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Autore: Doppiakappa    21/03/2022    1 recensioni
Roy Steinberg, sedicenne figlio dello scienziato più influente del 2085, si ritrova vittima di un particolare incidente che lo porta al contatto con una misteriosa sostanza extraterrestre. A sua insaputa, si ritroverà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno a dover salvare il mondo da un'enorme minaccia.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Il freddo dei vicoletti della periferia di Berlino penetrava nelle ossa di quel bambino castano, seduto sul ciglio di quella stradina, accanto a un bidone arrugginito, stretto nelle sue stesse braccia. Di fronte a lui il cadavere della madre, le spoglie di una donna provata dalla fame, dalla violenza del ghetto, una violenza a cui non ci si poteva sottrarre. La veste strappata della donna era intrisa del suo sangue, le mani, ormai pallide, parevano tendersi verso il figlio, non riuscendo tuttavia a raggiungerlo, accasciate così al suolo.
Un ruscello di sangue scorreva tra il rovinato asfalto di quella viuzza, donando a uno sciame di mosche un macabro pasto. Un paio di topi avevano incominciato già a scavare nella carne della donna, strappando via la pelle logorata dalle bugne che la ricoprivano, un fetido odore si spargeva nella malata aria di quella periferia.
Non una parola, non un gemito, nulla riuscì a uscire dalla bocca del ragazzino mentre sua madre veniva pestata a sangue, davanti ai suoi occhi. Era paralizzato, dalla paura, dal dolore, dall’odore della morte.
La donna era costretta a prostituirsi, vendere quel corpo logoro e fragile per racimolare quei due soldi che le permettevano di far mangiare il figlio. Lei non si ribellava, non controbatteva mai, ne contestava le richieste dei suoi sporchi clienti: criminali, tossici, spacciatori. Aveva conosciuto l’amore, o così aveva creduto che fosse, prima di venir abusata, violentata e abbandonata dall’uomo che credeva di amare.
Suo figlio era il frutto di tale violenza, l’indelebile conseguenza di quello stupro che sette anni prima le aveva demolito la vita. La donna però non riusciva a odiarlo, tanto era attaccata alla vita. Suo figlio era la sua vita e lo avrebbe difeso a costo di morire.
Per difenderlo avrebbe fatto di tutto, come quella sera alla fine di una fredda giornata di febbraio. Per la prima volta si era opposta a un cliente, lottando con tutte le sue forze per far scappare il figlio dall’orribile destino che lo attendeva. L’uomo non si sera accontentato del corpo della donna e aveva preteso di stuprare anche il bambino. La donna assalì quell’uomo depravato, graffiandolo e urlando al figlio di scappare, prima di venir massacrata di botte.
Il bambino grondava di lacrime, stringendosi a sé il più forte possibile. Non aveva il coraggio di guardare il corpo della madre, non aveva il coraggio di guardare la realtà, non aveva il coraggio di accettare il fatto di essere rimasto solo.
La notte era ormai avanzata, il freddo si era fatto sempre più intenso, facendo perdere la sensibilità ai piedi nudi del bambino, divenuti ormai viola. Tremava. Tremava accasciato a quel lurido bidone, l’unica cosa a sorreggere il peso del suo corpo moribondo.
Sentì dei passi avvicinarsi a lui, un rumore lento e costante, pareva facesse tremare l’asfalto del vicolo. Un colpo di vento fece precipitare l’ambiente di nuovo nel macabro silenzio di quella malata periferia.
 
- Dicono che il progresso sia inevitabile… - una voce maschile stroncò quel silenzio.

- L’uomo è in costante sviluppo, cerca sempre qualcosa di più dal mondo, dalla vita… - Continuò – Ma il progresso è veramente qualcosa di adatto all’uomo? Siamo nel 2075, a Berlino, una delle città più moderne del mondo… eppure… eccomi qua, a guardare l’orrore che il progresso ha scatenato nei luoghi poveri di questa città.
Il bambino, colto da un improvviso terrore, alzò di scatto lo sguardo, incrociando le iridi gelide dell’uomo. Rimase ipnotizzato, pietrificato da quegli occhi.

- Era tua madre? - lui annuì, quasi spontaneamente.

- L’hai vista morire, vero? - il piccolo annuì nuovamente.

