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Autore: IndianaJones25    24/03/2022    2 recensioni
La giovane giornalista Miriam Holland riceve un incarico semplice semplice: intervistare l’anziano professor Jones in occasione del suo centesimo compleanno. Resta da vedere se Indiana Jones sarà d’accordo con lei…
Ho scritto questa storia nell’estate del 2017, e in questi anni ho continuato a rivederla, perché ero più che deciso a pubblicarla per ultima. Credo che sia arrivato il momento di farlo, perché ormai non credo che riuscirei a scrivere nulla di più o di meglio. Voglio ringraziare tutte le persone che in questi anni mi hanno seguito qui su Efp e tutte quelle che leggeranno in futuro i miei racconti. Grazie a tutti per tutto quello che mi avete dato, non lo scorderò!
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    FORTUNA E GLORIA

    Maine, Stati Uniti d’America, 1999

   Di rado si vedevano ragazze, da quelle parti; di solito le sue coetanee preferivano mete differenti rispetto a quella remota zona di periferia, dove gli unici suoni che si potesse sperare di sentire non erano rombi di motore o pulsare ritmico di musica da discoteca, bensì il fruscio delle foglie e il cinguettio degli uccellini. Eppure, era proprio lì che lei doveva andare.
   Sgargiante felpa Adidas in acetato con sezioni e righe multicolore, così larga da celare quasi del tutto il suo fisico piuttosto magro ma non per questo privo di belle forme, jeans chiari e strappati in diversi punti con la vita così alta che le sfiorava l’ombelico e bianche scarpe da ginnastica dalla suola tanto spessa da farla apparire molto più slanciata del suo reale metro e cinquantotto, Miriam Holland controllò per l’ennesima volta l’appunto che aveva scribacchiato sul retro di uno scontrino.
   Sì, non poteva sbagliarsi: l’indirizzo era proprio quello.
   Con un gesto veloce si ravvivò i lunghi e ondulati capelli castani che sfavillavano come pietre preziose alla luce dorata di quel caldo pomeriggio d’estate – luce a tratti soffusa, essendo filtrata attraverso gli alti e frondosi ippocastani e i tigli profumati che attorniavano su entrambi i lati la stradina sterrata – e guardò in direzione della casetta di fronte a cui aveva parcheggiato.
   Il piccolo ma confortevole chalet, immerso nel verde dei boschi punteggiati di pini odorosi di resina e situato quasi a ridosso delle rive di un placido e piccolo lago, era uno dei tanti di quella tranquilla zona del Maine, il più vivibile tra i paesi degli Stati Uniti, almeno a voler dare retta ai cartelli stradali.
   E, a prima vista, lo si sarebbe anche potuto considerare una casetta normalissima, esattamente come le altre.
   Un edificio di legno a due piani, circondato da un praticello ben curato e delimitato da una staccionata, su cui si abbarbicavano e si intrecciavano le foglie di una vite canadese; a fianco dell’abitazione, un garage dalla basculante aperta, al cui interno era posteggiato un vecchio pickup Chevrolet che, sotto lo strato di ruggine che lo aveva ricoperto quasi completamente, mostrava ancora qualche traccia del suo originario color senape. A sottolineare lo spirito patriottico del padrone di casa, sopra la basculante era attaccato un pennone, da cui pendeva floscia e immobile nell’aria ferma del pomeriggio estivo una vecchia bandiera a stelle e strisce leggermente stinta.
   Ma quello non era affatto uno chalet come gli altri, poiché lì era solito trascorrere le estati, da ormai oltre tre decenni, il professor Henry Jones, Jr., il celebre archeologo in pensione.
   Quel giorno, il primo luglio del 1999, il docente che aveva insegnato a intere generazioni di futuri accademici festeggiava un traguardo straordinario: il suo centesimo compleanno. Non certo un avvenimento destinato a succedere ogni giorno.
   Ed era per questo motivo che il direttore del giornale, più che altro per togliersi di torno quella giovane reporter guastafeste, che non faceva altro che proporgli scomodi articoli su brogli elettorali, tangenti e corruzione, aveva spedito Miriam ad intervistarlo. Impresa tutt’altro che facile! Era risaputo che il professor Jones non aveva mai voluto rilasciare alcuna dichiarazione alla stampa e, inoltre, invecchiando, era diventato ancora più scorbutico di quanto già non fosse stato in gioventù.
   Miriam, però, era più che decisa a non farsi sbattere la porta in faccia. Non sarebbe certo stato un amabile ed innocuo vecchietto a ostacolare la sete di sapere dei lettori del suo giornale. Inoltre, riuscire nella sua impresa le avrebbe attirato – forse, perlomeno ci si sperava – le simpatie del direttore, inducendolo ad apprezzare maggiormente tutti i suoi sforzi.
   Richiusa la portiera e lasciata la sua Ford Fiesta grigia del 1992 ai margini della strada sterrata e un po’ dissestata, la ragazza spinse il basso cancello di legno e, dopo essersi fermata per un istante a contemplare la casetta, aspirando a pieni polmoni il dolce e fragrante profumo degli alberi, risalì il vialetto che conduceva al portico d’ingresso. Con le sue lunghe dita affusolate tamburellò un paio di volte sulla porta – non essendovi traccia di alcun campanello – ma non ottenne nessuna risposta. Riprovò più volte, dando colpi via via più forti, però sempre con il medesimo risultato.
   Che il nonnetto fosse uscito a fare una passeggiata? Si sarebbe dovuta rassegnare a sedersi in macchina ad aspettare che rientrasse in casa. Però, poteva anche darsi che non la sentisse bussare: chi poteva assicurarle che Jones, invecchiando, non fosse diventato completamente sordo? Un pensiero terribile le attraversò di colpo la mente: e se il vecchio fosse morto? Se fosse stato in casa, riverso da qualche parte, magari nel letto, ormai cadavere da diversi giorni? A quell’età non sarebbe stato per nulla strano…
   Turbata, Miriam abbassò la maniglia e la porta, che non era chiusa a chiave, si aprì. Dall’interno della casa, non proveniva alcun rumore.
   «C’è nessuno? Professor Jones? È permesso?» domandò la giornalista, titubante. A risponderle, però, fu solamente un inquietante silenzio.
   La giovane, si guardò attorno nervosamente, indecisa se continuare o fare dietrofront fino alla macchina e tagliare la corda senza più curarsi di nulla: al direttore avrebbe potuto raccontare una storiella qualsiasi. Per un istante fantasticò di essere davanti a quel tronfio ometto biondiccio con il sigaro sempre stretto tra i denti, mentre gli diceva: «Mi perdoni, signor Pierce, ma ho trovato un traffico che non si immagina e non sono riuscita ad arrivare a destinazione. Perché non prova a telefonare lei, al professor Jones? Così, anziché fargli una sorpresa, potrei farmi dare un appuntamento per i prossimi giorni
   Poi, però, si sentì invadere dal senso del dovere di ogni buona cittadina americana. Lei era una giornalista vera e non poteva arretrare – o, peggio ancora, fuggire – dinnanzi alla realtà dei fatti, nemmeno se questa si fosse presentata sotto le spoglie del cadavere putrescente di un centenario. Quindi, raccolto tutto il suo coraggio, compì qualche incerto passo dentro l’abitazione.
   Il tinello, ovunque si dirigesse lo sguardo, era ingombro di curiosi oggetti di ogni tipo, appoggiati sui mobili e sul tavolo, oppure ammassati alla meglio e un po’ alla rinfusa dentro alcune polverose vetrinette: statuine di ceramica di epoche e civiltà molto lontane, antichi manufatti in pietra come raschiatoi e punte di freccia, collezioni di monete ossidate, carte ingiallite coperte da grafie fitte e da caratteri spesso sconosciuti, pile di grossi libri rilegati in pelle, un paio di mappamondi e numerosissime altre affascinanti cose che, in un modo o nell’altro, denotavano la passione del padrone di casa per i viaggi e per l’antichità. Più che nella sala d’ingresso di una casa per le vacanze, sembrava proprio di stare in un museo.
   Dimenticando la paura di poco prima e provando un grande interesse per ciò che stava vedendo, Miriam continuò la sua ispezione, passandosi un dito sulle labbra, come faceva sempre quando la sua attenzione veniva completamente catturata da qualcosa. L’odore della stanza – un misto di vecchiume, polvere e naftalina – in un primo momento la infastidì, facendole torcere il naso, ma presto vi si abituò.
   In un angolo, di fronte ad un divano la cui fodera verde era ormai decisamente lisa, si trovava un vecchio televisore dal rivestimento in legno, sopra il quale capeggiava un vaso di fiori finti appoggiato nel mezzo di un centrino lavorato a mano.
   Al lato opposto della parete, invece, un’angoliera conteneva parecchie bottiglie di liquore piene per metà o per due terzi, oltre che altre statuine e piccoli pupazzi di stoffa, legno o paglia; oggetti, questi ultimi, più recenti di quelli che aveva appena finito di ammirare, quasi certamente dei souvenir provenienti da chissà quali luoghi.
   Ma, ciò che più la incuriosì, furono le numerose cornici d’argento ossidato che, allineate sopra un antiquato scrittoio, mostravano al proprio interno diverse fotografie, alcune a colori, altre in bianco e nero o, addirittura, color seppia: un bambino abbracciato al suo enorme cane, entrambi con uno sguardo che dava proprio l’impressione che si fossero fermati giusto il tempo necessario per quel ritratto, prima di riprendere a correre ed a fare capriole nel prato disseminato di fiori che si notava alle loro spalle; una coppia di giovani felici, immortalati di fronte a quella che pareva essere la Spianata delle Moschee di Gerusalemme, tutti e due sorridenti e con gli occhi accesi della scintilla dell’amore; un’immagine della medesima coppia – ma un po’ più invecchiata e affiancata da un ragazzo con indosso un giubbotto da motociclista della fine degli anni ’50 – nel giorno del loro matrimonio, ancora sorridenti come se, da quel giorno a Gerusalemme, non fossero trascorsi anni, ma solamente poche ore; il ritratto di un uomo dalla barba bianca e dallo sguardo severo che, tuttavia, al medesimo tempo appariva simpatico e consapevole, come se il suo proprietario avesse raggiunto chissà quale arcana illuminazione… e diverse altre istantanee che raccontavano di una lunga vita vissuta pienamente, giorno dopo giorno.
   Miriam, ammaliata, si sarebbe volentieri trattenuta a esaminarle una ad una, perdendosi per ore in quel mare di ricordi impressi indelebilmente sulla carta stampata: amava tantissimo la fotografia e la sua magica capacità di imprimere per sempre un istante fuggevole, ghiacciando il tempo. E le sarebbe tanto piaciuto, allora, continuare a osservare quelle vite che si erano intrecciate forse per caso o forse per destino; ma sapeva di dover prima di tutto scoprire che cosa ne fosse stato del professor Jones.
