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Autore: MauraLCohen    19/03/2022    0 recensioni
Se Kirsten e Sandy non si fossero mai incontrati nei loro anni del college, ora non ci sarebbero Seth, Ryan e Sophie Rose; ma siamo proprio sicuri che se non si fossero incontrarti allora non lo avrebbero, poi, più fatto?
Ebbene, queste cose non ditele neanche per scherzo, perché ci sono io con le mie storie da Le mille e una notte pronta a raccontarvi ogni possibile modo in cui l’incontro tra Sandy e Kirsten sarebbe potuto avvenire.
Questo è un primo tentativo.
A Berkeley, vent’anni dopo. Entrambi un po’ persi, nostalgici, certi di essersi persi qualcosa in viaggio.
Basta una libreria, la pioggia e il libro giusto. Il destino farà resto.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen
Note: AU, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Seguimi lettore! Chi ha detto che non c'è al mondo un amore vero, fedele, eterno?
Gli taglino la lingua malefica a quel bugiardo!
Seguimi lettore e io ti mostrerò
un simile amore!

- Michail Bulgakov 



 

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Quello strano incontro in libreria 

 


Prologo 

In cerca di ricordi da cancellare 



 

Quella mattina Kirsten si era alzata con l’irrefrenabile voglia di fare un giro per le vie nascoste del centro città. Si trovava a Berkeley per questioni di lavoro, anche se si era ripromessa, da ragazza, che un giorno ci sarebbe tornata per riprendere la sua vita da dove l’aveva interrotta.
Quella, per lei, era sempre stata casa, anche dopo che l’aveva abbandonata per prendersi cura del dolore del padre e di quello che, silenziosamente, si portava dentro da quando sua madre era morta. Quel dolore che cullava come fosse il ricordo più vivo donatole dalla vita, ma di cui non aveva il coraggio di parlare ad alta voce. 

“Lo sento e sento lei” si era detta un giorno, guardando allo specchio quegli occhi infossati che non riconosceva più. Le era rimasto solo quello di lei, di sua madre: il dolore. Non c’era stata quando Rose scoprì di essersi ammalata, lei non aveva voluto che Caleb rivelasse nulla nemmeno quando arrivò il momento della chemio. Kirsten scoprì tutto quando i capelli di sua madre si erano persi, quando un fazzoletto li sostituiva e lei era stroppo stanca per poterne parlare. Non aveva potuto starle vicino come avrebbe voluto, vivere quegli ultimi mesi al suo fianco e, a modo proprio, proteggerla come avrebbe meritato. Si malediva per non essersi resa conto di nulla e al tempo stesso odiava Rose per averla voluta proteggere da quel dolore. 

“Lo avrei voluto vivere, allora” aveva detto, un giorno, sputando tutto ciò che sentiva dentro contro Caleb. “Avrei voluto poterle stare accanto, non piangerla ora che è tardi.” 

Quel dolore. Quello che le abbracciava il cuore era tutto ciò che le era rimasto di Rose. Di quell’ultimo maledetto anno che gliela aveva portata via. Non aveva avuto il permesso di viverlo ed ora lo custodiva, perché nessuno glielo portasse via. 

Erano trascorsi dieci anni da quel giorno. Dieci anni a quella mattina. 

E lei - Kirsten - si trovava esattamente nello stesso luogo dove aveva scoperto che sua madre era morta. 

Ma quella mattina non avrebbe preso un aereo, non sarebbe corsa a casa pregando che fosse tutto un orribile scherzo. Quel giorno si era svegliata consapevole, rassegnata all’idea che anche se avesse telefonato a casa, non avrebbe trovato la sua mamma a risponderle. Non l’aveva più trovata in dieci lunghi anni. Così aveva deciso di celebrarla nell’unico modo che entrambe conoscevano, rifugiandosi in luoghi antichi, pieni di storie diverse e segreti che nessuno avrebbe mai potuto conoscere. Era stata proprio Rose ad insegnarle il fascino dell’Arte, della Letteratura e della Storia; le aveva insegnato a guardare col cuore attraverso i mattoni di una vecchia casa o dietro alle tele dei quadri; le aveva dato la chiave per fuggire dalla realtà e al tempo stesso assaporarne l’essenza immortale, la stessa che sentiva permeare la vita quando si ritrovava a passeggiare per le vie senza tempo di una città antica sotto il cielo grigio di dicembre. 

E fu così che Kirsten si ritrovò stretta nel suo cappotto lungo color crema e con la sciarpa rossa ben avvolta attorno al suo collo a passeggiare per le vie più internet di Berkeley. Girò un angolo di mattoni, una vecchia donnina ricurva su se stessa raccoglieva dei mazzi di fiori dai vasi per un uomo che, a giudicare dallo sguardo attento, aveva qualcuno di molto speciale a cui regalarli. Continuò a camminare, l’aria era frizzante, forse avrebbe piovuto e come al solito lei si era scordata l’ombrello. S’infilò in un vicolo animato solo da una vecchia caffetteria: due tavolini ne costeggiavano l’ingresso e una coppia di giovani ragazzi usciva: lui teneva la porta per lei, mentre la guardava sorridere con due baffi di schiuma calda sopra le labbra. 

