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Autore: datemi_una_coperta    31/03/2022    3 recensioni
Guardò Merlino aprire la bocca con una lentezza letargica, come se la risposta che aveva in mente richiedesse una fatica immane per essere pronunciata, e stava già per deriderlo.
Poi, Merlino svenne.

Merlino non si sente molto bene e succedono cose che non dovrebbero succedere.
Genere: Comico, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gaius, Gwen, Merlino, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Merlino era stato costretto a letto da un secondo all’altro.

All’inizio Artù l’aveva anche preso in giro. Merlino non sembrava avere niente più che una febbricola insignificante, una mezza raffreddatura, insomma; roba che Artù avrebbe messo da parte senza troppi problemi, non come quella margheritina del suo servitore!, che invece gli aveva perfino chiesto la giornata. Lui, ovviamente, non gliel’aveva accordata. Chi si prendeva una giornata solo perché si svegliava con gli occhi un po’ più gonfi del solito? Anzi, Artù sospettava fosse tutta una scusa per filarsela nella taverna. L’idea lo aveva anche fatto vagamente preoccupare: che Merlino si avviasse a diventare un alcolizzato? Che Artù avesse preso sottogamba quel suo attaccamento al boccale?

Comunque, questa preoccupazione, fondata o meno che fosse, l’aveva aiutato a convincersi che Merlino non aveva davvero bisogno di una giornata libera. Merlino gli aveva scoccato quella che forse voleva essere un’occhiata inceneritrice, ma per il gonfiore degli occhi era riuscita più come uno sguardo annoiato e lacrimoso, e sospirando si era messo a raccogliere vestiti sporchi in giro per la stanza, mentre Artù mangiava soddisfatto la sua bistecca. Prima che uscisse per portare via la cesta dei panni, Artù gli aveva detto di dare una pulita alle stalle e gli aveva ricordato dell’allenamento dopo pranzo: Merlino non aveva risposto, né si era fatto più vedere fino ad allora, e questo aveva urtato Artù oltre ogni immaginazione. Merlino doveva rispondergli! Senza le sue risposte sarcastiche, gli ordini di Artù sembravano quasi seri. Non c’era nessun gusto a darli. E poi ad Artù non piaceva quell’agitazione in cui lo mettevano le mancate risposte di Merlino. Era come appoggiarsi al tronco di un albero, per poi scoprire che questo era stato tagliato alla base: si perdeva inevitabilmente l’equilibrio. E, a dirla nei termini della metafora, ci si preoccupava per l’albero.

Perciò, quando avvistò la sua figura allampanata che si dirigeva verso il campo di addestramento, decise che lo avrebbe punzecchiato finché non avesse ottenuto risposta, non fosse stato altro che un monosillabo. Ma, man mano che Merlino gli si avvicinava, Artù si rendeva conto che avrebbe dovuto abbandonare questo proposito. Merlino pareva un fantasma: la sua faccia, già naturalmente pallida, aveva preso il colore della cera, e lui stava in piedi rigido, con le braccia dritte lungo i fianchi e i pugni serrati, come se si sforzasse di opporre ostinatamente resistenza al vento che spazzava il prato. Anche gli altri cavalieri si accorsero che qualcosa non andava: Artù sentì le loro chiacchiere interrompersi. 

“Stai bene?”

Merlino sollevò un sopracciglio con tutto il sarcasmo di cui era capace in quelle condizioni. Era un buon segno. Artù si rilassò, quasi ridendo di se stesso. Doveva essersi impressionato. Guardò Merlino aprire la bocca con una lentezza letargica, come se la risposta che aveva in mente richiedesse una fatica immane per essere pronunciata, e stava già per deriderlo. 

Poi, Merlino svenne.

Artù non ebbe nemmeno il tempo di afferrarlo: cadde a peso morto sull’erba, sbattendo anche la testa. Artù e gli altri cavalieri gli si precipitarono accanto. Un quarto d’ora più tardi, Merlino era disteso sul proprio letto. Gaius gli aveva messo una pezza bagnata sulla fronte e ora gli si affaccendava intorno nel tentativo di capire cosa avesse, scomparendo di tanto in tanto per andare alla ricerca di un volume che gli fosse d’aiuto. Artù provò un certo terrore nel constatare che i suoi modi, per quanto sicuri e puntuali come sempre, erano molto più nervosi del solito: Gaius si muoveva quasi a scatti. Artù pensò che era meglio lasciarlo lavorare, e si trattenne dal chiedere tutte le spiegazioni che pure avrebbe voluto. Si limitò a spostare lo sguardo, alternativamente, ora su di lui, ora su Merlino, sentendosi impotente e anche piuttosto stupido.

