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Autore: _etriet_    30/03/2022    0 recensioni
La vita è fatta di morali, di discorsi silenziosi che si imparano e si fanno man mano che si vive, un po' a gesti, un po' a parole, e poi un po' con tutti e due.
Come una scalinata fatta in silenzio, in cui i gradini appena fatti si cancellano autodistruggendosi dopo pochi secondi, e non rimane nient'altro se non la scelta di continuare, o rischiare di perdere l'equilibrio fermandosi.
Perché ad ogni passo avanti corrisponde uno sbilanciamento, fisico, morale e psicologico.
Veronica Lisi è sempre stata di idee chiare, ha sempre basato la propria vita su principi fondamentali, come quello che il passato non si cancella, si descrive, che il presente non va guardato, va vissuto, e che il futuro non deve essere sognato, ma costruito; mette tutta se stessa per portare avanti le cose al meglio.
La sua quotidianità, tuttavia, viene sconvolta nel giro di nemmeno un mese, e pur di vedere sua madre felice, cambia tutte le carte in tavola, prende, fa le valige e parte verso qualcosa a lei sconosciuto.
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Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Le variabili, nel loro significato comune, sono ciò che può modificarsi o può essere modificato, possono, inoltre, in matematica (e in informatica) anche assumere, o per meglio dire contenere, valori. Molte cose nella vita sono variabili, le più significative, però, sono i sentimenti. Esplosioni di sensazioni e alleanze di fattori che portano a vuoti nel petto, quel tipico momento in cui si perde un battito e si ha l'impressione di morire per pochi secondi, alle farfalle nello stomaco, agli occhi che pizzicano, al brivido che passa lungo la schiena. I sentimenti, forgiati dall'unione di episodi frammentari e a volte non coordinati tra loro, sono più duraturi delle emozioni e perfino più intensi. E le parole, spesso, non gli esprimono bene. Perché sono cose astratte, che si possono sentire solo sentimentalmente, e che sono impossibili da percepire con uno dei cinque sensi. Leonardo guardava il cielo, le stelle, le costellazioni e pensava a quanto distanti fossero, per lui, le definizioni di alcuni sentimenti, quanto non avesse una grande quantità di parole e quanto, in realtà, dimostrasse poco di quello che provava. Non che si preoccupasse di quanto in realtà provasse, ma di per sé si stava domandando, nella gelida sera in cui stavano tornando da Verona, quanto dimostrasse e quanto ferisse le persone, persone a cui evidentemente teneva, con il suo modo di fare sempre apparentemente distaccato. Spesso si sentiva tremendamente in colpa verso i suoi familiari, verso i suoi amici e di recente anche verso Veronica, in quanto di rado, quasi mai, esternava i propri sentimenti, a meno che questi non fossero disgusto, rabbia o preoccupazione, anche se in ogni caso quest'ultima l'aveva espressa si e no due o tre volte. Il rimorso di poter allontanare quelle persone, la paura di rimanere da solo, lo consumavano fino a renderlo nervoso, nevrotico ed impaziente. Ciò era cominciato da quando, nel giorno appena trascorso, aveva sentito parlare Veronica al telefono con diverse persone, con la madre di lei, Lucrezia, amici di Bergamo, e le aveva sentito dire, in quelle telefonate, almeno uno o due tre volte la frase "ti voglio bene", l'aveva riferita più volte a sua madre che a tutte le altre, ed era sembrata anche esser venuta a conoscenza di fatti importanti, cose di cui, anche se glielo aveva chiesto vedendo la sua fronte corrucciata, Veronica non aveva voluto parlare. Così aveva provato a mettersi un po' nei suoi panni, identificarsi in qualcuno che esprimeva il proprio affetto con molta più semplicità rispetto a quanto era per lui, e non si era riconosciuto. Ancor prima di fare la valigia quel pomeriggio il proprio cuore aveva cominciato a contrarsi ai pensieri di perdere chi aveva vicino, privandosi immaginariamente di sua madre, di suo fratello, dei propri amici e di Veronica, oltre che di suo zio e di sua nonna, si era sentito privo e spoglio di tutto, intrappolato in una gabbia tanto più stretta tante più erano le persone che immaginava andarsene. Non ci aveva mai pensato, prima di allora, a quanto fosse triste e desolata la sua vita senza le persone che ne facevano parte, non lo aveva capito e lo comprendeva solo in quel momento. Quello di cui aveva paura Leonardo, più di ogni altri sentimento, era la solitudine. Ma lui se ne rendeva conto solo in quel momento, mentre pensava ad un sé solo, come era in quel momento. La solitudine induce la psiche a pensare, non essendo influenzata da fattori esterni, o da distrazioni, quali inducono la persona a confrontarsi con altri e prendere spunto dai loro pensieri per definire e rivalutare i propri, induce la persona a riflettere su quello che è, su cosa sta facendo, su come lo sta facendo. È un sentimento che fa bene se lo si prende come momento per sé stessi, o almeno Leonardo la pensava così, per distaccarsi da ciò che è il mondo di tutti i giorni, per elaborare lutti o situazioni complicate, per il resto avrebbe semplicemente indotto la persona a guardarsi attorno e a non vedere nessuno, a sentirsi completamente abbandonata e sola, e sola la mente, senza stimoli, si deteriora, e anche il fisico comincia a subirne gli effetti, che, in proporzione alla durata dell'isolamento, peggiorano.

Quello che si potrebbe provare durante la solitudine è qualcosa di quasi inaccettabile, l'uomo non è mai solo essendo stato creato per essere una macchina di comunicazione, un animale sociale, che lavora col sociale; la solitudine porta le persone a chiudersi, ad estrarsi da quel complesso meccanismo che fa andare avanti la vita per come è. Chi è solo, e non per scelta volontaria, quasi si ferma nella sua solitudine, privo di stimoli intellettuali e sociali.

Quando la condizione di solitudine e il sentimento stesso si risolvono, quando si ricomincia ad entrare nel sociale, la mente rifiorisce, come una pianta a cui non dai l'acqua da troppo tempo, la psiche e il fisico si beano di quella che è la socialità riacquistata in quel momento.

Leonardo tuttavia sapeva che se e quanto la persona sarebbe tornata a stare sola, la solitudine l'avrebbe divorata, come un serpente con la sua preda, facendo scivolare quella persona nella gola, iniettandole il proprio il veleno che non farà altro se non farla morire lentamente. Perché la solitudine è un sentimento sadico, privo di tatto o empatia umana. Ma un sentimento come la solitudine si presenta dopo, perché ci sono dei momenti nella vita in cui si perde il controllo, in cui non si sa cosa si prova e in cui si vive tanto per vivere, il distaccarsi dagli altri, vivere di solitudine, in quei momenti è automatico, se non forse necessario. Perché, come detto prima, la solitudine non è solo un male ma anche un bene, un bene diverso da quelli comunemente conosciuti ma comunque un bene. Leonardo si era passato le mani sul viso fino ad arrivare ai capelli, tirandoli indietro in cui gesto nervoso. Sapeva che non c'era niente di male in quello che provava, in quella paura che si era manifestata in cui, però, a tratti, era anche completamente spaventato dalle proprie stesse emozioni. Non ne voleva esserne soffocato. Si era appoggiato al vetro freddo dell'autobus, osservando le luci della città che pian piano si stava avvicinando sempre di più. Stava per arrivare il natale e Treviso, anche un po' troppo presto per i suoi gusti, si era predisposta con gli addobbi: l'albero che si trovava a fianco la stazione dei treni era stato illuminato, sul Botteniga* erano state poste, sospese ad un filo dall'acqua, delle stelle illuminate lungo tutto il suo corso che si estendeva fino nel centro della città e che, poi, ad un certo punto si divideva. Avevano percorso tutto il put, quindi Leonardo aveva avuto anche modo di notare che, invece, il Sile (che percorre la parte esterna della provincia, e si affianca alla restera**) era buio, primo di illuminazione, come tutti gli anni. La corriera era passata davanti alla via dove c'era la casa di Cecilia, avrebbe quasi potuto giurarci che Francesco fosse lì. A dire la verità, quando era più piccolo, era stato geloso di Cecilia. L'aveva vista, nella sua mente di bambino, come colei che gli avrebbe portato via il fratello, la vedeva praticamente come un nemico che avrebbe rotto il loro rapporto e che avrebbe fatto in modo che Francesco pensasse solo a lei. Più andava avanti la loro relazione più Leonardo aveva paura, almeno fino a quando, nel evolversi di quel sentimento corrosivo, non era maturato, riuscendo a vedere e comprendere che Francesco non era andato da nessuna parta e che si trovava lì con lui, per lui, in una strada parallela che il maggiore non avrebbe mai voluto far dividere. Si era abituato a lei, e un po' aveva continuato a non sopportarla, ma più per un incongruenza caratteriale che altro. Anche perché di certo non poteva continuare ad essere geloso come un bambino che ne vedeva un altro giocare con il proprio giocattolo preferito.

