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Autore: Isobel Connis    20/03/2022    1 recensioni
«Devo portarti via di qua» mormorai più a me stesso che a lui «Puoi camminare?»
Di nuovo lo stesso sguardo.
Recht, non mi capiva.
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Easter Advent Calendar 2022
 
Fandom – Original
Personaggi – Edward O'Brien -Thomas Heiderich
Parole – 2258
Partecipa (sotto altra forma) all'Easter Advent Calendar 2022 del gruppo Facebook Hurt/Confort Italia FanArt e FanFiction NUOVO GRUPPO
Immagine – archivio storico
Prompt – 57, X e Y parlano due lingue diverse e devono capire come comunicare
Uovo di Pasqua –
“Troveremo un modo”
Provenienza
 
 
 
 
 
Monaco di Baviera WWI
 
L’ho incontrato un anno fa.
È successo una notte, i primi giorni di ottobre, il tre per l’esattezza e pioveva, pioveva come se non avesse voluto più smettere
Molti dei nostri soccorritori erano fuori in ricognizione, l’esplosione era stata devastante, ed i danni ingenti. Potevi sentire le grida strazianti dei feriti provenire dalle tende adibite ad ospedali da campo, l’odore acre del sudore, del sangue e della polvere mischiarsi insieme in modo nauseante.
Quando il mio cambio è arrivato ero davvero sollevato e mi sono allontanato immediatamente dalla zona, ignorando le proteste di mio padre sul restare a dare conforto.
Quale conforto puoi davvero dare a qualcuno che sta morendo tra atroci dolori implorando il perdono di un Dio a cui nemmeno credi?
Non ero neanche un vero medico, ero un semplice studente di ingegneria che sognava di costruire il primo razzo in grado di volare nello spazio, ma in tempi difficili come quello, provati dalla Grande Guerra e a corto di personale, con la minaccia imminente del nemico, beh, ci si attrezza come meglio si può.
L’accampamento era stato stanziato a circa 18 km a sud del centro cittadino, in prossimità della Grünwalder Forst.
Una facile via di fuga, così l’aveva definito l’incaricato del campo.
Io mi ero trattenuto dal rispondere.
Mi appoggiai pesantemente ad una vecchia quercia fissando le nuvole grigie e cariche di pioggia sopra di me.
Otto giorni di pioggia e nessun accenno a smettere.
Nell’ultimo attacco avevamo perso molti uomini ed i pochi superstiti che avevamo o erano stati così fortunati da scampare e fuggire verso la città o così disgraziati da patire ogni secondo delle loro ultime esistenze in preda a dolori allucinanti e deliri portati dall’imminente morte.
Un rumore alla mia destra mi fece sussultare, automaticamente la mia mano andò a cercare la Luger P08 che l’esercito aveva fornito.
Odiavo quella dannata pistola e il peso che essa portava.
Ma in guerra, o uccidi, o vieni ucciso, Rechts?
«Chi va là!» ringhiai con tutto il coraggio di cui disponevo «Identificati!»
Nessuna risposta.
Mosso da una forza che ignoravo di avere avanzai tra gli alberi spogli ed i cespugli dirigendomi verso la fonte del rumore, sperando, in cuor mio, che si trattasse solo di uno stupido scoiattolo.
Di nuovo un rumore.
«Vieni fuori con le mani alzate!» intimai caricando il colpo in canna, pronto ad un qualsiasi tipo di attacco da parte del nemico.
Il cuore mi batteva a mille, le mie tempie pulsavano quasi dolorosamente per la tensione. Ero così concentrato su quello che sarebbe potuto accadermi che non sentivo neanche più la pioggia colpirmi ed il freddo entrarmi nelle ossa.
Il nostro corpo, quando ha paura, diventa davvero stupido.
Arrivai ad un cespuglio piuttosto voluminoso, alto quasi a sfiorarmi il petto e accostato, ma non troppo, ad una parete rocciosa, un nascondiglio perfetto.
