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Autore: _p_ttl_    29/03/2022    0 recensioni
Cassandra ha 23 anni e una vita apparentemente tranquilla e serena. Un giorno Fabio, ex compagno di liceo, la invita per una rimpatriata. Cassandra è ben decisa a declinare ma Caterina, amica di sempre, la convince ad andarci. Cassandra si ritrova quindi a dover fare i conti con vecchie questioni irrisolte, insicurezze e con la paura del giudizio altrui. Ma soprattutto, si ritrova a dover fare i conti con sé stessa e con la consapevolezza di dover prendere in mano la sua vita.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sì, in realtà penso proprio che ci andrò. E tu verrai con me.”
Cass alzò gli occhi dalla tazza fumante di thè che aveva davanti, il busto flesso in avanti per raggiungere il tavolo, le labbra leggermente schiuse nel gesto di soffiare per raffreddare la bevanda, giusto il poco necessario per renderla di una temperatura accettabile per essere bevuta senza ustionarsi bocca e trachea. Erano nel piccolo bar alla fine della traversa in cui abitava, lo stesso bar che aveva visto molti dei loro incontri fin dall’adolescenza. Sedute ai piccoli tavolini avevano parlato di tutto, condiviso esperienze, lacrime e risate. La fissò a lungo, con gli occhi spalancati, pieni di panico. Perché lei lo sapeva, oh se lo sapeva, che l’avrebbe trascinata in quella storia. E lei in quella storia proprio non voleva entrarci. Sbatté le palpebre un paio di volte, si tirò a sedere dritta sulla panca di legno che costeggiava in modo continuo due delle pareti del piccolo locale e cercò di assumere un’espressione neutrale, per non tradire l’agitazione che aveva cominciato a pervaderle il corpo. Inspirò a fondo, per lungo tempo, eppure in modo estremamente leggero, sperando che Caterina non se ne accorgesse. Sapeva che la stava osservando, studiando, un’espressione furba in viso, gli occhi accesi da una malsana eccitazione. Caterina stava cercando di cogliere in lei ogni minima esitazione, ogni minima espressione che potesse tradire la tensione che l’aveva pervasa. Ma Cassandra era decisa a non dargliela vinta, non stavolta. Doveva solo far finta che tutta quella situazione le fosse indifferente, doveva solo convincerla che di tutta quella storia non avrebbe potuto importarle di meno. In tutta quella stupida faccenda non aveva la minima voglia di entrare, perché aveva di meglio da fare piuttosto che sprecare il suo prezioso, preziosissimo tempo in quel modo. Anche se l’unico impegno che aveva per quella giornata era aiutare sua zia a travasare le piante. Anche se in altre circostanze avrebbe accettato qualsiasi cosa l’amica le avesse proposto, solo per avere una scusa per dare buca alle primule e ai cactus. Cassandra a quella cosa avrebbe preferito anche un torneo di burraco con nonno Pino e i simpaticissimi vecchietti del circolo. Per Cassandra le piantine di zia Giovanna erano oro in confronto a tutta quella storia. Che Caterina fosse uscita di senno non era un problema suo. Voleva andarci? Che lo facesse pure. Ma lei no, non ci sarebbe andata. Non le interessava. Per questo motivo non ci sarebbe andata. E non perché avesse tremendamente… Tremendamente cosa? Paura? Cassandra provava pena per sé stessa, si sentiva quasi ridicola. No, non aveva paura, assolutamente. Peccato che non ci avesse creduto nemmeno per un secondo. Cercò di concentrarsi. Caterina era un segugio capace di fiutare il minimo disagio. Doveva essere convincente.
“E come mai?”, chiese cercando di sembrare naturale e non sul punto di alzarsi e scappare prima che lei potesse sedurla con qualche inganno. Era così tra loro due. Caterina che voleva fare cose stupide, Cassandra che cercava di farla ragionare e poi, senza che fosse ben chiaro nemmeno a lei cosa ci fosse nel mezzo, loro due che facevano le suddette cose stupide tuffandocisi con tutte le scarpe. Ma non stavolta. Cassandra si preparò alla lotta di supremazia che l’attendeva e che stavolta avrebbe vinto.
“Così… Sai, credo che potrebbe essere divertente.”