Leonardo aveva distolto lo sguardo dalla strada per portarlo sulle altre persone che occupavano la corriera. Veronica e Giada stavano dormendo le une appoggiate alle altre, Alessandro stava parlando con un loro compagno e Damiano, di fianco a lui, stava apparentemente dormendo. Non che fosse strano. Il suo migliore amico aveva la capacità di addormentarsi in qualsiasi momento, che fosse in aula, in autobus, in macchina, su una nave, il dove era superfluo, sembrava fosse capace di farlo a comando. Ricordava ancora, durante il primo anno di superiori, quando era in videolezione*** perché stava male, come si fosse palesemente addormentato durante l'ora di informatica, il professore alla fine lo aveva anche chiamato più volte, sbuffando un "vabbè" per poi uscire dalla chiamata, lasciando lui dentro. Cinque minuti dopo, durante la ricreazione, era arrivato un messaggio sul gruppo che avevano insieme ed erano tutti scoppiati a ridere, Alessandro aveva finito per cadere e sedersi nel mezzo delle scale.

La verità era che, per quanto Leonardo a volte fosse non del tutto l'amico perfetto, avrebbe sfidato chiunque ad esserlo (perché la condizione del perfetto non esiste e se esiste è solo frutto di una società malata o della mente altrui), lui amava i propri amici. Più di qualsiasi altra cosa.

«Ti sei incantato a guardare le mosche?» Damiano gli aveva buttato il proprio giubbotto in faccia, e lui aveva imprecato quando la cerniera aveva battuto sul collo. Si era messo una mano su quel punto, mentre con l'altra si toglieva l'indumento di dosso

«Cosa?» L'amico l'aveva guardato con un sopracciglio alzato, poi gli aveva fatto cenno di guardare fuori dal finestrino e tutto aveva preso circa un senso. Si trovavano alla stazione delle corriere. Aveva sospirato alzandosi, stando attento a non sbattere la testa, e si era infilato il giubbetto di conseguenza.

Erano scesi in fila indiana per via delle porte strette e Veronica, dopo aver salutato Giada ed aver recuperato la propria valigia, gli si era avvicinata nel posto isolato che si era trovato lui, un po' fuori dalla portata di tutti, appoggiandosi alla sua spalla.

«Sei stanca?»

Si era girato verso di lei, ignorando la chiamata della propria madre che vibrava nella tasca dei suoi pantaloni e lasciando il manico della valigia che prima stava stringendo. Le aveva preso il viso con entrambe le mani, poggiando i palmi sulle tempie e i pollici sull'attaccatura dei capelli sulla fronte. Veronica aveva annuito, alzando di più il volto verso di lui e circondandogli il busto con le braccia. Il freddo della sera, non era così tardi perché venisse considerata notte, penetrava nei vestiti e gli faceva venire la pelle d'oca, anche se dubita che fosse solo per quello. Le aveva accarezzato le guance rosse per il gelo e l'imbarazzo, l'aveva avvicinata di più a sé e aveva cercato di scaldarla un po'.

«Tra poco potrai dormire»

«Stai con me 'sta notte?»

A Leonardo era passato un brivido lungo la schiena ricordando il sogno che aveva fatto l'ultima volta che avevano dormito insieme, quel brivido si era poi espanso, andando a raggiungere la bassa schiena, le braccia e la nuca «No.»

«Ti prego, per stanotte, poi non te lo chiedo più» Si era scostato da lei, scocciato, imbarazzato, turbato.

«No! Ma di che cazzo hai paura? Non hai più cinque anni, non devi più dormire con i tuoi genitori perché se no ci sono i mostri che ti mangiano i piedi cazzo! Cresci.»

«Tu potresti anche evitare certe risposte sai? Non puoi pensare che ci siano dei motivi?» Veronica si era visibilmente arrabbiata, lo sguardo era diventato più affilato e lui non aveva retto il confronto, avrebbe potuto sbriciolarsi se l'avesse guardata negli occhi, non sarebbe più riuscito a dire nulla. Aveva puntato quindi il proprio sul Botteniga che scorreva lento sotto le stelle .

«Non venire a rompermi le palle, hai capito? Tu non parli -aveva lui detto scandendo ogni parola come se non fossero in una frase singola- Ti chiedo cosa c'è e tu non mi rispondi, alzando quelle cazzo di spalle come se niente ti preoccupasse quando ti si vede in faccia che stai pensando ad altro. Sei un libro aperto Lisi, per me e per tutti, anche se provassi a nascondere quello che provi non ci riusciresti perché sei trasparente. E non è un difetto, ma non fare finta se sai che non sei in grado di farlo.»

Le aveva puntato un dito contro dandole un ultimo sguardo, che era stato della stessa intensità emotiva di un tuono che riusciva a far vibrare le finestre durante un temporale, e non le aveva dato possibilità di ribattere perché aveva risposto a sua madre che non si era stufata nemmeno un attimo di chiamarlo. Avevano parlato almeno tre minuti, se non di più. Si era accordati sul posto in cui sarebbe venuta a prenderli, perché lì non c'erano parcheggi, e poi Leonardo aveva chiuso, rimettendosi il telefono in tasca sbuffando. Aveva guardato Veronica di fianco a lui e gli era tremato il cuore quando l'aveva vista con la testa bassa. L'istinto di abbracciarla era stato forte, le mani avevano cominciato a tremargli ed era sicuro di non essere in grado di non chiederle scusa se le avesse parlato. Se avesse pianto sarebbe stata decisamente la fine, perché era consapevole di non riuscirle a rimanere indifferente. Per un motivo o quell'altro. Si era schiarito la gola e lei aveva alzato lo sguardo, gli occhi chiari lucidi avevano incontrato i propri, azzurri come il ghiaccio ma non freddi altrettanto. Le aveva fatto un segno e lei aveva preso la propria valigia, anche perché, o almeno immaginava, non voleva tornare a casa a piedi e da sola. Leonardo non l'aveva guardata nemmeno una volta, concentrandosi principalmente sulla strada, accertandosi solo di sentire ancora il rumore delle ruote dalla valigia di lei dietro di sé. Non era un fatto di orgoglio ma di coerenza, se le aveva detto quelle cose era perché si era stancato di quei comportamenti, e benché era stata un po' crudo, anche se nemmeno così tanto, secondo il suo parere, almeno le aveva detto la verità e quello che pensava. Odiava non poter dire la propria opinione. Odiava non poter essere schietto. Non sarebbe mai potuto stare vicino ad una persona che non accettava quella parte di sé. A volte tuttavia, se si parlava di Veronica, aveva la sensazione di essersi espresso nel modo sbagliato, oppure che avrebbe dovuto comportarsi in modo diverso. Gli si formava nel petto un piccolo senso di colpa simile a quello che gli si formava con Francesco e sua madre, quando anche con loro si esprimeva troppo duramente. Tutte le volte ignorava quel piccolo fuoco che gli si accendeva nel letto e lo soffocava, cercando di non dargli importanza. Erano passati a fianco a Piazza Borsa, poi avevano girato dentro una vietta laterale che li avrebbe portati più avanti, lungo la stessa strada nella quale c'era anche la casa di Andrea. Erano passati a fianco alla scuola che si trovava lì, i negozi e le case, poi Leonardo aveva girato in una via ad U in cui c'era un parcheggio. Pochi metri più avanti sua madre li aspettava fumando una sigaretta. Avrebbe voluto dileguarsi in quel momento, conscio che sua madre si sarebbe accorta subito del fatto che Veronica non stesse bene e che fosse proprio lui la causa di tutto quanto.

«Ragazzi! Tutto bene?» «Sì.» Aveva sbuffato lui aprendo il bagagliaio e mettendo dentro la sua valigia. Aveva preso anche quella di Veronica senza che lei glielo chiedesse, anche se era stato fatto solo per non parlarle. Aveva incontrato i suoi occhi quando aveva poggiato la mano sulla sua per prendere il bagaglio, dire che si era sentito morire era troppo, ma il senso di colpa cominciava piano a farsi sentire.

«Veronica amore, che succede?»

Veronica aveva scosso la testa e le spalle, al che Leonardo aveva alzato gli occhi al cielo «Niente» aveva mentito lei

«È per domani o centra quello lì» Leonardo aveva alzato le sopracciglia con una faccia che esprimeva solo un "ma sul serio?", capendo che sua madre si riferiva a lui. In più, per domani che?

«Lui non c'era niente, è per domani»

«Che succede domani?» Sua madre lo aveva guardato, poi aveva lanciato un'occhiata a Veronica che aveva scosso la testa

«Niente, andiamo a casa dai.»

Leonardo era salito davanti come al solito, mentre Veronica si era seduta dietro e non aveva smesso di scrivere al telefono nemmeno un attimo. L'aveva guardata due o tre volte dallo specchietto e l'aveva sempre vista infervorata, nemmeno stesse litigando pesantemente con qualcuno. Quando erano arrivati a casa, una quindicina di minuti dopo, Leonardo aveva preso la propria valigia, aveva salutato suo fratello velocemente ed era salito in camera sua, non aveva messo a posto la valigia e non si era cambiato, si era semplicemente disteso, la testa piena di pensieri e di dubbi e lo stomaco che gli si stava attorcigliando. Si era addormentato così, con le scarpe ancora addosso e una smorfia sul viso.

