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Autore: Milkyna    24/03/2022    1 recensioni
Nascere in una famiglia disastrata come quella di Argento può essere faticoso e frustrante. Quando il ragazzo quattordicenne viene costretto a trasferirsi dalla zia materna a Borgo Foglianova, come punizione per aver mancato di rispetto ai Generali Rocket, la sua mente naviga tra la noia e un'importante opportunità: quella di un Pokémon tutto suo, per dimostrare al mondo e alla sua famiglia che lui è capace di farcela da solo.
Genere: Angst, Avventura, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Giovanni, Lance, Lyra / Kotone, Silver
Note: Missing Moments, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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La jeep nera era carica di valigie.

Vestiti, vecchi pupazzi, spazzolini da denti, quadernetti…

Atena aveva aiutato suo figlio a preparare tutte le sue cose in vista del trasloco, non senza rimbrotti.

“Cosa dovrei farmene di quei vecchi prendi-polvere?” si era lamentato, vedendo la mamma infilare in un sacco di plastica i suoi vecchi peluche di Pokémon.

“Magari ti aiutano ad ambientarti… E magari la smetti di fare questi capricci.”

“Tsk!”

Argento aveva quattordici anni e sua madre lo trattava ancora come un poppante, ma era logico. Se non fosse rimasto il ragazzino carino e ubbidiente ch’era stato fino alla scomparsa di suo padre, tre anni prima, come avrebbero potuto lei e gli altri buffoni del Team Rocket plasmarlo secondo i loro scopi?

“Cos’è quella faccia? Sono sicura che ti troverai bene da zia Nima.”

“Sicuro.” borbottò Argento, ripulendo il ripiano del bagno dai suoi effetti personali.

Nemmeno quaranta minuti più tardi, Argento e sua madre stavano lasciando la casa a nord della Palestra di Smeraldopoli, dove avevano vissuto fino a quel momento, e che era stata una volta il luogo dove il padre di Argento, Giovanni, era nato e cresciuto.

Si sarebbero spostati verso ovest, a Borgo Foglianova, il paesino dove la sorella di Atena, Nima, si era trasferita dopo aver sposato un uomo di là.

Siccome non le andava di attirare troppo gli sguardi, Atena preferì non usare gli elicotteri privati del suo compagno, mantenendo un profilo basso. Il Team Rocket era al suo minimo sindacale, un altro passo falso e la gattabuia sarebbe arrivata inclemente, ponendo fine a tutte le aspettative di rinascita.

La donna scelse la stradina di montagna che conduceva al Percorso 22, dal quale avrebbe imboccato la lunga galleria che l’avrebbe fatta sbucare sul Percorso 26, e da lì avrebbe intrapreso un saliscendi di strade sterrate o comunque poco frequentate, fino al Percorso 27. Il viaggio sarebbe terminato nel bosco di Borgo Foglianova, fino davanti alla casa di Nima, che Argento aveva frequentato fino a tre anni prima.

Mentre Atena guidava, ogni tanto osservava di sottecchi suo figlio: si somigliavano veramente tanto, con quei capelli rosso intenso, piuttosto lunghi e pettinati a ciuffi.

Atena aveva gli occhi rossi, mentre Argento aveva ereditato i suoi grigi dalla linea paterna, ed erano talmente belli da avergli meritato il nome di quel metallo prezioso che il ragazzo considerava unicamente un secondo arrivato, una beffa.

Quel giorno, oltre ai suoi inseparabili orecchini d’oro, dono di Giovanni, Atena indossava una semplice maglietta nera a maniche lunghe, una gonna scura e delle scarpe grigie col tacco basso.

Argento invece aveva una giacca viola con dettagli in rosso, e sotto una normalissima t-shirt nera. I jeans erano di un viola più pallido e trattenuti con una cintura dalla fibbia metallica, mentre le scarpe sportive riprendevano le tinte della giacca. Nel complesso, quei colori così cupi facevano a cazzotti con la sua carnagione chiara.

“Comportati bene da tua zia.”

“Me l’hai già detto.”

Argento guardava fuori dal finestrino e non si interessava a niente.

Tentennando giusto un secondo, Atena tornò alla carica con decisione:

“Argento, ascoltami… Il mese scorso hai tentato di bruciare la divisa di Milas, mentre tre settimane fa hai fatto cadere volontariamente Maxus dalle scale. Non mi piacciono questi tuoi comportamenti.”

Al pensiero del damerino coi capelli sempre impomatati e del viscidone amante dei travestimenti, la bocca di Argento si piegò in una smorfia disgustata.