“Divertente dici. Sei impazzita, forse? Non sarà divertente. Sarà solo estremamente… Noioso!”
“Noioso? O volevi dire spaventoso?”
No, non spaventoso. Imbarazzante, sfiancante, umiliante. “Noioso, Cate, volevo dire noioso.”
“Non ci credi nemmeno tu.”
Gli occhi di Caterina erano puntati nei suoi, famelici. Era assurdo come quella ragazza riuscisse a trasformare ogni cosa in una sfida. Doveva averla sempre vinta. Esserle amica, a volte, era una vera faticaccia e Cassandra era fermamente convinta che se non ci fosse stato quel profondo affetto, forgiato da anni di amicizia e dal fatto di essere praticamente cresciute assieme, l’avrebbe mandata al diavolo già da qualche tempo. Aveva sempre sperato che crescendo sarebbe maturata, che avrebbe smussato quel lato del suo carattere. Povera illusa. Caterina era energia allo stato puro. Era un uragano e gli uragani, al loro passaggio, lasciano confusione. E distruzione. L’altra faccia della medaglia. Sospirò piano, decidendo di dirle la verità. Tanto mentire, si disse, non sarebbe servito a nulla se non a prolungare un inutile battibecco. Caterina la conosceva.
“Senti, non voglio. Davvero. E ti prego di non insistere. Ci abbiamo sempre riso. Abbiamo sempre detto che se fosse successo col cavolo che avremmo accettato. Al diavolo tutti. Abbiamo sempre detto così, no? Ora che ti prende? Nemmeno a te loro piacciono.” Aveva sputato fuori tutto d’un fiato, senza prendere aria,  agitando le mani in aria in modo buffo e confuso.
“Ho cambiato idea. Magari alcuni di loro sono migliorati. E poi non è vero che non mi piacciono. Marco, Francesco, Elena, Sofia, loro sono sempre stati niente male e piacevano anche a te. Sono anche tanto curiosa di sapere se Gigio è riuscito ad aprire quel ristorante… Ho cercato di indagare su Facebook ma ho fatto un buco nell’acqua.”
“Ma chi se ne frega del ristorante di Gigio!”
“Io!”
“No, Cate. A te non frega un accidente. Tu vuoi solo portare confusione, come sempre. Fare domande scomode e mettere un paio di persone a disagio. Perché tu sei fatta così. Ma puoi per un attimo pensare che quella a disagio sarò io? Sono o no tua amica? È possibile che non ti importi nulla di come mi senta io?”
Il tono le si alzò di un’ottava mentre sputava fuori quella implicita preghiera. Era una cosa che si era sempre chiesta, se a Caterina importasse di qualcosa all’infuori di sé. Era sicura che l’amica le volesse bene. Eppure, non poteva fare a meno di chiedersi se lei vedesse le conseguenze di ciò che faceva. Caterina aveva questo modo di fare tutto suo, faceva tutto ciò che le andava senza pensarci. Le andava di comprare un biglietto per i Caraibi di punto in bianco a sedici anni senza avvisare nemmeno sua madre? Lo avrebbe fatto. Anzi, lo aveva fatto. E alla fine ci era pure andata, da sola, fregandosene dei cinque mesi in cui sua madre l’aveva tenuta chiusa in casa sequestrandole qualsiasi mezzo per comunicare col mondo esterno e del fatto che se ne sarebbero aggiunti altri cinque, al suo ritorno, se solo si fosse permessa di andare. Ci era andata lo stesso, perché voleva, non curandosi dell’isolamento a cui sua madre l’aveva costretta. Non che nei successivi cinque mesi qualcosa le avesse impedito di uscire di nascosto dalla finestra come nelle peggiori serie TV per adolescenti. Lei era semplicemente così. La vita è una - diceva sempre - e io faccio come mi pare. E spesso quel “come mi pare” comprendeva calpestare chiunque le si ponesse di fronte.
Cassandra puntò gli occhi nei suoi, che le parvero più azzurri del solito, più grandi, più luminosi, di una luce strana che non riusciva a decifrare. Le parve di leggervi affetto e poi tanta rabbia. Restò interdetta, passandosi una mano tra i capelli scuri per portarli indietro, come se farlo potesse spostare anche il ribelle ciuffo biondo che era caduto a coprire un occhio di Caterina.