Per le ore che aveva dormito Leonardo non aveva sognato, o per meglio dire non aveva sognato cose che fossero memorabili, o che avessero un significato profondo, fino a quel momento. Solo il suo corpo si era mosso e nel buio che vedeva, all'interno di quel sogno assente di dimensione, aveva cominciato a percepire, qualsiasi cosa ovvimente riuscisse a percepire, come se stesse tornando a galla dopo essere andato in profondità, e allora quella sensazione si era trasformata in visione, il sé minuscolo aveva sbracciato nuotando nel nero di quel mare senza fondo, alla ricerca di ossigeno, alla ricerca del risveglio. Il senso di vuoto nel petto si era fatto pesante, la mancanza di qualcosa evidente e invece di andare verso l'altro si stava trascinando verso il basso, nuotando nella direzione sbagliata. Un sussulto e si era ritrovato all'inizio di una scala che scendeva verso un punto oscuro, e per quanto anche dove si trovava lui, in cima ai gradini, fosse tutto completamente buio, quasi gli sembrava che una lampadina sopra di sé lo illuminasse. Aveva portato una gamba davanti all'altra, muovendo il primo passo lungo quella scala, gradino dopo gradino si avvicinava alla fine, messo l'ultimo passo era stato trascinato verso il basso, illuso che in quell'oscurità ci fosse un pavimento, il vuoto nel petto si era fatto maggiore, insopportabile. Cadeva di schiena Leonardo, le braccia rivolte verso l'alto, la bocca serrata nonostante la paura, le gambe piegate, gli sembrava quasi di essere in un film. Poi, l'impatto con il terreno, il sussulto del suo corpo, reale e non solo idilliaco e finalmente gli occhi che si aprivano, lo sguardo che vagava a destra e a sinistra della camera, una fessura della porta che lasciava passare un minimo di luce proveniente dal corridoio e belconi aperti delle finestre lasciavano che la luna illuminasse un minimo la stanza. Si era portato una mano alla maglietta, stringendola abbastanza forte sulla pancia e tirandone il tessuto come uno sfogo, poi, senza nemmeno guardare l'orario, si era alzato, aveva barcollato nel buio ed aveva raggiunto la porta, aprendola con delicatezza, in modo da non svegliare nessuno. Si era tolto le scarpe rimanendo in calzini e si era messo a passi lenti lungo il corridoio, percorrendolo in silenzio. Trovandosi davanti alla stanza di Veronica la sua mano aveva avuto l'impulso di bussare, capire come stava, ma il suo stomaco che esigeva del cibo e la sua coscienza si erano sovrapposti a quell'impulso. Abbassata la mano aveva sceso le scale gradino dopo gradino in quel silenzio che stava reggendo bene, aveva osservato il salotto e la vetrata che dava sul giardino, la porta, la cucina e il corridoio che portava alla porta del garage, illuminato solo da una luce a led. Leonardo aveva aperto il frigo, facendo cigolare un poco la porta (successivamente l'aveva guardata male), aveva preso da lì l'affettato, poi aveva preso il pane da dentro il cesto apposito e, aperto e chiuso un cassetto, aveva tirato fuori un coltello. Si era fatto un panino con calma, mentre lo faceva però gli era venuto in mente di metterci della lattuga, poi i pomodori, poi ancora del formaggio, e poi gli era venuto in mente che avrebbe potuto prendere della maionese. Insomma, aveva aperto almeno una decina di volte il frigo e sparso gli ingredienti per tutto il piano. Le porte del frigo avevano sempre cigolato e lui le aveva sempre guardate male, inveendo mentalmente contro di loro e tirando, ogni tanto, giù qualche santo, giusto per avere un po' di compagnia. Non si era accorto, però, che tutto quel cigolare, sbattere, aprire e chiudere (perché ovviamente non poteva usare lo stesso coltello usato sia per il pane sia per il pomodoro nella maionese, sarebbe stato forse ucciso anche da sua madre se lo avesse fatto, e quindi aveva aperto e chiuso un paio di volte il cassetto il cui si trovavano le posate) si era fatto sentire fino alla stanza di Veronica che, incuriosita, e anche spaventata, come la classica protagonista dei film horror, era andata a vedere cosa stava succedendo. Quando aveva visto Leonardo girato di spalle che si preparava da mangiare il suo cuore aveva fatto una capriola, si era quindi asciugata le guance passandocisi i palmi delle mano contro e aveva tirato su con il naso, anche se lui non l'aveva sentita. Veronica non aveva voglia di litigare, non quel giorno, non a quell'ora, ma era pronta a farlo, era pronta anche a chiedergli scusa, perché se aveva reagito in quel modo probabilmente c'era anche stato qualcosa che lo aveva turbato, e prima si prendeva la responsabilità prima avrebbero chiarito. Leonardo nel frattempo aveva finito il panino, aveva messo via tutto ciò che aveva tirato fuori dal frigo e aveva messo nel lavello le posate che aveva usato, poi, prendendo il primo morso si era girato, e per poco non gli era andato di traverso il boccone. Non avendo sentito Veronica scendere le scale si era spaventato, e lo ammmettava, perchè a non ammettere di avere paura ci si fa solo del male. Per un momento aveva quasi avuto il terrore che le entità soprannaturali esistessero davvero, poi aveva sbattuto gli occhi e si era accorto che era solo Veronica. Anche se non era solo Veronica. La ragazza si era avvicinata velocemente a lui quando lo aveva visto in difficoltà.

«Volevi farmi venire un infarto?» Aveva esclamato lui quando, finalmente, aveva mandato giù quel primo, e stava cominciando a prendere in considerazione l'idea di anche ultimo, boccone.

Veronica aveva riso, portandosi una mano davanti alla bocca e piegandosi leggermente su se stessa. La maglietta che portava era grande, non tanto grande, ma abbastanza da farle da vestito, e se non avesse avuto dei pantaloncini che le arrivavano alle ginocchia si sarebbe anche potuto credere che non avesse nient'altro. Leonardo l'aveva presa tra le braccia, abbandonando il proprio pasto sopra la cucina, e aveva cominciato a farle il solletico, la sua risata aveva cominciato a riecheggiare più forte nelle pareti e lui l'aveva praticamente seguita a ruota.

«Cosa c'è, ti diverte mettermi paura? È così divertente?»

«No, no! Aspetta, fermo!» Veronica aveva continuato a ridere fino alle lacrime, ogni tanto sembrava anche che smettesse di respirare. Leonardo aveva riso ancora, leggermente piegato in avanti, con lei tra le braccia che si teneva alle proprie spalle mentre rideva e cercava di divincolarsi quando le veniva troppo da dire. Si era sbilanciato all'indietro, appoggiandosi con la schiena al frigo, le gambe leggermente aperte, e aveva portato il viso all'indietro mentre il suo ridere si calmava. Anche quello di Veronica, pian piano, andava scemando, fino a quando, entrambi con il respiro ansante, non si erano guardati. Leonardo le aveva accarezzato un fianco sentendo ancora il suo respiro pesante e aveva continuato a fissarle il viso rosso illuminato dalla luce della cucina.

«Stai bene?» Le aveva chiesto, scostandole una ciocca di capelli dal viso. Non era bassa, quindi non aveva difficoltà a guardarla negli occhi. Aveva fatto un risolino lei, come se trovasse tutto molto ironico.

«Massì, ho solo perso un polmone!» Leonardo aveva alzato un poco gli angoli della bocca, sorridendo

«Con un solo polmone si può vivere, è senza cuore che sei morto, consolati»

«Sto parlando con un morto, quindi?» Leonardo l'aveva guardata male, facendole, per pochi secondi, il solletico sui fianchi.

«Simpatica.» «Disse lui.» «Pure spiritosa, come siamo in vena sta sera.»

Veronica aveva sorriso sbieca, e poi aveva imitato la sua voce: «Non avevo niente di meglio da fare e ti infastidisco, in fondo sei tu che risulti noioso con questo tuo non capire l'ironia e il sarcasmo!»

«Mi avrai contagiato con la tua noiosità, mi hai infettato... Pensa, tra poco diventerò come te!» Veronica gli aveva sorriso, sorriso veramente, non per imitarlo, e messe le braccia attorno al suo collo lo aveva abbracciato, spingendosi sulle punte. Il respiro di lui le solleticava la spalla mentre le sue mani la stringevano e la avvicinava a sè sulla schiena.

«Perché volevi che dormissi con te, stanotte?» Veronica aveva sospirato, la partecipa nervosa attraverso i vestiti, irrequieta.

«Domani torna mia madre...» A Leonardo era parso che gli si sciogliesse il cuore in una valle di acido; c'era qualcosa in quella frase, qualcosa che presumeva che, forse, si sarebbero divisi proprio in quella giornata.

«Vai via? Dico, torni lì?»

«No, si, no! Cioè...»

«Respira, spiegati con calma» non voleva che se ne andasse, non lo voleva. Era egoista, tremendamente egoista, ma la voleva con sé ancora, per i giorni, per i mesi a venire, per qualche ragione sconosciuta.

«Per solo un giorno, torniamo a Bergamo un solo giorno» il cuore di Leonardo aveva sussultato ancora, la sensazione era stata come quella di quando cadeva nel sogno «Oh... -Aveva preso a ridere, e allo sguardo leggermente torvo di Veronica aveva certo di parlare- No io, no, niente»

«Comprensibile quanto me, insomma» Leonardo l'aveva stretta, smettendo di ridere poco a poco

«Come mai sei agitata? Dovrebbe essere una cosa bella no, passare del tempo con la propria famiglia...»

«Sì, io... Dire che mi fa piacere rivederla è riduttivo però non so come altro dirlo, però domani è un giorno particolare. Se lo si può definire così» Leonardo aveva inclinato la testa, confuso «Cosa succede domani di così sconvolgente?»