“Cos’è successo? Come sta Merlino?”

Artù si voltò verso Ginevra, confortato dalla sua presenza. Le spiegò brevemente l’accaduto. “Non sappiamo ancora cosa sia…”

“Sire,” s’intromise Gaius, “ho il sospetto che si tratti di un veleno, ma non riesco a identificarlo.”

“Un veleno?” ripeté Artù, sbiancando.

“Ma com’è possibile?” borbottò Gaius, quasi tra sé. “Ha mangiato con me sia ieri che stamattina. Abbiamo ingerito lo stesso cibo, bevuto la stessa acqua…”

“Cosa possiamo fare?” domandò Ginevra.

“Temo nulla. Stategli vicino mentre io cerco una soluzione. Vi viene in mente qualcosa? Un pasto fuori dall’ordinario…? Conoscendo la causa, avremo una cura.”

Artù si sedette e lasciò cadere la testa tra le mani nel tentativo di concentrarsi. Ma, ovviamente, non riuscì a pensare a niente. Anzi: la sua mente, in quel momento, era una piana brulla e desolata, che non solo non gli offriva nessun dettaglio utile, ma gli rendeva difficile perfino ricordare quale fosse la routine del suo amico e servitore normalmente. Artù diede la colpa all’urgenza e all’agitazione del momento, anche se una voce in fondo alla sua coscienza affermava con una certa trionfante sicumera che non ci aveva mai veramente badato. La voce assomigliava a quella di Merlino. Strano. Artù scosse la testa. 

Ginevra dovette prenderlo come un segno di sconforto, perché Artù la percepì chinarsi accanto a lui e mormorargli: “Va tutto bene. Troveremo una soluzione. Non ci arrenderemo facilmente.”

Artù ebbe un’idea che gli parve illuminante. “Leon e gli altri sono ancora là fuori?”

“Sì. Vado ad informarli” disse Ginevra, intuendo cosa volesse dire: forse loro sapevano qualcosa. Alla fine non era un’idea tanto straordinaria, visto che con tutta probabilità non avrebbe fatto nessuna differenza; ma almeno era meglio che stare con la testa tra le mani senza ricordare assolutamente nulla.
 

 

La sera arrivò troppo presto. Ad Artù venne in mente la sera prima di una battaglia: anche quella arrivava sempre troppo presto, ed era pervasa da un’atmosfera surreale, una calma isterica che faceva venire voglia di scappare; anche se nessuno, poi, lo faceva mai, perché avrebbe perso l’onore e anche la vita. Morire era già infelice di per sé. Morire senza onore era anche peggio.

Forse la stanchezza iniziava a prendere il sopravvento.

Anzi, Artù ne era sicuro; ma addormentarsi al capezzale di Merlino gli pareva un’imprudenza: e se si fosse svegliato proprio allora, chiedendo un bicchier d’acqua magari, o rivelando l’origine del suo male, o dicendo qualcosa, qualunque cosa, anche la più stupida e insolente? E se, in qualche maniera misteriosa, la veglia di Artù lo tenesse in vita? Merlino era debole, ma respirava ancora. Artù non voleva rischiare di interrompere quel respiro chiudendo gli occhi.

…Ma che andava pensando? Una cosa del genere sarebbe stata al limite della magia, e la magia era qualcosa con cui né lui, né Merlino avevano a che fare.

Ginevra, che si era addormentata con il sedere su uno sgabello e le braccia incrociate sul letto, si mosse lievemente. Era stata lei a occuparsi delle ultime faccende pubbliche della giornata, ufficialmente perché Sua Maestà il re è indisposto, e Artù avrebbe voluto che riposasse, ma lei aveva insistito per restare. Non che Artù potesse biasimarla. E in verità le era grato. In qualche modo, al di là di quanto disperata fosse la situazione, Ginevra riusciva sempre a dargli l’impressione che tutto sarebbe andato per il meglio, come la luce calda e soffusa di una piccola lanterna in un sentiero buio.

Dall’altro lato della porta, Gaius diede un profondo sospiro, che Artù scelse di ignorare per istinto di autoconservazione. Magari era un sospiro di sollievo. Magari, dopo ore, Gaius aveva finalmente fatto progressi, e nel giro di qualche secondo avrebbe aperto la porta e annunciato di aver trovato un rimedio, anche senza aver identificato il veleno. Artù si mise in ascolto, trattenendo il fiato. Gli parve quasi di sentire uno scricchiolio lungo le assi del pavimento. Ma Gaius rimase imperterrito dov’era.

