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Autore: SmolderDean    29/03/2022    0 recensioni
[Antica Roma - Real]
Una delle coppie più note e discusse della storia, sullo sfondo della potenza più grande del mondo antico al suo massimo splendore, raccontata attraverso gli occhi nuovi di un ragazzo legato a entrambi, l'unico che abbia potuto capire davvero cosa quell'amore significasse.
Un imperatore, un giovane greco ed un ragazzo romano, uniti nella storia e nelle stelle.
Genere: Angst, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI

 

 

La villa a Tivoli era bellissima, ed era ancora solamente in costruzione. In ogni ninfeo, in ogni esedra, in ogni arcata riconoscevo la mano dell'imperatore, e questo mi lusingava e feriva allo stesso tempo. Pensai più volte di voltarmi e andarmene come se nulla fosse, ma continuai comunque a seguire Antinoo attraverso il dedalo di marmi e sale fino a un giardino totalmente vuoto. Accanto ad un tavolo, una figura curva sui disegni elencava tutte le operazioni da modificare diversamente mentre altre due, in piedi a poca distanza, osservavano attentamente il progetto.

“Bene, deve sembrare che il portico superiore leviti, capite, effetto che si può ottenere solamente grazie a tantissime arcate libere, qui, qui e qui. Ovviamente l'ordine è quello ionico, sopra vedremo se fare capitelli corinzi, ma non ne sono completamente certo. E per il giardino...non so”.

“A mio parere una bella fontana risolverebbe tutto” dissi. Adriano si voltò di scatto e sorrise, rivelando attorno agli occhi delle rughe di espressione che mi erano nuove. Era cambiato, e anche molto. La fronte più spaziosa finiva in riccioli di un colore troppo scuro per essere naturale, ma il mento un po' più tondo era ricoperto di una folta barba striata di grigio. Aveva cinquantatré anni, dopotutto, ed io ormai ventisei, se non riuscivo a riconoscere neppure me stesso di certo non potevo aspettarmi che fosse rimasto com'era.

Senza dire nulla, fece un passo verso di me ed io compensai raggiungendolo e stringendolo a me abbastanza forte da sentirlo vicino, ma non troppo da fargli del male.

“Non puoi immaginare la felicità che provo ora nel rivederti, mio caro Gaio” disse, sciogliendo l'abbraccio per darmi due baci sulle guance “una immensa, immensa felicità”.

Gli sorrisi, non riuscendo a fare altro. Vederlo dopo tutto quello che era successo, il modo in cui ci eravamo persi e quello in cui era proseguita la mia esistenza, era come rivivere tutto ciò che mi aveva ferito in una volta sola, ma più lo guardavo e più quell'uomo mi sembrava un estraneo, al massimo un vecchio amico ritrovato, e questo in parte mi diede conforto.

L'imperatore fece cenno ai due architetti di lasciarci soli, quindi mi circondò le spalle con un braccio e iniziammo a passeggiare per il giardino. Dietro a noi c'era Antinoo.

“Come va la vita, mio caro?” chiese Adriano, mentre camminavamo “So che ti sei sposato e hai un figlio piccolo, congratulazioni. Quanti anni ha? Due, vero?”

Mi fermai e gli altri due fecero altrettanto.

“Vi siete informato sul mio conto” dissi, con tono più cupo di quanto volessi “perché?”

Adriano si separò da me per bisbigliare qualcosa all'orecchio del suo ragazzo, che andò via.

“Di certo non crederai che non mi importi di te” riprese quindi “che non mi interessi”.

“Io credevo che...”

“Che fossi storia vecchia, da lasciare nel passato”.

“Beh, sì. Me ne sono andato, sono scappato da voi, e tutto per permettervi di vivere felice come volevo che foste. Lui è davvero splendido, così giovane e pieno di vita, è giusto che il nuovo alla fine subentri al precedente, anche se fa male. Perciò sì, ero convinto mi aveste dimenticato”.

L'uomo mi prese il viso fra le mani e lo abbassò quel tanto che bastava a darmi un delicato bacio sulla fronte, come faceva spesso quand'ero un ragazzo.

“Non è necessario che ciò che è venuto prima sparisca” replicò “guarda l'arte, guarda questo posto, guarda le città che ti ho portato a visitare. Dal passato si impara, e finché ci sarà qualcosa che ci ricordi di cosa è avvenuto non sarà mai veramente passato”.

Una tale affermazione mi suonava ambigua, che cosa intendeva? Che mi voleva ancora?

“Voi lo amate molto” dissi allora, senza troppi giri di parole. Lui annuì.

