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Autore: crazyfred    24/03/2022    2 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 9




Era stato strano per Maya ricevere quella telefonata di Alex, al di là dell’averlo sentito ancora comprensibilmente frastornato, ma ci stava: di tutte le richieste che poteva farle, andare a prendere Giulia da sua sorella era l’ultima che avrebbe immaginato. Era una situazione d’emergenza, lei lo sapeva e lui stesso lo aveva ammesso, ma era un incontro di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Prendi la bambina, saluti e vai via, si ripeteva per la strada, mentre cercava un parcheggio.
Entrò nel salone di cui Alex le aveva inviato la posizione. Era piccolo, semplice, due vetrine sotto un porticato, gli arredamenti sul bianco e il nero, con luci fredde e un finto parquet per terra. Il profumo dei prodotti professionali, senza essere troppo invadente, restituiva una sensazione di freschezza e pulito.
“Salve, posso fare qualcosa per lei?”
Una signora di mezza età, vestita di nero come tutto il resto del personale del salone, piccolina, si avvicinò alla consolle della cassa, dove Maya si era fermata ad aspettare. Non conosceva la sorella di Alessandro, ma si aspettava di trovare qualcuno che gli assomigliasse, anche solo vagamente: la donna, più vicina ai 60 che ai 50, di sicuro
 non poteva essere Anna. Da come la donna la stava guardandoo, pensò Maya, certamente si stava chiedendo cosa ci facesse nel suo anonimo negozietto di quartiere una ragazza che sembrava appena uscita da uno shooting di moda, con i capelli raccolti in una coda alta, perfetti nonostante la pioggia, e truccata con uno smokey da manuale.
“Salve, sono l’assistente di Alessandro Bonelli, mi ha mandato a prendere sua figlia Giulia”
“Ah sì certo, la bimba è nel retro con la zia. La chiamo subito!”

Una signora anziana, seduta in una delle poltrone, sotto al casco per fissare il colore, provò a fare conversazione sull’incidente di Edoardo, tanto per confermare che dal parrucchiere le notizie corrono più in fretta che su Twitter ma Maya non era certo in vena di pettegolezzi e dribblò con maestria le sue domande.
“Maya!” Giulia sbucò dal retro del negozio a braccia spalancate, correndo verso la ragazza.
“Ciao piccola!” Maya si inginocchiò per abbracciarla. Era da tantissimo che non la vedeva, e si rese conto che le era mancata; poi c’era una cosa che prima di allora non aveva mai notato: anche se era evidente che Giulia non indossasse lo stesso profumo del padre, c’era una nota di fondo che li accomunava, dolce e ambrata, come i bastoncini di incenso che sua madre bruciava durante le sue esposizioni di tessuti orientali.

“Maya, Dedo è caduto con la moto!”
“Lo so piccola, però adesso sta bene, lo sai?”
“Siiiì! Papà ci ha chiamato!”
Quando Maya parlava con la piccolina era tutto tremendamente semplice, e questo le piaceva da morire, al punto da dimenticare quasi che lì, in piedi davanti a loro, c’era Anna, la sorella di Alessandro.

“Devi essere Anna Bonelli, piacere Maya Alberici” le disse, tendendole la mano.
“Lo so” troncò la donna, fredda, le braccia strette attorno al trench di Giulia. A guardarla bene, era molto somigliante a Cesare e poco ad Alessandro che, ora ne aveva la conferma, doveva aver preso tutto dalla madre. Nonostante le forme un po' burrose e il broncio, davanti a sé Maya aveva una donna sulla quarantina che, tutto sommato, era bella e affascinante; i capelli erano rossicci come dovevano essere quelli del padre da giovane, le lentiggini non venivano di certo coperte dal leggero strato di fondotinta che indossava e poi, naturalmente, c'era il tratto distintivo di quella famiglia: gli occhi grigio verdi. Su di lei però, così seria, perdevano tutta la loro luce e il loro fascino.
“È solo per quello che è successo che non mi sono opposta, ma non pensare che io sia d’accordo con questa pagliacciata”
Le stava dando del tu, ma non era certo per essere in termini amichevoli.
“Non davanti alla bambina, per favore” la pregò Maya, deferente.
“E perché no? Dovrebbe sapere che razza di sfasciafamiglie è la sua
amica grande
Giulia era così orgogliosa di quel legame speciale che, Maya ci scommetteva, la presentava a chiunque come la sua amica grande, persino a sua zia. Con la coda dell’occhio, Maya notò un vassoietto di cioccolatini e caramelle sul bancone della reception: prese un gianduiotto e lo diede a Giulia.
“Piccola vai a sedere lì” le disse dolcemente, indicando le poltroncine della zona d’attesa “fai la brava mentre parlo con la zia ... Io non ho sfasciato niente” provò a giustificarsi Maya, ma Anna la interruppe.
“Hai pure il coraggio di presentarti qui come se niente fosse a prendere mia nipote” rimbeccò la donna “puoi giocare alla famigliola felice quanto vuoi con lui … gli uomini sono tutti uguali, con le ragazzine si sentono giovani e forti. Ma con me non attacca questa recita. Lo sanno tutti come si comportano quelle come te”
“Quelle come me chi esattamente?”
“C’è pure bisogno di dirlo? Una mantenuta, che sta con lui solo per soldi e posizione sociale. Ma non ti illudere … sei solo una seconda scelta”

