuoto mormorando qualcosa.
Dèi, la tensione la sta dilaniando…
La coscienza dell’enorme drago rosso di fece presente. Sono d’accordo con il Consigliere bipede: se la tua Compagna-di-Cova dovesse ammalarsi nella mente e poi di conseguenza nel corpo e doversi ritirare dal potere, ora che il vostro cucciolo non può ancora succederla e nemmeno tu per via delle nostre colpe, questa terra cadrebbe nel baratro.
Murtagh sospirò, facendolo così piano però da non essere udito dalla moglie. E cosa mi suggerisci di fare?
Il drago rosso fece una lunga pausa di riflessione, dando anche all’umano il tempo per pensare. Dovresti comprendere cosa, in cuor suo, la turbi di più.
Il moro roteò gli occhi tra sé. Non poter rendere la vita migliore a tutti i suoi sudditi, no?
Castigo fece una risata stizzita. Quella è la facciata, ma non sai cosa si nasconde dietro di quello di così grosso da poter destabilizzare una donna come Nasuada. Ha resistito alle torture mentali di Galbatorix quasi senza aiuto!
Murtagh spalancò gli occhi, colpito dalle parole del suo Compagno.
Si mosse di qualche passo, arrivando alla scrivania. La sua presenza si fece palese tutto fuorché dolcemente, perché sbattè lo stivale attorno a una gamba del mobile ligneo, producendo un gran tonfo. Nasuada alzò gli occhi, poi gli fece un cenno del capo.