“Più di chiunque al mondo” ammise “ma non ho mai smesso di avere bisogno di te. Non è una competizione, tu puoi essere per me un confidente, e l'unico amico fidato che ho”.

Abbassai gentilmente le sue mani dal mio volto e scossi piano la testa.

“Non fatemi questo, vi scongiuro” pregai, con voce rotta “è troppo”.

Lui abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il mio.

“Forse hai ragione” concesse “forse è disumano per me chiederti tanto. Ma sto pensando ad Antinoo e sono preoccupato. È giovane, potrebbe percorrere tutte le strade del mondo, invece si ritrova incatenato qui, accanto a un vecchio che diverrà sempre più vecchio, e che, per quanto lo ami, presto finirà per deluderlo. Vuole viaggiare, come te, conoscere persone nuove ogni giorno, e so che prenderà il volo, se non ora fra breve, lasciandomi solo al mondo. Non lo sopporterei”.

“Quindi mi state chiedendo di fargli da reimpiego, di consolarvi quando andrà via”.

“Ti sto chiedendo di riavvicinarti a me, non tenermi tagliato fuori dalla tua vita”.

“Solo quando lo sarà lui, però. Perdere me non vi è costato poi tanto, suppongo”.

“Perdere te ha fatto più male di quanto immagini, ma non è stata una mia scelta. Gli dèi hanno condotto Antinoo da me, perché tornassi ad apprezzare la pura bellezza che stavo dimenticando, perché ti amavo troppo per vedere quanto questo impero avesse bisogno di ordine”.

“Certo, l'impero, gli dèi, l'ordine. Non credete nemmeno voi in ciò che dite”.

“Invece sì, e molto”.

“Allora fatevi assistere dagli dèi, quando la pura bellezza si stancherà di voi, o voi di lei. Perché quando succederà, non so se mi troverete ancora così docilmente ad aspettarvi”.

Detto questo gli voltai le spalle, gesto di alto tradimento che mai credevo mi sarei permesso di fare in tutta la mia vita, e a passi lenti mi allontanai da lui, ignorandolo chiamarmi perché tornassi.

 

Fu per me un periodo davvero tormentato, quello. Mia moglie mi rimproverava che i suoi genitori l'avevano costretta a sposarmi solamente perché convinti da mio padre che la vicinanza all'imperatore ci avrebbe portato qualcosa, e che io quindi, rinunciandovi, la stavo rovinando e con lei anche nostro figlio e il figlio che aspettava da chissà chi. Non risposi nulla, non avrei saputo come spiegarle la complessa scacchiera del rapporto tra me e Adriano, io stesso non riuscivo a capirla fino in fondo, né a pensare a come comportarmi in seguito.

Un giorno, però, tutta contenta mi disse che c'era Antinoo alla porta.

“Ti sarai sbagliata, cosa ci farebbe qui” replicai.

“Guarda che so riconoscere l'amante dell'imperatore quando lo vedo” protestò lei “è Antinoo”.

Perciò, turbato più che incuriosito, raggiunsi l'atrio, dove effettivamente il ragazzo si stava specchiando su un piatto d'argento poggiato sopra un tavolino. Mi schiarii la voce e lui si voltò.

“Ciao” esordì, palesemente nervoso “tutto bene?”

“Se ti ha mandato di nuovo Adriano...”

“No no, lui non sa che sono qui”.

“Oh. E allora che cosa c'è?”

“Volevo parlarti, posso?”

“Ehm certo, sì, seguimi pure”.

Lo condussi nel mio studiolo e lo feci sedere davanti a me.

“Avanti, dimmi” lo esortai. Lui tentò di iniziare un paio di volte, prima di farlo davvero.

“Io so che è indelicato” disse “e credimi, non sono qui per darti fastidio o stuzzicarti, né niente del genere. Ma ho sentito quello che vi siete detti alla villa e non riesco a smettere di pensarci”.

“Hai sentito cosa, esattamente?”

Con una velocità incredibile, il ragazzo si asciugò gli occhi anticipando una lacrima.

“Teme davvero che lo lascerò?” biascicò poi, guardandomi con aria affranta “Che preferirò un qualunque mortale a lui, che è stato ed è per me tutto? La famiglia che non ho mai avuto, l'amico che ho sempre desiderato, l'amore che ho sognato per anni di meritare? Come potrei?”

“Perché sei venuto da me, Antinoo?”

“Perché solamente tu puoi capirmi, Gaio, tu e nessun altro”.

“E cosa ti aspetti che ti dica, io che ti capisco come nessun altro?”