   Inoltre, si rese conto gettando altre occhiate tutto attorno, c’erano talmente tante altre meraviglie, dentro quella stanza, che sarebbe stato praticamente impossibile poterle ammirare tutte in una sola volta; ci sarebbe voluta almeno una settimana, se non di più, per poter sperare di concedere il giusto spazio a ciascuno di quei tesori e di quei cimeli che parevano quasi una rappresentazione in piccolo ma ben dettagliata della storia umana, dalla preistoria ai tempi moderni.
   A rendere il tutto decisamente meno accattivante di quanto sarebbe dovuto essere, tuttavia, contribuiva l’acre odore di stantio e di naftalina che aleggiava un po’ ovunque e che, da qualche secondo, aveva ricominciato a infastidirla.
   Un oggetto, però, sembrava essere molto più curioso di qualunque altro, al punto che, a vederlo, ci si dimenticava subito di tutto il resto, cattivo odore compreso; ed era quello che era stato posato sulla mensola sopra il caminetto di pietra. All’interno di una teca di vetro – dove, normalmente, ci si sarebbe potuti aspettare di ammirare una qualche sciabola della guerra di secessione appartenuta a un lontano avo – svettava infatti una frusta arrotolata.
   Stuzzicata nella sua immaginazione da quell’oggetto che aveva sempre e solo visto in qualche film d’avventura un po’ troppo esagerato e fuori da ogni possibile logica – come quelli dedicati ad Allan Quatermain, con Richard Chamberlain e Sharon Stone, oppure quelli interpretati da Harrison Ford, di cui in questo momento aveva il nome un po’ strampalato del protagonista sulla punta della lingua, senza proprio riuscire a farselo venire in mente – Miriam si avvicinò per osservarla meglio; e fu così che, con la coda dell’occhio, poté notare fuori dalla finestra, sotto il portico che si affacciava in direzione del lago, un anziano signore immobile sopra una sedia a dondolo, il capo reclinato in avanti e nascosto da un ampio cappello di feltro.
   La ragazza, lasciata perdere la frusta, corse immediatamente alla portafinestra di zanzariera che immetteva sul retro e, spalancatala per uscire, si avvicinò con circospezione al vecchio.
   Il signore seduto indossava un elegante ma lievemente liso completo marrone scuro, con tanto di farfallino nero legato al collo della camicia bianca; il volto, estremamente rugoso e segnato da molteplici cicatrici e macchie della pelle, punteggiato di barba bianca e mal rasata, era per buona parte celato dal cappello di feltro a larghe tese, che sembrava aver visto giorni migliori, del medesimo colore del vestito. Le mani quasi scarne e nodose del vecchio erano abbandonate sulle gambe, e un bastone da passeggio con l’impugnatura di ottone a forma di testa d’anatra era appoggiato accanto alla sedia.
   «Dottor Jones…?» mormorò la giornalista, chinatasi verso di lui e poggiandogli una mano sulla spalla per scuoterlo leggermente. L’uomo stava solamente sonnecchiando oppure…?
   Improvvisa, una mano artigliò con forza prodigiosa il polso di Miriam, che mandò un grido di stupore, e il vecchio balzò in piedi con incredibile agilità, rivelandosi in tutta la sua altezza e mettendo in mostra un fisico asciutto, tuonando: «Questa volta ti ho preso, Belloq! Non me la fai più!»
   L’altra mano di Jones si sollevò e si strinse minacciosamente come se volesse sferrare un pugno. Atterrita, Miriam tentò di svincolarsi da quella presa saldissima, ma non vi riuscì. Piccola com’era, le sembrava di essere stata catturata da un gigante. Nel guardarla meglio, però, il vecchio sembrò confuso e, pur senza lasciarla andare, aprì il pugno e si portò la mano al taschino della giacca, da dove trasse un paio di spessi occhiali dalle lenti tonde che inforcò con gesti nervosi per vederla meglio.
   «Ma tu non sei Belloq!» constatò, con voce rauca e profonda.
   «No, professore, io mi chiamo Miriam e…» rispose la giornalista, cercando di dissimulare lo spavento con un tono dolce.
   «Ma certo che non lo sei» brontolò il vecchio, lasciandole finalmente il braccio e tornando a sedersi con un grugnito. «Belloq è morto, nel ‘36, esploso in mille pezzi per aver cercato di violare l’Arca dell’Alleanza… che cosa pensa la gente, che io sia rimbambito solo perché ultimamente ho qualche annetto in più sul groppone? Bah! Saranno bravi loro che, alla metà della mia età, a sera già fanno fatica a ricordare che cosa abbiano mangiato a pranzo…!»
   «L’Arca dell’Alleanza?» domandò Miriam, incuriosita, accendendo di nascosto il registratore a cassette portatile che teneva nella tasca posteriore dei jeans.
   «Ma certo, l’Arca, top secret, mi hanno mandato a cercarla i servizi segreti per strapparla a quel folle di Hitler, e poi? Chiusa chissà dove, celata al mondo anziché studiata come avrebbe dovuto essere. Io…»
   Il vecchio, che fino a quel momento aveva parlato con lo sguardo rivolto nel vuoto, la fissò d’improvviso con tanto d’occhi e parve accorgersi per la prima volta della sua presenza.
   «Ma lei chi diavolo è, si può sapere?! Che ci fa in casa mia?!» ruggì.
   «Mi chiamo Miriam Holland, professore, e sono qui per intervistarla» si presentò la giovane, gratificandolo di un enorme sorriso.
   «Intervistarmi?! Lei sarebbe una giornalista?!» ululò Jones, mentre un’espressione accigliata gli rabbuiava il viso.
   «Proprio così.»
   «Non sia mai!» sbraitò l’archeologo, rimettendosi in piedi e indicando con un secco gesto del braccio il giardino. «Fuori subito di qui! Fuori! Fili via, prima che la sbatta io a calci fuori dalla porta!»
   Miriam rimase impassibile. Era abituata ad affrontare governatori corrotti e criminali spietati, e non si sarebbe di certo fatta spaventare da un anziano ed elegante accademico.
   «Suvvia, dottor Jones, non si scaldi così. Non le fa bene arrabbiarsi tanto, specialmente nel giorno del suo compleanno.»
   Il vecchio parve calmarsi e si grattò con aria pensierosa i pochi capelli candidi sopravvissuti sotto il suo eterno copricapo.
   «Il mio compleanno, dice, signorina Mary?»
   «Miriam» lo corresse lei, con un sorrisetto.
   «E io che cosa accidenti ho detto, Cristo santo?»
   «Comunque sì, professore, oggi è il suo compleanno. Non se lo ricorda?»
   Il tono della ragazza era delicato ma, sottosotto, pure trionfante: dopo l’iniziale sconcerto dimostrato nel risvegliarsi dal riposino pomeridiano trovandosela davanti, l’archeologo si era tranquillizzato e, quindi, era ormai sicurissima di averlo in mano. Molto presto, con la lingua lunga tipica delle persone anziane, avrebbe cominciato a sciorinare risposte a tutte le sue domande, per la gioia dei lettori.
   Jones afferrò il bastone e, voltandole le spalle, iniziò a camminare lentamente lungo il porticato, con gambe malferme, mani tremanti e schiena ricurva. Sembrava proprio che muovere ogni singolo passo gli costasse un’immane fatica, tanto che più si avvicinava alla fine della ringhiera di legno verniciata di bianco, dove tre gradini immettevano sul prato, e più rallentava; evidentemente, le poche energie di cui disponeva il suo organismo lo stavano già abbandonando e, molto presto, si sarebbe dovuto rimettere seduto, in totale balia della giornalista.
   Miriam strinse le labbra. Pur non conoscendolo, le faceva quasi compassione vedere un uomo come quello, sul quale erano fiorite tante leggende, ridotto in quello stato deplorevole. D’altronde, si disse, gli anni trascorrono per chiunque, persino per gli uomini più formidabili e arditi, capaci di imprese valorose ed indimenticabili. Si può vivere un’intera esistenza cercando avventure e vincendo numerosi nemici, sfidando e superando ogni limite; ma, alla fine, nessuno potrà mai sottrarsi al destino e ognuno dovrà, prima o dopo, volente o nolente, piegare il capo dinnanzi al fluire ininterrotto del tempo. Una legge naturale a cui nessun essere vivente avrebbe mai potuto sottrarsi, neppure l’audace dottor Jones.
   «Il mio compleanno… ma certo che me lo ricordo, dannazione» borbottò intanto il vecchio archeologo, fermandosi e mantenendo gli occhi fissi al lago. «Che cosa pensa anche lei, che mi sia rincretinito? Oggi compio gli anni – cento, giusto per essere precisi – e lei è qui per strapparmi un’intervista e far sapere a qualche vecchia zitellona inacidita tutti i fattacci miei. E, senza averla ottenuta, non se ne andrà neppure se io minaccerò di sbatterla fuori di casa mia prendendola a calci in quel suo bel sederino sodo sodo. Dico bene?»
   «Dice bene, dottor Jones» replicò Miriam, sorridendo amabilmente quando il nonnetto si volse a guardarla dritto in faccia. Ormai, era suo.
   «Be’, sa che cosa le dico, mia cara Maya?» domandò Jones, mentre un ghigno ironico gli si allargava sul viso legnoso.
   «Che cosa, professore?»
   «Col cavolo!»
   E, con una mossa fulminea, le scagliò addosso il bastone, centrandola al costato. Subito dopo, con un salto impensabile per un uomo della sua età, il vecchio oltrepassò i gradini del portico e iniziò a correre con la medesima energia di un ventenne in direzione del lago, senza più neppure il minimo accenno di tremore nella membra o nella schiena, adesso tornata drittissima. Con una mano si reggeva il cappello, e i lembi della giacca gli sventolavano ai lati.
   Interdetta, massaggiandosi il punto dolorante per il colpo ricevuto dal bastone, la giornalista rimase a fissarlo stupefatta e con la bocca spalancata per alcuni istanti; poi, resasi veramente conto di ciò che era appena accaduto, prese la rincorsa e si lanciò al suo inseguimento.
   «Si fermi, professore, le fa male correre così!» urlò Miriam, con il fiato corto e la milza che già cominciava a protestare, non essendo più abituata a troppo sport.
   Ma il vecchio archeologo non era minimamente intenzionato a darle retta.
   «Si fermi lei, bellezza, se non vuole rischiare di inciampare e ritrovarsi seduta a terra su quel suo bel culetto tondo!» gracchiò lui per tutta risposta, con fare canzonatorio, senza voltarsi e senza fermarsi, dando al medesimo tempo prova di non aver perduto per nulla l’occhio estremamente clinico con cui era sempre stato abituato a valutare qualsiasi donna gli si fosse parata di fronte.