Veronica avrebbe potuto dire molte cose, avrebbe potuto dire una cosa come "oggi è il giorno in cui mio padre e mia sorella sono morti, lo sapevano tutti tranne te, perfino tuo fratello!" ma non era sicura che Leonardo l'avrebbe presa bene. Non era sicura di nulla. Nemmeno di volergli dire. Si era interrogata più volte, in quei giorni, se farlo o meno, dirgli tutto del proprio passato, rivelargli ciò per cui lui la vedeva strana. Dirgli cosa era quella cosa che le creava un espressione rammaricata sul volto. Si era persino fatta film mentali su come poterglielo dire. Spesso però la realtà non è all'altezza delle aspettative, quindi non arrivava mai il momento giusto, la situazione appropriata, l'attimo in cui si sentisse sicura. Nemmeno quello che stava vivendo lo era, lo sentiva sulla pelle, lo sentiva tramite i brividi e la voce nella propria testa che si interrogava.

«No niente in realtà, solo una cosa fam...»

«Hey! -La voce di Francesco aveva spaventato entrambi, Leonardo l'aveva lasciata andare e Veronica gli aveva stretto la maglia- Perchè siete svegli?»

Leonardo aveva sospirato, portandosi una mano al cuore «Certo che oggi volete farmi finire tutti in obitorio.»

Francesco lo aveva guardato tra l'allibito, lo sconvolto e il confuso. «Non riuscite a dormire?» «Io avevo solo fame, lei è scesa perché ho fatto troppo casino.»

Francesco si era avvicinato ad entrambi, gli occhi fissi sul modo in cui Veronica stringeva la maglietta del fratello. Il suo sguardo quindi si era sollevato proprio su di lui e aveva alzato le sopraciglia con fare inequivocabile e Leonardo, prima confuso e poi illuminato dal significato di quel gesto e dell'espressione di suo fratello gli aveva mimato con le labbra un "fanculo" di cortesia. Francesco aveva sorriso, conscio che Veronica e Leonardo si stessero avvicinando, cosa che a lui non creava nessun tipo di problema, anzi, e poi aveva scompigliato i capelli ad entrambi.

«Andate a dormire, e tu lasciala dormire!» Leonardo l'aveva guardato male

«Ma che centro io, è lei che non lascia dormire me» «Faccio finta di crederci fratellino... andate in ogni caso, che domani non credo sarà una giornata facile per nessuno...» Francesco aveva sorriso ad entrambi, e poi si era dileguato.

«Io...»

«Vuoi che stiamo un po' insieme? Ho capito che non ne vuoi parlare, ho capito che non è qualcosa di semplice» Veronica era arrossita, le guance piene erano diventate rosse e gli occhi avevano brillato di qualcosa.

Leonardo sapeva che era solo una giornata, sapeva che non sarebbe stato così a lungo, ma saperla distante gli dava in qualche modo un insicurezza che, anche se non dimostrava, c'era. Persisteva. Un vuoto nel petto che pian piano formava una crepa che era paragonabile, quasi, al buco dell'ozono. Leonardo a tratti odiava quelle sensazioni, il modo in cui quei sentimenti lo facevano sentire, eppure non accennavano a cambiare, non accennavano a variare. Non lo avrebbero fatto per nulla al mondo probabilmente.

Si erano seduti sul divano, vicini, spalle contro spalle, capelli che si sfioravano e, abbassando il volume della televisione, avevano cominciato a vedere un qualsiasi film che girava in una delle rete secondarie. Non era un film recente, lo si poteva vedere e constatare dalla qualità di nitidezza che c'era. Non era tuttavia così vecchio da non avere una trama o un contesto gradibile. A dire la verità, dopo un po' di quella pellicola, avevano girato, entrando in un qualsiasi sito di streaming e avevano scelto di rivedere Star Wars. A metà del film si erano addormentati entrambi. Leonardo aveva sognato, un sogno dai colori chiari, splendenti, vivi, vividi, Veronica aveva sognato qualcosa a che fare con un pupazzo e i libri. Lei, quel pomeriggio, gli aveva chiesto di dormire insieme per il semplice fatto che, se dormiva con lui, non faceva incubi e sogni dove moriva, o dove qualcun altro che amava moriva. La sua presenza la liberava da quei sogni che la mettevano in difficoltà, da quei sogni dove soffriva, da quei sogni in cui faceva soffrire. La liberava dagli incubi Leonardo, la faceva sentire libera, spensierata.

Veronica aveva una teoria tutta propria sull'amore, o meglio: sull'affetto in generale. Non sapeva per quale motivo avesse concepito quel pensiero, ma una volta, dopo un'altra delle tante rotture di Lucrezia, mentre erano insieme a casa della sua migliore amica questa le aveva chiesto: «Secondo te come si fa a capire se si ama davvero una persona?»

Veronica, senza pensarci troppo, aveva risposto: «Non lo so. Personalmente credo che tutto dipenda dalla sofferenza. -Lucrezia l'aveva guardata basita e Veronica si si era girata, distendendosi in una posizione tale da guardare il soffitto- Penso che l'amore sia direttamente proporzionale al dolore e che le persone che amiamo valgano tante quante sono le lacrime che siamo disposti a piangere per loro. Alla fine di una relazione, parentale, amicale o sentimentale, si soffre perché si ha amato. Il momento in cui il dolore diventa sbagliato in una relazione è solo quando questo si prova con molta intensità e nel mentre della relazione, in quel caso si definisce un rapporto come tossico. Anche quando qualcuno muore si verifica questo... In ogni caso: più amiamo più ci mettiamo a rischio, non tanto perché diventiamo deboli o altro ma perché siamo disposti a tutto per un'altra persona, anche a soffrire. Credo che ne siamo tutti un po' consapevoli inconsciamente, ma non ci pensiamo mai» Lu aveva solo annuito, e poi entrambe erano rimaste in silenzio per un po', distese entrambe sul letto dal lenzuolo verde a guardare un soffitto che di particolare non aveva nulla.

Veronica lo pensava ancora, forse ci credeva con molta più intensità di prima. L'affetto, in tutte le sue forme, un po' la spaventava. Non tanto per il provare affetto, era della convinzione che amare non fosse sbagliato, anzi, ma quanto per la sofferenza che ne derivava la perdita della persona per cui lo si provava. Quando aveva poi letto "La verità sul caso Harry Quebert"**** non aveva saputo se essere più o meno sorpresa che lo stesso suo pensiero lo avesse avuto anche qualcun altro, non era certo così egocentrica da pensare di poter fare solo lei pensieri del genere o di essere l'unica a pensarla così ma non avrebbe mai pensato di trovare proprio quel pensiero scritto in un libro pochi giorni dopo averlo scritto. Coincidenze, aveva pensato, niente che fosse impossibile.

Quando quella mattina si era alzata, con Leonardo che ancora dormiva, il suo primo pensiero era stato ripensare a quel concetto, a quanto fosse applicabile in quelle giornata, a quanto semplicemente fosse vero in quella giornata, e poi tutto era deviato, come se i suoi pensieri fossero stati come un treno che cambiava binario, così si era messa a pensare a sua madre. Perdere un figlio, perdere un marito. Non aveva mai dubitato della forza di sua madre, di come si fosse reinventata, di come fosse cambiata dopo quel momento, però allo stesso tempo aveva paura che in giorni come quelli, quando i ricordi erano più forti, potesse cadere in un dolore che non si era mai permessa di vivere del tutto. Un po' come lei. Angela era stata a fianco a Greta, ma quest'ultima non aveva lasciato vedere alla figlia nemmeno un briciolo del proprio malessere. Veronica aveva sempre pensato che fosse la fotografia il suo modo di sfogarsi, poiché tutto quello che sua madre fotografava era tremendamente reale, inconsapevolmente emotivo. Un attimo catturato in un immagine spesso può dire tanto quanto mille parole.

Leonardo le aveva accarezzato un braccio, gli occhi ancora assonnati e un principio di sbadiglio che poi aveva soffocato nelle guance. Veronica si era girata verso di lui, e non era mai apparsa tanto bella agli occhi di qualcuno come appariva a lui.

«Stai meglio?»

«Un po'» Leonardo aveva annuito, sorridendo leggermente.

«Cosa vuoi per colazione?»

«Va benissimo un caffè.»

«Vuoi anche i biscotti? Quelli con le gocce di cioccolato che ti piacciono?» Veronica aveva annuito mentre lui la guardava e si alzava per andare in cucina. Veronica aveva controllato i messaggi, per vedere se sua madre aveva risposto, non lo aveva fatto, anzi, non le era arrivato il messaggio. Aveva risposto in ogni caso a Lu che le aveva chiusto come stava, per non farla preoccupare, avevano parlato un po' del più e del meno, e quando Leonardo aveva messo il caffè e i biscotti sopra il tavoli che si trovava tra la televisione e il divano Veronica aveva semplicemente appoggiato il telefono altrove, lasciando che lo schermo diventasse nero, mentre la conversazione con Lu rimaneva sospesa quasi a metà. Ma d'altronde quello era il modo che avevano adottato involontariamente di sentirsi. Le così dette conversazioni infinite. Non c'era un argomento base su cui la conversazione si fondava, non c'era un "Buongiorno" o una "Buonanotte", un "Hey", non c'erano giorni in cui non si sentivano o un occasione in cui avessero notato la scritta "Oggi", "Ieri", o un qualsiasi giorno del mese. Perché in quel genere di conversazioni non servivano, e i giorni andavano persi, non venivano né contati né considerati. Erano di certo più fondamentali altre cose. Quel genere di conversazione non aveva un inizio o una fine, aveva l'abilità di protrarre le conversazioni per giorni, settimane, mesi, e il tempo passava e la conversazione si allungava. Veronica non sapeva quando avevano cominciato, ma sapeva che forse era ad inizio novembre, o a metà, in ogni caso se ne era accorta solo di recente scorrendo la chat per ritrovare un messaggio in particolare: i messaggi scorrevano, scorrevano e scorrevano, senza fine, senza inizio, come se avessero fatto per tutto il tempo una chiacchierata infinita.