- Avresti voluto fare qualcosa? Ma ti sei sentito impotente, mi sbaglio? - Il castano scosse lentamente la testa. - Impotente… il potere… il meccanismo che fa girare il mondo… - L’uomo si chinò verso il bambino – Il potere è ciò che distingue una persona dalla massa, è ciò che definisce chi ha il compito di governare questo mondo. Il progresso è il più grande potere dell’uomo, il progresso ha dato il potere all’uomo di creare ciò che Dio non ha creato per lui, il progresso è ciò che ha il potere di espandere e distruggere la società. Nella vita ci sono persone che nascono col potere, altre persone invece hanno la possibilità di ottenerlo.
Il bambino, colto da un istinto irrefrenabile, tese una mano verso l’uomo. Lui la strinse delicatamente, senza distogliere lo sguardo da quelle spente iridi celesti.

- Tu, ragazzino, sei nato senza il potere. Nel momento del bisogno non hai avuto il potere. E adesso, quando pensi che tutto sia finito, quando non vedi la luce alla fine del tunnel, hai una possibilità. Io sono la tua possibilità. Vieni con me, e ti darò il potere di cambiare il tuo mondo, di cambiare il mio mondo, di cambiare… il mondo!
Il bambino smise di piangere, gettandosi senza esitare tra le braccia dell’uomo. Il calore che sentì in quel momento gli si impresse nella mente, donandogli una nuova ragione per vivere. L’uomo avvolse il ragazzino nel suo cappotto, prendendolo poi in braccio. - Nella lingua latina c’è un modo di dire: Deus ex machina, significa “colui che compare per risolvere un problema”. Il mondo ha bisogno di un Deus ex machina e io voglio essere tale persona. Questo mondo è pieno di gente che ha il potere e non lo usa nel modo corretto, e questo è il più grande problema del mondo. Problema che io dovrò risolvere, ma non da solo, avrò bisogno del tuo aiuto. Ce l’hai un nome, ragazzino?

- Aren… Aren è il mio nome…
 
Aren… 

Aren…
 
- Aren! – il ragazzo aprì gli occhi, scosso dalla fastidiosa voce che lo stava chiamando.

- Bella addormentata, il capo ti vuole, ha una missione per te.

- Vaffanculo, Drake. Digli che sto arrivando… - rispose il castano, alzandosi dalla brandina e facendo scrocchiare le spalle.

Il ragazzo guardò le fredde pareti di quella stanza: erano grigie, il grigio era l’unico colore che prevaleva, nient’altro che grigio.
Grigie le pareti, grigie le brandine, persino il soffitto era di quell’inutile colore. Nonostante il suo essere introverso e freddo, Aren era una persona a cui i colori piacevano e quell’ambiente spento e apatico lo metteva a disagio.
Il castano indossò rapidamente la sua felpa nera, coprendo così il suo torace costellato da cicatrici. Aveva deciso di strappare le maniche, voleva poter muovere le braccia liberamente e voleva poter sentire il vento bagnarli le spalle.
A passo svelto si diresse verso i piani più alti dell’imponente edificio, entrando in un ascensore che poteva essere aperto solamente tramite scansione della retina. Le pareti dell’ascensore erano dello stesso grigio della sua stanza e ogni volta che ci entrava, si sentiva disgustato.

- Questa base fa schifo… perché non siamo rimasti a Berlino invece di andare in America…? – sbuffò, pigiando il bottone dell’ultimo piano, facendosi scansionare nuovamente la retina.
Le porte si spalancarono, gettando il ragazzo in un enorme salone arredato in stile moderno. Le pareti erano coperte da dipinti in stile vaporwave, a ridosso di ciascuna delle pareti, una coppia di statue in marmo sorreggeva un enorme scudo. Al di sopra del portone che separava l’ampio spazio dall’ufficio del capo, era appeso un rigoglioso stendardo, verde, con uno scudo nero e un artiglio rosso inciso in esso. Al di sopra dell’egida, spiccava la scritta “Ægis”; al di sotto, invece, richiamava l’attenzione un motto: “Deus ex machina”.
Al suo ingresso, Aren si trovò di fronte all’immenso attico del palazzo, ornato da una vetrata che copriva l’intera parete. Ai lati, due enormi acquari ricchi di rarissime specie tropicali completavano lo spazio, tanto grande da risultare quasi soffocante. Quei pesci lo affascinavano ogni volta che entrava in quella stanza, perso nei suoi colori: le movenze lente di quelle eleganti e sgargianti creature lo facevano rilassare.

- Ti sono sempre piaciuti, anche quando eri piccolo. Rimanevi a fissarli per ore. - una voce maschile attirò la sua attenzione.

- Sono l’unica cosa colorata in quest’ammasso di metallo.