Sua madre non aveva intenzione di lasciare l’argomento sospeso:

“Argento, ti rendi conto di essere l’erede di Team Rocket, vero? Non capisco questa tua ritrosia, dovresti esserne orgoglioso…”

“Orgoglioso di quell’accozzaglia di perdenti?!”

“Argento, non ti permettere! Quel Team è stato creato da tuo padre in persona!”

“Ahaha, mio padre, ahaha! Ma dai, è una barzelletta, mamma? Mio padre è stato sconfitto da un pischelletto della mia età e tanto è bastato a farlo scappare in barba alle sue manie di grandezza!”

“Tuo padre si sta riorganizzando. Una perdita come quella che abbiamo subito tre anni fa non è una ferita da poco.”

“Continui a difenderlo? Cavolo, quanto sei stupida. Ora capisco perché zia Nima sia l’unica dei tuoi fratelli a darti retta… E’ troppo scema per vedere più in là del suo paesino puzzolente!”

Atena inchiodò in mezzo alle montagne, si voltò verso il figlio e gli mollò uno schiaffo sulla guancia sinistra. Il suo sguardo fumava, i suoi denti erano scoperti, così come il nervo che Argento aveva toccato. Il quattordicenne la guardò sorpreso, per poi abbassare gli occhi con una miriade di pensieri in testa.

Senza dire una parola, la donna riprese a guidare e Argento si massaggiò la guancia offesa.

Nonostante il figlio fosse stato impudente, Atena sapeva che aveva ragione, era vero che Nima era l’unica sorella rimasta al suo fianco da quando, trentuno anni prima, si era unita al neonato Team Rocket di Giovanni.

Atena era l’ultima di quattro fratelli, distribuiti in una distanza di quindici anni. La sorella più grande le aveva fatto da vice-mamma, essendo i loro genitori piuttosto avanti con gli anni quando lei era venuta al mondo. Era assurdamente logico che Erida, una volta scoperta la volontà della giovane Atena di abbandonare la famiglia per unirsi ad un gruppo di balordi, fosse andata su tutte le furie, allontanandosi sempre di più da lei ad ogni tentativo fallito di riportarla sulla retta via. Alla fine, l’aveva disconosciuta come sorella ed era andata ad abitare lontano, ad Ebanopoli, subito dopo la morte, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra, dei suoi amati genitori.

Quanto a Ferruccio, il terzogenito, era sempre stato un onesto lavoratore e vedeva giustamente come il fumo negli occhi la gente come i Rocket, ladri e sfruttatori in cerca di facili guadagni. Quando Atena si era aggregata a loro aveva ventitré anni, otto in più di lei, lavorava già come minatore nelle cave di Monte Luna e aveva ammonito pesantemente la quindicenne sgallettata:

“Un giorno tornerai qui, in ginocchio, ma ci sarà soltanto polvere per te.”

E poi se n’era andato anche lui, sposando una brava ragazza di Canalipoli. Tutti i fratelli di Atena alla fine si erano sposati a brava gente, tranne lei. Lei non si era neppure mai sposata, Giovanni non credeva in quell’istituzione. Aveva fatto l’amante, gli aveva dato due figli, entrambi ribelli, entrambi disinteressati alla loro causa.

Martes, la primogenita, le assomigliava esteticamente come una goccia d’acqua, ma come lei aveva preferito, ironicamente sempre a quindici anni, di diventare parte di un altro Team, il Galassia. E tutto con la scusa di voler riallacciare i rapporti con zio Ferruccio.

Borgo Foglianova era come lo ricordava Argento: tranquillo, ventilato, con l’aria che profumava di erba tagliata. Gli faceva quasi rabbia quella pace, così diversa dalla tempesta che gli imperversava nell’animo.

Non appena parcheggiarono la macchina, una donna grassoccia e dal volto simpatico si affacciò alla porta:

“Oh, Atena, Argento! Benvenuti!” disse la donna, abbracciando la sorella e carezzando le guance del ragazzo, come quando era bambino.

Anche zia Nima aveva i capelli rossi, ed erano ondulati ed acconciati alla vecchia maniera, dandole l’aspetto della tipica mamma che sforna biscotti e torte con i suoi bambini. Argento non poté che provare astio a quella constatazione: sua madre non era mai stata così.

La pelle, ancora abbronzata per l’estate appena passata, era messa in mostra dalla sua veste fucsia a maniche corte.

Accanto alla zia c’era il marito, Omar.

Lo zio Omar era un bonaccione di grossa stazza e grande cuore.