Veronica aveva fatto colazione con calma, la tv accesa che occupava il silenzio lasciato dall'atto di mangiare, Leonardo di fianco a lei che ogni tanto, perché lo vedeva, le lanciava occhiate furtive. Come ad assicurarsi che stesse ancora bene. A loro si era aggiunto anche Francesco, che, mettendosi a fianco di suo fratello, aveva cominciato a conversare.

«Ragazzi!» Sua zia era scesa in soggiorno, vestita, truccata, la borsa sulla spalla.

«Ma, oggi non eri libera? Vai in ospedale?» Si era premurato di chiudere Francesco, leggermente scocciato e irritato del fatto che sua madre dovesse lavorare anche in quei giorni in cui era in pausa.

«Ma no tranquillo! -Il tono che aveva usato Angela era stato rassicurante, come se stesse dicendo ad un bambino con la febbre che pensa di star per morire che non stava assolutamente per morire- Vado solo a prendere la madre di Veronica in Aeroporto.» La ragazza aveva alzato le sopracciglia, leggermente confusa.

«Ma, ti ha mandato un messaggio?» Angela le aveva sorriso, le fossette che le si creavano ai lati.

«Ha riacceso il cellulare da poco, probabilmente, anche non probabilmente ma sicuramente, ha risposto anche a te. Ora vado, se no faccio tardi!» Angela li aveva salutati tutte e tre con un bacio, a Francesco aveva baciato la fronte, a Leonardo il naso e a Veronica la guancia. Poi, dopo aver preso il cappotto, era uscita di casa e era partita con la macchina.

Francesco e Veronica, che sapevano per quale ragione sua madre stava arrivando, si erano lanciati uno sguardo e lui le aveva arruffato i capelli, in una carezza fraterna di comprensione, poi si era rimesso al suo posto e aveva ignorato, proponendo di guardare un film o una serie, lo sguardo confuso e affilato del fratello. Francesco avrebbe voluto che Veronica fosse stata più aperta con lui, o che Leonardo fosse stato meno teatrale nei confronti di lei lasciando che si fidasse un po' di più fin dall'inizio, perché veramente non sopportava più la sensazione di essere sotto esame ogni volta che suo fratello sembrava capire che lui sapeva qualcosa su di lei, qualcosa che Leonardo non sapeva. Certo comprendeva e giustificava Veronica, perché nemmeno lui le aveva raccontato di suo padre, anche se nel suo caso non si trattava di quanta fiducia riponesse nei suoi confronti. Francesco si fidava di Veronica, le voleva bene, sperava nel meglio per lei, ma sapeva che se qualcuno avesse dovuto dirle qualcosa del loro passato allora sarebbe stato Leonardo, non lui. Perché Francesco una persona che lo aveva compreso, cullato e curato, e con cui aveva fatto altrettanto, l'aveva già trovata. Leonardo invece era ancora nel suo bilico, nella sua dimensione a sé che qualche volta si scontrava con quella degli altri ma che rimaneva isolata, solitaria. Francesco lo aveva visto però come con Veronica Leonardo fosse diverso, anche quella notte quando li aveva trovati in cucina: Leonardo non aveva scacciato le mani della ragazza, strette sul tessuto della sua maglietta, anzi, l'aveva lasciata fare, come se con lei fosse più che naturale. Per questo considerava Veronica la persona giusta. Spesso ci scherzava su loro due, e come quella sera lo aveva fatto fin dall'inizio, ma non considerava solo l'idea che si potessero mettere insieme, perché del tipo di comprensione, quello che serviva per cose del genere, non si generava solo tra due semplici amanti, non si creava solo tra persone che provavano reciprocamente amore romantico. In fondo, per quanto lui e Cecilia si fossero innamorati dopo, entrambi si erano aiutati quando erano ancora amici. Ma nessuna storia, per quanto simile, può essere uguale all'altra, come non lo potrebbe essere nessuna persona e nessun sentimento. Quindi Francesco sperava solo che quei due fossero le persone giuste per entrambi, e che non facessero l'errore di perdersi. Soprattutto che Veronica raccontasse la verità a Leonardo il prima possibile, così almeno suo fratello avrebbe smesso di guardarlo come un nemico.

Alla fine avevano guardato metà puntata di una serie tv qualsiasi mentre aspettavano, tutti insieme, seduti sul divano. Francesco si era anche prodigato a fare i pop corn per sgranocchiare qualcosa nel mentre. Poi, quasi inaspettatamente, Veronica si era girata verso entrambi, un'espressione strana in volto.

«Lo so che magari non è l'occasione più bella del mondo -Veronica aveva sospirato per la situazione in cui si trovava, con un fratello che capiva e l'altro che semplicemente era confuso- Ma vi va di venire con noi? La zia ci accompagna fino a Bergamo in macchina, in quanto mia madre non ha la sua qui - "e la questione tocca anche lei", non lo aveva detto, solo pensato, però era vero. Riguardava anche Angela. Suo padre era un amico di un ragazzo che faceva parte del gruppo degli amici di Angela e sua madre quando abitavano entrambe a Treviso, si erano conosciuti così. Per amici di amici di amiche. Angela era una delle amiche ed era stato brutto anche per lei quando suo padre era morto, si conoscevano ed erano amici dal Liceo, quindi, per quanto meno dolorosa, era comunque stata una morte sofferta anche da lei.- Rimarreste da soli a casa... -Veronica sapeva che quella era una questione familiare, ma quei due erano la sua famiglia, lo erano- ...e io ho bisogno di voi.»

Quattro braccia l'avevano abbracciata, circondandola, tenendola stretta, coccolandola e dondolandola come un bambino. Leonardo e Francesco erano circa alti uguali, anche se il maggiore superava di circa cinque centimetri il minore, in ogni caso non avevano avuto difficoltà ad abbracciarla insieme. Si erano semplicemente incastrati tutti quanti in un braccio in cui Veronica era sostenuta da entrambi, in cui a nessuno importava di sé stesso se non degli altri. Non sapeva per quanto fossero rimasti così, stretti tutti insieme in un abbraccio a tre, ma quando si erano staccati Veronica sapeva che quella sensazione le mancava. Non sapeva per quanto tempo fossero rimasti abbracciati, ma quando si erano lasciati andare la porta d'ingresso si era aperta, lasciando che Angela, sorridente e sorniona, entrasse parlando seguita da sua madre. Veronica aveva stretto la mano a Leonardo prima di precipitarsi da sua madre che, dopo averla vista, aveva semplicemente aperto le braccia e aspettato. Veronica le aveva circondato il busto con le braccia e schiacciato le guancia contro il suo petto, mentre inspirava il suo profumo

«Ciao mamma»

«Amore -sua madre l'aveva stretta a sé per un paio di minuti, mentre Francesco e Leonardo si chiedevano come mai la donna fosse bionda naturale se sua figlia aveva i capelli praticamente neri- Sembra che non mi vedi da un anno» aveva detto poi in tono scherzoso, guardando a come la figlia la stesse stritolando. La sdrammatizzazione era una delle arti a cui ricorreva spesso, anche se non sempre era appropriata.

Veronica le aveva mostrato un broncio scherzoso, anche se nei suoi occhi c'era più tristezza di quanta ce ne si potesse immaginare. Sua madre, dopo averla guardata negli occhi ed averle accarezzato i capelli scuri, l'aveva stretta a sè, cullandola e sorridendo leggermente. «Mi sei mancata mamma...» «Anche tu amore, veramente tanto.»

Veronica avrebbe potuto giurare di aver sentito Angela singhiozzare, ed andare ad abbracciare i suoi figli, questo lo aveva dedotto dai rumori che c'erano stati dopo. Il pensiero stesso di separarsene, dopo che aveva fatto di tutto per proteggerli, faceva sentire ad Angela un opprimente dolore al petto, che seppur non derivava da un'esperienza accaduta si premurava di guardare ad un evenienza futura quando entrambi se ne sarebbero andati e lei sarebbe rimasta sola.

Veronica si era scostata da sua madre dopo non sapeva quanti minuti, e quando si era messa dritta (essendo stata tutto il tempo con le ginocchia leggermente piegate per poter mantenere la posizione dell'abbraccio) sua madre aveva sgranato gli occhi, guardando il punto a cui arrivava la sua fronte.

«Oddio, ma ti sei alzata? Mi mangi i risi in testa tra poco! -Veronica aveva sorriso, cercando di non essere imbarazzata mentre dua madre confrontava le loro spalle- Santo mio, sono passati quanti mesi... quattro? Sei già così cresciuta...»

«Tre mesi.»