Maya, senza darlo a vedere, si sentì ferita profondamente da quelle parole; se le avesse dato apertamente della puttana forse avrebbe fatto meno male. Perché, senza saperlo, Anna aveva battuto proprio su quel punto su cui Maya stessa aveva tanto insistito: non essere un rimpiazzo di Claudia.
“Non mi è mai interessato essere la prima” dichiarò Maya, candidamente, sussurrando a denti stretti per non farsi sentire dalla bambina e tentando di mostrarsi superiore, forte della sua altezza con cui torreggiava la donna, nonostante a fatica trattenesse le lacrime “l’importante è piuttosto essere l’ultima”
“Ma ci credi davvero?!” rise sarcastica Anna “Se è questa la strada che ha deciso di prendere mio fratello si stancherà presto … sei solo la prima di una lunga fila di seconde scelte”

Maya, senza aspettare oltre, le strappò dalle mani l’impermeabile di Giulia, aiutò la bambina a rivestirsi e corse via, talmente in fretta da dimenticare l’ombrello nel negozio e dovendo coprire la bimba con il cappuccio mentre andavano in auto; non aveva affatto voglia di tornare lì dentro. Ma in fondo, quella dimenticanza era stata provvidenziale: senza, non avrebbe potuto mascherare con la pioggia le lacrime che adesso non riusciva più a trattenere.
Mentre erano in auto, la piccola, seduta di fianco a lei con la cintura ben allacciata, domandò: “Maya perché zia Anna ti ha detto quelle cose?”
La bambina probabilmente non aveva capito molto di quello che era successo tra lei ed Anna, ma era abbastanza sensibile per cogliere le sfumature negative.
“Perché i grandi quando non capiscono qualcosa si arrabbiano e dicono le cattiverie”
“Tu però vuoi bene a papà, vero?” le domandò.
Alex le aveva raccontato della piccola chiacchierata che aveva fatto con la bambina, di come le aveva detto che le vacanze di Pasqua le aveva passate con un’amica speciale a cui voleva tanto bene e lei gli aveva chiesto, sconcertandolo, se fosse la sua fidanzata. Quella bimba, così perspicace, a questo punto doveva aver capito anche era di lei che suo padre parlava.
“Sì … tanto”
“E allora perché zia non capisce”
“Boh … a volte noi adulti siamo strani, sai?!”
Anche Maya si faceva la stessa domanda di quella bambina di 5 anni: loro stavano insieme, non facevano la guerra a nessuno, eppure sembrava che stessero rubando il pane agli affamati in fila alla Caritas o qualcosa del genere.
“Però mi fai una promessa, Puffetta? Non diciamo niente a papà di questa cosa … è già tanto preoccupato per Edoardo. Ok?”
“Ok” rispose la bambina, facendole tirare un sospiro di sollievo “però tu non piangere più”
“No piccola” le disse Maya, accarezzandole la guancia “non piango”.

Col tempo, sperava, avrebbe dimenticato quello che aveva visto e sentito e magari lei ed Alex avrebbero trovato un modo per far funzionare le cose se la loro relazione avesse preso una piega più solida. A quel pensiero le venne da sorridere: erano passati poco più di due mesi da quella serata speciale, quando piena di dubbi aveva deciso di fare quel passo nel buio, ed ora quei dubbi li vedeva solo come uno spettro lontano.

 

Erano da poco passate le 9 di sera e Maya se ne stava sul divano di casa di Alex, la tv accesa in sottofondo sui cartoni, guardando distrattamente video stupidi su TikTok. Accorgendosi all’improvviso del silenzio nella stanza – quella chiacchierona di Giulia di solito commentava ogni scena dei cartoni che vedeva – si accorse che la piccola, di fianco a lei, si era addormentata; l’immagine della bambina, con la testa appoggiata sul bracciolo del divano, un braccio penzoloni e il pollice ancora nella boccuccia leggermente discusa, la fece sorridere, scaldandole il cuore: era stata una giornata difficile per tutti.
Come meglio poteva, ma alquanto maldestramente, prese la piccola in braccio tentando di non svegliarla, per portarla in camera da letto. Mentre si destreggiava in questa operazione delicata, sentì la porta aprirsi; inconsciamente, si trovò a tirare un sospiro di sollievo: per quanto ripetesse a sé stessa che andava tutto bene, che quelle di Anna erano solo le parole di una stronza invidiosa marcia, sapere che Alex era tornato da lei la faceva stare di nuovo più tranquilla e sicura di sé.
“Ehi…” esclamò Alex, lasciandosi andare ad un flebile sorriso, mentre toglieva la giacca. Si vedeva che era stanchissimo e provato dagli eventi “già dorme?”
“Eh già … non me ne sono neanche accorta, è proprio crollata”
“Lascia a me” le disse, prendendo la piccola tra le braccia “ci penso io”