   Perché, se da una parte Henry Jones, Jr. poteva anche avere compiuto il secolo di vita ed essersi rassegnato a trascorrere i pomeriggi seduto sulla sua sedia a dondolo rimuginando cupamente sul passato, dall’altra Indiana Jones non era mai invecchiato ed era rimasto lo stesso di sempre. Passassero anche mille secoli, un uomo come lui non sarebbe mai cambiato.
   Percorrere i duecento metri di prato che separavano la chalet dalla riva fu affare di un solo momento, per il coriaceo avventuriero.
   Con due veloci balzi felini, Jones superò il molo e si gettò a bordo della sua barchetta da pesca. Muovendo le mani freneticamente, sciolse in fretta la cima d’ormeggio e provò ad avviare il motore fuoribordo tirando il cavo dell’accensione, ma quel rottame arrugginito non volle affatto saperne di mettersi in funzione.
   «Dannato coso, ai miei tempi la roba funzionava sempre!» sbraitò il vecchio, sollevandosi e sferrando un calcio al motore che, così, si mise in funzione con qualche scoppiettio.
   «Ah, bene!» brontolò a quel punto, sedendosi e afferrando la barra del timone. Stava per dare gas, quando Miriam, ansante per lo sforzo, salì sul pontile, gridandogli a gran voce di aspettarla.
   «E perché mai dovrei?» vociò di rimando il nonnetto, con una pungente nota di scherno nel tono, dandole un’occhiata in tralice.
   «Non mi costringa a buttarmi a nuoto!» intimò la donna, ancora piegata per la fatica, sperando di apparire sufficientemente minacciosa.
   «Non ho nessuna intenzione di farlo, infatti!» replicò lui.
   Detto questo, Jones abbassò la leva dell’acceleratore e puntò con decisione la prua verso il centro del lago.
   Miriam, però, non si sarebbe di certo data per vinta. Aveva promesso al direttore che sarebbe tornata con un’intervista interessante e non voleva venire meno alla parola data, a qualsiasi costo. Non sarebbe stato quel vecchio testone ostinato a impedirle di compiere il suo dovere.
   Sfilatasi rapidamente la felpa colorata e rimasta con indosso una maglietta a maniche corte nera, piuttosto scolorita, su cui era stampigliato il logo di Jurassic Park, si profuse in un tuffo da vera campionessa olimpionica, gettandosi immediatamente all’inseguimento del piccolo motoscafo, che non aveva ancora acquistato troppa velocità. Allungando le mani, le riuscì di aggrapparsi alla fiancata della barchetta.
   Prima che potesse salire a bordo, però, Jones compì una brusca virata, cercando di farle perdere la presa.
   «Giù dalla mia nave, clandestina!» urlò il vecchio, guardandola in cagnesco.
   «Mi faccia salire, invece!» strepitò la giovane, cercando di mantenersi attaccata pur essendo di continuo investita dalle ondate spumose, che le entravano in bocca e nel naso mozzandole il respiro. «Vuole farmi annegare, per caso?!»
   «Perché no?!» ribatté il vecchio, con la voce piena di sarcasmo. «Mi ha dato una buona idea, sa?» Si alzò dal suo posto e le si avvicinò, con tutta l’intenzione di staccarle le dita dalle assi della barca e mandarla a farsi un bagno.
   La giornalista, tuttavia, fu più rapida di lui e, in un modo o nell’altro, riuscì a issarsi a bordo.
   «Si arrenda, professore!» gridò, con aria di trionfo, gocciolando acqua sulle assi della chiglia e i capelli appiccicati al viso. «Ormai non può più sfuggirmi!»
   «Staremo a vedere!» rispose Jones, ostinato come pochi.
   Più veloce della luce, spense il motore fuoribordo e, staccatolo dalla barca, lo mandò a picco sul fondo del lago. Poi, sbarazzatosi della giacca, si tuffò a pesce e sparì dalla vista.
   «Dottor Jones!» gridò Miriam, atterrita, stringendo le mani sulla frisata con tale nervosismo da farsi sbiancare le nocche.
   Si guardò disperatamente attorno, ma non le riuscì di scorgerlo da nessuna parte sulla superficie calma dello specchio d’acqua. Se quel vecchio fosse annegato per causa sua, non se lo sarebbe mai potuto perdonare. Però lei voleva solo intervistarlo, non si sarebbe mai potuta aspettare una tale accanita resistenza. Come si sarebbe dovuta comportare, se non fosse più riemerso…? Ma no… eccolo là! Indiana Jones era riaffiorato ad almeno cento metri dalla barchetta e nuotava velocissimo verso la riva opposta.
   A bordo non c’erano remi, quindi Miriam fu a sua volta costretta a prendere un bel respiro ed a immergersi un’altra volta nelle acque fredde del lago; poteva solo sperare di raggiungerlo prima che guadagnasse la terraferma e si eclissasse in mezzo ai boschi del circondario.
   Fortunatamente, al College era stata campionessa di nuoto. Purtroppo, però, non praticava più quello sport – e nessun altro tipo di esercizio fisico, a  dire il vero – da circa tre anni ed i crampi non tardarono a farsi sentire. Dapprima, pensò di poter ignorare il dolore; presto, tuttavia, esso si fece via via più acuto, costringendola a rallentare. Mentre si sforzava di continuare ad avanzare nonostante tutto, i suoi polmoni bisognosi d’ossigeno le procurarono un capogiro tremendo e lei cominciò ad affondare nel freddo, mentre la luce diminuiva…
   Morire per strappare qualche pettegolezzo a un vecchio centenario: che cosa assurda. Quando aveva scelto di dedicarsi al giornalismo, aveva creduto che sarebbe stato elettrizzante divenire reporter di guerra, oppure che, prima o dopo, qualche mascalzone, stanco delle sue inchieste, le avrebbe fatto recapitare una pallottola in una busta o avrebbe inviato qualche scagnozzo per farle del male. Erano i rischi del mestiere a cui era interiormente pronta già da un pezzo. Era pronta a tutto, certo, ma non a questo. Questo non se lo sarebbe mai neppure potuto immaginare… Eppure, stava accadendo…
   Un braccio forte e robusto le cinse strettamente la vita e Miriam si sentì sollevare verso l’alto, fino alla superficie, dove l’aria fresca riprese ad affluire nelle sue vie respiratorie. Brontolando e lamentandosi, senza lasciarla andare neppure un momento, Jones la condusse attraverso tutto il lago, fino alla riva opposta a quella da cui erano partiti.
   «Marion…» bofonchiò il vecchio, deponendola con assai poca grazia sulla spiaggia sassosa e fermandosi ansimante poco più in là.
   La ragazza tossì e sputacchiò dell’acqua, grata a quell’uomo per averle salvato la vita. Era senza fiato, però ebbe la forza di ribattere, con una specie di smorfia: «Mi chiamo Miriam…»
   «Lo so, lo so come si chiama, accidenti a lei!» sbottò il professore, sedendosi al suo fianco con un sordo grugnito e facendo un gesto spazientito. «Volevo soltanto dire che io e la mia Marion, già ben più stagionati di lei, questo lago lo attraversavamo a nuoto più e più volte, in giornate estive come questa! E dopo, mentre il sole ci asciugava, avevamo ancora abbastanza forze ed energie per rotolarci nudi sull’erba e fare cose che lei non potrebbe mai neppure immaginarsi! Ma voi giovani d’oggi siete divenuti dei pappemolli, io l’ho sempre detto!»
   Miriam sorrise e gli posò delicatamente una mano sul braccio.
   «Grazie per avermi salvata, professor Jones» mormorò.
   «Bah!»
   «Ora mi concederà quell’intervista?»
   L’anziano archeologo tornò a rialzarsi, ma Miriam, questa volta, gli si avvinghiò alle gambe come una cozza al palo di un pontile.
   «Che fa, dannazione?» tuonò Jones, abbassando lo sguardo su di lei. «Guardi che sono passati i tempi in cui nessuna donna avrebbe potuto resistere al mio fascino. E non provi a sedurmi, perché non attacca quasi più, ormai!»
   «Dottore, che pensieri!» rispose Miriam, con una risatina. «Voglio solo impedirle di fuggire di nuovo.»
   Eppure, dentro di sé, la giovane non poteva certo negare che quell’uomo fosse affascinante e carismatico; da tutta la sua persona emanava un magnetismo misterioso e a tratti irresistibile, che non aveva mai trovato o visto in nessun altro uomo, neppure nel proprio fidanzato o, men che meno, nei tanti e spesso vanagloriosi pezzi grossi che le era capitato di intervistare negli ultimi anni.
   Guardandolo bene, adesso, le sembrava addirittura ringiovanito, come se quella nuotata lo avesse fatto tornare indietro nel tempo. Ma no, non era possibile. Era solo uno strano effetto della calda luce pomeridiana filtrata attraverso i rami dei pini e degli abeti circostanti, non c’era altra spiegazione.
   «Non fuggo, non fuggo» borbottò Jones. «Volevo solo sgranchirmi un po’.»
   Tornato a sedere, si sistemò meglio il cappello sulla testa e, asciugandosi gli occhiali con un lembo della camicia che gli era uscito dai pantaloni, barbugliò: «Allora, che diavolo vuole sapere?»
   «Non saprei… da dove cominciamo?» chiese la ragazza, succhiandosi il labbro inferiore con aria pensierosa. «Dalle sue idee politiche, magari? Alla gente queste cose interessano sempre…»
   «Non mi sono mai interessato troppo di politica» brontolò il vecchio, guardandosi le punte delle dita. «Però, se proprio vuole saperlo, ho sempre regalato il mio prezioso voto ai Repubblicani. Ma non mi chieda i nomi dei presidenti, perché sono rimasto fermo al vecchio Ike Eisenhower. Chi c’è, adesso? Reagan?»
   Miriam, che era sempre stata di fede Democratica e che, dentro di sé, covava la profonda convinzione che tutte le persone perbene la pensassero alla sua stessa maniera, rimase un po’ delusa da quella risposta.
   «Il nostro attuale presidente è Bill Clinton, professore» gli ricordò, con un pizzico di acidità nella voce. «Come mai ha questa predilezione per i Repubblicani, se posso domandarlo?»
   L’archeologo scrollò le spalle, quasi a dire che la faccenda lo riguardava poco o niente.
   «Mah, più che altro perché mio padre era un Democratico convinto.»
   La ragazza sollevò un sopracciglio.
   «E, di conseguenza, lei ha trovato naturale andare in direzione opposta. Ne devo dedurre, professor Jones, che lei e suo padre non andavate d’accordo?»
   Jones non rispose subito, prendendosi tempo per rimescolare i propri pensieri, mentre il suo sguardo vagava sulla superficie del lago, senza realmente vederlo. Non gli era mai piaciuto parlare molto di sé, ma c’erano cose, accadute nel corso del secolo che si era appena lasciato alle spalle, di cui ricordava ogni singolo dettaglio, quasi le avesse vissute soltanto un giorno prima. Finalmente, ritrovò la parola.