Avevano risposto in contemporanea Leonardo e Veronica, uno che teneva il conto per un motivo e l'altra per un altro

«Non esattamente tre, ma quasi.» Aveva aggiunto poi lui come se niente fosse, rilassato, mentre Angela gli teneva stretto un braccio e sua madre lo squadrava. Anzi, Greta squadrava esattamente entrambi i fratelli, almeno da quando si era ricordata che loro erano lì e non da qualche altra parte. Si era sorpresa, quando aveva messo gli occhi su di loro, di vedere quanto fossero cresciuti. Avevano entrambi dei tratti caratteristici di entrambi i genitori: la mascella evidente, gli occhi grandi, gli zigomi leggermente accentuati. Si era sorpresa di quanto quello che aveva parlato assomigliasse a suo padre. Probabilmente, aveva pensato, quella era una cosa che molte persone gli dicevano spesso, e di cui probabilmente non andava per nulla fiero, per questo non aveva voluto calcare la mano ma si era solo avvicinata a loro sorridendo, pronta da brava zia quale era a stritolare ad entrambi le guance e a fargli le solite domande che erano probabilmente d'obbligo.

«L'ultima volta che vi ho visti eravate dei bambini... -poi si era rivolta a Francesco, che l'aveva guardata con un sorriso gentile in volto- Tu sei praticamente un uomo ormai -aveva spostato lo sguardo su Leonardo, che invece aveva uno sguardo che le suscitava il nulla, come se vederla non portasse nessun cambiamento nella sua vita, come se non volesse che lei ne portasse qualcuno- e tu lo stai per diventare, siete veramente alti! E belli! Avrete di sicuro una ragazza, o un ragazzo, entrambi»

«Una ragazza zia» aveva detto Francesco, e quindi Greta ne aveva approfittato per parlare un po' con lui, perché aveva capito che prima di arrivare ad avere una conversazione normale con Leonardo ci sarebbe voluto del tempo. Anche tutta la giornata probabilmente, guardando al modo in cui le si rivolgeva. Non era maleducato, solo estremamente diffidente.

«Zia?» Si era girata verso Francesco, con cui stava parlando da un paio di minuti insieme a Veronica, mentre Angela e il minore dei suoi figli erano rimasti più in disparte.

«Dimmi.» Gli aveva sorriso calorosa, spostandosi una ciocca dei biondi capelli dietro l'orecchio

«Vuoi qualcosa da mangiare? Da bere? Il viaggio non deve essere stato facile con così tante ore -e qui si riferiva a quando, durante quei minuti di conversazione, gli aveva raccontato della durata del viaggio- passate in aereo...»

«Oh beh, un bicchiere d'acqua.» Sapeva di essere a casa della sua migliore amica, ma le sembrava di essere tornata ai tempi del liceo quando, passando i pomeriggi a casa dei genitori di Angela, la madre di questa le chiedeva ogni dieci minuti circa se le andasse qualcosa e per non disturbare diceva sempre di no. Estremamente timida con i conoscenti e gli estranei come era al tempo anche se conosceva quelle persone da veramente tanto tempo non riusciva mai a non sentirsi in imbarazzo. Ma quella era una sensazione che ogni adolescente provava almeno una volta nella vita. Spesso la gentilezza inaspettata e costante sembrava tanto un obbligo da farla diventare inopportuna e imbarazzante.

«Prendile uno dei bigné avanzati ieri!» Aveva aggiunto Angela quando aveva visto Francesco alzarsi «Va bene mamma.»

«Scusaci, c'erano dei bigné e non ci hai detto niente?» Era intervenuto Leonardo quando aveva sentito, girandosi verso il fratello che si trovava ormai quasi in cucina

«Ma se a te nemmeno piacciono i dolci!» Gli aveva ribattuto contro il maggiore, mentre apriva il frigorifero e tirava fuori una piccola scatolina dove erano riposti ordinatamente i bignè, alla crema, incriminati.

«Dettagli! Magari a Veronica piacevano»

«Ve ti piacciono?» Le aveva chiesto quindi il maggiore dei fratelli «A dire la verità no...»

«Tutti coalizzati siete oggi.» Francesco aveva riso mentre rimetteva la scatolina di plastica ne frigo e portava a Greta il piattino con due bigné e il bicchiere d'acqua

«Grazie.»

Quando Francesco si era allontanato di nuovo, andando vicino a sua madre per chiederle una cosa, Veronica si era fatta coraggio per avvicinarsi ancora un po' di più alla propria, cercando di trovare le parole giuste da utilizzare per quel genere di cosa. Non che fosse difficile, in fondo si trattava solo di dirle che aveva chiesto ai due fratelli di venire insieme a loro perché sentiva la necessità che ci fossero, aveva solo paura che sua madre lo potesse trovare inopportuno e che le dicesse di no, privandola di un sostegno del quale lei aveva evidentemente ed effettivamente bisogno.

L'aveva chiamata, e questa le aveva rivolto un veloce sguardo mentre finiva di masticare. Una volta che la sua bocca era stata vuota si era girata verso di lei e le aveva detto di continuare pure a parlare, che anche se mangiava l'ascoltava comunque. Così Veronica glielo aveva detto, le aveva fatto presente quanto quei due fossero importanti per lei, quanto importante sarebbe stato se ci fossero stati anche loro, quale grande favore e gesto di amore le avrebbe dimostrato lasciando che venissero. All'inizio la risposta di Greta era stata no, non pensava sinceramente di voler condividere una cosa tanto personale con due ragazzi, non aveva delle particolari considerazioni negative, anzi, però si trattava comunque di una cosa che massimo aveva considerato di poter condividere con Angela e altre sue amiche. Non era una semplice cosa familiare, si trattava anche di una cosa personale, qualcosa di intimo, qualcosa per il quale la sua vecchia sè, rigida e impostata, prendeva il sopravvento a volte, imponendo rigidità e freddezza. Poi, guardando Veronica parlarne, guardando gli stessi ragazzi guardarla con apprensione, si era convinta di sì, che forse per sé non era importante, che non le contava niente se fossero venuti o meno, ma per sua figlia lo era, e se lo era per Veronica lo era anche per lei. Perché vedere sua figlia serena era sinceramente la cosa che più di tutte le scaldava il cuore e che la metteva in pace con sé stessa. Perché si sensi di colpa Greta ne aveva, per molto tempo, dopo la morte di suo marito e di sua figlia, era stata più distante, anche se forse Veronica non se ne era accorta per il semplice motivo che lei era sempre distante. Rigida nelle proprie regole non capiva a volte il mondo dei bambini, la loro imprevedibilità, il loro modo di giocare, il loro modo di comportarsi così estroverso, così lontano da come era lei un tempo... Aveva lasciato tutta quella parte al marito, aveva lasciato che lui si prendesse più cura delle proprie bambine di quanto lo aveva fatto lei. Anche il semplice fatto che andasse spesso lui agli incontri con gli insegnati o che prendesse lui la partecipazione alle partite di Veronica o ai Saggi di danza di Alice. Quelle erano cose in cui la sua mancanza era evidente. Aveva spesso pensato che magari se lei non fosse stata così in passato adesso Veronica sarebbe stata una persona meno rigida, che se si fosse mostrata più aperta Alice si sarebbe confidata più spesso con lei, che magari avrebbero potuto smettere di mangiare solo cose che riscaldavano quindici minuti in forno e che avrebbe potuto cucinare una cena decente per una volta, che se avesse avuto più tempo sarebbe andata lei a prenderla quella sera a danza, magari se ci fosse stata lei in quella macchina, prudente come era sempre stata e come tutt'ora in quel momento era, magari lui e Alice non sarebbero andate a schiantarsi contro un Camion guidato da un autista ubriaco, che forse sarebbero ancora entrambi vivi e che quella giornata non sarebbe mai esistita. Se solo fosse stata da prima diversa. Con i se e con i ma però non si fa la storia, non la si è mai fatta e Greta lo sapeva. A volte reputava i propri pensieri come troppo bui, a volte pensava che non fossero giusti per sé, come non erano ovviamente giusti per loro. Perché ipotizzare non li avrebbe portati indietro, e ormai lo aveva accettato, aveva fatto i conti con sé stessa e le andava bene, per quanto bene potesse andarle si intendeva.

Greta aveva guardato la propria bambina, con i capelli più corti, l'aria più matura, un'espressione più sciolta in viso e decisamente qualcosa di diverso nel complesso. Quei mesi lì la stavano cambiando in meglio. Sotto il suo sguardo curioso della sua risposta aveva detto di si, annuendo vigorosamente, facendole intendere che aveva capito quanto in realtà era importante per lei che loro ci fossero. Poi le aveva chiesto se entrambi sapessero, per capire quanto si fosse avvicinata ai due ragazzi nel corso di quei mesi, perché sapeva che Veronica era stata estremamente fredda all'inizio, che non aveva lasciato trasparire quasi nulla e che ci avesse messo abbastanza tempo per cominciare a comportarsi anche solo come una persona che riponeva una fiducia al minimo normale verso gli altri. Veronica le aveva risposto che spesso, nell'ultimo periodo, aveva pensato di rivelarlo a Leonardo, ma che non c'era mai riuscita in quanto sentiva che non era mai il momento giusto, mentre con Francesco il momento opportuno lo aveva trovato, era stato un attimo, una sensazione inaspettata e lei si era aperta con lui, lasciandogli vedere quanto dolore in realtà portasse dentro. Greta aveva annuito, i capelli che dondolavano con la sua testa e una mano sul mento, come se stesse pensando a qualcosa. Non aveva semplicemente detto più nulla riguardo quello, aveva semplicemente riferito che sì, per lei andava più che bene che ci fossero entrambi i ragazzi se lei si trovava più a suo agio ad averceli attorno quel giorno, e poi si era semplicemente alzata, procedendo a passo medio vero Angela con cui stava per avere un confronto. Non era durato molto, si e no una decina di minuti o poco meno.