“Non mi hai atteso per la colazione.” , iniziò lui.
La giovane assunse per qualche istante un’espressione dispiaciuta, ma un altro mostro più grande tornò a prendere tutta la sua attenzione: le sopracciglia della regina si unirono, formando piccole rughe nella pelle della fronte. “Sei ancora in tempo, non mi è ancora stata portata.” , gli disse comunque.
“Se non ti dispiace la mia presenza, gradirei consumare la colazione con la mia bellissima moglie.” , le disse dolcemente. Ma la giovane non era dell’umore giusto per usare questi toni frivoli. “Sono tutti i giorni al tuo fianco, non siamo due sposi che trascorrono solo qualche istante assieme. Questa notte hai dormito nel mio letto, se non sbaglio…”
Murtagh annuì, girando attorno al tavolo, per esserle dietro le spalle. “Sì, e non era certo questo il tuo umore… Ho sbagliato in qualcosa, o ho fatto qualcosa che non ti è piaciuto?”
“Stai facendo allusioni sessuali a una regina?” , le chiese atona. Un po’ quel tono spaventò il giovane, ma questo si sforzò di non vacillare davanti il malumore della moglie.
“Non mi permetterei mai, davanti a una fanciulla che ha ceduto la sua virtù solamente meno di un mese fa…” , scherzò. Nasuada emise un colpo di risata, guardandolo negli occhi, poi scosse il capo e prese un’altra pergamena. Si strofinò la nuca con una mano sottile e poca gentilezza, gemendo leggermente per il dolore.
Murtagh le mise una mano alla base del collo, massaggiandole la pelle scura sotto i capelli. “Vuoi dirmi per quale motivo, in questo giorno, mi stai evitando?” , le chiese facendo finta di non avere già precedentemente avuto degli indizi sul motivo del suo malumore, “Ti ho per caso offesa?”
La giovane scosse il capo con forza, con gli occhi lucidi dal dispiacere. “No! Non voglio che tu pensi questo…”
“E allora si può sapere il motivo del tuo turbamento?” , la punzecchiò.
Nasuada affondò il volto tra le mani, senza piangere tuttavia. Deglutì pesantemente, facendo una lunga pausa di silenzio. “Ho fallito per la seconda volta...” , disse con la voce ridotta a un cigolio, tanto che persino il marito ebbe difficoltà a udirla.
Murtagh le avvicinò il volto prontamente per guardarla negli occhi, cingendole le spalle con un braccio. “Quando mai tu avresti fallito?”
La sentì sospirare pesantemente. “Questo dovrebbe essere il momento in cui abbandoni l’ironia per consolarmi. Oppure, se tu non dovessi sapere come consolarmi ora, potresti usare il tuo fiato per aiutarmi a trovare una soluzione, piuttosto che dire cose così scontate.”
Il marito emise un ringhio basso, lievemente ferito dalle parole della donna. Ma capiva che non avesse intenzioni cattive nel proferirle, le erano probabilmente uscite di getto, perché le aveva internalizzate da bambina, e in quel momento doveva assolvere il compito datogli da Jormundur. No, dal suo ruolo di consorte. Le prese le mani, tirandole a forza via dal suo bellissimo volto, ma senza farle male. “No, ora voglio sapere quando ritieni di aver fallito, dannazione! Non conosco persona che possa vantare gesta più grandi delle tue...” , le disse duramente, fissandola negli occhi ambrati.
Ricevette uno sguardo d’odio in risposta, oltre a parole ancora più dure delle sue: “Eragon vanta più vittorie delle mie. Mentre io ero legata a una lastra di pietra in una cella a lordarmi il corpo con i miei stessi escrementi, lui ha ucciso Galbatorix assieme a te. E ora... non sono nemmeno riuscita a guadagnarmi la fiducia del mio popolo. Come posso pensare di governarlo, se le persone mi odiano?!”
Murtagh grugnì. “Nasuada, non azzardarti mai più a parlare in questo modo! Galbatorix era un uomo che governava un impero senza che nessuno gli fosse davvero fedele, compreso il sottoscritto! In un solo anno tu hai già migliorato molto la condizione delle persone, ma dall’alto del tuo castello non puoi vederlo!”
La porta di servizio dello studio si aprì, rivelando il capo biondo di Alfhild. Appena vide la regina e il marito con i volti a un palmo l’uno dall’altro, roteò sui suoi talloni, mormorando qualche scusa lasciata a metà per l’imbarazzo, finché Murtagh non le impedì di andarsene con prontezza, chiamandola perentoriamente per nome, anche se a lei non serbò alcuna durezza nel tono. La bionda si voltò, sistemandosi le mani giunte in grembo, come era costume per i servitori del castello posizionarsi, in attesa di ordini.
“Alfhild?” , la richiamò il Cavaliere.
“Sì?”
“Non eri qui per portare la colazione alla regina?”
La giovane impallidì, correndo alla porta e tirando all’interno un carrellino. Il giovane le andò vicino nel frattempo, prendendo il suo posto. “Lascia fare a me, è pesante.”
Lei arrossì per la galanteria del Cavaliere, seguendolo per almeno posare il vassoio di fronte alla ragazza dalla pelle d’ebano. Quando il profumo di pino della bionda inondò le narici dell’altra, Nasuada parve risvegliarsi dal suo stato catatonico dovuto al tormento.
Guardò la domestica con calore, posando le dita scure sul dorso della mano bianca. Imbarazzata, Alfhild la ritrasse, poi scusandosi con un inchino.
“Non devi preoccuparti, è colpa mia per averti toccato così repentinamente.” , la rassicurò la regina.
La giovane fece spallucce, chiedendo poi di congedarsi, trattenendo a stento uno sbadiglio.
“Ah, Alfhild?” , la chiamò ancora Murtagh, mentre usciva. Per la seconda volta, la bionda si voltò, in faccia stampata un’espressione molto confusa.
“Sì, milord?”
“Togliti il grembiule, prendi Samra e Roseia e recatevi dalla tua famiglia. Quest’oggi è la festa di tutto il paese, e tu come tutti gli altri inservienti che hanno ancora dei cari da cui tornare, dovreste essere esentati dall’obbligo di lavorare.”
“Ma, milord, se tutti si assenteranno dal castello, chi vi aiuterà? E le guardie, anche loro possono prendere congedo?” , protestò la giovane con sincera preoccupazione.
Murtagh sorrise caldamente. “I Falchineri rimarranno a proteggere la famiglia regnante, sta’ tranquilla che domani, al tuo ritorno, ritroverai ancora la tua buona regina ad aspettarti.”
Nasuada si unì al sorriso, rinforzando le parole del marito.
“Per il resto, sopravvivremo una giornata senza servitù: abbiamo sopportato la scomodità della vita da campo, in guerra, perciò siamo capaci persino di cucinare qualcosa da noi stessi. Ti ringrazio per quanto hai dimostrato di averci a cuore, ma anche tu hai diritto al riposo. Beh, in realtà dovresti riposare comunque di più, nella tua condizione.”
La giovane si passò le mani attorno alla sporgenza rotonda, con un sorriso. “Potrei effettivamente giovare di un giorno di riposo in più. Sia io sia Samra abbiamo lavorato molto più duramente da quando abbiamo appreso di questo piccolo, perciò un giorno di pausa non ci manderà in rovina.” , rifletté. Si voltò verso la regina, inchinandosi profondamente. “Miei lord, accetto la vostra magnanimità e andrò a festeggiare questo giorno con la mia famiglia, portando anche mio marito e nostra figlia con noi. Vi ringrazio.”
“No, siamo noi a ringraziare te per il tuo lavoro instancabile. E non potremo mai ripagarti abbastanza per aver adottato quella bambina. Ti ammiro molto, Alfhild.” , intervenne Nasuada, poi lasciando che la ragazza si congedasse.
Quando la bionda fu fuori, Murtagh si voltò con un sopracciglio alzato, verso la moglie. “Allora? Sei ancora sicura di essere un pessimo sovrano, un fallimento?”
“Sì.” , rispose velocemente Nasuada. Il marito sbiancò, ma la regina gli poggiò il capo su una spalla. “Ma ti ringrazio per avermi aperto gli occhi sul fatto che, per quante persone io non sia ancora riuscita a raggiungere, ci sono molte persone come quella ragazzina a cui io abbia toccato il cuore.”
Murtagh incrociò le sue dita con quelle di Nasuada, con un sorriso timido ma dolce sulle labbra, che non voleva andarsene. “Quando Samra è arrivato qui - mi ha svelato lui - , è rimasto stupito da quanto ti lodassero le persone di questa città, e i soldati all’esterno del castello. Ovviamente gli abitanti di Illirea sono i primi a beneficiare per vicinanza delle tue misure migliorative, ma pian piano le condizioni anche dei villaggi più estremi dei tuoi territori si risolleveranno, e sarai la regina più amata della storia del trono che occupi.”
La giovane sospirò. “Angela ha predetto questo per nostro figlio. Non posso pretendere, d’altronde, di rubargli questo primato. Una madre non dovrebbe provare invidia per la nomea del proprio figlio.”
Il marito ridacchiò un attimo, concedendosi una tregua da quel discorso serio. “Ciò che Angela ti ha detto la notte in cui è nato Ruaidhrì mi auguro si avveri, un giorno. Ma non potrà mai essere un re che saprà donare cento anni di prosperità e pace al nostro paese, se sua madre prima di lui non gli avrà lasciato un sentiero ben spianato, o un campo fertile su cui seminare il suo governo. Tu sei altrettanto importante, ed è giusto che provi a cambiare quanto più questo paese prima che sia il turno di nostro figlio farlo, anche provando rabbia e sconforto davanti alle difficoltà.”
Nasuada guardò il Cavaliere con accondiscendenza. “Mi sono illusa che sarebbe stato un percorso in discesa, dopo essere riuscita a liberare questo paese dalla tirannia. Credevo bastasse la mia buona volontà e la mia forza, ma non è stato così.”
“Io ho creduto che con la volontà sarei potuto per sempre rimanere libero dalle grinfie del Re Nero, ma non è stato così… Ci sono forze più grandi di noi che non possiamo controllare. E fa male sapere di essere impotenti ma, come durante la Liberazione, l’unione farà la forza contro i nostri nemici.”
“Galbatorix sembrava un nemico invincibile, eppure alla fine è morto! Se queste persone sono suoi seguaci, organizzati da lui prima di morire, potremmo ritrovarci come topi in trappola, soccombere e far ricadere di nuovo tutto nel caos…” , rifletté con timore la regina.
Il giovane le poggiò il mento sul capo, stringendola più forte a sé. “Non potremo mai vivere senza questa paura. Ma possiamo lottare, dobbiamo farlo. Tu sei stata la mia forza per ricominciare a reagire alle brutture della tirannia di Galbatorix, ora voglio esserlo per te.”
La giovane si rivoltò verso di lui in uno scatto, rompendo l’abbraccio. Lo guardò con emozione negli occhi, poi lo abbracciò di nuovo, più strettamente. “È davvero importante sapere di avere una colonna a cui poggiarsi! Per tutta la vita ho avuto mio padre, mi sono fatta forza con la sua forza; poi è mancato e ho dovuto alimentare da sola questa forza. Questa nuova posizione mi sta destabilizzando ogni giorno di più, ed è rincuorante sapere di non dover essere la mia e la tua forza assieme.”
Murtagh grugnì leggermente in dissenso. “Non è che uno deve essere la forza per sé e il proprio sposo, capisci… siamo uniti per essere una forza unica e bilaterale. Oggi, come sempre, io servirò a tirarti fuori dai tuoi turbinii di pensieri bui.” , la circondò a sua volta con le braccia forti, “Ma mi sembra di averti già - direttamente o indirettamente - esposto questo concetto…”
“Un matrimonio è pazienza, Cavaliere.” , gli ricordò con una risatina.
“Dunque sarò la tua colonna, il tuo scudo e la tua spada e avrò pazienza, moglie cara. Ah, e sarò la spugna per i tuoi timori, i malumori, la preoccupazione; di modo che tu possa essere la regina decisa e impavida di cui questo paese ha bisogno.”
“Questa conversazione è stata migliore dei nostri voti nuziali. Che vergogna.” , scherzò fingendosi preoccupata.
Il Cavaliere annuì, sospingendola in piedi. “Ora, al lavoro, mia regina! Questo paese non migliorerà da solo.” , la spronò.
La giovane si sistemò il vestito, poi si sedette alla scrivania, finendo velocemente il cibo che aveva lasciato, per tornare alla sua mappa e alle sue pergamene. Prese il modellino di un cavaliere con due soldati ai piedi della cavalcatura - rappresentanti i loro nemici - e li nascose dietro il calamaio, lontano dai suoi pensieri. Murtagh prese il vassoio lasciato dalla giovane Alfhild, sparecchiando ciotole e posate e congedandosi per riportare tutto nelle cucine.