“Allora è questo che pensi di me…”, un’ombra di dispiacere, solo un’ombra, che lasciò presto spazio al solito tono battagliero.
“No, non volevo dire così...”
“Sì, volevi proprio dire così.”
Voleva proprio dire così. Solo con un tono meno aggressivo, meno cattivo. Forse sperava che prima o poi Caterina si accorgesse da sola dei danni che lasciava al suo passaggio.
“Perché sei mia amica?”, incalzò lei.
Cassandra sospirò spostando lo sguardo e iniziò a fissare il barista che faceva caffè alla velocità della luce, giusto per poter concentrare lo sguardo su qualcosa che non fosse lei.
“Perché sei mia amica se pensi queste cose?”
Prima che potesse rispondere la voce dell’amica tornò a farsi sentire con tono urgente, come se volesse rivelarle un segreto al più presto, un segreto che nessuno avrebbe dovuto sentire.
“Non pensi mai che io voglia il tuo bene? Che io cerchi di trascinarti in tutte le mie follie, perché cara mia, io lo so, lo so che molte sono follie, solo per darti una scossa? Per svegliarti? A volte sembra che tu non viva, Cassandra. Sembra che tu la vita la guardi scorrere come se non fosse la tua. Tu hai paura di loro, perché pensi che ognuno abbia raggiunto qualcosa, mentre tu sei ferma e non sai dove andare. Tu pensi che loro possano giudicarti, ridere di te. Continui a dire che non ti piacciono, che noi siamo meglio, ma io penso che in realtà tu creda di valere meno di loro ed è un’assurdità!”
Caterina sembrava aver già dimenticato di essersi arrabbiata e di essersi sentita offesa. Aveva parlato così velocemente che alcune parole parevano essersi accavallate sulla sua lingua, quasi avesse paura di non riuscire a dire tutto. Le braccia a mezz’aria che gesticolavano furiose. Cassandra proprio non ce la faceva a guardarla.
“Non è così…”, sussurrò senza riuscire ad aggiungere altro. Infatti, era molto peggio di così. Le sembrava quasi una questione di vita o di morte, come se andare lì avesse significato consegnarsi al boia di propria sponte, urlando con entusiasmo ‘ehi, eccomi! Vediamo di provare quella nuova ascia proprio qui, sul mio collo!’. Non voleva rincontrare lo sguardo di nessuno di loro nemmeno per sbaglio e non ne capiva il motivo. I suoi anni di liceo non erano stati così terribili, anzi. Nessun bullo a perseguitarla, nessuna presa in giro, sempre buoni voti, nessuna ostilità. Erano stati anni tranquilli, apparentemente, eppure lei sentiva che era stata solo una facciata. Se non altro per tutto ciò che era successo dopo. Per non parlare di come si sentiva in quel momento. Persa, confusa, senza nulla in mano. Proprio non le andava di mostrare a tutti quel suo sentire, quelle sue fragilità, incontrando magari sguardi realizzati, felici di dove la vita li avesse portati.
“Allora dimostralo!”
La voce di Caterina la colse di sorpresa, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Il tono perentorio non ammetteva repliche. E in quel momento Cassandra seppe che non avrebbe avuto senso combattere. Caterina aveva già vinto, di nuovo, prima ancora che la discussione cominciasse.





Angolino per dirvi due parole.
Ciao a tutti! Avevo pubblicato questo capitolo già qualche giorno fa, ma ho voluto apportare delle correzioni. A dire il vero sono stata a lungo indecisa circa il pubblicare o no questa storia per una serie di motivi e, ancora adesso, non sono del tutto convinta di aver fatto la cosa giusta. Il tempo me lo dirà. Spero vivamente di riuscire ad intrattenere almeno una persona, sarebbe già bello per me. Ho ripreso a scrivere dopo tanto tempo e con non poche difficoltà, di natura pratica e non. Forse è prematuro parlarne, ma per correttezza verso chi volesse leggere la storia ci tengo a precisare che, nonostante proverò ad aggiornare in modo regolare, non è detto che io riesca a farlo dati i molti impegni che ho. Ne approfitto anche per dire che sto cercando un beta che possa essere quanto più onesto (e spietato?) possibile. Un saluto a tutti voi.
 
  
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