“La verità. So che l'hai amato come lo amo io, lo capisco da quanto la mia presenza ti abbia sempre dato fastidio. Ero giovane, sì, ma non confondere la giovinezza con ingenuità. Notavo la sufficienza con cui mi trattavi, e anche se non la capivo davvero mi feriva. Quello che Adriano ti ha detto è vero, ha sofferto molto il vuoto che hai lasciato scappando senza un saluto e...”

“Scappando senza un saluto? Se veramente mi capisci, come puoi dire questo?”

“Io ti capisco, Gaio, però non lui, lui non ha mai smesso di volerti bene e...”

“Ma ama te”.

Antinoo rimase un attimo in silenzio, magari cercando di scegliere il modo migliore per poter affrontare il discorso. Alla fine optò per la più cruda sincerità.

“Ma ama me, sì” disse “anche se ciò non esclude le cose”.

“Le esclude a me, Antinoo” precisai “non posso tornare, sappiamo tutti il motivo”.

“Gaio, non sono qui per questo, te l'ho detto”.

“No? Allora che cosa vuoi da me?”

“Solo chiederti aiuto. Hai sofferto tanto, non voglio seguire le tue orme”.

“Che cosa intendi?”

“Hai dedicato la tua vita a lui, lo conosci più di quanto lui conosca se stesso. Dimmi come evitarlo, come impedire che anch'io finisca in secondo piano, ora mi adora, ed è giustamente certo che io lo ricambi, ma se dovesse convincersi del contrario, o incontrare un qualcuno che...”

“Vattene, Antinoo, vattene da casa mia”.

“Devi aiutarmi, Gaio, senza di lui sono perduto!”

“Questo ha smesso di essere un mio problema quando hai messo piede a Roma. Ora va'”.

“Ti prego, non voltarmi le spalle, non ho nessuno a cui rivolgermi!”

“Esci da questa casa, non lo ripeterò più!”

Il ragazzo finalmente si alzò, ma prima di andare mi rivolse un ultimo sguardo deluso.

“Scusami se ti ho fatto perdere tempo” disse, sussurrandolo appena “scusami”.

Uscì velocemente, ma io, dopo un momento, lo seguii.

“Antinoo!” chiamai. Lui si voltò verso di me, in ascolto, gli occhi verdi come la sua tunica gonfi di lacrime che però riusciva ancora a contenere sul bordo delle lunghe ciglia. Mi pentii tutta la vita di quel che gli dissi dopo, ma al momento non potevo prevedere cosa sarebbe successo.

“Hai ragione” dissi “ho dedicato la mia vita a lui, eppure ho perso. Perciò se proprio vuoi che ti insegni il fabula docet che ho tratto da tutto questo dolore, allora vivi, vivi quanto puoi ora che puoi, perché sei giovane, il futuro non può sembrarti oscuro quanto invece potrebbe rivelarsi, e se per dimenticare me, che con lui ero rimasto quasi dieci anni, è bastato incontrarti per caso, non c'è nulla che possa garantirti che non succeda di nuovo. Ti ama, ti ama tantissimo, ma non esiste modo per far sì che questo duri per sempre. Addio, Antinoo, sii felice”.

Chiusi la porta, con la netta sensazione di aver chiuso con essa un'intera parte della mia vita.

 

 

 

VII

 

 

Seppi che pochi mesi dopo, regalo di compleanno da parte di Adriano, sarebbe andato in Egitto, dove l'autunno sarebbe stato più mite, e avrebbe visitato tutta la provincia su una nave imperiale, con una schiera di servitori che avrebbero provveduto affinché non gli mancasse mai nulla.

Poi, un giorno, un uomo di mezza età venne a bussare compulsivamente alla mia porta.

“Ma si può sapere che modi sono?!” sbottai, andando ad aprire. Lui tirò su col naso.

“Voi siete Pompeo Lucilio?” chiese, mangiandosi le parole dalla fretta.

“Chi mi cerca?” domandai a mia volta. Lui scoppiò a piangere.

“Non è stata colpa di nessuno, è stata solo una disgrazia” farfugliò “tentare di salvarlo è stato del tutto inutile, ma ci abbiamo provato tanto, lo giuro sui miei figli!”

“D'accordo, d'accordo, ora calmatevi” dissi, posandogli una mano sulla spalla per confortarlo mentre con l'altra gli porsi una stoffa per soffiare il naso “di cosa parlate?”

Eppure l'uomo era inconsolabile, continuava a chiedermi la grazia, ripetendo che era stato solo un incidente, che nessuno aveva colpe, che queste cose capitano, che non meritava di morire così...

“Insomma si può sapere che è successo?!” esclamai, forse con troppa foga. Lui si paralizzò.

