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Autore: Yume No Akuma    31/03/2022    1 recensioni
[ AU! Thorin is alive / Bagginshield / SFW ]
Una fanfiction scritta di getto dopo aver rivisto la trilogia per la ventordicesima volta. Da leggere nel caso abbiate bisogno di un finale positivo, almeno per i nostri due bimbi protagonisti.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bilbo Baggins, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Vi capita mai di fare dei sogni così soffocanti, degli incubi così laceranti da sembrare reali? Di solito, dopo essersi svegliati, si riprende fiato e ci si calma in pochi minuti, rendendosi poi conto che quello era, di fatto, solo un’illusione onirica. Cosa pensereste, però, se il sogno da voi fatto si rivelasse essere una riproduzione quasi perfetta della realtà e non solo nelle sensazioni, ma anche negli eventi? A chi credereste inizialmente, alla vostra mente o ai vostri occhi?


Questo era il quesito che si stava ponendo Bilbo Baggins, subito dopo aver ripreso i sensi. Aveva appena sognato qualcosa di particolarmente strano. Non strano come creature inesistenti o mondi illusori, si trattava più di quel genere di avvenimenti che una persona si immagina dopo aver alzato troppo il gomito, per esempio, quando la mente non è lucida: cose che sembrano reali e potrebbero esserlo, ma di fatto non lo sono. Lo hobbit si sentiva la testa pesante e le viscere sottosopra, per questo ancora non riusciva a dare forma alle sue sensazioni, ma sapeva di doversi alzare e reagire a quella improvvisa immobilità, sia della mente che del corpo. Una volta rimessosi in piedi, sebbene barcollante, riuscì a riconoscere qualcosa intorno a sé: quella era Collecorvo, Bilbo si trovava ancora a Erebor.


Ancora?


Riconoscere quel luogo aveva, come un fulmine a ciel sereno, riportato alla mente dello hobbit ciò che sembrava aver dimenticato, il “sogno” da cui si era risvegliato. Bilbo aveva perso i sensi, sì, ma si era anche già ripreso e aveva assistito alla fine della battaglia… aveva assistito alla morte di Thorin Scudodiquercia.


— Thorin! — si ritrovò ad esclamare, quando quel pensiero gli riempì la mente. Prese a correre più velocemente possibile, deciso a ritrovare l’amico prima che lo raggiungesse la mano del Fato. Non sapeva se le immagini che aveva visto fossero una premonizione o solo un incubo, ma qualsiasi cosa fossero lui doveva assolutamente andare da lui. Arrivò sul fiume ghiacciato e per un attimo la sua mente gli fece vedere ciò che ricordava essere già avvenuto: il re nanico accasciato sulla fredda terra e ferito a morte. Gli bastò sbattere le palpebre una volta, però, per rendersi conto che non era quella la scena che si presentava davanti ai suoi occhi adesso.


Esistono molte cose a questo mondo che difficilmente possiamo spiegarci, tanto che a volte non ha senso ricercare un senso. L’unica cosa da fare è accettare ciò che ci troviamo davanti… a volte può davvero trattarsi di un dono, una seconda opportunità.


Thorin, figlio di Thráin, il legittimo sovrano del Regno sotto la Montagna, era ancora vivo. Era ferito, infatti teneva una mano sul fianco per cercare di bloccare la fuoriuscita di sangue, ma sembrava che la lama di Azog non lo avesse trafitto in un punto vitale, ma semplicemente colpito di striscio. Thorin era ancora vivo. Bilbo si sentì quasi svenire, tutta la foga che lo aveva spinto fino a lì adesso si era dissipata, come se anche il suo corpo avesse capito che non c’era più il pericolo di perderlo. “Grazie al cielo” pensò, mentre si avvicinava a lui. Il corpo esanime, questa volta per sempre, dell’Orco Pallido si trovava a qualche metro da loro.


— È finita, Mastro Scassinatore — gli disse Thorin, senza però distogliere lo sguardo dalla battaglia che volgeva alla sua conclusione. La voce del nano rifletteva la sua stanchezza, il suo dolore, ma non per questo era meno rassicurante. Le aquile volteggiavano ancora in cielo, mentre gli ultimi orchi rimasti venivano uccisi e i feriti in battaglia venivano soccorsi. Molti fra nani, elfi e uomini erano caduti, ma la Montagna Solitaria era stata difesa e adesso, forse, tutti e tre i popoli avrebbero potuto ricostruire i legami fra loro. Nonostante questo il nano e lo hobbit sapevano, in cuor loro, che qualcosa si era spezzato per sempre su quei colli.