- Non sembri così sentimentale da fuori…

- Qual è la missione? – lo interruppe il ragazzo.

- Dritto al punto come sempre… - l’uomo si schiarì la voce – L’obbiettivo è la Eisenhauer Technology, a Berlino. I nostri infiltrati ci hanno fornito informazioni sul completamento del progetto “Brain-Motion-Muscular-Device”, dobbiamo impossessarcene subito.

- A cosa stai puntando?

- A un esercito dotato di questi supporti, a cui il mondo non potrà che obbedire. Solo così posso risanare il mondo da chi fa cattivo uso del potere.

- E l’obbiettivo di Diana? È collegato a questa tua ambizione?

- Oh… quello è il filo conduttore che legherà insieme tutti gli elementi. Sarà il fulcro di una nuova umanità. – disse, alzandosi e raggiungendo il ragazzo, fermandosi accanto a lui con lo sguardo rivolto verso il portone.

- A volte mi chiedo se riuscirai mai a completare questa follia.

- Non senza il tuo aiuto… il vostro aiuto. – l’uomo posò la mano sulla spalla del ragazzo.

- Mi hai dato un motivo per andare avanti e mi hai promesso che cambierai questo mondo, farò qualsiasi cosa per farti mantenere la promessa.

- Conto su di te allora.

- Fammi preparare l’equipaggiamento e il jet, partirò il prima possibile.

L’uomo annuì e sorrise, seguendo con lo sguardo il ragazzo che lasciava la sala.

- Sei più importante di quanto tu possa immaginare, Aren… sei una pietra ancora grezza, ma quando arriverà il momento, splenderai come una gemma, gemma incastonata nella mia corona… - disse, tornando alla scrivania a fissare lo splendido panorama di Queen City al tramonto.
 
Queen City, villa dei Steinberg.
 
Axel prese posto sul divano, invitato dal gesto di Aiden, rimanendo in un silenzio ambiguo.
Il biondo osservava il ragazzo, in attesa di una sua parola, analizzandolo con veloci movimenti delle pupille.

- Professor Steinberg…

- S-sì?

- Vede... non sono venuto qua solo per difenderla, ma anche per cercare di far luce su una cosa che ci risulta un po' strana... ecco...

- D-di cosa sta parlando?

- Professore… mi può spiegare per quale motivo un biologo, anzi mi correggo, un biochimico esperto di nanotecnologie a un certo punto abbia deciso di interessarsi a fenomeni astronomici e geologia?

Aiden rimase in silenzio.

- Che cosa stava cercando Lei nel luogo dell’impatto della pioggia di meteore del 2046?

- Le mie ricerche non sono vostra competenza, o sbaglio? – rispose titubante il biondo.

- Professor Steinberg, La prego di collaborare. Non ha idea del pericolo che sta correndo in questo momento.

- Come posso fidarmi di voi?

- Il Void, era quello l’obbiettivo del gruppo che l’ha attaccata?

Aiden impallidì.

- C-come fai a sapere…?

- So molte cose, Professore. Ma non deve preoccuparsi, sono dalla sua parte, mi creda.

- Cosa sai esattamente sulla mia ricerca?

- Quello che Lei ha scoperto, nulla di più, nulla di meno.

- Quindi…

- Sappiamo anche che il Void è nel ragazzo, sì.

- Chi siete esattamente?

- Tecnicamente siamo suoi colleghi, Professore. Apparteniamo anche noi alla Eisenhauer Technology, ma non compariamo in alcun registro. Siamo una divisione facente parte dei servizi segreti Nato, ci facciamo chiamare Anonymous Asset. Il nostro compito è preservare la sicurezza delle ricerche della Eisenhauer Technology e di tutte le principali compagnie per evitare che vengano rubate e impiegate per scopi bellici da associazioni criminali.

- Chi vi comanda?

- Non posso rivelarle la sua identità, sarebbe troppo rischioso per entrambe le parti. Posso solo dirle che il nostro direttore si cela dietro lo pseudonimo “Gea” e coordina tutte le operazioni a noi assegnate.

- Mia moglie sa della vostra esistenza? – chiese Aiden, sempre più incredulo.

- No, l’amministratrice delegata D’Arco non è a conoscenza della divisione, ed è nel nostro interesse che rimanga all’oscuro della nostra esistenza, per evitare di metterla a rischio.

- Immagino sappiate anche chi è stato ad aggredirmi e a tentare di sottrarmi le ricerche.