   «Non ho mai fatto mistero del fatto che tra noi ci sia sempre stata un po’ di tensione» ammise, con un’alzata di spalle. «Non gli è mai andata giù che io fossi diventato un archeologo, uno spalatore di fango, come amava ricordarmi lui in ogni occasione che gli si presentava. Divergenze di vedute, ma alla fine le abbiamo risolte quasi tutte, per quanto parlargli insieme fosse sempre difficile. Ho trascorso metà della mia vita a cercare di convincermi di essere completamente diverso dal vecchio, il suo esatto opposto. Tutto vano.» Sul suo volto, comparve un sorriso amaro. «Alla fine, non siamo poi stati tanto diversi, io e lui, anche se ci sono voluti cinquantotto anni perché me ne rendessi davvero conto. Lo vedevo come un uomo che aveva abbandonato a se stesso il proprio povero figlio e mi ripetevo che io, invece, non avrei mai fatto nulla del genere… che arroganza, che sciocca presunzione, la mia!» Jones fece una breve pausa, contemplando le onde leggere del laghetto che si infrangevano a riva, come se vi scorgesse qualcosa che poteva palesarsi solamente davanti ai suoi occhi, qualcosa che lo obbligava a torcersi adagio le mani. «Ogni tanto me lo vedo ancora qui davanti, con quel suo cipiglio severo, a farmi la predica e pronto a mollarmi uno schiaffone per il mio comportamento o per aver bestemmiato; mi regala ancora consigli e io cerco di dargli sempre ascolto. Anzi, gli presto più fede adesso che quando avrei dovuto farlo davvero. Gli ho sempre rinfacciato di non essere stato un granché, come genitore – o, almeno, un padre normale come per gli altri ragazzi. La verità, però, è che neppure io sono mai stato un figlio tanto normale.»
   Miriam cercò di mantenere a mente ogni parola. Il suo registratore portatile, infatti, si era riempito d’acqua durante il bagno fuori programma e non avrebbe più registrato alcunché.
   «Peccato non avere con me un taccuino…» si lamentò. «Lei ha mai sentito il bisogno di tenere un diario?»
   «Altroché» rispose Jones, annuendo lentamente. «Ne ho scritto uno per oltre mezzo secolo. Un regalo dei miei genitori. Me lo diedero al Cairo, nel 1908... a dirlo adesso sembra un’altra vita, un altro pianeta, e lo era davvero, glielo assicuro. Oggi ci sono i computer, i telefoni cellulari, i satelliti per le comunicazioni, gli aerei supersonici, le autostrade a otto corsie e tutte quelle altre diavolerie che hanno fatto diventare microscopico il mondo… All’epoca, semmai, era già tanto se si poteva viaggiare da New York all’Inghilterra in meno di una settimana, a bordo di un transatlantico, o se si riuscivano a percorrere grandi distanze via terra sopra un treno fumoso che ti faceva diventare nero se solo ti azzardavi a mettere il naso fuori dal finestrino!»
   Un colpo di tosse lo obbligò a fare una nuova pausa, mentre guardava con gli occhi della memoria qualcosa che poteva sapere soltanto lui; Miriam, però, non parlò, lasciando che fosse l’anziano archeologo a riprendere il discorso, cosa che avvenne quasi subito.
   «Vede, mio padre scrisse un libro di grande successo e, per questo motivo, fu invitato presso le grandi università di tutto il mondo per tenere lezioni e conferenze, per cui io e mia madre lo seguimmo. Fu una straordinaria esperienza, per me, perché mi permise di conoscere persone celebri e di assistere in prima persona a eventi importantissimi, nonché di imparare numerosissime lingue, una conoscenza che, negli anni a venire, mi sarebbe risultata fondamentale. Con noi, però, c’era anche la mia educatrice, miss Seymour, la quale non perdeva una sola occasione per impartirmi le sue durissime e pedanti lezioni di storia, letteratura, filosofia, matematica, scienze, lingue… insomma, tutto lo scibile umano passò dalla sua mente alla mia. Sebbene fosse una donna simpatica, all’epoca la sopportavo a malapena. Ma, in seguito, compresi che le dovevo tutto. Se sono diventato quello che sono, è solo grazie a lei. Comunque, per tornare alla sua domanda, la sera, prima di dormire, mi dedicavo al mio diario, cosa che continuai a fare anche in seguito, terminato quel lungo viaggio, il primo di una serie quasi infinita. Pieno di foto, di ricordi, di appunti…» Jones sospirò con malinconia, ripensando a quegli anni che erano ormai passati e che non sarebbero più ritornati. Infine, concluse: «Poi, però, a un certo punto mi fu portato via da alcuni agenti del Cremlino e finì in qualche polveroso archivio del KGB.»
   «Un vero peccato» ammise la giornalista con tono sconsolato, rammaricandosi per la perdita di un simile tesoro. Allungò le braccia dietro di sé e si distese meglio appoggiandosi sulle mani, sperando di potersi asciugare un po’ più fretta.
   «Ma non creda che sia finita così!» ruggì Jones, dandosi una manata sulla gamba. «Ah, no! Io sono uno che sa aspettare a lungo, anche decenni se necessario, senza mai arrendersi.» Ghignò sinistramente. «Quando quel porcile dell’Unione Sovietica è crollato, sette anni fa, mi sono recato a Mosca e li ho obbligati a restituirmelo. Ho dovuto rompere un bel po’ di teste e far volare parecchi tavoli, ma alla fine ho fatto valere le mie ragioni. Con certa gente, forse già lo sa, gli unici argomenti veramente convincenti sono le botte, altrimenti non capiscono. Quello è l’unico linguaggio davvero universale, lasci che glielo dica uno che di sganassoni ne ha presi parecchi ma ne ha anche restituiti molti di più.»
   L’archeologo andò avanti a ridacchiare ancora qualche istante, probabilmente ripensando a tutte le risse in cui si era ritrovato coinvolto nel corso della sua esistenza. Poi, riacquistata un’espressione normale, concluse: «Adesso, il mio diario è chiuso a chiave nel cassetto del mio comodino e, in quel poco tempo libero che ho a disposizione, me ne sto occupando, soprattutto riguardo agli ultimi quarant’anni.»
   Lo sguardo della giornalista si illuminò di malcelata cupidigia e corse per un momento allo chalet, il cui tetto si intravedeva a stento oltre gli alberi che coprivano l’altra sponda del lago.
   «Quindi, professore, ci sta scrivendo tutte le sue imprese?»
   Il vecchio archeologo fece un sorriso ironico.
   «Scrivere su quel vecchio cimelio ingiallito?!» tuonò, con tono cavernoso. «Con il rischio che la penna buchi quelle pagine ormai sfibrate, che dovrebbero stare in un museo?!» Scoppiò allegramente in una grassa risata sotto lo sguardo sconcertato della ragazza, quindi si affrettò ad aggiungere: «Signorina Myrtle, per favore, non mi faccia ridere in questo modo, altrimenti rischio di soffocarmi!»
   «Ma, lei…» cominciò a dire la giovane.
   «Suvvia, mia cara Mollie, non lo sa che bisogna restare al passo con i tempi?» sbottò Indy, palesemente divertito. «Se non si fa così, si rischia di restarne schiacciati senza nemmeno accorgersene, glielo dico io…»
   Jones sollevò la mano sinistra, tenendola in orizzontale con il palmo in basso. «Dia retta a un uomo che ha visto con i suoi occhi il mondo cambiare da così…», voltò la mano, portando il palmo in alto, «…a così.»  Quindi, tornato ad appoggiarsi al terreno, proseguì: «Forse lei scrive ancora con pennino e calamaio, Megan, ma non io. Ho obbligato quell’arretrato di mio figlio Junior a comprarmi un computer, e adesso – come le dicevo, nel mio pochissimo tempo libero – sto pazientemente trascrivendo tutto il mio vecchio diario su un file elettronico, e al contempo sto scrivendo un resoconto delle mie avventure negli ultimi quattro decenni. Chissà, tra qualche anno potrebbe diventare un’autobiografia super premiata, oppure potrei far leggere quelle pagine a qualche scribacchino da due soldi e convincerlo a tramutare i miei appunti in qualcosa di simile a dei romanzi o roba del genere, chi può saperlo.»
   Miriam cercò di scrutare il volto enigmatico e sbruffone del vecchio, tenuto in ombra dal cappello che si stava asciugando al sole. Quanto avrebbe desiderato poter mettere le mani su quel computer – un vero e proprio capitale di cavi e circuiti – e scoprire tutti i favolosi e meravigliosi segreti che doveva custodire. Chissà perché, sentiva che, lì dentro, avrebbe trovato materiale per scrivere articoli sufficienti a farle vincere il Pulitzer, altro che il giornaletto di provincia per cui lavorava. Nel frattempo, però, si sarebbe dovuta accontentare di proseguire lei stessa a porre qualche domanda, augurandosi che il coriaceo archeologo continuasse a mantenersi loquace.
   «Possiamo parlare dei suoi trascorsi bellici, professore? Se non sbaglio, lei ha fatto due guerre, dico bene?»
   Lo sguardo di Jones si incupì e le sue mani nodose si contorsero attorno ai ciuffi d’erba, quasi cercassero un appiglio a cui aggrapparsi per non essere trascinate indietro nel tempo in quei momenti terribili.
   «Due guerre…» ripeté, con tono basso e profondo, quasi una sorta di ruggito. «Due guerre… fossero state due soltanto… ma la mia vita, signorina Myra, è stata una guerra continua, glielo assicuro. Un continuo combattere contro le forze del male, che avrebbero voluto destabilizzare il mondo. Scelsi di arruolarmi volontario nella prima guerra mondiale, perché speravo che questo avrebbe potuto essere il modo per riportare giustizia e libertà… ma mi sbagliavo. Negli anni tra i due conflitti, quando ancora si sperava che il primo fosse anche stato l’ultimo, sebbene già si percepissero nell’aria i venti che avrebbero fatto esplodere il successivo, continuai a battermi con tutte le mie forze contro oppressioni e ingiustizie; e, alla fine, quando la guerra si scatenò per la seconda volta, accettati il ruolo che mi venne offerto, quello di agente segreto. Fu quasi una sorta di investitura, come un cavaliere in missione, quella a cui risposi quando scelsi di lottare ancora. Il mio compito, soltanto in apparenza semplice, era quello di rintracciare antichi e preziosi manufatti che avrebbero potuto essere adoperati in campo bellico dai nostri avversari…» I suoi occhi si persero nel vuoto, vedendo i lampi dei cannoni e ascoltando l’eco delle bombe, che mai erano riusciti ad andarsene per intero dalla sua coscienza. «Ho veramente visto le fiamme avvolgere l’intera civiltà umana e, per un po’, ho creduto che non ci sarebbe stato rimedio, che tutto avrebbe avuto termine in quei giorni, sotto una pioggia di fuoco e di piombo… e se anche quella guerra finì, con quei due immensi soli lanciati sul Giappone, fu solo per iniziarne altre…» Si volse in direzione della giornalista, che si sentì raggelare nell’incontrare quegli occhi che, improvvisamente, parevano vecchissimi e pieni di amara tristezza. «Perché lo sa a che cosa servì, combattere tanto? A nulla, assolutamente nulla, se non a preparare altre guerre. È cambiato il nemico, certo, ma non la forza bruta delle armi da fuoco, né il conteggio delle vittime innocenti. Prima furono i tedeschi, poi i comunisti, infine gli islamici… questo mio secolo è cominciato con la guerra in Europa e si è concluso con un’altra guerra, sempre in Europa, seguita a quelle nel Medio Oriente. Dovremmo rifletterci con attenzione.»