Di ritorno trovò Farica intenta a dare ordini a due giovani garzoni intenti ad appendere grandi festoni vegetali e floreali. Lo fermò prendendolo per l’avambraccio. “Se non siete con lei deduco si sia un poco rincuorata.”
Il giovane espirò. “È stato un lungo discorso, ma alla fine è arrivata a patti con il fatto di poter essere una buona regina anche con dei problemi sul suo territorio. Nei Varden erano davvero tutti così d’accordo da non arrivare mai a destabilizzarla?”
La donna diede l’ultimo ordine, poi lo prese a braccetto, guidandolo verso il porticato. “No, le trame per il potere e i disaccordi v’erano anche all’epoca, ma la nomina a regina e credo anche la maternità l’hanno lievemente destabilizzata.”
“Come è normale.”
“Come è normale.” , disse d’accordo la dama da compagnia, “Stavolta però ha un nuovo alleato, in cui io e mio marito riponiamo tutta la nostra fiducia perché possa aiutarci a sostenerla, in un modo in cui due genitori non potranno mai fare.”
Il Cavaliere comprese l’importanza del suo ruolo di innamorato ancora di più. “Potete essere certi che non l’abbandonerò mai.”
Farica gli sorrise, lasciandogli il gomito.
Il giovane la salutò con un baciamano, dirigendosi poi verso il proprio figlio. Lo prese con sé dalle braccia della balia e si spostò dal suo Compagno.