- L’unica informazione che conosciamo è il nome di questa organizzazione: “Ægis”. Sospettiamo abbiano degli infiltrati nelle sedi della Eisenhauer Technology, ma non abbiamo altre informazioni a riguardo.

- Ægis… Come hanno fatto a venire a conoscenza del Void?

- Probabilmente hanno una talpa anche nell’Anonymous Asset, abbiamo aumentato i controlli dopo l’ultimo attacco.

- Come avete intenzione di agire ora che mi avete messo a conoscenza di tutto?

- Innanzitutto, vogliamo difendere il ragazzo, abbiamo analizzato i dati da lei raccolti e siamo pronti a fornirle il supporto per avanzare nella ricerca.

- Dove lavorerò?

- Le sistemeremo il suo laboratorio e le forniremo assistenza tecnica e sorveglianza a ventiquattro ore.
Il biondo sospirò, stringendo i pugni.

- Come intendete usufruire della mia ricerca?

- Come le ho spiegato, la nostra organizzazione mira a eliminare le potenziali minacce causate dallo sfruttamento delle nuove tecnologie in campo bellico. Il ragazzo possiede un potere ancora ignoto e se tale potere finisse nelle mani sbagliate si rischierebbe lo scoppio di una guerra.

- Ho motivo di pensare che non vi limiterete a tenerlo semplicemente d’occhio, mi sbaglio?

- Con le sue ricerche avremmo la possibilità di trasformare il potere di suo figlio in uno strumento di difesa…

- So dove vuole arrivare, non ho intenzione di trasformare la mia ricerca in un’arma. La mia scienza serve a curare le persone, serve a garantire all’uomo tecnologie sempre più all'avanguardia e utili alla sua salute. Io creo soluzioni, Agente Klein, non armi.

- La sua ricerca avrà l’obbiettivo di difendere, non di offendere. La prego, deve unirsi a noi.

- Perché dovrei rischiare così tanto? Si tratta della vita di mio figlio dopotutto.

- L’attacco al suo laboratorio, la morte delle guardie del corpo che le avevamo affidato, i continui attacchi informatici alla sede di Berlino, sono parte di qualcosa di più grande.

- Attacchi alla sede di Berlino?

- Esattamente, dieci negli ultimi tre giorni. Sono stati trafugati dati su diverse tecnologie ancora in prototipo.
Aiden divenne leggermente pallido in volto.

- È questione di giorni prima che arrivino al Void. Ci hanno provato due volte, non credo siano intenzionati a fermarsi. La supplico, Professore, ci aiuti…

- Dobbiamo aiutarli, papà! – la voce del ragazzo spezzò bruscamente la tensione che si era creata tra i due uomini, generando un lieve sgomento in entrambi.

- Roy… - disse l’uomo, guardando il figlio.

- Le tue ricerche hanno salvato milioni di vite, non puoi lasciare che vengano usate come armi. Non mi importa se dovrò diventare io stesso un’arma, finché potrò difendere il tuo lavoro.

- Le tue parole sono importanti, ragazzo. La decisione in fondo spetta a te… – disse Axel, con gli occhi carichi di speranza e il fiato sospeso.

- Papà.

- La tua determinazione mi spaventa, Roy. Ma se i miei lavori sono così importanti per te, non posso rifiutare.

- Vi ringrazio, non avrei saputo cosa fare senza il vostro aiuto…

- Vi aiuteremo, ma dovete garantirmi che la mia famiglia non corra rischi. Oltre a noi dovete difendere mia moglie e mio figlio minore.

- Sarà fatto. Esaudiremo ogni sua richiesta, glie lo posso garantire. – disse, stringendo la mano del professore. – Mi permetta di presentarmi ufficialmente allora: mi chiamo Axel Klein, comandante e supervisore di tutte le operazioni della divisione Anonymous Asset. Vi ringrazio ancora per aver accettato un incarico così importante, Professore, Roy. – continuò, stringendo poi la mano al ragazzo scambiando uno sguardo con Aiden.

- Spero di potervi essere utile.

- Il vostro contributo sarà fondamentale, ve lo assicuro.
 
Berlino, Caveau della Eisenhauer Technology, quella notte.
 
Aren era nella stiva del jet, stretto in una tuta alare in nano-tessuto aereodinamico, completamente nera, pronto a saltare verso l’obbiettivo.

- Due minuti al contatto! – Avvisò il pilota, dagli altoparlanti nel caso della tuta.

- Inizia ad aprire lo sportello.

- Sportello posteriore in apertura. Standby.

- Rattlesnake, pronto al lancio.