Artù esalò rumorosamente. Lui, non poteva permettersi di dormire. Ginevra, stava accovacciata in una posizione che sicuramente, la mattina dopo, le avrebbe fatto venire un terribile mal di schiena, e forse anche un torcicollo. Gaius, sospirava e non si faceva vivo. E Merlino, be’, Merlino, da servitore inaffidabile che era, stava morendo. Artù nutriva ancora la vaga aspettativa che si trattasse di un grande, assurdo scherzo, e si riprometteva che dopo averlo smascherato avrebbe inflitto una terribile punizione a tutti coloro che vi avevano preso parte, Merlino per primo. (Non sapeva esattamente quale dovesse essere questa fantomatica punizione, ma sarebbe stata di certo terribile.) Come osava quel trovatarli fingere in modo così oltraggioso. Come si permetteva di rimanere in silenzio, quando tutti i giorni per tutto il giorno non faceva altro che parlare parlare parlare e inventarsi nuovi modi per insultarlo! Mai una volta che chiudesse quella dannata bocca quando lui glielo ordinava, e ora? Chi gliel’aveva comandato, ora? Chi gli aveva chiesto niente!

In un moto di stizza, Artù si sporse verso Merlino, e agitando un indice accusatorio nella sua direzione, mugugnò tra i denti: “Maledetta testa di rapa. Brutta copia di un servitore. Mani di marmellata. Bambinetta paurosa. Parla, o ti condanno per alto tradimento.”

Ginevra, nel sonno, si riaccomodò. D’altra parte, Merlino non fece nulla.

Naturale.

Artù emise un suono secco e strozzato, pericolosamente simile a un singhiozzo. Nel tentativo di controllarsi, si alzò in piedi e cominciò a girovagare per la stanzuccia, gettando occhiate distratte e offuscate ora alle pareti, ora all’armadio, ora alla finestrella, fuori dalla quale il buio era totale.

Mentre fissava il vetro scuro, vi intravide un riflesso argentato. Per un istante pensò si trattasse di qualcosa dall’altra parte, all’esterno, e si sforzò di guardare con più attenzione. Ma la stanza di Merlino si trovava in un punto sopraelevato del castello, e fuori non si vedeva nulla se non il cielo notturno e, distante, in basso, il profilo nero del bosco. Artù si rese presto conto che il vetro gli restituiva l’immagine di ciò che era alle sue spalle. Si voltò.

Un globo luminoso, etereo e bellissimo, fluttuava nella mano sinistra di Merlino, con gli stessi movimenti lenti e fluidi di un’alga sott’acqua. 

Artù si rifiutò di collegare Merlino a quello che era evidentemente un atto di magia - un reato di pena capitale. Decise invece che la malattia di Merlino era stata causata da un mago, o una strega. Stava per andare dritto da Gaius per informarlo della sua scoperta, quando il globo luminoso si mosse e si levò alto alto sopra il corpo inerte di Merlino, lasciando dietro di sé una sottile scia polverosa e luccicante. C’era in quella visione qualcosa di irresistibile, e Artù, nonostante tutto, si fermò, anche se la sua mano andò d’istinto all’elsa. La strana luce gli si avvicinò, gli girò attorno, e infine si allontanò di nuovo. Artù la seguì, lasciandosi condurre alla porticina e poi nell’altra stanza. Mentre scendeva i gradini, sentì Gaius chiedere: “E’ peggiorato?,” per poi ammutolire all’improvviso; ma in quel momento Gaius era solo una figura lontana e sconosciuta, la sua voce poco più di un eco, e Artù lo ignorò, continuando invece a tenere gli occhi fissi sulla luce. Questa, intanto, si fece strada nella stanza con grande lentezza e calma, come se volesse prendersi del tempo per capire di preciso dov’era e dove doveva andare; e alla fine sembrò puntare al tavolo da lavoro di Gaius. Sul tavolo c’erano fiale di varie dimensioni, con contenuti di colori diversi, alcuni opachi, alcuni trasparenti, alcuni marcati da etichette particolarmente vistose; un numero di provette e altri aggeggi più o meno contorti che Artù non seppe identificare; e cinque o sei tomi dall’aria importante, sommariamente divisi in due pile. Il globo luminoso urtò - urtò, come se non fosse fatto di luce intangibile - la pila più vicina al bordo del tavolo. Tre pesanti libri caddero a terra, sparpagliandosi e aprendosi a caso; la luce si avvicinò a uno di questi e iniziò a sfogliarlo. 