Ad un certo punto i due rivolsero lo sguardo l’uno verso l’altro, si guardarono negli occhi e dopo un attimo di indecisione si lasciarono andare in un abbraccio, simile a quello che si erano scambiati dopo che Bilbo aveva salvato per la prima volta la vita a Thorin. Questa volta il nano si aggrappò alla schiena del compagno con una trattenuta disperazione. Non solo aveva ferito e poi perso i membri della sua famiglia, non solo si era lasciato intrappolare dalla malattia del drago come era successo a suo nonno prima di lui, ma aveva soprattutto messo in pericolo la vita della persona a cui doveva tutto e questo difficilmente se lo sarebbe perdonato. Bilbo si limitò a ricambiare la stretta, lasciando che la testa del compagno si appoggiasse alla sua spalla. L’idea di poterlo perdere lo aveva terrorizzato a tal punto che aveva paura a lasciarlo andare adesso che lo aveva ritrovato sano e salvo. Rimasero così per un po’, senza dirsi nulla, semplicemente a riprendere fiato.





Quello che accadde successivamente passò davanti agli occhi di Bilbo in maniera quasi indifferente, forse perché l’halfling era ancora scosso da avvenimenti che erano stati molto più grandi di lui. Thranduil era ripartito con i suoi soldati subito dopo la fine dello scontro contro gli orchi, non prima di essersi vagamente riconciliato con Thorin, soprattutto grazie al dono che quest’ultimo aveva concesso al re elfico; Bard e la popolazione della Città del Lago vennero invece invitati all’interno di Erebor, in modo da potersi riprendere da quella durissima battaglia. I funerali di Fíli e Kíli si svolsero con grande riservo, soprattutto da parte dello zio dei due; quale re avrebbe mai permesso ai suoi eredi di sacrificarsi per lui?


Il Fato, purtroppo, era stato magnanimo con solo uno dei discendenti della stirpe di Durin.


Nonostante la vittoria ed i conseguenti festeggiamenti, c’era qualcosa di pesante che aleggiava nell’aria, qualcosa che non era dovuto all’influenza dell’oro o dell’Arkengemma. Erano le ferite dello spirito che la battaglia si stava trascinando dietro e anch’esse erano qualcosa che a Bilbo sapeva di già vissuto, forse per questo aveva deciso di restarsene in disparte per la maggior parte del tempo. A dire il vero avrebbe voluto parlare spesso con Thorin, aveva molte cose da dirgli, ma ogni volta che restava da solo con il nano finiva per trovare una scusa per allontanarsi dopo i primi convenevoli. C’erano troppe cose a cui pensare adesso e lo hobbit di sentiva di troppo; inoltre qualcosa gli sussurrava di tornare a casa, alla Contea, il più in fretta possibile. Fu per questo motivo che, dopo un paio di giorni passati con i suoi compagni di avventure, prese la decisione di tornare a casa senza aspettare oltre.





— Sei sicuro di voler già ripartire? Non dovresti recuperare le energie come si deve, prima di compiere un viaggio tanto lungo? — aveva detto Thorin a Bilbo, una volta appresa la notizia. Sembrava dispiaciuto, certo, ma non era sua intenzione tenerlo lontano da casa più del necessario, poteva immaginare quanto gli mancasse.

— Ti ringrazio per l’offerta, ma… — aveva risposto lui, bloccandosi però a metà della frase. Già, perché voleva andarsene? Non si trattava solo di quella sensazione fastidiosa, legata stranamente alla propria dimora e ai propri averi materiali, cosa a cui raramente aveva pensato seriamente durante il viaggio, ma era qualcosa che si presentava soprattutto quando i due si trovavano nella stessa stanza da soli. Bilbo lo aveva perdonato, assolutamente, non era rabbia quella che provava… non riusciva a dare un nome a ciò che sentiva. — … ho davvero bisogno di tornare a dormire nel mio letto. —

Dopo aver udito quelle parole Thorin inspirò e assunse quella sua consueta posa da “capo solenne”, forse per nascondere il fatto che avrebbe preferito se l’amico gli fosse rimasto accanto ancora un po’.