L’amore

Che sapore meraviglioso aveva a quell’età. 

Sarebbe voluta entrare anche lei dentro quella caffetteria, ma non sapeva che ordinare. Era sempre troppo indecisa per scegliere ciò che voleva, così evitava di farlo quando c’era qualcuno a scandire il tempo. 

Continuò la sua passeggiata: entrò in mezzo alla folla, si fece strada facendosi piccola piccola, poi ne uscì, svoltò un angolo, si guardò attorno. Chissà quanti prima di lei fecero la stessa cosa; chissà come e in che epoca. Che fascino immenso aveva la Storia che nessuno conosceva. 
Guardò il cielo: una striscia grigia tra due muri di pietra. Due gocce le bagnarono il viso. Poi una terza. E una quarta. 
In breve, iniziò a piovere e lei fu costretta a correre sotto l’acqua che scrosciava per potersi riparare in una vecchia libreria che odorava d’antico - di vecchio, avrebbe detto qualcun’altra. Era piccola come un buco, cupa per il mobilio in legno d’acero e le pareti vinaccia. Davanti a lei tre scaffali dividevano lo spazio e qualche pila di libri stava abbandonata ai lati, vicino al bancone e per agli angoli delle quattro mura. 
Lei era fradicia come dopo la doccia, qualche ciocca di capelli appiccicata al viso. Si guardò riflessa in un vecchio specchio che stava lì a un lato: sembravano figlie dello stesso tempo, lei e quella libreria. Così non si sentì troppo a disagio quando prese a passeggiare per gli scaffali, toccando le copertine di libri ingialliti, libri usati, che avevano una loro storia da raccontare, diversa da quella che racchiudevano tra le pagine. 
Qualcuno di essi aveva dediche a donne sconosciute, a parenti con nomi ignoti, a volti che lei si sforzava di immaginare. Ne scorse qualcuno per cercare un titolo che la incuriosisse. 
Un vecchio libro  attirò la sua attenzione. Aveva la copertina nera come la pece, qualche pagina gialla e irrigidita. Lo volse dall’altra parte per leggerne il titolo, anche se lo conosceva già. Il Maestro e Margherita. 
Era il suo preferito, come lo era stato di Rose. 
Lo lessero insieme infinite volte: su un divano davanti al fuoco, nelle sere che passavano in veranda e persino quando, dopo essersi prese cure dei fiori nella serra, si accucciavano da una parte per rilassarsi. 
Era il libro giusto per quella giornata. Così decise di acquistarlo, ma quando alzò lo sguardo si rese conto che davanti a lei c’era un uomo poco più grande di lui: coperto da un giubbotto elegantissimo e i capelli ben pettinati. Le sorrideva, ma con uno sguardo penetrante. 

“Mi scusi” disse lei, rendendosi conto che l’uomo aveva la mano sul libro, proprio come lei. 
Deglutì a fatica guardandolo negli occhi. 

“Mi scusi lei, lo ha preso prima, ma non ho resistito” rispose l’uomo, rivolgendole un sorriso più ampio,  caldo, e forse un po’ colpevole. 

“Lo prenda, la prego. Lo ha visto per prima, io troverò qualcos’altro.” 

Kirsten scosse il capo. “Lo possiedo già. Almeno in altre tre versioni.” Sorrise anche lei, abbassando lo sguardo. “È il mio preferito.” 

“Allora ha un motivo in più di me per volerlo. La prego, insisto.” 

Ma lei non lo prese. Lo convinse che non era importante per lei comprarne un’altra copia.
Mentiva, spudoratamente, ma non voleva privare quello sconosciuto di un libro che lei, probabilmente, avrebbe solo sfogliato per cercare la madre tra quelle pagine e - una volta resasi conto che l’avrebbe trovata, spaventata da quel dolore che prendeva forma, da quell’assenza che si faceva vivida - lo avrebbe richiuso e lasciato in quella camera d’albergo. 

Così non comprò nulla, guardò di nascosto da dietro uno scaffale impolverato l’uomo che dava qualche dollaro al vecchietto dietro al banco e attese che lui uscisse per poter uscire anche lei. 

Non si rese conto, però, che quell’uomo non se n’era mai andato. L’aveva attesa fuori dal negozio, con il  libro dentro ad una busta di carta beige e quel suo sorriso accogliente. 

“Sa?” le disse l’uomo, porgendole la busta. “Lei non è brava a dire le bugie. Buon Natale.”



 

Note dell’autrice 

 

Non so ancora niente, nemmeno come mi chiamo. 
Questa doveva essere una semplice One Shot, invece si è trasformata in una long. 
Quindi andiamo all’avventura e vediamo dove ci porta. 
Cercherò di aggiornare ogni domenica, ma sapete di chi stiamo parlando, quindi non garantisco nemmeno che pubblicherò questo, di capitolo. xD
Au revoir,
M. 

   
 
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