“Quel ragazzo, il preferito dell'imperatore” riuscì a dire dopo un po'.

“Antinoo” precisai, mentre mi si formava un nodo allo stomaco “che cosa gli è accaduto?”

“Signore non è stata colpa nostra, era distratto, forse si è buttato lui, io non...”

“Che cosa gli è accaduto, per Giove?!”

“Lui...lui è morto, signore. Tre giorni fa. È caduto nel Nilo e non si è più svegliato”.

Fu come se al suo posto fossi morto io. Ripensai al modo in cui avevo salutato quel giovane di nemmeno diciannove anni e per un attimo credetti di svenire.

“Ora dov'è?” chiesi con voce tombale.

“Nel palazzo reale, signore” rispose lui, singhiozzando “l'imperatrice ci ha detto di lasciare lì il corpo e poi sua altezza Domizia Paolina di chiamare voi. Ha detto che avreste saputo come dirlo all'imperatore Adriano Augusto, ma che dovevo rimanere a disposizione. Lo farete?”

Questo era troppo. Perché dovevo essere io il messaggero di una tale nefasta notizia?

“Parlerò con Domizia Paolina” dissi comunque “non vi preoccupate”.

Lui mi baciò le mani, quindi raggiunse di corsa il suo cavallo e fuggì via, lasciandomi lì, solo, accasciato sullo stipite della porta, gravato da quel peso che mai avrei assimilato davvero. Antinoo era morto, era morto annegando nel Nilo durante un viaggio di piacere. Non avevo idea se fosse stato in grado di nuotare, ma in fondo, tenendo conto della caduta, avrebbe potuto sbattere la testa sul basso fondale o ancora rimanere incastrato fra le canne o essere preso da un animale. Questo se fosse scivolato accidentalmente. E se invece...? No, non l'avrebbe mai fatto, perché avrebbe mai dovuto farlo? Era un giovane nel fiore degli anni, bello come un dio, favorito dell'imperatore di un impero che dominava il mondo, era felice, quali motivi l'avrebbero spinto a buttarsi? Oppure no? Possibile che l'angoscia di poter incappare in un futuro dolore avesse avvelenato il suo cuore al punto di privarlo di ogni sogno, di ogni fiducia? Possibile che fosse colpa mia?

“Sono stato io” ansimai, soffocato dall'ombra della mia coscienza “l'ho ucciso io”.

 

Arrivai a palazzo bianco come un lenzuolo e senza nemmeno aspettare di essere annunciato mi recai nelle stanze di Paolina. Lei era lì, seduta con la schiena curva quasi sentisse sulle spalle il tremendo peso di quella morte, lo stesso fardello che stava schiacciando me. Quando mi vide si alzò e aprì le braccia per offrirmi un conforto di cui sapeva avevo bisogno.

“É colpa mia” confessai, bagnando il suo bel vestito blu di lacrime “se non gli avessi parlato in quel modo, se gli avessi detto qualcosa di carino, invece, lui sarebbe ancora vivo e...”

“Tesoro, è stato un incidente” replicò lei, con voce materna “non c'entri, nessuno di noi c'entra”.

Mi staccai da lei e la guardai negli occhi stanchi.

“Prima di partire era venuto da me” insistetti “temeva di perdere il favore di Adriano”.

Udendo il nome del fratello, Paolina si irrigidì.

“Gliel'hai già detto?” chiese, a voce molto bassa.

“No” risposi “non so come fare. Fatelo voi, vi prego, io non...”

“Oh, Gaio, tu sei l'unico che possa farcela. Antinoo per lui era tutto, questo terribile avvenimento lo ucciderebbe se lo venisse a sapere nella maniera sbagliata, tu sei il solo che sappia come poterlo prendere, e scommetto il solo che lui vorrà avere accanto quando lo saprà. Per favore, Gaio”.

Vedere Paolina, la mia zia adottiva, tanto piegata da quel fatto, dal dolore che divorava anche me, mi costrinse ad annuire, benché quel compito mi spaventasse a morte.

“Dov'è il corpo?” domandai dopo un momento “Lui vorrà vederlo”.

“Non deve” minacciò lei, lanciandomi uno sguardo spaventato “sarebbe troppo”.

Io annuii, poi, non riuscendo a trattenermi, chiesi di nuovo asilo alle sue braccia e piansi.

“Ti voglio bene, Gaio” mormorò Paolina al mio orecchio “te ne ho sempre voluto”.

Per tutta risposta mi strinsi un po' più forte a lei.