Leonardo, che aveva capito cosa era successo, si era avvicinato a Veronica che, nel frattempo, era andata posare le cose, il piattino e il bicchiere usato la sua madre, nel lavello così che poi fosse tutto pronto per metterli in lavastoviglie

«Che ti ha detto quindi?» Le aveva chiesto, appoggiandosi al piano della cucina con le mani dietro alla schiena per sostenersi. Veronica aveva alzato lo sguardo verso di lui sorridendo mentre sciacquava il piattino

«Ha detto che le va bene se io sono più sicura ad avervi con noi.»

«Che brava bambina... -aveva sospirato e guardato in alto, mentre aspettava che lei finisse- Quando hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo? Per cosa stiamo andando a Bergamo?»

Veronica gli aveva sorriso con un sorriso imbarazzante e finto come lui che diceva di capire sempre fisica al primo colpo.

«Gita familiare?» Leonardo l'aveva guardata con un cipiglio leggermente nervoso, non nervoso perché si stesse arrabbiando, nervoso perché sentiva il bisogno di capire il motivo per il quale Veronica fosse così.

«Chatte Noire sono giorni, giorni, che ti comporti in modo strano -le si era messo davanti, le mani nelle tasche e la testa leggermente piegata, lo sguardo che chiedeva verità- io capisco che siano fatti tuoi e che tu possa avere i tuoi tempi per dire qualcosa a qualcuno, ma mi sembrava che qua tutti sappiano tranne me, e il fatto che tua madre sia tornata momentaneamente da quel lavoro che tu una volta hai difeso con le unghie mi fa capire che è una cosa importante. Posso anche non saper guardare, ma non sono stupido.»

Veronica aveva abbassato lo sguardo, sentendosi quasi in colpa. Lui si preoccupava e l'unica cosa che sapeva fare lei era starsene zitta?

«Io... Lo so, ma appena saremo a Bergamo te lo dirò, probabilmente appena saremo a Bergamo capirai da te.»

Non aveva avuto il coraggio di alzare la testa, quindi era rimasta a fissare un punto indefinito sulla maglietta che stava portando Leonardo ancora dal giorno prima. Aveva sentito il suo volto venir sollevato, così i propri occhi avevano incontrato quelli di Leonardo, azzurri come il più limpido dei cieli, così diverso dal proprio che invece era sporco di altri colori. Le aveva accarezzato una guancia con fare quasi indifferente, anche se, per come lo aveva interpretato lei, quello era un modo per dirle che andava tutto bene, o almeno lei si era sentita così quando lui l'aveva fatto, poi si era semplicemente voltato e girato completamente verso la madre.

«Va bene! Andate tutti a vestirvi e prendetevi anche un cambio che non torneremo a casa prima di stanotte Francesco era stato il primo a salire, Leonardo lo aveva seguito a ruota e Veronica si era prodigata verso le scale con più calma.

«Mamma?» «Dimmi tesoro?» «Quando riparti?» «Sta sera stessa... -Veronica aveva annuito ed aveva fatto per andare in camera, quando sua madre l'aveva richiamata ancora una volta- Se potessi resterei di più» «Mamma, qualsiasi cosa che ti faccia stare bene mi fa stare bene -sua madre l'aveva guardata evidentemente scoraggiata- Non preoccuparti. Sul serio. C'è la Zia, ci sono gli altri, io sto bene.» Sua madre le aveva sorriso e Veronica era salita su per le scale, andando poi in camera sua e chiudendosi la porta dietro le spalle.

Veronica avrebbe voluto risciaquarsi, non che puzzasse o avesse i capelli presi in uno stato tale da doverli lavare, si era fatta una doccia dopo aver mangiato la sera prima, però si sentiva addosso un'agitazione tale che solo una doccia sarebbe riuscita a calmarla, a portarle via lo stress della pelle. Si era guardata allo specchio dell'armadio e, aprendone un anta, aveva cominciato a spogliarsi. Appena si era cambiata l'intimo aveva messo il profumo (dietro al collo, davanti, suoi polsi, sugli avambracci, sul seno, sul retro delle ginocchia) e poi il deodorante, quindi si era prodigata a guardare dentro l'armadio. Alla fine, dopo una decina di minuti in cui era rimasta ferma a guardare l'interno dell'armadio come se stesse pregando, aveva preso una canottiera, un maglione verde pastello, leggermente più scuro di un verde pastello normale, con dei bottoni in legno chiaro, un paio di mom jeans neri e le dr martens, perché se non aveva idea di coma mettere prendere i primi vestiti che le capitavano sotto mano era la scelta più adeguata. Almeno quella volta non era venuto fuori un abbinamento come quello di un paio di settimane prima, quando tirando fuori delle cose a caso per vestirsi si era ritrovata in mano dei pantaloni a scacchi stretti, marroni e grigi, con una maglia viola, una felpa verde fluo con cerniera e le vans nere, e le uniche cose che aveva tenuto poi veramente in ciò che aveva indossato erano state le vans e i pantaloni. Veronica, dopo aver deciso un cambio di maglia che stesse bene con i pantaloni, aveva preso il cellulare che aveva abbandonato sopra il letto e lo aveva messo dentro alla borsa di tela nera, nessuna stampa sopra a questa, che aveva deciso di utilizzare quel giorno, insieme al portafoglio, il suddetto cambio e altre cose che c'erano già dentro la borsa (chiavi, fazzoletti, burrocacao, alcuni trucchi). L'unica cosa che aveva fatto prima di scendere di nuovo in salotto era stata quella di andare in bagni e truccarsi. Non che ci avesse messo molto nemmeno a fare quello, si era semplicemente applicata un po' di correttore dove serviva, il mascara, un eyeliner fino, perché non era esattamente il giorno giusto per trucchi troppo eccessivi o particolari, non si era messa nemmeno un rossetto e quindi, dopo aver spento la luce, era semplicemente uscita dalla stanza, si era chiusa la porta dietro le spalle ed era scesa in soggiorno, dove tutti aspettavano lei.

«Sei come sempre lenta come una lumaca.»

Aveva scherzato Leonardo, e Veronica gli aveva sorriso come a dirgli di starsene in silenzio. Pochi minuti dopo si erano ritrovati tutti in macchina, Angela e Greta davanti, Leonardo, Veronica e Francesco dietro. Non stavano stretti perché comunque la macchina di Angela era grande, ma Veronica si ritrovava comunque a tendersi contro il finestrino, non ancora del tutto sicura di quello che stava per succedere. Ovviamente sapeva quello che stava per succedere, ama la verità più semplice era quella che aveva paura di come avrebbe potuto reagire Leonardo. Perché era vero, si conoscevano da ormai tre mesi, ma non sapeva ancora come reagisse a cose del genere, e per quanto si fidasse di lui allo stesso tempo aveva una remota e incontrollabile paura. Si era appoggiata tutto al finestrino, la fronte contro il vetro freddo e le mani incrociate sulla pancia. Leonardo, di fianco a lei, aveva visto il suo modo nervoso di stringere le dita tra loro e, per calmarla, le aveva preso una mano ed aveva fatto intrecciare le proprie dita con le sue, facendole delle carezze sul dorso della mano con il pollice. Veronica, da che era con il volto verso la strada, si era voltata verso di lui e gli aveva sorriso, poi era tornata nella sua posizione iniziale ed era rimasta in silenzio, gli occhi che pian piano si chiudevano. Leonardo le aveva tenuto la mano tutto il tempo percependo il suo nervosismo, e svariate volte, tra una chiacchiera e l'altra in cui suo fratello e sua madre lo coinvolgevano, girava il volto verso Veronica, assicurandosi che stesse dormendo pacificamente, giustificando il proprio comportamente guardando poi fuori sia da un finestrino sia dall'altro. Si era trattenuto dall'esporsi troppo verso di lei con tutte quelle persone di fianco, che avrebbero potuto vederlo entro due secondi, ma aveva continuato ad accarezzare il dorso della sua mano, aveva perfino utilizzato l'altra mano ad un certo punto, disegnando forme immaginarie lungo il suo palmo e il suo avambraccio. Le due ore e mezza di viaggio, così, erano trascorse abbastanza tranquillamente. Si era addormentato anche lui per certi brevi periodi di tempo, non stimolato intellettualmente da niente. Si erano fermati solo una volta quando sua madre aveva avuto voglia di caffè, ma in ogni caso lui e Veronica erano rimasti in macchina. Lei perché dormiva e lui perché di scendere o del caffè non aveva proprio nessuna voglia.