— Be’, se la decisione è presa, vorrei parlarti di una cosa prima che tu te ne vada — e udendo ciò il cuore dell’altro fece un balzo su e giù dalla sua solita posizione e Bilbo abbassò istintivamente lo sguardo. — Sei stato più di un semplice compagno, Bilbo Baggins. Sei stato un amico, un consigliere, un guerriero anche quando non avresti dovuto. Hai più di una volta messo in pericolo la tua vita nel tentativo di salvare la mia e mi rammarico del fatto che a volte sono stato io stesso il pericolo in questione. Sappi che ti sarò sempre infinitamente grato per ciò che hai fatto e sono felice di essere ancora qui per potertelo dimostrare. Spero che le nostre strade si potranno incrociare di nuovo, un giorno… —

A quel punto lo hobbit tornò con gli occhi su quelli di Thorin, un po’ confuso dalle sue ultime parole.

— Questo… sembra un addio.

— … non hai torto. Non è mia intenzione andarmene per sempre, ma non posso nemmeno restare qui. Ho parlato con Balin e ho deciso di lasciare che la stirpe di Durin giunga al suo termine. Non voglio una corona sul mio capo sapendo che i miei nipoti non potranno riceverla a loro volta.

— Quindi? Cosa farai? Dove andrai?

A quella domanda Thorin non rispose, probabilmente perché lui stesso non sapeva cosa dire. Non aveva una meta o un obiettivo, ma quello non era importante.

Entrambi rimasero in silenzio per qualche attimo, fino a quando Bilbo, dopo aver arricciato il naso, non si decise ad interrompere il silenzio.

— Be’, sappi che casa Baggins avrà sempre le porte aperte per te! Spero che tu non abbia bisogno di altri segni sulla porta. —

Thorin accennò un sorriso, appena evidente sotto la barba, e dopo essersi avvicinato di qualche passo all’altro poggiò una mano sulla sua spalla, chinando appena il capo in segno di assenso. Poi si spostò di nuovo e fece per uscire dalla stanza dove si trovavano.

— Thorin, io…! — esordì nuovamente lo hobbit, ma le parole gli si bloccarono in gola ancora una volta quando il nano si voltò appena per ascoltarlo. — … volevo dire, anche io lo spero. —


Quando l’altro uscì, questa volta definitivamente, Bilbo si sentì le gambe deboli e dovette appoggiare la schiena ad una parete per non crollare. Non riusciva a dirglielo, non poteva dirglielo, sarebbe stato solo un impiccio in più per lui. E poi nemmeno lui era sicuro di quello che provava. Quello di cui era certo era che il pensiero di perderlo, quel qualcosa che aveva visto in sogno, lo aveva terrorizzato a tal punto che si era reso conto di non volerlo lasciare, non gli importava dove sarebbero andati o cosa avrebbero fatto. Eppure ogni volta che si trovavano da soli le parole gli si strozzavano in gola e qualsiasi pensiero razionale cessava di esistere, per questo lo “scassinatore” aveva deciso che la cosa più saggia da fare sarebbe stata tornare alla Contea e rimanerci, forse con il tempo quelle sensazioni si sarebbero affievolite da sole.


Come deciso, l’indomani Bilbo salutò i suoi compagni di viaggio, augurò a tutti buona fortuna e li invitò per un tè a casa Baggins. Thorin non era, però, lì con loro. L’halfling non si domandò come mai, cercò di non farci caso. Partì insieme a Gandalf, che a sua volta aveva deciso di riprendere i suoi pellegrinaggi per la Terra di Mezzo. Ovviamente quest’ultimo sapeva che Bilbo aveva ancora un Anello con sé, ma sembrava convinto che l’amico ne avrebbe fatto un uso giudizioso. Una volta sullo stretto viale di casa il signor Baggins si rese conto anche del perché aveva avuto quella strana urgenza di tornare: a quanto pare tutti lo credevano morto e stavano facendo razzie dei suoi averi. Dopo qualche protesta e la prova scritta che non si trattava di un impostore - anche se il fatto che i suoi concittadini non gli credessero lo aveva lasciato parecchio stizzito - riuscì finalmente a rientrare da quella porta che tredici mesi prima si era richiuso alle spalle. Gandalf gli aveva detto che probabilmente, nel caso fosse tornato sano e salvo, non sarebbe più stato lo stesso hobbit di prima e adesso Bilbo capiva perfettamente cosa interesse dire lo stregone. Adesso che era solo si sentiva vuoto, come se una parte di lui fosse rimasta ad Erebor, o a dire la verità, fosse rimasta con Thorin Scudodiquercia.