Alessandro portò Giulia in cameretta, provando a svestirla senza svegliarla, ma era chiaramente impossibile. “Papà” bisbigliò la bambina, lievemente, assonnata.
“Ciao amore mio!”
“Sei tornato!”
“Sì, ora mettiamo il pigiamino”
“No” obiettò la bambina “io voglio giocare con te!”

Ogni tentativo di protesta di Giulia in realtà si infrangeva contro la sua stessa volontà: la bambina, infatti, riusciva a malapena a collaborare con il padre. “Va bene” la assecondò Alessandro, mettendole il pigiama “facciamo che tu sei la principessa Aurora e io sono il principe. L’arcolaio stregato ti ha appena punto … finché non vengo a darti un bacio non puoi svegliarti”
“E quando … vieni a darmi un bacio papà?” domandò, finalmente sotto le coperte, lasciandosi andare ad un grosso sbadiglio.
“Presto, te lo prometto. Ma prima devo sconfiggere il drago”

Alex spense la luce, socchiudendo la porta per non darle fastidio.

“Hai fatto tardi…” gli domandò Maya, aspettandolo fuori dalla porta della cameretta.
Non era una novità, per Maya, vederlo occuparsi della bambina. Ma sentiva tutto cambiato, perché lei era cambiata, il suo ruolo era diverso: anche se la bambina tecnicamente non sapeva nulla, non era più un’estranea che li osservava in disparte, non era più di troppo. Era esattamente dove doveva e voleva essere e, anche se forse era troppo presto, la sua mente iniziò a vagare e a farle immaginare come poteva essere fare famiglia insieme. Sì, aveva davvero pensato a quella parola e non ne era affatto spaventata. La faceva sentire bene, al sicuro, lontana da quelle malelingue del pomeriggio. Alex si avvicinò, cogliendola di sorpresa e ridestandola dai suoi pensieri, prendendola per i fianchi e tirandola a sé, rimanendo per qualche secondo fronte a fronte. Inspirò profondamente quel caldo aroma orientale divenuto per lui, finalmente, profumo di casa. Le era mancata da morire.
“Dopo che abbiamo parlato con i medici ci hanno fatto entrare in terapia intensiva … poi ho avuto bisogno di prendere un po’ d’aria, ho fatto un giro in auto” raccontò, posandole una carezza leggera sulla guancia “scusa, avrei dovuto avvertirti …”
“Non ci pensare, è solo che pensavo saresti tornato prima e avevo preparato la cena anche per te”
“Hai cucinato?” chiese, mentre tornavano nella zona giorno.
“Mm mm” annuì, lo sguardo malandrino “la mia specialità: Big Mac per noi e Chicken Mc Nuggets per Giulia”
Alessandro rise, era bello poter lasciare fuori i problemi anche solo per un minuto ed ormai nemmeno lo stupiva più che quel sollievo fosse Maya ad offrirglielo. Tornò a stringerla a sé, ancora di più se possibile, passando le braccia attorno alle spalle e stampandole un bacio sulle tempie: aveva bisogno che il suo profumo gli si imprimesse addosso per togliere quel forte odore d’ospedale che sentiva addosso.
“Non è colpa mia se ormai faccio a malapena colazione qui e ho il frigo sempre vuoto”
“Non garantisco che l’hamburger del Mac sia ancora commestibile” lo avvisò, mortificata “ma forse una pasta aglio, olio e peperoncino riusciamo a metterla in tavola”
“Ti ringrazio, ma non credo di riuscire a buttare giù nemmeno un po’ di caffè”
“Neanche con la moka?” provò a tentarlo Maya.
“Negativo … sento ancora addosso la puzza di disinfettanti e medicine, fin dentro le narici”
“Dai, adesso me ne vado, ti meriti una lunga doccia in santa pace” gli disse, baciandolo velocemente e andando verso l’attaccapanni all’ingresso.
“La doccia me la faccio … ma tu rimani” replicò lui, persuasivo, trattenendola.
“Stai scherzando?” commentò lei, spaesata “c’è la bambina di là che dorme…”
“Ti ho chiesto solo di restare con me, mica di fare chissà cosa. Mi fai compagnia, parliamo un po’ … se proprio ci tieni posso dormire sul divano e a te lascio il letto. Anche se conoscendo Giulia credo che abbia già intuito qualcosa”
“Temo anche io … è una spugna! Quando parla mi fa paura”
“Perché? Che ha detto? … ah, non ti ho neanche chiesto come è andata con mia sorella …”
“Non è la nostra fan numero uno, proprio come avevi detto tu” Maya non voleva mentirgli, ma nemmeno voleva dargli un peso ulteriore “ma è andato tutto bene, magari non era la circostanza migliore per conoscersi. Oggi è stata una brutta giornata per tutti”