Facendo un respiro profondo, stringendo ulteriormente la presa alla mia pistola, scostai le fronde del grosso arbusto, puntando l’arma contro la figura rannicchiata a terra di una ragazzina avvolta in lungo cappotto rosso.
«Ehi…» la chiamai piano quando la vidi sussultare e subito un paio di grandi e dorati si spostarono nella mia direzione. Un misto di sgomento, paura e confusione.
In un primo momento mi era parsa essere una ragazza, ma ho dovuto ricredermi.
Quello sguardo e quei lineamenti, seppur delicati e ancora fanciulleschi, appartenevano sicuramente ad un ragazzo, quindici o sedici anni, anche se la sua stazza suggeriva di meno.
Si sporse nella mia direzione ed i suoi occhi si fecero dolorosamente liquidi. Chinando lo sguardo ai suoi piedi tornò a stringersi il braccio destro, scuotendo appena la testa, mormorando qualcosa di simile ad un “bhràthair” strozzato.
«Sei un alleato?» chiesi abbassando l’arma.
«Da dove vieni? Sei inglese?» chiese accucciandosi alla sua altezza, ricevendo in risposta un sospiro.
La mia era sicuramente una mossa da incosciente, lo sapevo bene, ma quel ragazzo, al momento mi sembrava tutto tranne una minaccia.
Bizzarro? sì. Spaventato? Certamente. Ferito? Molto, in modo che comprendevo quella volta e continua ad ignorare tutt’oggi.
Il ragazzo sollevò lo sguardo scrutandomi con attenzione come se stesse valutando, no, mi correggo, sondando nel profondo della mia anima.
«Cha tu mo bhràthair[1]» sussurrò con voce tremula e rauca per il freddo.
Inarcai un sopracciglio. Quello sicuramente non era né tedesco né nessuna delle lingue a me conosciute.
«Soldato?» chiesi cauto osservando attentamente il viso gonfio ed il sangue rappreso sulla sua tempia sinistra che suggeriva una commozione piuttosto seria.
Questa volta fu lui a inarcare un sopracciglio.
Soffiai appena portandomi una mano ai capelli, ricacciando indietro le ciocche bagnate che mi ricadevano sugli occhi. «D’accordo, credo sia evidente che non hai idea di quello che ti stia dicendo, dico bene?»
In risposta il ragazzo si limitò a stringersi maggiormente nel cappotto, intenzionato a mantenere quanto più calore possibile.
Mordendomi il labbro inferiore guardai alle mie spalle, oltre le alte fronde c’era l’agglomerato di tende volte ai soccorsi.
Esteticamente non avrebbe avuto problemi a passare per un tedesco. Ma se avesse dovuto parlare e rispondere all’interrogatorio dei soldati – e sicuramente avrebbe dovuto farlo- l’esercito lo avrebbe preso in custodia ed interrogato, se non peggio.
Sollevandomi ispezionai con lo sguardo la zona. Da bambino, con mio padre, eravamo soliti cacciare tra quegli alberi. A pochi metri da lì doveva esserci una piccola grotta.
«Devo portarti via di qua» mormorai più a me stesso che a lui «Puoi camminare?»
Di nuovo lo stesso sguardo.
Recht, non mi capiva.
«D’accordo, ragazzo, troveremo un modo per comunicare, te lo prometto» dissi portandomi una mano alla base della nuca, cercando di organizzare le idee. Il linguaggio dei segni sembrava la migliore delle opzioni. Peccato solo che non lo conoscessi, e anche se fosse probabilmente non lo conosceva lui.
Mordicchiandomi il labbro inferiore mi chinai nuovamente, sfiorandomi il petto con una mano. «Thomas. Heiderich» dissi lentamente, indicando poi lui «Tu?»
I suoi occhi palleggiarono lentamente da me alla mia mano. Era chiaramente indeciso, e non aveva tutti i torti. Nemmeno io, al suo posto, mi sarei fidato di qualcuno armato che mi parlava in una lingua straniera.
Non in quella situazione. E sicuramente non in quel periodo.
La guerra aveva reso il cuore degli uomini arido.