- Raggiunto il punto di contatto, Rattlesnake, lancio! – ordinò il pilota, virando leggermente per aiutare il ragazzo a lanciarsi.

Aren si gettò in picchiata verso il caveau nascosto all’interno di una base militare nei pressi di Berlino. La tuta, modificando la propria morfologia, permetteva al ragazzo di mantenersi stabile.

- Rattlesnake, stai per entrare nel raggio d’azione dei radar. – lo informò Drake, dalla base mobile a qualche chilometro di distanza.

- Ricevuto. – rispose, attivando il sistema di occultamento della tuta, diventando così invisibile ai detector delle difese aeree.

- Contatto con l’obbiettivo previsto fra un minuto, chiudo le comunicazioni.

- Ricevuto. Ti aspettiamo al punto di raccolta fra tre ore. Buona fortuna, Rattlesnake.

Il ragazzo portò le braccia a sé, accelerando la caduta verso la sua destinazione. Due minuti dopo era in posizione di fronte al terzo ingresso di quella fortezza, nascosto dietro lo sbocco di uno dei condotti di areazione.
Gli erano bastate le tre ore di viaggio per imparare la planimetria dell’intero complesso, comprese posizioni di telecamere, sistemi di difesa e posizione delle guardie. La struttura era immensa, divisa in sette piani, ognuno di essi separato da un condotto attraversabile solamente tramite una piattaforma mobile.
Ogni condotto prevedeva tre porte di massima sicurezza, attraversabili solamente con un pass e un codice a 45 cifre che cambiava a intervalli di 5 ore. Su ogni piano erano distribuiti sistemi di difesa a puntamento, dotati di sensori di movimento, vibrazione e variazione di luce.
Ogni settore era dotato di dieci guardie fisse e sette guardie in movimento che seguivano uno schema di movimenti scelto giornalmente. Le guardie avevano l’ordine di sparare a vista, mantenendo la posizione in attesa dei rinforzi, inoltre i loro parametri vitali erano monitorati da un’intelligenza artificiale che era in grado di percepire ogni minimo cambiamento.
A una qualsiasi squadra specializzata la missione sarebbe sembrata impossibile, ma Aren era il miglior agente che l’Ægis potesse disporre, assieme a Diana era capace di infiltrarsi nei luoghi più impenetrabili del pianeta senza lasciare traccia del suo passaggio. Il ragazzo era stato sottoposto a un addestramento speciale di dieci anni, aveva trasformato il suo corpo in una silenziosa e letale macchina da combattimento, capace di utilizzare ogni tipo di arma e di combattere in ogni possibile situazione.
Quella missione era forse la più complicata che gli fosse mai stata assegnata, ma non aveva dato il minimo cenno di tentennamento e con una lucidità mentale disumana aveva elaborato uno schema perfetto, senza margine d’errore.
Aren, inoltre, era equipaggiato di gadget all’avanguardia: nanotecnologie in grado di disabilitare i più complessi sistemi elettronici e informatici, simulatori di condizioni vitali, nano-tossine e sistemi di occultamento, un arsenale praticamente infallibile.
Con un rapido movimento, il ragazzo si catapultò in uno dei condotti d’areazione, lanciando un disturbatore magnetico per disabilitare i vari sensori.
Silenzioso come un felino sgattaiolò verso una delle porte che conducevano al condotto per accedere ai piani inferiori.
Aveva scovato una falla nelle tempistiche di apertura e chiusura delle porte per il passaggio delle guardie, una finestra di tre secondi per muoversi nel punto cieco delle due telecamere e della guardia. Avrebbe dovuto attivare il disturbatore di sensori nell’esatto momento in cui la tessera della guardia avrebbe lasciato la guida della serratura, per poi applicare il simulatore di condizioni vitali e neutralizzare la guardia, senza innescare la reazione dell’intelligenza artificiale.
Inspirò profondamente e si gettò verso la guardia, compiendo le azioni programmate sincronizzandosi al nanosecondo. Una volta superata la prima delle tre barriere, sparò dal bracciale il simulatore, colpendo precisamente il punto indicato dal suo visore e con un’agile capriola aerea torse il collo della guardia, uccidendola sul colpo.
La procedura funzionò per ogni porta fino al quinto piano, dove dovette fermarsi per elaborare una nuova strategia.
Non aveva molto tempo prima che le guardie si accorgessero dei colleghi privi di vita, di fatto non erano presenti luoghi dove poter nascondere i corpi. Le sue iridi celesti analizzavano rapide l’ambiente circostante, nella sua mente un percorso ben preciso stava prendendo forma. Il tempo che aveva stimato per agire era a malapena una manciata di minuti e qualche secondo, in questa finestra di tempo avrebbe dovuto penetrare la sicurezza degli ultimi due livelli, iniettare il nano-virus all’interno degli archivi e uscire. Una volta fuori avrebbe dovuto attendere lo stato di massima allerta per attivare il suo asso nella manica: un disturbatore in grado di mettere fuori uso per un minuto l’intero caveau.
Doveva spaccare il secondo, razionando l’ossigeno di ogni respiro per massimizzare l’efficienza dei suoi movimenti.
Con mosse disumane, si posizionò nel punto cieco delle due telecamere, attendendo l’arrivo della guardia di turno.
Questa volta, fu doppiamente rapido nel neutralizzarla e fu lui stesso ad aprire la porta con la chiave magnetica. Era finalmente giunto al sesto livello, l’ultimo prima di poter accedere all’archivio della grande società. Il sistema di occultamento della sua tuta lo aveva mascherato fino ad allora, ma non sarebbe durato ancora a lungo.
Attenendosi allo schema, neutralizzò tutte e sette le guardie in movimento del piano, ottenendo così le sette tessere necessarie ad accedere all’ultimo piano.
Una volta all’interno dell’archivio, sparò un ago in una delle porte d’accesso di uno dei molteplici server in quella camera.
Uscì dalla sala e col labiale contò gli ultimi secondi prima dell’attivazione dell’allerta totale del caveau. Tutte le porte si sigillarono, ogni possibile armamento celato nelle pareti fuoriuscì in cerca del bersaglio, una serie di squadre d’assalto stavano scendendo per neutralizzare il ragazzo. Era il caveau della società che lavorava in collaborazione con i governi di centodue paesi del mondo, dopotutto, una difesa simile non avrebbe potuto aspettarsela da nessun altro luogo.
Repentino, Aren disattivò il sistema di occultamento, spostando tutta l’energia della tuta nel sistema di combattimento. Nell’esatto istante in cui il cronometro nella sua testa raggiunse lo zero, Aren attivò il disturbatore, facendo piombare l’intero complesso in una fase di stallo.
Iniziò il conto alla rovescia nella sua mente, saltando agilmente lungo i binari verticali delle piattaforme, eliminando ogni guardia che gli si presentava davanti grazie alle armi da taglio a incandescenza in dotazione alla tuta.
Dopo un minuto, la luce tornò a illuminare i bianchi corridoi del caveau, macchiati ovunque del sangue delle innumerevoli guardie che giacevano morte al suolo. Un mosaico di corpi e armi ornava quell’ormai profanata fortezza, vittima del colpo di un fantasma.
A sei chilometri dal caveau, un jet a decollo verticale trasportava via Aren, che nel frattempo si era levato la tuta ormai scarica, rimanendo con le spalle nude a ridosso del freddo metallo della macchina.