A quel punto Artù dovette strofinarsi gli occhi. 

Per essere sicuro, si diede anche un pizzicotto. 

Ma la luce era sempre lì, e sfogliava un libro di piante selvatiche come se avesse delle mani e un’intelligenza sufficiente a consultare libri di piante selvatiche.

Artù era sempre più esterrefatto, ma stette a guardare. Iniziava a sospettare che la sua morbosa fascinazione per la luce non fosse dovuta soltanto alla curiosità o al bisogno di non riflettere su cos’era appena successo, bensì ad un incantesimo. Ma quello stesso incantesimo, probabilmente, lo costrinse a mettere da parte le sue preoccupazioni riguardo a una possibilità del genere.

La luce, dopo aver sorvolato su un centinaio di pagine, si fermò sull’illustrazione di una pianta che ad Artù parve insolita, anche se non del tutto estranea. Gaius, che fino a quel momento era rimasto ad osservare anche lui in silenzio, si fece avanti e si chinò a raccogliere il libro per poter vedere meglio. Artù lo vide scorrere un dito sul testo che accompagnava l’illustrazione con aria assorta, gettando di tanto in tanto un’occhiata più lunga e pensierosa delle altre all’illustrazione stessa. Alla fine alzò la testa e annunciò: “Preparo subito l’antidoto.”

La luce si dissolse nella stessa sostanza polverosa della sua scia e dopo qualche secondo scomparve del tutto. Artù ebbe l’impressione che qualcuno avesse aperto la finestra. Fece un respiro profondo.
 

 

Molto banalmente, Merlino era entrato in contatto con una pianta velenosa e rara mentre raccoglieva erbe per Gaius. Ad Artù la cosa sembrò quasi divertente: Merlino l’aveva seguito in situazioni pericolose di ogni genere, e alla fine aveva rischiato di morire solo per aver raccolto un paio di fiorellini. Era assurdo. Era proprio da lui. Comunque, grazie all’antidoto preparato da Gaius, era riuscito a salvarsi, anche se gli ci erano volute due settimane per tornare in forze e un intero mese per liberarsi del senso di nausea. Artù aveva aspettato tutto il mese prima di richiamarlo in servizio: un po’ perché non voleva vederselo crollare per terra di punto in bianco un’altra volta; un po’ perché poteva approfittarne per riflettere.

Perché, a dirla tutta, Artù aveva capito subito che la strana luce (come i fatti avevano poi dimostrato) non aveva niente a che fare con la malattia di Merlino.

Aveva capito subito chi la stava manovrando.

Sapeva che era lui.

Ma non se ne capacitava. Nella sua mente, il mago che aveva creato la misteriosa luce e Merlino erano due entità separate, assolutamente inconciliabili. Era come se una parte di lui fosse convinta di poter giudicare e condannare il mago, senza far del male a Merlino, salvando capra e cavoli. O forse avrebbe potuto far finta di nulla. Nessun altro aveva visto. Ginevra stava dormendo. Gaius? Gaius non poteva ricollegare la luce a Merlino con certezza. E poi, non aveva più proferito parola riguardo l’accaduto. 

Ma no: indifferenza? Come poteva Artù fingersi indifferente, se era furioso? Furioso, deluso, ferito; uno strano miscuglio che gli intossicava l’anima. Gli veniva voglia di punire Merlino non perché fosse un mago (il fatto, all’improvviso, diventava poco più di un dettaglio), ma perché aveva avuto la faccia tosta di mentirgli per anni. Che andasse in prigione. Che andasse in esilio. Che finisse…

No. Questo non poteva dirlo; non sul serio; non in queste circostanze.

In definitiva, il giorno che Merlino si presentò alla sua porta per tornare in servizio, Artù era più confuso di prima, e non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe detto o fatto. Così disse la prima cosa che gli venne in mente.

“Bella giornata oggi, non è vero?”




NdA:
1. L'idea mi è venuta guardando l'episodio 4 della prima stagione.
2. "Trovatarli" mi sembrava un insulto appropriato, visto che dal punto di vista di Artù, Merlino sta sempre a cercare tarli nelle sue vicinanze senza ragioni apparenti.
3. Non ho fatto nessuna ricerca e sono totalmente ignorante in materia erboristica. Le mie scuse a tutti i farmacisti (?) presenti.
4. Sta cosa po' esse one shot e po' esse minilong (un altro capitolo). Sinceramente sono indecisa. Per il momento la metto qui.
5. Grazie per aver letto fino a questo punto. Le recensioni fanno sempre piacere.

   
 
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