Osservarono, i tre assieme, la vitalità del castello per le decorazioni e i festeggiamenti di quel giorno importante per tutti, e al Cavaliere ancora sembrava surreale che la regina potesse non accorgersi del suo ruolo fondamentale ora per la vita pacifica di Alagaesia.
Quando il piccolo ebbe fame, lo riportò nelle stanze reali, dove venne nutrito e messo a riposare, dando così tempo al Cavaliere di librarsi sul dorso della Montagna Rossa, sulla città e verso le campagne.

Si riposò al sole, poi tornò indietro quando udì in lontananza le trombe che annunciavano l’arrivo della regina degli elfi. Nel tempo che impiegò ad arrivare nella fortezza, anche il re dei nani e il Capo degli Urgali erano giunti alla corte per i festeggiamenti. Il Kull era visibilmente a disagio in quel luogo, visto che si guardò intorno con circospezione fino a incontrare la figura della regina Arya, da cui non distolse più lo sguardo per tutta la serata che seguì.
Vi fu una cena, a cui Murtagh partecipò mantenendosi quanto più in disparte, o solo intrattenendo quelle poche conversazioni con i nobili o i regnanti di altri popoli che lo interpellarono. Arya fu rapita - e, con sfortuna del padre, rapì a sua volta - per tutto il tempo il neonato rampollo umano, lasciando Nasuada al centro di nugoli di persone che vollero complimentarsi e parlare con lei. Murtagh la vide serena, come se il dispiacere che aveva provato quella mattina non l’avesse mai sopraffatta a tal ammontare.