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Erano passate circa tredici settimane o poco più dal suo viaggio inaspettato, eppure Bilbo Baggins non si era ancora del tutto ripreso da esso. In realtà non erano le ferite del corpo, ormai rimarginate del tutto, che lo tormentavano, ma piuttosto quelle dello spirito. Era tutto sommato felice, aveva aiutato degli amici a ritrovare la propria casa e sentiva di aver fatto qualcosa di buono, soprattutto grazie ai consigli di Gandalf Il Grigio, eppure continuava a sentirsi fuori posto nella sua stessa dimora. Era certo che avrebbe rivisto i suoi compagni di avventure, ma… ma non era certo di poter rivedere Thorin. Quando aveva lasciato la Montagna Solitaria non lo aveva propriamente salutato e questo gli faceva inevitabilmente pensare che probabilmente il nano non volesse più rivederlo, nonostante le parole che si erano scambiati la notte prima della partenza. Avevano avuto diverse divergenze durante il loro viaggio e forse quella gentilezza era stata solo frutto della cortesia - sebbene Bilbo si rendesse conto quanto questo fosse ridicolo, trattandosi pur sempre di un nano. La verità era che lo hobbit non riusciva a smettere di pensarci. Ricordava ancora quella strana visione onirica che aveva avuto sul campo di battaglia e, sebbene si fosse scrollato di dosso quella spiacevole sensazione, più ci pensava più si rendeva conto che durante i tredici mesi che aveva trascorso con lui aveva iniziato a sviluppare un… sentimento nei confronti di Scudodiquercia.


Ci aveva messo qualche giorno per riconoscerlo, solo quando era stato da solo aveva avuto la mente abbastanza libera per farlo, ma alla fine era giunto alla conclusione che per qualche ragione - che però lui sapeva benissimo - aveva finito per… innamorarsi di Thorin. Si era innamorato della corazza che si era creato, perché sentiva di essere stato l’unico in grado di poterla abbattere, si era innamorato del suo sguardo profondo, si era innamorato di tutto quello che egli rappresentava, soprattutto per lui. Da quel momento Bilbo aveva iniziato a passare molto più tempo a sbuffare e parlottare da solo su riguardo a quanti grattacapi gli avesse provocato quel nano e quanti ancora gliene stesse provocando. Ormai non riusciva nemmeno ad uscire serenamente di casa, vedere gli altri hobbit della sua età che si sposavano e mettevano su famiglia, o si occupavano di una già consolidata, gli provocava un discreto fastidio. Se durante il loro ultimo discorso fosse stato più consapevole… chissà cosa sarebbe successo. Magari avrebbero potuto piantare insieme l’albero che si era ripromesso di far crescere come ricordo di quello straordinario viaggio.


Era a queste cose a cui stava pensando lo hobbit dopo cena, seduto sulla sua poltrona a leggere di avventure piuttosto simili a quella che aveva vissuto lui, come era solito fare in giovane età, quando sentì un rumore molto famigliare: qualcuno aveva bussato alla porta. A dirla tutta Bilbo non si allarmò, né incuriosì, visto che proprio quella sera nella Contea c’era aria di festeggiamenti. Cosa si celebrasse di preciso non lo sapeva, o meglio non lo ricordava, come non ricordava perfettamente nemmeno in che periodo dell’anno si trovasse ormai. Qualsiasi fosse la ragione il padrone di casa sapeva che ogni scusa era buona per fare baldoria, ballare e mangiare, quindi suppose che si trattasse di qualcuno che, vedendolo in casa, avesse avuto la scellerata idea di invitarlo a uscire. Bilbo dunque si infilò velocemente la sua vestaglia pesante, visto che le temperature non erano esattamente estive a quell’ora, e mentre si dirigeva verso la porta si preparò mentalmente cosa dire. “Grazie del cortese invito, ma la cena deve essere stata troppo pesante e non me la sento di uscire di casa”, ecco cosa avrebbe detto, senza dimenticare le buone maniere.