   Miriam, percependo l’amarezza di Indiana Jones, avrebbe voluto interromperlo, chiedergli di cambiare argomento, ma lui non glielo permise, perché continuò a parlare imperterrito, ormai lanciato come una locomotiva.
   «Ha presente Fukuyama? È un filosofo che parla di fine della storia. Secondo lui, la storia umana ha avuto termine con la caduta del Muro di Berlino, dieci anni fa; nei suoi scritti sosteneva che, da quel momento in avanti, tutto sarebbe proceduto in maniera lineare e senza intoppi. Be’, gli eventi di quest’ultimo decennio gli sono pienamente sfavorevoli, praticamente le sue teorie sono carta straccia e soldi buttati per chi ha comprato i suoi libri… compreso il sottoscritto. Il mondo è di nuovo destabilizzato e penso che lo sarà sempre. Noi esseri umani non siamo capaci di vivere nell’utopia di una pace perenne: quella è una fantasia che nemmeno i più ardimentosi tra i filosofi hanno osato contemplare, comprendendone l’assurda impossibilità.»
   Si interruppe brevemente. Jones sapeva di essere vecchio e che il futuro, con ogni probabilità, non gli apparteneva più, perché lui era un uomo del passato. Eppure anche adesso, seduto su quel dolce declivio erboso lambito dalle acque del lago, riusciva a vederlo chiaramente, come se fosse già tutto disteso davanti ai suoi occhi.
   «Gli ultimi avvenimenti dovrebbero metterci in guardia» riprese a parlare, la voce rauca e lo sguardo di nuovo basso, giocherellando con i fili d’erba. Miriam restò in silenzio, pendendo dalle sue labbra. «Gli eventi di questi tempi dovrebbero aprirci gli occhi e farci capire che, negli anni a venire, non saranno più le ideologie a mettere gli uomini gli uni contro gli altri, ma il fanatismo religioso. Si sta preparando qualcosa di molto buio a causa della religione, come se stessimo per ripiombare nel medioevo… temo che i massacri e gli attentati di questi anni siano stati solamente il preludio a qualcosa di dannatamente tragico che, se non vigileremo abbastanza, accadrà molto presto, colpendoci come un pesantissimo maglio impazzito. E, questa volta, il tributo in vite umane sarà ancora più devastante.»
   Jones tornò a fissare la sua interlocutrice e la sua bocca si incurvò in un ghigno.
   «Non sono certo mai stato un seguace delle idee di Marx» continuò, «ma su una cosa gli do perfettamente ragione, per quanto mi costi ammetterlo: quando diceva che la religione è l’oppio dei popoli… be’, in quel caso, il vecchio Karl non era affatto lontano dal dire il vero.»
   Quegli argomenti spaventarono parecchio Miriam. Era giovane, aveva tutta la vita davanti e parecchie esperienze da fare, persone da conoscere e luoghi da scoprire. Amava il mondo libero, sognava un avvenire radioso e non desiderava altro. Non le piaceva affatto starsene lì seduta a sentirsi dire che, a breve, ci sarebbe stata la fine del mondo o qualcosa del genere, come se non bastassero già i pazzi millenaristi che non facevano che sbandierare ai quattro venti tali convinzioni e che, già in più di un’occasione, erano ricorsi al suicidio di massa per non vedere da vicino quello che sarebbe accaduto allo scoccare della mezzanotte dell’anno 2000. Pensò, quindi, di cambiare argomento, rimanendo a tema dell’avventurosa vita di Jones ma allontanandosi dai discorsi sulla guerra e sull’incertezza del futuro.
   «E dica, professor Jones… È proprio vero, quello che si racconta su di lei? Ha davvero vissuto tutte quelle grandiose gesta? È realmente stato protagonista di decine di scoperte archeologiche tali da dover riscrivere i libri di storia?»
   «In verità, da quel che ne so, molti dettagli sono stati rimpiccioliti o messi a tacere del tutto.» Indy, lasciate perdere le considerazioni sugli anni a venire che, in fondo, spaventavano pure lui, scrollò le spalle e le lanciò una sfuggevole occhiata, prima di tornare a rimirare lo specchio d’acqua. «Sa com’è, segreti di stato, affari militari e altre stupidate del genere. Peccato, perché molte di quelle cose avrebbero cambiato il nostro modo di guardare al mondo…» Tacque e fece un sospiro profondo, forse rimpiangendo di non aver mai cercato di fare qualcosa di più per poter far venire a galla molte verità di cui, ormai, era rimasto uno degli ultimi depositari. Del resto, parecchie delle persone che avevano collaborato con lui a scoperte eccezionali erano da parecchio tempo passate a miglior vita, e forse avrebbe fatto meglio a divulgare qualche cosa, prima di raggiungerle a sua volta. Cacciò quel pensiero in un angolo della propria mente e riprese: «Ma posso assicurarle che tutte le medaglie che ho collezionato, i riconoscimenti che ho ricevuto e i soldi che mi sono intascato me li sono sudati duramente, dal primo all’ultimo.»
   La ragazza rifletté con attenzione su quelle parole.
   Aveva sempre sospettato che il governo americano celasse importanti segreti e misteri, un tema a cui aveva anche dedicato un breve redazionale, una volta. Purtroppo, non possedeva le prove sufficienti a scrivere un vero e proprio articolo che le avrebbe fruttato la fama che meritava. Ma quella di Jones era una testimonianza importante e lei ne avrebbe fatto certamente tesoro, un giorno o l’altro. Era una donna testarda e, prima o dopo, sarebbe giunta a mettere a segno il proprio sogno, ne era certa. Osservò l’anziano archeologo, dicendosi che da lui avrebbe avuto molto da imparare, a cominciare dall’ostinazione che lo aveva guidato in tutte le sue imprese.
   A proposito di imprese, le venne in mente la nuova domanda da porgli.
   «Quindi, se è veramente stato protagonista di decine e decine di clamorose avventure, quale ritiene essere stata, tra tutte, la più ardita e straordinaria?»
   Lo sguardo dell’archeologo, fino a quel momento rimasto quasi esclusivamente puntato sulla superficie del lago, si focalizzò sul viso di Miriam, che si sentì lievemente a disagio quando un sorrisetto sardonico si dipinse sulle sue labbra.
   «La mia avventura più straordinaria, signorina Margot?» La sua voce si fece enigmatica, proprio come la luce nei suoi occhi. «Quella che devo ancora vivere…»
   «Ah… io pensavo che lei, ormai, fosse andato in pensione…»
   «Pensione?! Io?! Ma cosa le salta in mente?!» abbaiò l’archeologo, visibilmente indignato. «Chi è che le ha rifilato una simile panzana?! Il mondo intero non durerebbe mezza giornata, se io andassi in pensione!»
   La giovane reporter divenne rossa come un pomodoro maturo, temendo di aver fatto una brutta figuraccia.
   «Be’, sa… credevo… alla sua età…» balbettò, non sapendo che altro dire per scusarsi.
   Jones si fece più vicino e le posò paternamente una mano sulla spalla, sussurrando: «L’età, mia cara Meryl, non conta assolutamente nulla. È solo una stupida data scritta sopra un pezzo di carta, una convenzione che ci portiamo dietro per abitudine ma a cui, dia retta a me, tanto vale rinunciare. Anche io, quando ho compiuto cinquant’anni, sono andato in crisi, cosa pensa? Succede a tutti, presumo. Ma la mia crisi è durata… quanto… dieci minuti? Quindici? Facciamo mezz’oretta a voler essere larghi, via. Appena il tempo di rendermene conto e ingollare un buon bicchiere di bourbon per dimenticare che già avevo alla porta una spia pronta a farmi fuori e nella doccia una bionda da mozzare il fiato, di quelle che resusciterebbero anche i morti. In quel momento preciso, mi sono reso conto che l’età non conta assolutamente nulla.» Il suo sardonico ghigno si trasformò in un sorriso rassicurante. «Non è all’esteriorità che dobbiamo dare peso, e neppure a quello che un dannato e pedante impiegato dell’anagrafe ci stampa sui documenti, ma a quello che ci sentiamo dentro. E io posso assicurarle che, dentro, non sono mai cambiato.» Sottolineò quella parola con un gesto secco della mano. «Mai.»
   «Crede nelle amicizie, dottor Jones?» domandò la giornalista a bruciapelo, desiderosa di deviare da quell’argomento per continuare con la sua intervista.
   Lasciatala andare, il vecchio tornò ad appoggiare le mani sul terreno, riflettendo in silenzio. Quella richiesta sembrava averlo turbato profondamente.
   «Le ho forse fatto una brutta domanda? Sono stata indiscreta, per caso?» chiese Miriam, osservandolo.
   «Tutte le domande sono brutte e indiscrete, accidentaccio a lei!» ringhiò Jones, senza voltarsi. «Ecco perché ho sempre odiato voi giornalisti. Siccome non avete abbastanza fantasia per inventarvi delle fiabe, credete di poter scavare nel profondo delle persone senza affatto curarvi dei loro sentimenti!»
   «Se non vuole rispondere, passiamo avanti…»
   «Ma no, ma no!» la interruppe l’archeologo, scuotendo la testa in segno di diniego. «Il punto è che la sua è una domanda molto difficile. Perché, vede – e sono certo che, col tempo, lo imparerà a proprie spese anche lei – le amicizie sono molto labili e l’incomprensione o il litigio, ma soprattutto il tradimento, sono sempre dietro l’angolo. Basta una parola sbagliata, un presentimento negativo, un nonnulla, e una bella amicizia svanisce per sempre come neve al sole.»
   Indy sospirò con pazienza, cercando le parole adatte per andare avanti. Alla fine, parve averle trovate, perché riprese a parlare.