Vennero portate numerose casse dal popolo elfico, contenenti oggetti sconosciuti ai più, probabilmente gli strumenti con cui avrebbero realizzato lo spettacolo luminoso promesso.
Il Kull fissò gli scrigni con avidità inizialmente, poi con uno strano sguardo deluso. Arrivò anche a chiedere al Cavaliere Rosso in persona se potesse mostrargli le uova di drago che sapeva custodisse nel castello, ma proprio in quel momento vennero richiamati tutti sui terrazzi che si aprivano dalla sala da festa per lo spettacolo.
La regina dalla pelle scura si affiancò al marito con delicatezza, lasciando che lui la guidasse all’esterno su un terrazzo in v’erano da soli, e attesero al chiaro di luna.

Al primo scoppio rumoroso, Nasuada sussultò spaventata, premendosi una mano delicata sul cuore. “Diamine, sembrava un colpo di cannone!” , imprecò a denti stretti.
Murtagh ridacchiò, spostando una mano sulla parte bassa della schiena della donna, coperta dallo stupendo abito, proprio mentre le prime scintille si libravano nel cielo. “È sempre polvere da sparo, vostra Grazia regina Salvatrice.” , confermò dietro le loro spalle l’emissario elfico.
Entrambi gli sposi attesero ed esclamarono stupiti, poi guardandosi per un istante negli occhi. Il Cavaliere si piegò in avanti, dando un bacio sulle labbra carnose della moglie, noncurante dell’osservatore. “Tutto questo è grazie a te. Non è mai stato festeggiato nulla sotto il dominio di Galbatorix.” , le mormorò.
In quell’istante, Castigo sfrecciò in alto da sotto la sua copertura, per volare dall’alto quello spettacolo nuovo anche per lui. In realtà, soprattutto per lui che, a parte Finiarel, era il più giovane essere di quella variopinta famigliola. L’elfo benedì l’animale magico nella sua lingua, e poi di nuovo assicurò parole lusinghiere alla regina.
Seppure dall’alto del castello, riuscirono comunque a udire un’esclamazione provenire dalle persone riunite nelle piazze della grande città. Nasuada sorrise appena, cercando la mano del marito.
“Voglio che per loro ci siano molti altri momenti di celebrazione, in futuro. I miei sudditi meritano di essere felici, perché senza di loro non sarò mai nulla...”
Murtagh annuì contento, piegando il capo per poggiarlo su quello della moglie, accorgendosi però che lei stava sgattaiolando via. “Ehi, dove vai di tutta fretta?!” , le urlò, la voce coperta in parte dagli scoppi di quella polvere scoperta dagli elfi.
“A lavorare per la mia gente. Voglio presentare loro al più presto una misura capace di migliorare la vita a molte persone.”
“Oh, e di che cosa si tratta?” , riuscì a chiederle nel silenzio tra uno scoppio e l’altro.
“Non lo so ancora, per quello dovrò lavorare giorno e notte. Non attendermi sveglio...” , terminò con un sorriso radioso in volto.

Il Cavaliere sospirò, tornando a voltarsi verso la balaustra di pietra.
Cercò di godersi lo spettacolo, ma l’assenza di Nasuada gli aveva rovinato abbastanza l’umore. Decise di spostarsi nello studio per dedicarsi ai suoi doveri anch’egli, passando prima da Maeve a riprendersi il principe.

Quella sera Murtagh contattò perciò Eragon come le sere precedenti, per le lezioni sulla cultura nanica, nonostante all’esterno dopo la fine dello spettacolo, canti e ballate si levassero da ogni angolo della città. Lo attese davanti allo specchio con il piccolo Finiarel tra le braccia, come la prima sera in cui si erano dati appuntamento, proprio il giorno dopo la Ricelebrazione. Non era stato per lui il momento migliore per incominciare le lezioni, avendo avuto Eragon per lui in serbo un letterale bombardamento di domande - come era tipico del suo carattere curioso e sempre entusiasta - .