Quando aprì la porta, però, quasi non gli prese un colpo, perché la figura che aveva davanti era estremamente famigliare, così tanto da fargli venire una fastidiosa sensazione di deja-vu: era Thorin, che come la prima volta si era presentato di spalle e girato solo una volta aver udito che il padrone di casa gli aveva aperto. Lo hobbit si immobilizzò all’istante, non si sarebbe mai, mai, aspettato di rivederlo così e in quel preciso momento. Al di là dei suoi pensieri irrazionali era convinto che l’amico se ne fosse andato, in viaggio verso terre lontane che potessero fargli dimenticare la dipartita dei suoi nipoti e la perdita - sebbene volontaria - del suo trono, di certo non avrebbe mai potuto immaginare che il nano decidesse di tornare lì dove tutto era, nel bene e nel male, cominciato.

— Allora, hai deciso di non farmi più entrare? —

Fu la voce dell’ospite inatteso che lo fece ridestare dal suo torpore, anche se dovette scuotere appena la testa per riprendersi del tutto. — C- certo, è solo che… non mi aspettavo affatto di rivederti qui a casa Baggins… non così presto, almeno… —

— Pensavo fossi stato tu a dirmi che le porte di casa tua sarebbero sempre state aperte — lo prese velatamente in giro Thorin, mentre abbassava il capo per farsi strada più agevolmente attraverso la porta.

Adesso che era entrato Bilbo lo potè osservare meglio: non era cambiato molto rispetto all’ultima volta che si erano visti, anche se ovviamente anche le sue ferite erano scomparse. Indossava degli abiti da viaggio simili a quelli che aveva anche per la partenza, ma questa volta erano chiaramente più curati e pregiati. Portava con sé Orcrist, la spada che avevano trovato nella caverna dei troll e che gli era stata restituita da Legolas durante la battaglia finale, la spada con cui aveva trafitto a morte l’Orco Pallido; oltre a quella, però, non sembrava avere altre armi e la maggior parte dei suoi “bagagli” era costituita da provviste e oggetti che sarebbero stati utili per un viaggio, non per una guerra. Al di là di questo, Thorin non era cambiato molto: il suo sguardo era rimasto penetrante, sebbene fosse ancora presente quella scintilla di malinconia, mentre i capelli e la barba erano ancora dello stesso nero, solcati vagamente da qualche striscia bianca, qua e là; i capelli però erano adesso trattenuti da un qualche tipo di fermaglio, mentre altri ciuffi venivano tenuti a bada grazie a delle treccine. Adesso sì che il suo compagno di avventure aveva un aspetto regale e solenne, forse molto più rispetto a quando si era improvvisato re ad Erebor.

Rendendosi conto di aver iniziato a sudare freddo per via di quella situazione, lo hobbit prese da una tasca il suo fazzoletto, quello stesso fazzoletto che aveva dimenticato in casa il giorno della sua partenza e che aveva poi ritrovato al suo rientro, risparmiato dallo scempio che i cittadini della Contea avevano fatto della sua dimora quando lo avevano dichiarato ingiustamente morto. Voleva darsi una veloce ripulita al viso arrossato, ma il nano gli prese la mano nella quale teneva l’oggetto e la tirò delicatamente, ma con decisione, verso di sé.

— Quindi è questo il pezzo di stoffa che ci ha quasi fatto tardare, mmh? —

A quel punto Bilbo divenne, se possibile, ancora più paonazzo rispetto a qualche attimo prima e ritrasse velocemente la mano, abbassando immediatamente dopo lo sguardo per evitare di incrociare quello del nano e sgattaiolando velocemente verso il salotto.


— Dunque, c- cosa ti porta qui? Da dove vieni? Sei forse stanco? Hai fame?

— Ho fatto sosta in una locanda prima di giungere qui e ho le mie provviste, non preoccuparti. So che l’ultima volta che hai servito da mangiare ad un nano non è andata a finire bene.

— G- Già, non esattamente…

“Datti una calmata, Bilbo Baggins. Hai rubato un tesoro da sotto le zampe di un drago, puoi resistere a questo” si disse, mentre sistemava una poltrona in modo tale che Thorin potesse, almeno, sedersi. Come già detto lo hobbit poteva immaginarsi di rivederlo, ma si aspettava che ciò sarebbe avvenuto solo molti anni dopo, magari durante un’occasione speciale o per lo meno programmata, non sicuramente così, un po’ come la prima volta. Aveva intenzione di chiedere al nano cosa ci facesse lì, ma quest’ultimo lo precedette.