Alex annuì tornando a stringere Maya tra le sue braccia. In quel momento aveva solo voglia di far sparire quelle immagini che, come dei flash, gli tornavano davanti agli occhi: suo figlio in terapia intensiva, tra drenaggi e macchinari il cui bip sembra minacciare sempre al peggio.
Alla fine Maya aveva ceduto: pensava di aver visto il punto più fragile di Alex nei giorni del rientro dalle vacanze estive, quando Claudia era andata via e lui si era trovato a gestire i ragazzi da solo. Ma ora lo vedeva completamente annientato, fiaccato mentalmente ma anche fisicamente e se mesi addietro la rabbia e la delusione lo avevano fatto reagire, adesso non vedeva neanche quello spiraglio. Lui la voleva vicino, e non era così scontato e banale, significava tutto per lei: ergo lei doveva esserci, per lui e per loro stessi. Tutto il resto, le pippe mentali, le spiegazioni da dare, o le accuse dei benpensanti, passava in cavalleria.
“Allora...come sta?” domandò Maya ad Alex che, uscito dal bagno dopo una lunga doccia, controllava sul telefono un messaggio di Claudia che lo aggiornava della situazione. Non erano ancora riusciti a parlare di quello che era successo, Alex non riusciva ancora a mettere a fuoco completamente la situazione e lei aveva capito che bisognava dargli tempo e spazio. Le aveva detto che aveva avuto bisogno di fare un giro in auto dopo l’ospedale: Dio solo sapeva il caos che c’era in quella testa e l’idea che avesse dovuto affrontare tutto da solo faceva star male anche lei.
“Sotto osservazione, che non è male ma non è nemmeno bene” le spiegò, sedendole accanto sul divano.
Lei accavallò le gambe su quelle di lui, accarezzando delicatamente il suo viso provato come fosse un massaggio. Quel contatto, quel modo di fare così fisico, istintivo e naturale, era lenitivo per entrambi.
“C’è mancato tanto così Maya” le disse, mimando tra le dita lo spazio di un paio di centimetri, la voce tremante, lo sguardo perso nel vuoto della stanza, alla penombra della tv accesa sul solito talk politico che blaterava indistintamente a volume basso “tanto così e … non riesco nemmeno a dirlo”
“E allora non dirlo … perché prendersi la pena per qualcosa che non è successo? Ci vorrà tempo ma è giovane, si riprenderà in fretta. Vedrai…"
Voleva esserne sicura per entrambi, ma soprattutto per lui che aveva bisogno di qualcuno che in quel momento gli infondesse la forza e il coraggio che gli mancavano: e così era determinata a credere che in men che non si dica Alex sarebbe tornato di nuovo a borbottare perché Edorardo gli avrebbe risposto male, sarebbe tornato a protestare per la nuova relazione di suo padre o perché avrebbe di nuovo fatto sega a scuola e tutto quello sarebbe stato solo un brutto ricordo.
“Non è finita Maya … ho … ho paura…”

D’istinto, Maya lo attirò a sé, contro il suo petto, finendo allungati sul divano. Senza dire una parola restarono lì intrecciati tutta la notte, i respiri a cullarli finché, esausti, entrambi non si addormentarono.

Al mattino tutto era filato liscio. Maya aveva lasciato l’appartamento prima che la piccola potesse svegliarsi: entrambi avevano concluso che, con tutto quello che era successo il giorno prima (e Maya ci aggiungeva segretamente anche l’incontro con Anna), dover anche sedersi a tavolino con una bambina di quasi 6 anni per spiegarle chi era l’amica speciale di cui il padre le aveva accennato fosse veramente troppo. Portata la Giulia a scuola, Alex si diresse in ospedale prima di andare al lavoro e questa fu la sua routine per i dieci giorni successivi, alternandosi con Claudia di notte quando il ragazzo era ancora in terapia intensiva, finché i medici, finalmente, autorizzarono il ritorno a casa. Tutto era andato bene, alla fine, ma lo spavento era stato davvero grande. E il lungo percorso di riabilitazione, lenta e dolorosa, era appena iniziato: conoscendo il caratterino di Edoardo, per Alex si prospettavano settimane da incubo.

   
 
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