 

Mi ci vollero due giorni per raccogliere il coraggio necessario ad affrontare Adriano. Quando arrivai nella villa fuori Roma ero preda di un nervosismo spietato, tremavo, avevo le mani sudate e un tic all'occhio sinistro, e non ero riuscito a mangiare per tutto il giorno prima. Mentre percorrevo il corridoio d'ingresso continuavo a chiedermi perché fossi stato incaricato io, a come potevo scappare da quell'onere, mentre le possibilità di fuggire diminuivano ad ogni passo che facevo in direzione del giardino. Ma lui non era lì. Tutto era finito, al centro del peristilio porticato dominava una fontana, proprio come avevo suggerito io, in cui però un semplice pilastro tradiva i lavori in corso. Pensai a come starebbe stata bene una statua di Antinoo, proprio lì.

“Gaio!” esclamò Adriano, facendomi sobbalzare. Mi voltai e risposi tiepidamente al suo enorme sorriso di gioia. Lui però capì che qualcosa non andava, tutto il mio corpo lo stava gridando.

“Salve, Publio” salutai, con voce strozzata “posso parlarvi?”

Lui mi indicò una panchina a due passi da noi, ma io scossi la testa. Serviva un posto certo più appartato, in cui avesse potuto prendersi un momento per accettare la cosa, sfogarsi, piangere.

Questo lo spaventò molto, lo riconobbi immediatamente, ma pensai che fosse meglio così. Perciò lo seguii dentro un ambiente più adatto, una stanza già conclusa piena di affreschi, con vistosi arazzi alle pareti e un braciere acceso in ogni angolo, forse la sua stanza. Indicò una sedia ma non accettai e a sua volta anche lui rimase in piedi. Attesi che iniziasse.

“Che cosa è successo?” chiese infatti. Io feci per cominciare, senza riuscirci. Poi lo dissi.

“Antinoo non c'è più”.

Forse avrei potuto mantenermi più alla larga invece di dirigermi verso il nocciolo della questione con tanta schiettezza, ma ero bloccato, non mi veniva in mente nulla.

“Non c'è più in che senso?”

“Publio, lui è...è successo un incidente, è scivolato nel Nilo...”

“Mi stai dicendo che Antinoo è morto? È questo che intendi, Gaio?”

Io annuii e tentai di aggiungere un “mi dispiace tanto” che però si perse nella mia gola. Lui si guardò attorno come per cercare qualcun altro che potesse smentire tutto, scoppiare a ridere e porre fine a quello scherzo di cattivo gusto, ma non trovò nessuno.

“Lui non può morire” disse infine, con semplicità “è solamente un ragazzo”.

“É stato un attimo ed è caduto” ripetei. Lui scosse violentemente la testa, più e più volte.

“Dev'esserci un'altra spiegazione, Antinoo non può morire, non lui”.

“So che è difficile, per te in particolare, però...”

“Ma lui è un dio, tornerà”.

“Non tornerà, Publio. So che lo vorrebbe, perché ti amava, ma non può”.

“Gli dèi non muoiono, Lucilio, lui tornerà da me, me l'ha promesso. Proprio prima di partire, lui l'ha promesso, me l'ha promesso. Sì, l'ha promesso e quindi lo farà, perché l'ha promesso”.

Fece per sedersi, ma finì per perdere l'equilibrio e accasciarsi su se stesso. Io mi chinai accanto a lui per soccorrerlo e lo strinsi al mio petto, trattenendomi dal piangere nel sentirlo mormorare continuamente quella promessa mai mantenuta, che la sua mente logica aveva accettato, mentre il cuore, ne ero sicuro, non l'avrebbe fatto per il resto della vita.

“Hai ragione” dissi quindi, cullandolo come fosse stato mio figlio “lui non se ne andrà mai, rimarrà sempre nel tuo cuore, e nelle stelle, da lì ti guarderà e amerà e proteggerà”.

Lui smise di ripetere il suo mantra e alzò gli occhi scuri nei miei.

“Tra tutti noi, lui era quello che lo meritava di meno” biascicò “doveva presenziare al mio funerale, non io al suo, non è così che funzionano le generazioni. Perché lui? Perché, Gaio?”

“Questo non lo so, Publio, gli dèi avevano fretta di riaverlo con sé”.

“Sì, è proprio così, gli dèi l'avevano perduto qui su questa terra e lo rivolevano indietro”.

“Ora è felice, te lo posso assicurare”.

“E se invece l'avessero ucciso per ferire me? L'ho lasciato solo, indifeso, incapace di difendersi, sono io stato io a ucciderlo con il mio egoistico amore, è morto a causa mia!”