Finiarel Ruaidhrì emise un gridolino tra le braccia del genitore, mettendosi un pugno interamente nella bocca rosa e sempre resa luminosa dalla saliva che ne bagnava l’entrata.
“Stai per sentire la voce di tuo zio - mio fratello - , piccolo. Se questa sera puoi essere accoccolato tra le mie braccia è solo grazie a lui. È stato Eragon, in un certo senso, a farci incontrare. E - si può affermare con certezza - è sempre grazie a lui se io ho incontrato tua madre.” , gli spiegò pazientemente, mentre il neonato era focalizzato sull’arduo compito di mangiarsi da solo.
Il Cavaliere rosso sbuffò, fingendosi contrariato per lo scarso interesse del figlio, per poi avvicinarsi al suo artefatto magico. Vi tolse il drappo rosso che lo copriva, osservando per qualche istante la superficie, vedendo sparire la sua immagine assieme al bambino, che quella volta con grandi occhi azzurro-ghiaccio osservò il processo rapito.
Il fratello si palesò nello specchio, già con un sorriso sul volto. Probabilmente stava aspettando il contatto del maggiore, visto che sedeva appoggiato alla scrivania, le braccia incrociate al petto per evitare di torturarsi le unghie.
“Eccolo, il novello sposo! Congratulazioni, fratellone.” , lo salutò con un tono gioviale.
“Ti ringrazio.” , Murtagh arrossì leggermente, abbassando lo sguardo, “Perdonami se ieri sera non ho potuto contattarti, Eragon.”
Il fratello scosse il capo. “Mi avevi avvertito, e sono consapevole che avessi dei doveri da assolvere.”
Anche Eragon arrossì subito dopo, rendendosi conto di cosa avesse implicato nelle sue parole. “Ti prego di scusarmi, io...”
“No, è tutto a posto. Nulla più mi farà imbarazzare, dopo la notte scorsa.”
Il minore si morse un labbro, dispiaciuto. “Almeno ora sei ufficialmente sposato con la donna che ami.”
Murtagh annuì con un grande sorriso, poi alzando un po’ le braccia, mostrando il figlio, spostando l’argomento, nel frattempo, su uno più gioioso.
Eragon fece un versetto strozzato ma al contempo acuto, esclamando tutto il suo stupore. “Murtagh è bellissimo, e ti assomiglia così tanto!”
Il maggiore fece un sorrisetto, con aria colpevole. “Nasuada non fa che incolparmi di questa cosa, ripetendomi le tue stesse parole.”
“In effetti dopo averlo messo al mondo, deve essere lievemente frustrante per una madre non riconoscersi nel proprio figlio.”
Murtagh si morse il labbro. “Immagino allora che nostra madre guarderebbe te con occhi più soddisfatti, visto che le assomiglieresti, se fosse viva.”
“Tu... te la ricordi abbastanza da dirmi che le assomiglio?”
Il maggiore esitò un attimo, prendendo a sfiorare il figlio con l’indice, cercando di tranquillizzarsi. “No, in realtà. Ma ricordo i suoi capelli, e che i suoi occhi erano castani e caldi. Selena era tutto l’opposto di Morzan con me, e con te provo le stesse sensazioni di quando lei era con me: e siccome di tutto ciò che è stato mio padre tu sei il contrario, perciò sì, le assomigli, direi...”
“Beh, mi sembra anche ovvio, non essendo figlio di Morzan...”
“Però, fratellino, ciò che voglio dirti è che assomigli a nostra madre quasi più che a tuo padre.” , commentò timidamente Murtagh, con timore di risvegliare il dolore in Eragon, nominandogli Brom.
“Immagino tu possa dirlo, avendolo conosciuto.”
“Per poco, purtroppo.”
“Sì, è così. Sono fiero di essere suo fi-”
Gli occhi castani dell’umano dall’aspetto di elfo scattarono in quelli del fratello, attraverso lo specchio. Quella volta era lui a temere di aver risvegliato in Murtagh un dolore forte.
Ma il maggiore guardò il figlio, con occhi dolci. “Mi auguro che un giorno lui possa essere fiero di me. So che è improbabile, ma poter stringere mio figlio - un letterale futuro -  tra le braccia, mi spinge a essere positivo, o per lo meno speranzoso.”
“Io sono fiero dell’uomo che sei ora, fratello.”
Murtagh sospirò. “Chi sono io, ora?” , chiese laconicamente.
“Permetti che lo scopra anche io? Ho qualche domanda per te, che non ho ancora potuto farti dal tuo ritorno. O meglio, dalla Liberazione.”
“Allora mi auspico che servano anche a me per schiarirmi le idee, perché è sempre stato impossibile schivare la tua raffica di domande, fratellino.”
Risero brevemente assieme, disturbando appena il sonno del principe.