   «Ho avuto amicizie che non sono mai venute meno, sia chiaro, durate per tutta la vita. Come quella per Marcus Brody, per intenderci. O per il mio caro Sallah, Dio lo benedica, viaggia sulla mia stessa scia eppure non molla mai neppure lui. Poi c’è Shorty, ovviamente, che ho raccattato in Cina quando non aveva ancora dieci anni ed è diventato una mia specie di fratello minore. E non devo neppure dimenticarmi della vecchia Sophia. Io e lei, da giovani, ne abbiamo passate talmente tante insieme, e per un po’ siamo anche stati… non so se sia la parola giusta… fidanzati.» Per la prima volta, il vecchio parve leggermente in imbarazzo. «Ma eravamo entrambi troppo scatenati per permetterci di stare insieme in quel senso e, poi, la nostra era una relazione molto più fisica che sentimentale, ecco. Comunque sia, non abbiamo mai litigato, se si esclude qualche volta in cui abbiamo fatto a botte, specialmente quando lei era diventata pazza e si era messa in testa di poter distruggere mezzo mondo o roba del genere… ma non era in sé, poverina… comunque, siamo rimasti buoni amici e, in questi ultimi anni, dopo essere stati per qualche tempo senza più sentirci, abbiamo preso l’abitudine di scriverci molto spesso delle lunghe e-mail. All’inizio usavamo le lettere di carta, sa… buste, francobolli, inchiostro, crampi alla mano per tenere la penna… ma, come le dicevo, mi piace stare al passo con i tempi, e Sophia, in questo, è sempre stata d’accordissimo con me. Non ci vediamo mai di persona perché Sophia, ormai, vive in una casa di riposo per persone anziane e io, onestamente, non ho nessuna intenzione di entrare in quei postacci pieni di vecchietti che dormono in quattro o cinque in grosse stanzone che puzzano di disinfettante con i letti in fila. È già tanto che le facciano tenere un computer, dentro quelle specie di sarcofagi per mummie in potenza.»
   Jones sghignazzò per qualche istante, pensando alla sua anziana collega Sophia Hapgood; faticava davvero parecchio a immaginare quella donna intrepida ormai ridotta a trascorrere le sue giornate in poltrona, guardando i quiz alla televisione oppure seduta dietro a un tavolo di formica, un cuscino contro la schiena e uno scialle sulle spalle, giocando a carte o a tombola con altri nonnini che non potevano minimamente sospettare di avere di fronte a sé una persona che aveva svelato il mistero di Atlantide, che aveva compiuto numerose e pericolose missioni per i servizi segreti e che, prima di andare in pensione, aveva persino scoperto il segreto che si celava alla base dello spazio tra gli spazi, quell’astruso concetto di cui, per primo, si era interessato il suo vecchio amico Harold Oxley.
   Altri ricordi affiorarono alla sua memoria e, cessato di sogghignare, tornò a fissare nel vuoto, con lo sguardo attraversato da un’ombra cupa.
   «Però, purtroppo, ci sono anche le amicizie finite male, a cui ogni tanto ripenso ancora con un certo rimpianto: René, Mac, Remy… non voglio aggiungere altro.» Si interruppe per inspirare una lunga boccata d’aria pulita, quasi sperasse così di potersi purificare l’anima da certi errori ormai irrimediabili. «Ma quelle che mi bruciano ancora oggi – e mi fanno terribilmente male – sono le amicizie finite a causa mia ed esclusivamente mia: per la mia dannata cocciutaggine, come nel caso di Wu Han, o per aver fatto di tutto per far crollare la fiducia nei miei confronti, come con il buon Abner Ravenwood, che fu il mio più grande maestro nelle discipline archeologiche.» La sua voce, adesso, si fece molto più sottile e colma di rimpianto, mentre soggiungeva: «La prego, su questa cosa, non mi chieda altro.»
   Il volto del vecchio sembrava davvero implorare pietà, come se all’improvviso tutti gli anni trascorsi gli gravassero addosso come un macigno dal peso insostenibile, che le sue vecchie ossa faticavano a sorreggere. Miriam, perciò, pensò che fosse saggio cambiare subito argomento, anche se si mantenne nell’ambito delle relazioni personali.
   «Allora, visto che l’ha nominata prima, perché non mi parla un po’ di Marion?» domandò, con delicatezza.
   Gli occhi del vetusto professore luccicarono e il suo viso si rilassò immediatamente, come se stesse ancora contemplando la sua amata dolce metà. Le sue membra furono percorse da un fremito.
   «Marion…» mormorò, perdendosi nella profondità del suo pensiero, mentre con le dita accarezzava piano l’erba verde del prato. «L’ho conosciuta che aveva solo diciassette anni, io ne avevo dieci di più, ma l’età non è mai stata un problema, per noi, né allora né mai. Giorni magnifici, a Gerusalemme, sulle tracce di un importantissimo tesoro di cui narra la Bibbia. Giorni pieni d’amore, insieme a lei…»
   Il vecchio professore smise di parlare e la ragazza, istintivamente, ripensò alla fotografia che aveva visto prima, quella che ritraeva i due giovani innamorati davanti alla Spianata delle Moschee. Sorrise di fronte a quell’amore che, a quanto pareva, era riuscito ad attraversare indenne il tempo, mentre Jones riprendeva il suo racconto, con la voce velata da una nota di malinconica dolcezza.
   «Ero davvero innamorato di lei, lo sentivo… poi, però, feci una stupidata, la più grossa della mia vita, di cui, a volte, mi vergogno ancora adesso: pur sapendo di amarla, pur essendo cosciente del fatto che lei fosse l’unica donna della mia vita, la tradii con un’altra. Pensavo che sarebbe stata questione di poche ora solamente, che lei non ne avrebbe mai saputo nulla e, invece… lo scoprì subito. Provai a giustificarmi, a spiegarmi, ma ormai le avevo spezzato il cuore. E suo padre minacciava di spezzare me, nel caso mi fossi rifatto vivo. Quel giorno, non me lo scorderò mai, rovinai due vite: la sua e la mia. Il rimpianto di averla perduta non mi abbandonò mai e continuò a riemergere, sebbene io cercassi di tenerlo celato sotto una scorza dura e una condotta da donnaiolo impenitente. Ma che cosa potevano darmi, le altre donne? Nulla di nulla, perché non erano la mia Marion.»
   Jones fece un’altra pausa, catturato dal vortice amaro delle sue memorie lontane ma pur sempre indelebili, prima di ricominciare a parlare. Nulla, adesso, avrebbe potuto interromperlo, impedirgli di riportare al presente la sua lunga relazione con l’unica donna che fosse stato davvero capace di amare in vita sua.
   «La rividi, una decina d’anni più tardi, e quella volta giurai a me stesso che non l’avrei lasciata mai più. Perché, dopo così tanto tempo, ancora l’amavo e avevamo entrambi capito che, per anni, lei era vissuta nella convinzione di odiarmi per nascondere una sola verità: neppure lei aveva mai smesso di cercarmi, di desiderarmi per sé, nonostante tutto.» Fece un sorriso che celava un velenoso sarcasmo. «Ma, che cosa vuole? Gli anni passano fuori, mentre dentro rimaniamo i medesimi imbecilli di sempre, è quello che cercavo di farle capire poco fa. Le giurai che l’avrei sposata e che saremmo rimasti insieme per il resto dei nostri giorni; e, in un primo momento, mi diedi anche da fare per dimostrarle tutte le mie buone intenzioni: chiesi il trasferimento, comprammo casa a New York, organizzammo il matrimonio, con tanto di inviti spediti e tutto già prenotato… ma, al posto di mantenere la mia promessa, una settimana prima del giorno fatale, uscii di casa nel pieno della notte, senza dirle nulla, e fuggii lontano con una mia graziosa studentessa.» L’archeologo agitò la testa, rivivendo la propria passata idiozia. «Ancora una volta, il caro Indy si dimostrò per ciò che era davvero: una carogna fatta e finita. E la cosa peggiore era che, pur rendendomene conto, non volevo rimediare, affrontare la realtà. Avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere, se mi fossi sposato. Avevo affrontato mille avventure, ma quella… quella era la sola a spaventarmi per davvero, anche se sarebbe stata la sola degna di essere vissuta appieno.»
   Scosse ancora la testa e si morse un labbro, cercando dentro di sé una spiegazione, seppure tardiva, a quella sua antica fuga da codardo.
   «Lei non si immagina neppure, signorina Mindy, come io soffra ancora oggi, al pensiero di quanto tempo in più avrei potuto trascorrere con la mia Marion a fianco, se solo non fossi stato così scimunito. Un nostro carissimo amico era solito ripetere che molta parte della vita umana va perduta nell’attesa: e aveva ragione, perfettamente ragione, anche se avrei fatto meglio a rendermene conto prima. Tra l’altro, quando la lasciai, Marion era incinta, non me l’aveva ancora detto, forse neppure lo aveva scoperto… se l’avessi saputo, allora, forse… chissà… magari… sarei rimasto.»
   Era una storia veramente triste e Miriam se ne sentì pienamente coinvolta. Fu con voce sommessa, non più per spirito giornalistico bensì per commozione personale, che chiese: «E, da allora, non l’ha mai più rivista?»
   «Ma certo, che la rividi!» esclamò subito Jones, sobbalzando come se lo avesse colpito un fulmine. «Ci incontrammo di nuovo, vent’anni più tardi, nel folto della foresta Amazzonica, entrambi prigionieri di agenti sovietici… le vie del Signore sono infinite, dicono alcuni, anche se io non ho mai davvero creduto in nulla che non fosse razionalmente spiegabile. E sì che ne ho viste a bizzeffe, di cose irrazionali! Sufficienti a riempire un’enciclopedia, sa? L’Enciclopedia delle Cose Mirabili, Impossibili e Assurde a cura del professor Jones, così potrebbe intitolarsi. Con la prefazione della nota giornalista Melody Holland, magari, che ne direbbe? Peccato solo che, nella maggior parte dei casi, mi sia stato imposto un completo silenzio che…»
   «E come fu, questo nuovo incontro?» lo interruppe la ragazza, che non voleva che il vecchio divagasse.
   «Be’, piuttosto tumultuoso» spiegò lui, scrollando le spalle, mentre l’ennesimo sorrisetto gli si allargava sul volto. «Vede, tanto per cambiare, c’era gente disposta a tutto pur di farci la pelle, in quel momento. E, oltretutto, mi ritrovai con un figlio a carico, un figlio che non avevo mai neppure sospettato di avere: Henry Jones III. Insomma, non potevo… anzi, diciamola tutta e senza paura, neppure volevo perché, nel frattempo, non dico che fossi diventato più intelligente, ma perlomeno un po’ più consapevole del mio posto nel mondo, questo sì… cosa stavo dicendo? Ah sì, ecco… non potevo più sfuggire alle mie responsabilità: dopo aver sistemato il pasticcio con i russi, tornammo tutti assieme negli Stati Uniti e, dopo pochi mesi – mesi che non scorderò mai, durante i quali riscoprimmo quanto fosse bello amarsi e quanta vita avessimo sprecato stando lontani l’uno dall’altra, ma anche che mi tennero occupato con nuove rogne di cui ho giurato di non parlare a nessuno, specialmente a una giornalista impicciona come lei – io e Marion finalmente ci sposammo, in un soleggiato e tiepido giorno della metà di ottobre del 1957.»