Risposi scuotendo la testa, soffocato dalle lacrime che non mi permettevo di versare. Per un momento fui tentato di confessargli tutto, dirgli che no, non era stata colpa sua, bensì mia, io ero l'assassino del giovane la cui fine gli aveva spezzato il cuore, ma come potevo? Come potevo in quelle condizioni infierirgli un'altra simile ferita mortale?

Lo tenni stretto a me finché non finì le lacrime e mi chiese di portarlo da Paolina. Solamente allora, a palazzo reale, riaprì bocca, per dirmi “Antinoo non morirà mai, non lo permetterò”. Era una parola che avrebbe mantenuto fino in fondo, ma lì per lì mi limitai ad annuire fingendo di accontentarlo, convinto gli avrebbe fatto piacere. Lui annuì a sua volta, quindi entrò da Paolina.

 

 

 

VIII

 

 

Furono dei funerali imperiali, quelli per Antinoo, discussi e chiacchierati in tutto l'impero perché da molti recepiti come eccessivi considerato il rango e il ruolo del ragazzo. Ad Adriano non provai nemmeno ad avvicinarmi, si era chiuso in se stesso e a malapena permetteva la presenza della sorella, ma quando giungemmo alla cerimonia della pira funebre mi fece chiamare e mi volle al suo fianco fino a che l'ultimo briciolo di legna non fu trasformato in cenere.

“Proprio come hai detto tu” commentò, guardando il cielo con occhi lucidi “è fra le stelle, anzi, lui stesso è corpo celeste, un'intera costellazione, la costellazione di Antinoo. Da stanotte, Gaio, giurami che guarderai Antinoo brillare su di noi squarciando l'oscurità della notte”.

“Come lo potrò riconoscere?” ricordo che chiesi. Lui sorrise.

“Oh, lo riconoscerai. Potrai trovarlo accanto alle mie stelle, quelle dell'acquario sotto cui sono nato, neppure la morte potrebbe allontanarci. Allora, me lo prometti? Prometti che lo cercherai?”

“Sì, Publio, lo prometto”.

“Bene. Lui ne sarà talmente contento, non credi anche tu?”

“Assolutamente, sentirà quanto ancora lo amiamo”.

“Esatto, quanto ancora lo amiamo”.

Lo guardai fissare speranzoso il cielo, e per la prima volta provai pietà, per lui, comprendendo che da quel lutto non sarebbe mai uscito, e per me, che per anni mi ero paragonato ad Antinoo con la superba, infantile e ingenua idea di valere quanto lui. L'amore di quel ragazzo non era un sentimento consueto, uno dei soliti che tutti credono di provare con un qualcuno per cui si avverte una particolare simpatia, quello era un legame che solamente allora capii di non aver mai potuto avvalorare, difendere, tutelare, rispettare, eguagliare. E fu sempre allora che capii che era morto anche Adriano, in quel fiume, perché già nell'istante in cui lo vide a Pergamo, dorato come un gioiello e splendente come un astro, proprio lui, senza forse volerlo, aveva consegnato l'anima a quel giovane perché la custodisse, certo sarebbe stata in buone mani. Ed ora non c’era più.

Mi avvicinai e gli baciai la tempia sfiorandolo appena.

“Ricordatelo sempre” sussurrai “e lui non svanirà mai”.

Quindi, senza attendere una sua reazione, me ne andai.

 

Volevo che la mia vita prendesse una piega diversa, da quel momento in poi, volevo badare ai due bambini di qualcun altro su cui riversavo tutto l'amore che non avevo potuto dare a nessuno, volevo sfruttare le mie capacità e conoscenze in architettura, magari diventare qualcuno, volevo insomma iniziare a vivere come una persona normale, lasciandomi alle spalle tutto.

Paolina fu l'unica dalla quale non riuscii a separarmi. Andai a trovarla diverse volte, finché un brutto giorno mi fu impedito di entrare a palazzo.

“Si può sapere che storia è questa?” protestai, furioso “In quanto cittadino romano è mio diritto visitare le residenze reali e in quanto amico della famiglia sovrana dell'impero vedere...”

“Basta, Lucilio, calmatevi” intervenne una voce femminile nuova. Tutti i soldati di guardia in un baleno si spostarono per far passare l'imperatrice affinché mi raggiungesse.

“Fatemi passare, voi potete intercedere per me” chiesi “basterebbe solo...”

“Mio caro Lucilio, siete rimasto indietro” replicò Vibia Sabina con una smorfia “non hai saputo le novità, vedo, ma d'altronde io stessa l'ho saputo appena da qualche ora”.

“Di che cosa parlate?”