— Ti chiedo di perdonarmi se mi sono presentato qui così, in realtà non era mia intenzione. E ti chiedo di farlo anche per non essermi presentato quando sei partito da Erebor per tornare qui, non c’è una ragione reale per cui non l’ho fatto. Poco dopo in realtà anche io mi sono allontanato dalla montagna, sono partito verso una meta sconosciuta, in parte ripercorrendo le tappe del nostro viaggio. È stato così, in verità, che ho deciso di venire qui… prima di riprendere, verso chissà dove nella Terra di Mezzo. —

Bilbo sentì nuovamente quella fitta di malinconia che aveva provato quando si erano visti per l’ultima volta, forse perché Thorin gli stava nuovamente dicendo addio, e forse per davvero questa volta. “Forse è meglio così” si ritrovò a pensare, scioccamente, per un istante.


I due vecchi amici si misero a chiacchierare come se nulla fosse accaduto, anzi vedendoli dall’esterno ben poche cose si sarebbero potute capire su cosa davvero li legasse. Thorin aveva chiesto un po’ di birra allo hobbit, mentre Bilbo aveva deciso di limitarsi ad una tisana. Erano seduti davanti al camino acceso, uno di fronte all’altro, raccontandosi le cose che avevano visto e vissuto da soli. Il padrone di casa raccontò, visto che non aveva avuto occasione di farlo, cosa fosse successo realmente nella sala del tesoro con Smaug, il fatto che avesse trovato subito l’Arkengemma - anche se non gli disse come l’aveva presa - e che l’avesse tenuta con sé per tutti quei giorni; raccontò anche di quando aveva deciso di consegnarla a Gandalf per cercare di convincere il re nanico a desistere dallo scatenare una guerra. Chiaramente quelle vicende non erano qualcosa che Thorin ricordava con piacere, anzi, in parte non aveva memorie chiare rispetto a quanti accaduto, ma era stato lui a chiedere all’amico di spiegargli come fossero realmente andate le cose. Bilbo lo aveva rassicurato, dicendogli che lo aveva totalmente perdonato e che non era stata totalmente colpa sua, visto che era caduto nella morsa di una malattia della mente incontrollabile. Tutto ciò sembrava adesso un racconto lontano, quel genere di storie che leggi nei libri e nulla di più.


Se ne stavano lì, ricordando il passato, quando Thorin si soffermò ad ascoltare i suoni che provenivano da fuori, che adesso si erano fatti più alti probabilmente per via delle birre che stavano venendo distribuite anche alla festa. In certe occasioni il contegno non era esattamente la qualità migliore degli abitanti della Contea.

— Certo che a voi hobbit piace davvero festeggiare — disse il nano, con un tono quasi ironico.

— Lo dici come se fosse una cosa… strana.

— No no, è solo che tu non mi hai dato esattamente questa impressione.

— Io? E cosa avrei dovuto fare? Mettermi a cantare e ballare mentre cercavamo di scappare dagli orchi e i loro mannari?

— Perché, sai forse ballare?

Nessuno dei due era serio, non per davvero almeno, ma Bilbo si sentì come stizzito da quelle parole. Era pur sempre un hobbit e ogni hobbit sapeva come cucinare ottimi piatti, divertirsi e soprattutto ballare quando l’occasione lo richiedeva, ovviamente chi meglio e chi peggio. No, Bilbo non rientrava assolutamente nella prima delle due categorie, ma l’essersi seduto a parlare così serenamente lo aveva aiutato a rilassarsi e adesso non si sentiva più a disagio come poco prima, quindi scattò in piedi subito dopo aver udito quelle parole e guardò Thorin con un’aria quasi di sfida. — Vuoi forse vedere? —

Quello che non si aspettava affatto era che il nano si sarebbe alzato insieme a lui e avrebbe preso le sue mani, ma a quel punto entrambi si lasciarono andare seguendo la musica che, sebbene flebilmente, riecheggiava anche in casa Baggins. Fecero un paio di giravolte, cercando goffamente di non perdere l’equilibrio nello spazio ristretto nel quale si trovavano; non c’era però imbarazzo in tutto ciò, anzi i due iniziarono a ridere mentre si prendevano in giro rispetto alle rispettive abilità da ballerino. Forse quello era ciò che avrebbero dovuto fare non appena conclusa la battaglia per conquistare la Montagna Solitaria, ma entrambi erano stati fin troppo scossi per partecipare a festeggiamenti e celebrazioni di gioia; solo adesso potevano finalmente lasciarsi tutto alle spalle e il fatto che fossero insieme… be’, probabilmente non era un caso.