Quando erano arrivati a Bergamo avevano fatto una strada che Leonardo, per quella volta c'era venuto, non ricordava di aver percorso. Tuttavia ricordava in maniera abbastanza dettagliata il quartiere in cui si trovava la casa di Veronica, ed era quasi sicuro al cento per cento che entro poco si sarebbero ritrovati proprio lì. Era un quartiere carino, tranquillo, da quello che aveva capito, un po' per le indicazioni che gli aveva dato Veronica quella volta un po' per i cartelli che aveva visto quel giorno, si trovava verso Città Alta, in ogni caso le case lì non erano per nulla male così, quando avevano oltrepassato il cancello della casa, Leonardo non si era affatto stupito che la casa di Veronica non fosse considerabile come piccola. Leonardo, mentre sua madre parcheggiava la macchina nel garage, aveva svegliato Veronica scuotendola dolcemente dalle spalle. La ragazza si era svegliata abbastanza velocemente, si era guardata intorno per almeno cinque secondi ed, quando aveva capito che erano arrivati, era scesa quasi di corsa, sgranchendosi le gambe e le braccia. Leonardo aveva sorriso guardandola mentre anche lui scendeva dalla vettura. Sua zia gli aveva condotti fuori dal garage e poi alla porta di ingresso che, come si ricordava, si trovava lì poco distante. La struttura della casa era leggermente più complicata della propria: appena entrati si vedeva la media vetrata che dava sul piccolo giardino che avevano, se si voltava il volto a sinistra prima c'era il tavolo da pranzo, composto da sei sedie e un telo bianco momentaneamente messo per non far impolvevare il mobile, poi c'era un muretto, alto circa un metro e venti forse, e dietro a questo un divano ad L, con la parte più lunga appoggiata su tutta la lunghezza del muretto e davanti alla parte corta stanziava la televisione a muro, di fianco a questa una piccola libreria ad angolo che conteneva però solo cd e vinili. Guardando invece a destra si poteva vedere la cucina, ampia e illuminata da una finestra che puntava proprio sul tavolo da pranzo, il piano cottura era ad angolo e si trovava proprio affianco alla sopra citata, affianco a questo il piano della cucina era lungo almeno due metri ed era in marmo rosa, si interrompeva poi perché c'era il frigo. Nessun mobile sulla parete opposta ma solo un quadro raffigurante un lago con una persona girata di spalle. Continuando poi, sulla parete opposta a quella della tv c'era una credenza e affianco a questa una porta scorrevole che portava ad un corridoio, la prima stanza a sinistra era la stanza di Veronica, quella a destra era di sua Zia e infine, proprio alla fine, il bagno. Essendo ad un piano, per quanto grande, sembrava più piccola della sua, ma in realtà erano circa grandi uguali. Si erano fermati un po' a casa prima di ripartire, anche se non ci erano rimasti a lungo e soprattutto erano andati via a piedi.

Veronica, appena aveva avuto modo di rimettere piede in casa sua, si era sentita felice, appagata, tranquilla. Perché quello era il suo posto e nessuno avrebbe mai potuto cambiare quella cosa. Si era distesa sul suo letto per almeno dieci minuti dopo aver tolto il lenzuolo bianco che gli era stato messo sopra. Poteva perfino ancora sentire il profumo dell'ultimo ammorbidente che aveva usato per profumare le lenzuola. Aveva abbracciato il proprio cuscino, stringendosi a lui come si sarebbe potuta stringere a suo padre, come alice avrebbe potuto stringere lei, ed aveva versato solo una lacrima prima di tirarsi in piedi, sistemarsi un attimo, controllare nello specchietto che aveva sopra la scrivania, anche quello prima coperto da un telo che aveva precedentemente tolto, se il trucco era a posto e poi era uscita, chiudendosi la porta alla spalle e trovando Francesco che tornava dal bagno.

«Tutto bene?» Il ragazzo moro l'aveva guardata con un cipiglio interessato sul volto

«Sì, è solo strano essere qui dopo tanto.» Francesco aveva sorriso, arruffandole i capelli per poi stringerla in un abbraccio

«È normale che tu ti senta così considerando anche che giorno è oggi» Veronica aveva annuito contro la sua maglietta per poi stringere le mani a pugno su questa

«Vorrei esser potuta essere migliore...» «Quello che siamo stati ci insegna come dobbiamo essere in futuro, e non c'è niente di male in questo, i sensi di colpa ovviamente sono scontati ma non puoi abbassarti a viverci con no? Se no non è più vivere, è torturarsi.» Veronica aveva annuito e Francesco le aveva dato un'ultima carezza prima di riaccompagnarla in salotto, dove c'erano anche tutti gli altri.

C'erano voluti pochi minuti da quel momento in poi perché uscissero di casa e la chiudessero a chiave. Avevano fatto tutta la strada a piedi, quindi oltrepassato il cancelletto sua madre si era messa come capo fila. Quella camminata era stata più come un piccolo viaggio turistico, perché se Veronica era stata più in silenzio sua madre non si era trattenuta dal parlare nemmeno una volta ed aveva spiegato ogni cosa tra quelle che incontravano filo per segno, fino a quando, dopo spiegazioni su spiegazioni e una trentina di minuti di camminata, non erano arrivati davanti al cimitero. Veronica aveva guardato Leonardo e quasi gli era parso di poter vedere le rotelle che gli giravano nella testa e che, circa ogni cinque secondi, scattavano per riuscire a collegare tutto. La ragazza aveva fatto segno a sua madre che voleva compare lei i fiori e a Leonardo di rimane con lei; quindi, mentre Greta, Angela e Francesco andavano dentro, lei e il ragazzo si avviavano verso il signore che gestiva la vendita dei fiori, l'uno di fianco all'altra.

Veronica aveva preso con calma i fiori, un mazzo di garofani rossi e un mazzo di orchidee, sempre rosse. Poi, dopo aver pagato il mazzo di fiori, con i loro familiari più avanti, lei aveva avuto il coraggio di parlare.

«Avevo una sorella, quando ero piccola. L'opposto di me. Completamente diversa. Lei aveva fisicamente preso tutto da mia madre sai, i capelli chiari, gli occhi, il naso, la forma del viso, eppure sembrava avere solo i suoi tratti negativi, o quelli che noi, io, meglio io, identificavo come negativi. Litigavamo sempre per una cosa o l'altra, e finiva che non ci parlavamo per giorni, entrambe troppo testarde. -Veronica aveva sospirato, l'aria nei polmoni le si faceva pesante- Eravamo troppo diverse per riuscire ad andare d'accordo, e gli unici momenti in cui mi sentivo libera era quando non c'era. Alice, si chiamava Alice, aveva tutte quelle caratteristiche che io non trovavo giuste, tutte quelle cose che per me erano eccessive e che quando era in casa non sopportavo. Non ho mai cercato veramente di essere una brava sorella, forse all'inizio, quando ancora buona parte del suo carattere non si era formato. Una sera, di un giorno qualsiasi in cui aveva danza, mio padre è andato a prenderla, io ho preso tutto da lui, i capelli, l'azzurro sporco, persino le occhiaie. -Aveva riso nervosa- Non sono tornati quella sera, erano in macchina e un autista ubriaco, senza nessun faro accesso, gli è andato addosso. Nessuno dei due è morto nell'impatto, mio padre mi aveva perfino chiamata poco prima, era deconcentrato perché mi stava chiamando, e io ho sentito tutto. Il rumore dell'impatto era... Era... È stato semplicemente orribile, ho sentito quello e poi nient'altro. Quando è arrivata a casa dal lavoro mia madre è stata chiamata e siamo andate in ospedale. Mia sorella era in coma, mio padre si stava dissanguando, e nessuno poteva fare niente. Sono stata portata via, mi hanno messo in una stanzetta che doveva essere isolata e invece, ore dopo, ho sentito da alcune infermiere che erano morti. Entrambi. Quel giorno era oggi di quando avevo dodici anni, quattro anni fa. -Ad un certo punto Veronica si era fermata, così aveva fatto anche Leonardo, lateralmente dietro di lei. Il ragazzo aveva guardato le tombe che Veronica stessa stava guardando, entrambe di marmo grigio erano grandi, una fin troppo grande per una bambina, i nomi scritti sopra erano "Davide Lisi" e "Alice Lisi". La fotografia del padre era leggermente consumata, a differenza di quella della sorella, ma si poteva ancora vedere la luminosità degli occhi e la somiglianza con quelli della ragazza che aveva di fronte, il colore scuro dei capelli, i tratti del viso.- Io vi invidio te e tuo fratello, perchè siete uniti, e sembrate volere solo il meglio per l'altro. Io vorrei solo che mia sorella ci fosse ancora per avere un rapporto così con lei, recuperare gli anni che ho lasciato andare e non perderli ancora.»

Veronica aveva appoggiato il mazzo di orchidee rosse sulla tomba di suo padre e quello di garofani su quello di sua sorella, poi si era semplicemente girata e Leonardo l'aveva presa tra le braccia, stringendo contro di sé, appiccicando ogni millimetro di corpo l'uno all'altra. Le braccia della ragazza erano corse a stringersi intorno al suo collo e Leonardo l'aveva continuata a stringere. Il ragazzo poi le aveva alzato il viso, il modo che si trovassero fronte a fronte.

«Guardami, io sono qui. -Le aveva detto, accarezzandole il volto con le mani, passando i pollici sulle sue guance, dove un velo di lacrime si stava ormai asciugando- Non me ne andrò, per nessun motivo. Io sono qui, puoi piangere, puoi ridere, puoi urlare, e puoi sbraitarmi contro, io rimarrò qui, con te. Sono qui e rimango qui.»

Il garofano rosso rosso simboleggiava l'ammirazione, l'affetto e l'amore profondo. Nel linguaggio dei fiori, il garofano voleva dire "Il mio cuore soffre per te".
L'orchidea invece rappresentava l'amore come gratitudine.

*Corso d'acqua
**Percorso lungo il Sile
***La storia è ambientata anni dopo la fine della pandemia, le date sono basate sul calendario dell'anno appena iniziato (anche se non si svolge in questo). Tuttavia, razionalmente, ho pensato che le Videolezioni sarebbero rimaste comunque nella vita di tutti, in quanto l'opportunità di non fare giorni di assenza e di seguire nella comodità di casa non è da sottovalutare se non si ha un malessere grave.
****Citazione dal libro "Marcus, sai qual è l' unico modo per misurare quanto ami una persona?" "No." "Perderla.".

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