Aveva i capelli neri e corti ed amava esibire i costumi più stravaganti, in quanto artista di strada. In compenso, era totalmente negato per la tecnologia, da lui vista come un brontosauro vedrebbe i Meganium odierni.

Comparve anche Amira, la loro figlia, sulla porta di casa. Aveva in bocca la gomma da masticare e si dilettava a modellarla in palloncini rosa da scoppiare.

Argento rabbrividì ripensando ai pomeriggi in cui sua cugina, maggiore di lui di appena un anno, lo aveva riempito di collane di perle e tiare di plastica, oltre ad avergli pitturato le unghie e glitterato le palpebre con ombretti dai colori improbi. Era la sua cavia, e sin da quando erano piccoli lo aveva sempre intortato con una cantilena agghiacciante:

“E’ perché hai la faccia carina, sembri quasi una bambina!”

Argento non sopportava essere considerato grazioso, gli sembrava di non essere preso sul serio.

E anche se ormai erano adolescenti, sapeva che presto o tardi Amira lo avrebbe coinvolto in qualche stramba immersione tra i giornaletti di moda, alla ricerca di nuove colorazione per i capelli e accessori frivoli per Pokémon.

E dire che a guardarla, Amira pareva tutto fuorché femminile. O meglio, si vedeva che si sforzava di esserlo, con quei suoi lunghi capelli rosso scuro acconciati in due codone, ma i suoi occhi scuri non perdevano la loro piega da maschiaccio, così come le labbra. La polo bianca e la gonnellina color lavanda non potevano niente contro la vera natura della ragazza, ossia di bambina che aveva amato tuffarsi nelle pozzanghere tanto quanto mettersi i brillantini sulle unghie.

E così, dopo aver lasciato i bagagli di Argento da sua sorella, Atena ripartì, di ritorno a Smeraldopoli.

Nella testa della donna, c’era la vana volontà di piegare il ribelle secondogenito ai desideri di Team Rocket, dal momento che già sua sorella si era sottratta a quella prospettiva.

“Sì sì, aspetta e spera.” aveva bofonchiato Argento al fumo di scappamento che si allontanava tra le piante.

“Uh? Hai detto qualcosa, caro?” gli aveva chiesto la zia, sollecita.

Dolce zia Nima. Era così lontana dalla mente tutta schemi e trame di sua sorella Atena, così linda se paragonata al mondo sporco di Team Rocket.

Argento non sapeva se invidiarla o essere arrabbiato per quella sua aria da Psyduck inconsapevole.

Nonostante tutto, anche lei aveva tagliato i ponti con Ferruccio ed Erida, dato che si era rifiutata di lasciare da parte la sorella ingrata. Chissà se ne soffriva ancora, o se ormai si era abituata…

In ogni caso, la vita con lei non era poi tanto male. La zia amava sfornare pasti succulenti e dolci zuccherini, ed Argento li mangiava senza troppi complimenti. Magari fosse bastato lo zucchero ad ingentilirlo…

Come da programma, Amira gli chiedeva consigli sulle riviste di moda, e lui le dava dei pareri grugnendo, il che era comunque sufficiente per l’aspirante estetista che era sua cugina.

Quanto a zio Omar, era ripartito per la sua tournée in giro per Johto, a far roteare palle infuocate e fare spettacoli di magia per i più piccoli.

Così, Argento, quando non era occupato ad aiutare la zia od a dare retta ad Amira, si aggirava furtivamente per il piccolo centro di Borgo Foglianova. Non dava confidenza a nessuno, e nessuno lo avvicinava. Meglio, non aveva nessuna voglia di fare conversazione.

Non poteva allontanarsi dal borgo, al massimo si sedeva sulla riva del fiume e immergeva i piedi.

Dopo un po’, era tutto incredibilmente noioso.

Finché, una mattina, circa dieci giorni dopo l’arrivo di Argento a Borgo Foglianova, non giunse il Professor Elm al suo laboratorio, portando con sé tre Pokémon rari da offrire agli Allenatori emergenti.

Argento aveva sempre desiderato un Pokémon.

Quelli di Team Rocket avevano Pokémon da lui considerati deboli e dozzinali, quali Grimer, Zubat, Rattata. Non gli importava di quegli esseri.

A lui piaceva guardare i tre piccoli Pokémon che Elm accarezzava e puliva con amore, quel vivace Chikorita, quel sonnolento Cyndaquil, quel mordace Totodile.

Avrebbe potuto stare per ore con la faccia premuta contro il vetro della finestra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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