Un piccolo sospiro sfuggì alle sue labbra e la sua mano sinistra abbandonò tremante il braccio destro, che ricadde immobile lungo il suo busto.
«Edward O'Brien» rispose posandola sul proprio petto.
«Edward» pronuncia il suo nome con un leggero sorriso annuendo «Dobbiamo fare un po’ di strada, puoi muoverti?» chiesi indicando il suo braccio.
Edward osservò il suo arto immobile scuotendo la testa «Tha e briste. Chan eil e ag obair tuilleadh[2]»
«Non puoi muoverlo?» tentai, allungano una mano per sfiorarlo, ma subito il ragazzo si allontanò al mio tocco, proteggendosi l’arto offeso.
Sollevai immediatamente le mani in segno di resa «Ok, ok» dissi scuotendo piano la testa «Non ti tocco» dissi indicando il suo braccio con un indice, restando perfettamente immobile, muovendomi solo quando la postura di Edward si fece, per quanto concesso dal freddo, più rilassata.
«Ok…» ripetei puntando lo sguardo alle sue gambe, fasciate in un pantalone nero lucido. Qualcosa che non avevo mai visto prima in vita mia.
Indicai le sue gambe «Puoi camminare?» simulai il movimento con due dita.
Edward scosse la testa piegando la gamba destra, indeciso sul da farsi.
Scossi la testa con un sorriso rassicurante «Non ti faccio nulla» promisi disegnando una croce sul petto, a sugellare la mia promessa.
«Ceart gu leòr[3]» mormorò più a sé stesso che a me.
«Non… ho capito, è un sì?»
Corrugando la fronte Edward si sporse nella mia direzione «Chan urrainn dhomh coiseachd, tha mo ghàirdean is mo chas air am bacadh[4]»
«No», scossi la testa «No, aspetta» mossi le mani intimandogli di parlare lentamente «Non capisco quello che mi sti dicendo.»
Edward roteò gli occhi, sbuffando frustrato.
Mi dispiaceva, probabilmente mi stava dicendo qualcosa di estremamente importante, ma non avevo la più pallida idea di come interpretare quello sproloquio.
Rassegnato, il ragazzo, portò una mano alla gamba sinistra picchiettando un paio di colpi contro il ginocchio.
Sussultai al suono metallico.
«Oh…» mormorai sorpreso, incapace di dire effettivamente altro. Dunque, aveva una protesi. Forse due, mi corressi guardando il braccio immobile. Da quando lo avevo trovato non aveva visto un solo movimento dell’arto.
«Noi» mossi le mani tra i nostri corpi tornando a guardarlo «Dobbiamo andare» dissi indicando la direzione dove ricordavo esserci la grotta «Qui» indicai terra «Non va bene» scossi la testa e l’indice contemporaneamente.
Edward mi guardò per un attimo prima di scoppiare a ridere, una risata dolce e genuina, qualcosa del tutto fuori luogo, ma che era in qualche modo giusta.
Una boccata d’aria in questo mondo di morte.
Risi a mia volta, perdendomi nella sua risata commossa ma serena.
«Tha thu dìreach coltach ris[5]»mormorò asciugandosi le lacrime che, insieme alla pioggia, avevano preso a scorrere lungo il suo viso.
Abbozzai un sorriso triste nel vedere il suo viso trasformare quella risata in una smorfia di puro dolore.
Spinto solo dall’istinto di protezione per quella creatura comparsa dal nulla, portai una mano al mio pantalone, estraendo un fazzoletto per portarlo al suo viso, spostandogli le ciocche bagnate che si erano incollate al suo viso per tamponare la ferita alla sua tempia.
Sgranò gli occhi a quel contatto, fissandomi sorpreso con i suoi grandi occhi verdi.
Gli sorrisi di rimando proseguendo la mia “medicazione” «Non temere» sussurrai dolcemente «Ci sono io con te ora»
Con un piccolo sorriso Edward mi lasciò proseguire le mie cure fissandomi ancora un po’ prima di rilassarsi.
«Tapadh leat[6]» annuì con un piccolo sorriso.
«Di nulla, e ora coraggio» annunciai sollevandomi «Andiamo a ripararci da questa pioggia»
 