Ma alla fine, dopo che Murtagh ebbe pazientemente risposto a ognuna, arrossendo involontariamente - anche se le non tutte le domande vertevano strettamente sul matrimonio - , avevano iniziato con le basi della cultura dei nani, stemperando pian piano l’imbarazzo del maggiore, che a metà lezione era nuovamente lucido e focalizzato sulle nozioni. Aveva fatto lui stesso molte domande, lasciando ogni volta Eragon con un sopracciglio alzato, nella scoperta che anche Murtagh gli assomigliava - in fondo - sotto quell’aspetto. Avevano già intravisto questo legame caratteriale durante il loro viaggio, ma non lo avevano potuto approfondire per l’arrivo ai Varden, e l’imprigionamento del figlio di Morzan.
“Murtagh?!” , lo salutò sorpreso il Capo dell’Ordine. Al contatto, nello specchio era apparso l’elfo dalla pelliccia blu, che era subito andato a chiamare Eragon, come da richiesto dal Cavaliere rosso.
“Buona sera, fratellino. Spero di non averti disturbato nei festeggiamenti.”
Eragon si grattò la nuca, con movimenti lenti e leggermente impacciati. Doveva aver bevuto, anche se non era completamente ubriaco. Murtagh ridacchiò.
“No, no, fratello! Non avendo idea di come festeggiare la vittoria di un anno fa - diamine, è già trascorso un anno! - , siccome sono inoltre qui e solo con alcuni elfi, abbiamo solo condiviso un poco del loro liquore. Ma non abbiamo certo indetto una festa in grande, come puoi immaginare!” , rispose con il tono di un bambino colto in flagrante dal genitore, che cerca di scusarsi.
“Avresti avuto tutti i motivi per voler festeggiare la tua più grande vittoria, fratellino, non devi vergognarti di aver messo da parte per un attimo il tuo ruolo di Capo. In fondo, non abbiamo ancora Cavalieri da addestrare, perciò potrai dormire sonni tranquilli che né io né Arya ci metteremo in ridicolo.”
“Già, anche tu non sai davvero come festeggiare... Stai lavorando anche stasera, quando dovresti celebrare il giorno in cui hai riguadagnato la libertà.” , lo rimproverò Eragon, suonando davvero poco credibile. Murtagh fece un sorriso timido.
“Ogni giorno vissuto liberamente è un’ode alla libertà. Non mi serve un giorno preciso. Le celebrazioni sono più mirate al popolo, per dimostrare loro che la regina che li governa non li tiene per le redini come faceva Galbatorix.”
“Parole veritiere, le tue.” , disse sospirando, mettendosi a sedere alla sua scrivania. “Perciò, stasera, di cosa vorresti sentirmi parlare?”
“Dato che siamo in tema... forse dei costumi celebrativi dei nani?”
“Mettiti comodo, allora, hanno parecchie feste e tradizioni a riguardo.” , lo avvertì sarcasticamente il castano, poi sfoggiando un caldo sorriso fraterno, che voleva ringraziare il maggiore del tempo trascorso assieme, anche se a distanza. Ogni loro incontro, d’altronde durava sempre più del tempo necessario alla trasmissione delle nozioni. Eragon si soffermava sempre a fargli domande sulla vita in Alagaesia, con gli occhi incupiti dalla nostalgia, e Murtagh rispondeva con calma, anche se sapeva di rubare tempo che avrebbe potuto trascorrere con Nasuada o il loro bambino, quando non lo portava con sé al cospetto dello specchio. Ma Eragon era suo fratello, anche lui parte della sua famiglia, e non sarebbe riuscito a metterlo in secondo piano nemmeno con un impeto di forza di volontà.


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Angolo dell'autrice: come il titolo del capitolo, eccomi qui con un nuovo pezzo di questa storia, dopo una marea di tempo dall'ultimo aggiornamento. Mi scuso per questo, e rinnovo l'impegno di portare a termine questa storia (perché comunque, a parte capitoli "difficili da scrivere" come questi, la storia ha già un capitolo finale e tutta la parte centrale, salvo appunto qualche ostacolo che funge da ponte tra poter continuare a postare e fermarmi, assieme ovviamente alla vita fuori da questa piattaforma che è sempre imprevista e frenetica).
Ditemi cosa ne pensate di questo capitolo infinito, e con la narrazione che salta indietro e poi di nuovo nel presente come mi piace fare e farò ancora nei capitoli, in futuro.

A presto, 

EllyPi
  
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