No, decisamente non era affatto un caso.


Bilbo non si accorse di nulla, quindi non riuscì stavolta a sgattaiolare via o svignarsela in qualche modo: quando il loro ultimo giro si interruppe lo hobbit rimase fermo con gli occhi socchiusi per via della risata, ma non fece nemmeno in tempo a ritornare serio, perché d’improvviso Thorin si abbassò leggermente verso di lui per baciarlo. Esatto, proprio baciarlo! A quel punto lui si bloccò ancora una volta, ma senza irrigidirsi più del dovuto, senza opporre resistenza. Istintivamente le sue mani si strinsero, con la poca forza che potevano esercitare, attorno a quelle del nano, che erano rimaste al loro posto. Nessuno dei due potè quantificare quanto durò quel momento, se solo un attimo o addirittura un minuto, ma quando terminò fu naturale per entrambi. Il cuore di Bilbo batteva all’impazzata, non gli venne facile formulare un pensiero razionale su quanto fosse appena accaduto, ma per qualche ragione quello non gli importava. Thorin lo stava guardando con gli occhi leggermente spalancati, come se anche lui non si fosse pienamente reso conto di ciò che era appena accaduto, di ciò che in realtà lui stesso aveva fatto, ma il suo sguardo era comunque rassicurante e… dolce. Un po’ come un raggio di sole nel mezzo di una tempesta, Bilbo si fece infondere coraggio da quello sguardo: — S- Sai, avrei voluto parlarti di questa cosa. Il fatto è che… penso di essermi innamorato di te! —

A quel punto fu il nano a rimanere attonito e stordito, visto che non se lo aspettava, dopotutto era stato lui a fare il primo passo. Inoltre Bilbo aveva esclamato quella cosa con una naturalezza disarmante, che però aveva già potuto osservare altre volte in lui. Questo non potè che scatenargli un’altra risata, alla quale lo hobbit rispose mettendo il broncio, sebbene più per fare scena che per reale fastidio.


— Hai ancora intenzione di partire? — chiese Bilbo a Thorin, qualche minuto dopo, quando entrambi si erano seduti per terra davanti al camino che scoppiettava. Aveva appoggiato la sua testa sulla spalla dell’altro, come un uccellino che trova riparo tra i possenti rami di un albero.

— … a maggior ragione. Non sarò più Re di Erebor, ma voglio essere un nano migliore almeno per te e per farlo devo capire ancora tante cose. Ammetto che tu mi porteresti fortuna come già hai fatto, ma è un viaggio che devo compiere da solo stavolta. Però tornerò qui, te lo prometto. Oppure andremo dovunque vorrai, qualsiasi posto sarà una casa se ci sarai anche tu. —

Lo hobbit diventò ancora una volta rosso in volto, incapace di comprendere da dove diamine arrivassero quelle parole, che mai si sarebbe aspettato di udire proprio da parte sua, anche se… erano più rassicuranti di una dolce melodia.

— Ho ancora quell’albero da far crescere, ricordi? Quindi penso proprio che mi servirà una mano qui… se vuoi. —

Il nano rispose con una risata di assenso. Come aveva detto non importava dove si trovavano, in quale parte della Terra di Mezzo sarebbero finiti, sapeva che finché avesse avuto l’altro al suo fianco tutto sarebbe andato per il verso giusto.


L’indomani Thorin Scudodiquercia sarebbe effettivamente ripartito, ma questa volta non per sempre. C’era qualcosa di indissolubile ormai che li legava, qualcosa che andava ben oltre l’avventura che avevano vissuto insieme e le peripezie che avevano dovuto superare. Ci sono forze in questo mondo che a volte ci spingono esattamente verso le persone che siamo destinati ad incontrare, basta solo lasciarsi guidare.

  
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