   Adesso, il sorriso che illuminava il volto del vecchio Indiana Jones si era fatto radioso, come se stesse davvero rivivendo la felicità di quei giorni, che alla giornalista sembravano incredibilmente lontani, trapiantati in un’altra epoca, ma che, per lui, erano più vicini che mai, un battito di ciglia solamente.
   «Devo ammettere che, pochi giorni prima delle nozze, guardandola addormentata al mio fianco, ebbi ancora per un istante l’idea di mollare tutto e di svignarmela alla chetichella» riprese, scuotendo il capo di fronte all’evidenza dei fatti: carogna era nato e carogna sarebbe morto, sebbene avesse fatto di tutto per cambiare e, per buona misura, ci fosse anche riuscito. «Capirà, dopo una vita intera da scapolo, non credevo di potermi facilmente adeguare a convivere in pianta stabile con la nuova signora Jones. Ma non potevo più sottrarmi, capisce? Ero un uomo maturo, di quasi sessant’anni, non avevo il permesso di continuare a fare il bambino. Tanto, l’incontro e il matrimonio con Marion, alla fine, non cambiarono più di tanto la mia vita, perché Marion era una tipo… tipo me. E, poi, dovevo ammettere con me stesso di essere innamorato, di amarla, di non poter davvero più fare a meno di lei. Sì, non potevo farle quello scherzo, di andarmene un’altra volta: avrei provocato un dolore troppo grande, tanto a lei quanto a me.»
   Jones tacque ancora un momento, tirando dei sassolini nell’acqua e guardando senza vederli i cerchi concentrici che si allargavano al loro impatto.
   «Vivevo a Bedford, una cittadina nel Connecticut, e vi rimanemmo dopo il matrimonio, perché a Marion quel posto piaceva davvero tanto, anche se non vendemmo la casa di Chicago in cui lei aveva abitato prima di sposarmi» riprese poi a narrare. «Io insegnavo al Marshall College – ho quasi sempre insegnato lì, salvo per un certo periodo che trascorsi al Barnett College di New York, nonché per qualche mese che passai a Princeton, dove sostituii il mio vecchio nell’insegnamento della letteratura medievale, l’esperienza più tediosa della mia esistenza – mentre lei, dopo aver lavorato per qualche tempo da Arnie’s, aprì il Raven Pub. Per un periodo era anche stata giornalista – l’unica giornalista che mi sia mai stata simpatica in vita mia, posso assicurarglielo – ma preferiva di gran lunga fare la barista, perché questo le permetteva di scoprire sempre nuove storie riguardo ai suoi clienti: storie che, poi, amava trasformare in racconti e poesie da farmi leggere. Ha sempre avuto un grande talento per la scrittura, la mia Marion.» Sorrise tra sé, prima di ricominciare: «Oltre a Junior – cioè, Henry – riuscimmo a mettere al mondo altri due figli, nonostante non fossimo più tanto giovani: Katy, che nacque nel 1958, e per ultimo Abner, due anni dopo, nel ’60. Formammo una famiglia meravigliosa e i nostri ragazzi, un po’ alla volta, ci resero orgogliosi dei loro successi e ci regalarono un mucchio di nipotini con cui rallegrare le nostre domeniche. Io ero felice, Marion ancora di più; e spero sempre che la sua felicità possa bastare a redimermi dai miei peccati di gioventù dinnanzi agli occhi del vecchio Abner Ravenwood, ovunque si trovi adesso.» Tutti quei ricordi avevano fatto scaturire un allegro sorriso sulle labbra del vecchio e i suoi occhi, ora, erano sereni, sebbene velati da qualche lacrima, ma non di rimpianto. «Tra le altre cose, acquistammo lo chalet qui sul lago, trascorrendovi le nostre estati in allegria. Ci venivamo con i bambini e, poi, ci raggiungevano anche Junior e la sua ragazza spagnola, che poi è anche diventata sua moglie: hanno avuto quattro figli, sa? Tre maschi e una femmina. Henry IV, Iris, Michael e David. Quanto ci piaceva, a me e a Marion, essere circondati da tutti quei piccoletti, ci facevano sentire ancora giovani e appagati in tutto. Spesso, comunque, partivamo ugualmente per qualche nuova avventura, non potevamo farne a meno, noi eravamo fatti così, io sono ancora fatto così. Non pensavo più a fare qualche scherzo alla mia Marion e, alla fine, fu lei a farlo a me.»
   Jones sollevò sulla ragazza lo sguardo inumidito ma pur sempre sereno e borbottò: «Marion non c’è più da quasi un anno e, da allora, non passa una settimana senza che io le porti un mazzo di fiori freschi, aspettando che giunga finalmente il momento di riunirci. Non… non avrei mai creduto che sarebbe arrivato il giorno di alzarmi dal letto e non sentirla canticchiare dietro la porta del bagno, o lamentarsi del gatto che aveva rovesciato il latte, giù in cucina… se ne è andata nel sonno, almeno, una cosa veloce e indolore… la sera era lì a darmi la buonanotte come sempre, dopo aver brontolato un po’ perché come al solito avevo dimenticato di spegnere la televisione in soggiorno prima di venire a letto, e la mattina non ha più riaperto gli occhi e non mi ha detto buongiorno, come faceva da più di quarant’anni.»
   «Mi dispiace molto, dottor Jones» mormorò Miriam, commossa. Aveva sentito raccontare molte storie d’amore, ma quella le sembrava tra le più intense e complesse, di quelle veramente capaci di sfidare il mondo intero. «Sente parecchio la sua mancanza?»
   Il vecchio si asciugò una lacrima con il dorso della mano e sollevò gli occhi al cielo terso, come perdendosi in quell’immensità.
   «Moltissimo. La penso in ogni istante della mia giornata e non c’è nulla che io faccia senza chiedermi se a lei sarebbe piaciuto o meno. La mattina, quando mi sveglio, mi viene ancora la tentazione di allungare la mano verso la parte del letto dove dormiva lei, come ho sempre fatto dal giorno del nostro matrimonio, e quasi mi stupisco di sentirla fredda e vuota, di non poterla più accarezzare. Da quando Marion non è più al mio fianco, mi sembra di aver perduto una parte di me stesso, come se qualcosa fosse volato via. Eppure… eppure è come se non mi avesse mai lasciato per davvero, ma vivesse dentro di me. Anche in questo preciso momento, io avverto la sua presenza e ne sono confortato, sebbene questo non tolga che, ogni tanto, mi manchi tantissimo la sua figura, la sua voce, anche il solo poterla sfiorare con una mano…» Con il dorso della mano si asciugò una lacrima, prima di fare un ampio gesto ad abbracciare tutto il lago. «È per questo, in fondo, che sono venuto qui anche quest’estate, anziché restarmene rintanato nella mia casa in città: era una vera tradizione, per noi, un atto d’amore semplice eppure fondamentale, che sapevamo di poter ripetere sempre. Ed è come che lei mi abbia suggerito di continuare a mantenerla viva, finché ci riuscirò…»
   Miriam tirò su col naso e fu certa che i suoi abiti ancora zuppi d’acqua non vi avessero nulla a che fare.
   «E i suoi figli, dove vivono?» chiese. «Ha mai pensato di andare a stare con loro?»
   «Un po’ qua, un po’ là. Ma non andrei mai in casa loro: ci tengo alla mia indipendenza!» ruggì il vecchio, ritrovando subito la propria vitalità e mettendo da parte la tristezza.
   «Sono tutti accademici di grande fame, presumo» insinuò la giovane.
   «Macché!» sbottò Jones, negando con un cenno del capo. «Almeno, non tutti e tre. Henry, quello che io chiamo Junior, fa il meccanico di motociclette a San Francisco. Sessant’anni suonati ed è ancora lì che aggiusta motorini, che mi possano dannare! Non ho mai capito dov’è che possiamo aver sbagliato, con lui…»
   «Però, gli altri due…»
   «Sì, gli altri due sono a posto» ammise Indy, scuotendo ancora il capo al pensiero di quel suo figlio degenere che sprecava il suo tempo dietro a frizioni e coppe dell’olio. «Le maggiori soddisfazioni, se devo essere sincero fino in fondo, me le ha date la mia ragazza: archeologa come suo padre, benedetta figliola, e copia sputata della sua mamma, bella come il sole e vivace come un uragano! Mi diede solo un po’ da pensare quando si iscrisse al College, per via di certe sue frequentazioni che non approvavo, ma non interferii mai troppo nella sua vita e, alla fine, io e Marion ne fummo pienamente soddisfatti. La mia Katy…» Il vecchio parve perdersi nel pensiero della figlia, poi, però si riscosse e riprese a parlare. «Abner, invece, seppure porti il nome di suo nonno materno, deve avere nel sangue l’essenza di mio padre, perché è diventato docente di letteratura medievale europea, robe da pazzi!»
   Jones fece l’ennesima pausa per riprendere fiato, poi continuò.
   «Li aspetto tutti e tre, questa sera, per festeggiare insieme il mio compleanno. Verranno con tutta la loro torma di figli e consorti varie. Insomma, Abner e Junior arriveranno con figli e mogli. Katy non ne ha avuti e non è sposata, perché lei… insomma, con frequenza quasi regolare mi presenta qualche nuova compagna di vita; e, me lo giura sempre, “stavolta è quella giusta, non cambio più idea, Old J, puoi scommetterci quella vecchia pellaccia piena di cicatrici”: e “quella giusta”, come le chiama lei – lo capisce bene, vero, signorina Moira? – sono tutte ragazze, peraltro una più bella dell’altra, ogni volta, al punto che devo contenermi e non dare occhiate troppo lunghe; all’inizio mi sembrava una stravaganza, devo ammetterlo, nel vedere una donna andare con un’altra donna, ma con tutte le cose stravaganti che ho visto in vita mia ci si potrebbe scrivere un libro, e questa – a pensarci bene – non è neppure così assurda: era così anche nell’antica Grecia, no? Amore greco, si diceva una volta. Così ci ho fatto presto l’abitudine e lei rimane comunque sempre la mia bambina... la mia preferita, anzi, ma non lo dica agli altri due, se no poi fanno i gelosi e dicono che sono di parte… Chissà se me ne porta una anche stasera, da farmi conoscere? Boh! L’unica cosa di cui sono certo è che, se anche stasera ne avrà dietro una, non mi ci dovrò affezionare troppo, perché tempo tre settimane e mi presenterà qualche altra “quella giusta”, ormai credo di aver compreso bene i tempi di durata delle sue relazioni. Mi ricorda un po’ me da giovane, prima di sistemarmi con Marion, cambiavo più ragazze che mutande.»