“Questa notte ci ha lasciati la diva Paolina”.

“Lei è...perché? Com'è successo?”

“Era da tempo che godeva di salute cagionevole, povera. Gli dèi l'accolgano come merita”.

Impiegai un momento a ritrovare il controllo, e soprattutto a non piangere.

“Oh, Giove” biascicai alla fine, abbassando lo sguardo per celare gli occhi lucidi “Adriano ne è già stato informato? Dove si trova?”

“Non so dove sia, e a quanto pare non è più affar mio, però sì, lo sa”.

“Che cosa intendente?”

“Sono stata ufficialmente tagliata fuori dalla sua vita, Lucilio, devo lasciare questa casa e trasferirmi in un complesso privato, come una semplice donnicciola nobile qualunque. Non potrò nemmeno presenziare ai funerali di Paolina, che a quanto pare saranno privati anch'essi”.

“Privati? Ma faceva parte della famiglia imperiale, non può...”

“Beh provate a convincerlo del contrario, se ne siete capace, io ci rinuncio”.

Mi rivolse un fugace cenno di saluto, dunque sparì di nuovo dentro, dedussi a preparare i propri bagagli per il trasferimento, l'ennesimo colpo da dover incassare.

 

Tentai veramente di vedere Adriano, se non altro per amore di Paolina e della degna cerimonia funebre pubblica che meritava, o almeno, nel peggiore di casi, per ottenere il permesso di dirle addio a mia volta partecipando a quella privata. Tutto l'insieme, averla persa senza aspettarmelo, il modo in cui mi era stato annunciato, l'ingiustizia che sapevo avrebbe fatto rivoltare persino coloro che si erano astenuti dal giudicare l'imperatore per i funerali di Antinoo, tutto mi si rovesciò addosso in un solo momento con una forza eccessivamente brutale, provocandomi un dolore che non meritavo. Paolina era stata una madre, per me, e non potevo nemmeno piangerla. L'unica cosa in mio potere era ricordarla per conto mio e pregare per lei, cosa che tuttora non smetto di fare.

Adriano lasciò la capitale e mi tenne distante per oltre cinque anni. Durante questo lasso di tempo la città finì per amministrarsi da sola, poiché le uniche direttive inviate direttamente dal suo sovrano erano di carattere tutt'altro che pratico: venne ufficializzata la costellazione di Antinoo, e di conseguenza modificati tutti i trattati di astronomia, fu istituito il culto del dio Antinoo, alla pari con quelli degli antichi dèi, protettore della città costruita in Egitto ex novo e nominata, per l'appunto, Antinopoli, mentre statue con le sembianze del ragazzo iniziarono a popolare l'impero, specie nelle province orientali, dove presto divennero più numerose degli stessi abitanti. Agli occhi di Adriano il mondo si era ridotto a un solo nome, quello di Antinoo, in una maniera tanto evidente che nessuno ebbe la prontezza di dire qualcosa, almeno non subito.

Poi, improvvisamente, mi giunse una lettera finemente chiusa con il sigillo imperiale. Presi il mio cavallo e annunciai a mia moglie che dovevo uscire, per poi perdermi nelle ampie campagne limitrofe, l'unico posto in cui potessi trovare pace, e mi misi a leggere.

“Caro Gaio” iniziava “ora che la mia fine è vicina, sento il dovere e la voglia di rivolgermi alle uniche persone vicine che mi siano rimaste, cioè tu. Non ti ho permesso di ritrovarmi dopo la morte di mia sorella Paolina, e me ne pento moltissimo. Nessuno più di te meritava di avere voce in capitolo, ma il dolore che mi attanagliava il petto era troppo perché riuscissi a udire qualcosa di diverso dal mio continuo lamento. Mi dispiace, mi auguro un giorno potrai perdonarmi.

Non so se anche tu, come tanti altri, abbia già perso l'affetto che nutrivi nei miei confronti in seguito a tutti gli avvenimenti che ci sono stati, spero di no, o almeno non del tutto. Sai, sono stato tentato di convocarti qui da me, in Iberia, costringerti a venire anche con la forza, se necessario, tanto era il mio bisogno di avere accanto un amico sincero, però non ce l'ho fatta. Il senso di colpa per averti inflitto del male per così tanto tempo me l'ha impedito, e probabilmente è stata la scelta giusta. Perché vedi, il ruolo di un imperatore è quello di mantenere l'ordine cosmico sulla terra, riuscire a dare a ognuno non ciò che desidera bensì ciò di cui ha bisogno, e verso di te l'ho dimenticato spesso, me ne dolgo tremendamente. Scusami, se puoi.

