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Autore: Eneri_Mess    26/03/2022    0 recensioni
C’era un’ironia di fondo, marcia, che rideva nell’ombra - come se lui fosse ancora lì a farsi beffe di un mondo tenuto all’oscuro, che non aveva minimamente intuito che cosa avesse avuto intenzione di fare. O quando tutto fosse cominciato. O perché.
[BEAST Spoiler]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Sakunosuke Oda
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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COW-T 12, sesta settimana, M5
Prompt: Oscurità
Numero parole: 1006
Rating: Giallognolo
Warning: SPOILER dalla light novel su BEAST!
Note: cose indefinite 

 
A Socia ed Europa91,
in attesa della Dark Era insieme.

Avevano stretto un patto, ma quella notte entrambi stavano giocando col fuoco.

Entrambi lo erano. Fiamme con tonalità diverse.

C’era un’ironia di fondo, marcia, che rideva nell’ombra - come se lui fosse ancora lì a farsi beffe di un mondo tenuto all’oscuro, che non aveva minimamente intuito che cosa avesse avuto intenzione di fare. O quando tutto fosse cominciato. O perché.


La prima volta che Chuuya aveva incontrato Oda Sakunosuke dopo l’accaduto gli erano state chiare diverse cose, nessuna davvero con un senso se non l’intuizione base che combaciassero anche senza avere bordi precisi, definiti da una spiegazione. Aveva imprecato, bestemmiato, aveva insultato quel rivale, quel Boss che non era più che un nome ormai. Dazai non esisteva più in una forma fisica per poter essere picchiato e per fargli passare la voglia di giocare con la vita della gente, anche - soprattutto - dopo il suo suicidio.

Era troppo tardi e Chuuya non si era accorto di nulla. Non aveva capito un cazzo.

La verità era arrivata dopo.

Per bocca del White Reaper, così traumatizzato che riuscire a cavargli di bocca qualcosa senza ucciderlo era stata un’impresa.

Dal racconto di quel pulcino nero letale dell’Agenzia, incapace anche lui di scendere nei dettagli. Dettagli che, alla fine, si nascondevano nelle pieghe di tutto ciò che era rimasto taciuto.

Chuuya aveva dovuto indagare per conto proprio per formulare un’ipotesi quanto più vicina a dargli pace.

Aveva frugato in note confuse, appunti a margine di documenti che parlavano di altre vite, di altri mondi, di altri sé.

E poi quel nome, ripetuto in solitaria, scritto dove nessuno lo avrebbe cercato, ma ovunque per essere trovato.

Odasaku.

Odasaku.

Odasaku. Odasaku. Odasaku.

Un’ossessione.

Un quadro rubato. La morte di Mori. Il ragazzo tigre.

A Chuuya era venuto il vomito a comprendere quanto in profondità le radici di quella follia affondassero. Come Dazai avesse non previsto, ma orchestrato ogni singolo giorno delle loro vite da anni, anni, anni. Erano stati pedine su una scacchiera costantemente tirata a lucido, eppure immersa nell’oscurità. Ogni mossa, ogni pedone mangiato, ogni pezzo conquistato non era stato un caso.

E la cosa più terrificante era che Dazai aveva avuto come avversario solo se stesso.

Non c’erano altri antagonisti in quella storia. Più scavava, più Chuuya comprendeva di avere avuto al fianco, per sette anni, una persona che non conosceva davvero.

Per questo aveva cercato il Re per cui tutte quelle mosse erano state realizzate.

L’unico pezzo bianco sulla scacchiera.

Il solo che avesse avuto reale valore agli occhi di Dazai.

La persona per cui si era lasciato cadere nel vuoto dal palazzo più alto della Port Mafia.

Odasaku.


Anche Odasaku lo aveva cercato.

O meglio, aveva cercato delle risposte a quel miasma oscuro che era seguito al singolo incontro avuto con Dazai Osamu al Bar Lupin.

Qualcosa si era incrinato, ma non se ne era accorto.

Aveva sentito dell’odio per quel Boss che si era seduto di fianco a lui chiamandolo con una familiarità fuori luogo - con una disperazione e una felicità miscelate in uno sguardo tremante.

Qualche ora dopo era morto. Aveva terminato la propria esistenza. 

Dopo aver voluto bere un’ultima volta con lui, uno sconosciuto.

Ma più Odasaku riguardava quel coccio di ricordo recente, più aveva la sensazione che da qualche parte ci fosse un vaso rotto, e che la colpa fosse anche sua, ma non aveva idea di dove cercare gli altri pezzi per rimetterlo insieme e capire.

Essere un detective nell’Agenzia di punta della città aveva i suoi vantaggi, soprattutto quando si aveva bisogno di affondare le mani nella melma dei bassifondi.

Quello che non si era aspettato di incontrare erano due occhi come i suoi, un po’ più chiari, in caccia di verità come lui.

Nakahara Chuuya, il braccio destro del Boss suicida.

Con tante domande quante le sue.

Con delle risposte macchiate da anni di sangue e ombre.

Ciò che entrambi non avevano calcolato era come l’uno stesse cercando nell’altro lo stesso fantasma.

Che Dazai avesse previsto o meno l’incontro di quelle fiamme, l’incendio divampò senza che se ne rendessero conto.


Chuuya aveva posto poche condizioni e Odasaku le aveva accettate.

Non avrebbero parlato.

Non avrebbero mai detto, per nessuna ragione, il suo nome.

Tutto sarebbe nato e morto nell’oscurità di una stanza.

Sarebbe bastato un messaggio, un luogo, sempre diverso, e prima dell’alba ognuno sarebbe tornato alla sua vita.

Il tutto mentre quella forma inconsistente, eppure permanente, che aveva assunto Dazai sarebbe rimasta a fissarli - dal fondo delle loro anime, dagli angoli negli specchi dove non guardavano, nei respiri che si toglievano a vicenda.

Chuuya aveva imparato a riconoscere gli spigoli del viso e del corpo di Odasaku e Odasaku aveva compreso presto quanto Chuuya potesse essere possessivo anche solo per una notte.

Non c’erano ruoli, non c’era clemenza e non c’era decenza. Quello che volevano se lo prendevano l’uno dall’altro.

Dazai avrebbe voluto lasciare una parte di sé sulle labbra di Odasaku e Chuuya le torturava di morsi ringhiando a quello stronzo morto che gli stava bene non averle. Odasaku subiva, per poi prendersi tutto ciò che il corpo di Chuuya poteva offrirgli, nel tentativo di arrivare più vicino a quello sconosciuto che aveva pronunciato il suo nome rendendolo una maledizione echeggiante.

Erano diventate due bestie assetate di rimpianti che non sarebbero mai state capaci di dissetarsi, non finché avessero continuato a ringhiarsi nel buio, come due randagi che si litigavano un osso. 

Dazai si era tolto dall’equazione, eppure ogni sospiro, ogni tocco, ogni morso, ogni urlo invocavano la sua presenza. 

Troppo tardi

Troppo tardi. 

Troppo tardi. 

Era l’unica cosa che rimbombava in quelle stanze sempre diverse. 

Insieme ai se, rintocchi così nitidi da ferire le orecchie. 

Era soltanto una storia con un fine scritto in calce, ma nessuno dei personaggi se ne era accorto. 

E continuavano a brancolare nelle profondità della notte, senza neanche più chiedersi che forma avesse la luce. 

 
   
 
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