- Sei fenomenale cazzo, una missione del genere sarebbe stata impossibile per chiunque altro. – disse incredulo Drake, tirando un leggero pugno alla spalla del compagno.

- Ti ringrazio… anche se ho rischiato di mandare tutto a puttane all’ultimo…

- Perché, che è successo?

- Ho fatto male i calcoli e la tuta ha esaurito l’energia un piano più in basso del previsto.

- L’importante è che tu ce l’abbia fatta, il nano-virus mi ha già trasmesso tutti i dati che mi servivano. Non si accorgeranno nemmeno di essere stati derubati.

- Base, qui Plague. Abbiamo estratto Rattlesnake, missione compiuta. Invio i dati al laboratorio centrale, chiudo. – disse infine, chiudendo la chiamata con la base operativa.

- Cosa vuole farci il comandante con questa tecnologia?

- Ha detto di volerla subito collaudare, per poterla modificare il prima possibile.

- Chi sarà la cavia?

- Ha detto che ha trovato la persona perfetta, ecco… - disse, mostrando al castano un file.

- Clint Mills… chi è?

- Non lo so, il comandante mi ha incaricato di prelevarlo appena rientriamo. Ha detto che è strettamente collegato con l’obbiettivo di Diana.

- Il figlio di Steinberg?

- Esattamente.

- Buona fortuna allora. Se permetti ora ho bisogno di chiudere gli occhi, ho il corpo a pezzi.

- Vuoi che ti canti la ninna nanna, fiorellino?

- Fottiti. – rispose secco, chiudendo gli occhi.
   
 
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