Quando morirò il mio successore Antonino Pio organizzerà una cerimonia funebre memorabile, questo è quello che spero, vorrei che vi partecipassi, così che io possa dirti addio. E vorrei anche che, se mai ancora un briciolo di amore per me alberghi nel tuo animo, non provassi tristezza per la mia dipartita terrena, ma felicità e sollievo. Diventerò divino, proprio come ho reso Antinoo, e grazie a questo potremo ricongiungerci. Le nostre costellazioni ti illumineranno per sempre, mio carissimo, guidandoti verso quella serenità e quella gioia che hai sempre meritato e, in parte a causa mia, mai veramente ottenuto. Ti prego di perdonarmi anche per questo.

Grazie per essere stato così generoso, in un mondo di egoismo e critiche, per avermi offerto più di quanto potessi chiedere, ed essere rimasto il faro che nonostante le tempeste non si è mai spento e mai mi ha lasciato in balia delle tenebre talvolta così fitte. Forse non te ne sei accorto, ed è di certo stata una mia mancanza non rendertene mai merito, ma sono state molte le volte in cui il pensiero di te, da qualche parte, facendo chissà cosa, mi ha salvato. Perché sapevo che per quanto le cose potessero andare male, per quanta malvagità potessi ancora dover combattere, tu, mio baluardo, e tutti coloro che come te avevano sofferto in nome dell'amore e della vita, tutti voi rendete questo un posto migliore, e la mia una lotta quotidiana giustificata. Grazie, Gaio.

Ti lascio, dunque, sinceramente speranzoso che la mia assenza ti giovi, a te cui, come nessuno nel tempo, ho causato tanta sofferenza. Ricorda sempre che nulla è avvenuto per colpa tua, tranne forse la mia felicità, di cui sempre ti sarò debitore. Quanto ti devo, Gaio, e ho aspettato di essere in punto di morte per arrivare a dirtelo! Gli dèi abbiano cura di te e dei tuoi figli, che ho saputo essere splenditi.

Non ero meritevole di voi, né di te né di Antinoo, ma nella cecità del mio amore non riuscivo a rinunciarci, a lasciar andare te quando ne avevi la necessità o a seguire lui quando si sentiva solo. Ho sbagliato con entrambi, pur amandovi in un modo che mai capiresti, ma a pagarne il prezzo siete stati proprio voi due, gli unici che mi illudevo di poter proteggere.

Addio, dunque, e sii felice, ora che finalmente puoi sentirti libero dal peso della mia amicizia”.

 

Impiegai un paio di giorni a scrivere una risposta degna, ma furono comunque troppi. Adriano morì tradito proprio dal suo cuore, che troppo aveva voluto amare e aveva invece sofferto, forse solo, forse circondato da persone che lo conoscevano appena, in ogni caso lontano da me. Ma non fu doloroso come pensavo, anzi. Sapevo che era meglio così, che per lui quello era il solo modo per trovare una pace che ormai da anni non trovava, l'unico per riavere quel pezzo di sé che aveva dato in custodia ad Antinoo. E finalmente avrei iniziato a trovare un po' di pace anch'io.

Era l'anno 891 ad urbe condita, Adriano aveva sessantadue anni, io trentacinque, Antinoo, se fosse stato ancora con noi, ne avrebbe compiuti ventisette.

 

Per il successivo trentennio la mia vita fu abbastanza ordinaria. I miei figli crescevano, e poco importava che la somiglianza con me fosse inesistente, non avrebbero potuto essere più miei. Fui chiamato a corte dall'imperatore Antonino Pio e la moglie Faustina, poi per la colonna in loro commemorazione sotto Marco Aurelio, che tanto mi ricordava Adriano per il suo gusto classico e che, per questo, servivo e servo con onore e un pizzico di malinconia.

Tutte le sere, quando il cielo è sereno, mi stendo sull'erba del giardino di casa e guardo in alto, dove Antinoo e Adriano rimarranno inseparabili per l'eternità.




Ok, storia finita. Ci tenevo a far sapere a chiunque leggerà che il merito non è assolutamente mio, è tutta farina del sacco della mia migliore amica, Noemi, che mi ha chiesto di pubblicare per lei questa storia e quindi eccomi. Vi lascio alle parole della scrittrice che ci tiene a ringraziare personalmente: 
"Questo racconto è una mia personale elaborazione fantastica della storia. Spero vivamente che vi piaccia, e soprattutto vi faccia scoprire quanto il passato sia in realtà autentico e attuale, perché l'amore non ha tempo. Grazie a chiunque avrà voglia di leggerlo, a presto. N. F."

  
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