***
 
Mentre il sole di Monaco sorge illuminando la stanza, mi ritrovo, come un idiota, ad osservare dalla porta della sua stanza, la forma rannicchiata di Edward sotto le coperte.
Sono passati due anni da quella notte, di quel ragazzo conosco così poco, eppure non mi ha mai dato modo di dubitare lui.
Dice che viene da un altro mondo, gli credo, anche se non lo lascio intendere.
Mi piace stuzzicarlo.
Lo correggo dicendogli che una persona che impara la lingua in appena tre mesi non può ancora confondere “Mein Land” con “Meine Welt”.
E si altera, si altera tanto. In quel modo quasi infantile che vedi fare solo ai bambini -punta dei piedi, petto gonfio e mani puntate ai fianchi-
Ma va bene. Un Edward alterato che difende le sue tesi è meglio di un Edward perso nella sua mente geniale.
Quando si chiude in sé stesso non posso entrare, non mi è permesso. È come se non esistessi.
«Thomas» biascica aprendo gli occhi, puntandoli nella mia direzione.
«Ben svegliato, dormiglione» rido.
«Sei tu ad essere troppo mattiniero» brontola sedendosi, mostrandomi senza vergogna il suo corpo minuto e mutilato, mentre con l’abilità acquisita dalla pratica sistema le sue protesi.
Lo guardo affascinato compiere quei gesti che lui fa apparire così semplici, io non riuscirei mai. Ne sono certo, una volta glielo ho perfino detto.
Il suo sguardo si è indurito e come avrebbe fatto un fratello maggiore mi ha intimato di “chiudere la bocca”, che non dovevo azzardarmi a dire qualcosa del genere mai più.
Che il mio corpo era un dono.
Il suo viso si era arrossato al punto tale che, ne ero certo, mi avrebbe colpito. Avevo chiuso gli occhi preparandomi a ricevere un pugno ben assestato, e non certo con la sua mano di carne.
Non lo fece. Non fece assolutamente nulla.
Mormorò qualcosa nella sua lingua natia -conoscendolo un insulto piuttosto colorito, immagino- andandosene subito dopo di casa.
Si era ripresentato solo in tarda serata con un Krapfen che a stento potevamo permetterci e che era il suo modo per chiedermi scusa. 
Ma io non ero arrabbiato, solo terribilmente triste per lui
«Hai almeno sentito qualcosa di quello che ho detto?»
Sussulto nel rendermi conto che dovevo esser rimasto immerso nei miei pensieri più a lungo di quanto avrei mai ammesso.
Edward è vestito e pronto davanti a me, le mani appoggiate alla vita ed uno sguardo canzoniere a prendersi gioco del sottoscritto.
«No, ero distratto» ammetto. È inutile mentire.
«Sì, ho notato.» il suo sguardo si addolcisce appena «Vedrai che andrà tutto bene, troverai un mecenate, me lo sento, hai fatto un lavoro incredibile, Thomas» conclude con un sorriso dandomi le spalle.
Osservo la lunga coda bionda ondeggiare tra le sue spalle, sentendo il mio cuore stringersi dolorosamente.
Edward puntava molto sulla buona uscita del razzo, sperava di tornare a casa con quello. E se vi fosse riuscito io sarei rimasto di nuovo solo qui.
Sono un egoista, me ne rendo conto. Ma non posso farci niente. Edward O'Brien era entrato nella mia vita in un giorno di pioggia portando il sole. Se avessi perso quel sole, il mio mondo sarebbe tornato buio.
Scuoto la testa alla mia stessa gelosia, incontrando lo sguardo preoccupato di Ed sulla soglia della porta d’ingresso.
«Certo che andrà tutto bene!» sorrido prendendo i progetti abbandonati a terra accanto alla porta, raggiungendolo.
Mi sorride annuendo battendomi un leggero pugno sulla spalla «È questo lo spirito giusto per chi vuole conquistare lo spazio»
Rido divertito al suo entusiasmo contagioso.
Sia che Edward provenga da questo o un altro mondo una cosa è certa.
È davvero un ragazzo unico.
 
 
[1] Tu non sei mio fratello
[2] È rotto. Non funziona più.
[3] Va bene
[4] Non posso camminare, il mio braccio e la mia gamba sono bloccati
[5] Sei proprio come lui
[6] Grazie
  
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