   Indy sogghignò per un istante, prima di ricominciare.
   «Ci sarà anche Short Round, con moglie, figli e nipoti, naturalmente. Sallah non è potuto venire, però mi ha spedito un telegramma di auguri e io gli ho promesso che andrò presto a trovarlo. Parto la settimana prossima per Il Cairo, insieme a Shorty e anche a Junior, così per qualche giorno lascia perdere i suoi motorini e magari impara qualcosa! Cosa crede, che io sia disposto a piegarmi agli anni e a smettere di viaggiare?»
   «Nessuno lo ha mai messo in dubbio, dottor Jones!» replicò Miriam, con un gran sorriso. Un pensiero le attraversò ugualmente la mente. «Però… ha mai pensato di smettere? Di ritirarsi per davvero?»
   Il vecchio archeologo scosse il capo e strinse adagio le mani, perdendosi nei meandri dei suoi pensieri. Tuttavia, una risposta a quella domanda riuscì a giungergli fino alle labbra. Una frase che aveva sentito una volta, non ricordava bene dove.
   «Smettere a volte è più difficile che cominciare» disse.
   Quanti anni si era lasciato alle spalle, quante imprese ed emozioni. Aveva trascorso la vita a rincorrere reperti archeologici e, alla fine, aveva raggiunto un’età in cui lui stesso si sarebbe potuto considerare tale. Ma non si sentiva cambiato, sebbene il peso del tempo gli premesse addosso come un enorme masso. Cominciava a sentirsi stanco, quantunque non fosse ancora sfinito al punto da decidersi a mollare tutto; non era ancora vetusto a sufficienza da credere di dover finire in un museo. Finché gliene fosse rimasta la forza, sarebbe andato avanti, con lo spirito di sempre.
   Arrendersi a causa dell’età? Giammai. Anche con solo un briciolo di fiato nel petto, sarebbe partito come in passato, alla ricerca di fortuna e gloria. Fortuna e gloria che, lo sapeva, già aveva trovato da molto tempo, cose preziose che avrebbe serbato per sempre nel suo cuore, cose che non avevano nulla a che fare con tesori luccicanti o artefatti antichi. Eppure, nonostante questa consapevolezza, non avrebbe mai smesso davvero di cercarle, perché la ricerca continua e costante era sempre stata la base della sua vita.
   Quando, infine, fosse giunto anche per lui il momento di fermarsi, quell’eventualità che, prima o poi, sarebbe divenuta inderogabile, l’avrebbe fatto, l’avrebbe accettata senza problemi, ripensamenti o troppi rimpianti di sorta.
   Avvertì il calore del sole sulla sua vecchia pelle e accarezzò un delicato ciuffo d’erba che cresceva tra i sassi della riva; udì il canto festoso degli uccelli e assaporò la fragranza dei profumi del sottobosco; i suoi occhi seguirono il pigro danzare di una libellula variopinta sul pelo dell’acqua e si soffermarono sulla purezza del cielo, mentre una brezza leggera gli accarezza il viso.
   Com’era bello, il mondo! Quale mirabile creazione, la più bella di tutte! E lui, giunto a quel termine quasi estremo, poteva dire di esserselo goduto appieno, in ciascuna delle sue mille sfaccettature. Adesso avrebbe potuto accogliere senza paura e in completa serenità anche la fine di ogni cosa, per intraprendere pure quella nuova ed esaltante avventura, la più grande e misteriosa, quella che, almeno così sperava, lo avrebbe ricongiunto per sempre agli amici perduti, ai suoi genitori, al suo cane, al vecchio Abner Ravenwood… ed a Marion, alla sua amata Marion.
   Gli ci era voluto praticamente un intero secolo, aveva dovuto lottare a lungo, prima di tutto contro se stesso e la propria testardaggine; ma, alla fine, si era convinto che non potesse cessare tutto, che ogni cosa non sarebbe potuta finire così, e che dovesse per forza esserci dell’altro, dopo. Di che cosa si trattasse, veramente, non avrebbe saputo dirlo, né gli interessava indagarlo – non ancora, almeno – ma aveva imparato troppo bene, nel corso di una vita intera, una vita straordinaria e leggendaria, che non tutto si poteva ricondurre alla semplice materialità; perché anche lo spirito regnava nell’universo, uno spirito insondabile eppure, in qualche modo, palpabile e vicino, così forte da permeare tutte le cose con la propria essenza immateriale.
   Un giorno o l’altro, quindi, avrebbe intrapreso anche lui, con mente lucida e fiduciosa, quel nuovo ed emozionante viaggio verso l’ignoto, quell’ultima e straordinaria avventura, la più grande di tutte, quella che, come aveva rivelato poco prima alla giornalista, doveva ancora vivere.
   Senza nessuna fretta, però: che accadesse l’indomani oppure tra altri cento anni, non gli sarebbe importato. Avrebbe pazientato e, nel frattempo, sarebbe rimasto l’Indiana Jones di sempre, pur con qualche acciacco in più.
   «Vuole fermarsi a cena anche lei, signorina Miriam?» domandò, distogliendo gli occhi dal cielo e rivolgendo un’occhiata alla ragazza. «Katy, al telefono, mi ha detto di aver preparato una torta abbastanza grossa da poterci sfamare un reggimento.»
   «Ha addirittura imparato il mio nome!» esclamò lei, lasciandosi andare a un risolino compiaciuto.
   «Veramente l’ho sempre saputo che lei chiama Miriam» rimarcò il vecchio, atteggiando le labbra in un sorriso storto e beffardo, dal quale traspariva ironia a vere e proprie ondate. «Ma sa, ho voluto approfittare della situazione per fare un po’ di ginnastica mentale e ricordarmi tutti i nomi inizianti per “M” delle ragazze con cui sono stato dall’inizio del secolo fino a oggi.» La guardò con occhi penetranti, che parvero attraversarla da parte a parte. «E, incredibile ma vero, Miriam mi mancava alla lista! Almeno, fino ad ora…»
   La giovane restò a bocca aperta, mentre il suo viso veniva attraversato da tutte le possibili tonalità di rosso, dal cremisi allo scarlatto, fino al pompeiano e al bordeaux.
   «Cioè…» balbettò, al colmo dell’imbarazzo. «…scusi, professor Jones, non ho capito… intende che mi sta invitando a cena… perché… come dire… lei… lei vorrebbe… provarci con me…?» Per la prima volta in vita sua, Miriam Holland restò senza parole, incapace persino di comprendere se l’uomo che aveva davanti si stesse burlando di lei.
   «Lo prendo per un sì» brontolò Jones per tutta risposta, rimettendosi in piedi con un grugnito. «Allora venga. Torniamo allo chalet, le offro una doccia e le troverò qualche cosa per cambiarsi. Katy ha lasciato un armadio pieno di roba che non usa più da una quindicina d’anni. Spero che la moda dei primi anni ’80 le vada a genio…»
   La giornalista cercò di riprendere il controllo della situazione e delle proprie reazioni.
   «E l’intervista?» chiese, un po’ delusa. «Ho ancora moltissime domande da porle…»
   «Finita, per adesso. Torni tra dieci anni a sentire il resto, se proprio ci tiene» le rispose Jones, squadrandola con un altro dei suoi soliti ghigni svergoli e sarcastici. «Non mi faccia arrabbiare, o la mollo qui, altro che doccia. E veda di non metterci troppo a lavarsi, mi raccomando! È vero, glielo concedo, ormai ho smesso da un po’ di tempo di fiondarmi addosso a tutte le ragazze che incontro, ma a certi argomenti sono rimasto parecchio sensibile.» Allargò le braccia in un gesto plateale, mentre aggiungeva: «Cosa vuole che le dica.»
   La soppesò per bene con il suo sguardo beffardo. I suoi occhi si soffermarono e indugiarono a lungo, e con aria parecchio compiaciuta, sul logo di Jurassic Park che si protendeva in avanti sotto la spinta del suo seno; il quale, peraltro, era evidenziato in maniera fin troppo chiara dalla maglietta ancora bagnata che le si era appiccicata addosso e che le aveva fatto inturgidire i capezzoli – aveva scelto proprio il giorno adatto, per non indossare il reggiseno: ma chi mai avrebbe potuto immaginare di doversi tuffare a quel modo?!
   Dettaglio, questo dell’assenza del reggiseno, che ovviamente non era sfuggito al vecchio lestofante, che le rivolse un occhiolino pieno di complicità, mentre lei spalancava gli occhi per la sorpresa, ma anche per il divertimento.
   «E sapere di averne una carina come lei e tutta nuda a pochi metri da me…» soggiunse Jones con aria sorniona, «be’, potrebbe farmi ricadere in tentazione, se mi spiego.»
   Miriam non poté trattenersi dal sorridere di fronte a quell’uscita.
   Era arrivata nel Maine convinta di dover scambiare quattro chiacchiere con un fragile vecchietto nostalgico del tempo che fu e con ormai entrambi i piedi già calati nella fossa; e, invece, con immensa sorpresa, si era ritrovata di fronte ad un uomo intramontabile, più duro e coriaceo del granito, sebbene avesse dimostrato di provare persino lui dei sentimenti umani.
   «Tranquillo, dottor Jones, farò in un lampo. Non vedo l’ora di fare la conoscenza di tutta la sua famiglia» gli rispose, saltando in piedi senza smettere di sorridere.
   Indy annuì, mentre il suo sguardo andava per un momento ancora ad ammirare il lago in cui, tante volte, lui e la sua dolce Marion avevano trascorso momenti indimenticabili, amandosi e beandosi di ogni singolo istante trascorso insieme. Momenti che sarebbero vissuti per sempre dentro di lui, ne era certo. La malinconia tentò di avvilupparlo, ma il vecchio archeologo riuscì a ricacciarla nel fondo del suo cuore e tornò a voltarsi verso la giovane Miriam.
   «Ah, quando incontrerà Junior – voglio dire, mio figlio Henry – lui potrebbe chiederle di chiamarlo Mutt» ruggì, con tono derisorio. «Si figuri, scritto con la U! Un nome inventato, che si è messo da solo! Avrebbe potuto chiamare in quel modo il suo cane e il risultato non sarebbe cambiato di una virgola!» Scosse la testa, rassegnato. «Non gli dia retta, non cresce mai.»
   Indiana Jones le offrì il braccio e, tenendosi aggrappati l’uno all’altra, si avviarono insieme lungo la spiaggia ombreggiata dagli abeti profumati.


(Scritto: agosto 2017 - marzo 2022)

 
   
 
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