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Autore: Regen    01/04/2022    0 recensioni
È il 1795 e il periodo del Terrore in Francia è terminato da un anno, quando una giovane di Marsiglia, Hélène, approda a Santo Domingo, allora colonia francese. Hélène, una popolana cresciuta negli ideali repubblicani di libertà e uguaglianza, si ritrova inaspettatamente al servizio di una nobile famiglia francese scampata alla Rivoluzione. Sullo sfondo della rivolta degli schiavi delle piantagioni, tra amori segreti, riti vudù e patriottismo, imparerà a conoscere se stessa e a realizzare i propri sogni.
Genere: Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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“Vi dispiacerebbe voltarvi leggermente verso destra, monsieur? La luce cade meglio  su quest’altro lato.”

Il marchese fece come Hélène gli aveva chiesto mantenendo la sua posa composta, a schiena dritta e a testa alta. Da quasi una settimana, ogni sera, prima di cena, posava per lei alla calda luce del tramonto nella veranda aperta in giardino, con il mare come sfondo. Hélène non possedeva acquerelli o pastelli, ma cercava ugualmente di ricreare il gioco di luci e ombre attraverso le sfumature della matita. Quello era il suo primo ritratto, e voleva impiegare quanta più cura e attenzione le fosse possibile nel realizzarlo. Forse, ad un osservatore attento, non sarebbe sfuggito il modo in cui le linee delicate del disegno sembravano quasi accarezzare il volto del marchese - come dita invisibili che andavano a sfiorarne i lineamenti - né il riflesso limpido che trapelava dal suo sguardo sulla carta, che solo occhi innamorati avrebbero potuto scorgere con tale completezza di dettagli. Tali dettagli erano però anche i più difficili da realizzare per Hélène, la quale si sentiva sciogliere lentamente ogni qualvolta il suo sguardo incrociava quello dell’uomo. Più di una volta si era segretamente domandata come l’aristocratico potesse non notare il rossore sulle sue guance, o il modo in cui talvolta le parole le uscivano dalle labbra, quasi frammentate, in sua presenza; le pareva quasi impossibile che tutto ciò non fosse evidente, e tuttavia l’atteggiamento del marchese nei suoi confronti non era mai mutato.

“Sai, Hélène, spesso siamo tanto presi dalle nostre faccende e preoccupazioni quotidiane che ci rendiamo dimentichi della bellezza che ci circonda,” disse improvvisamente il nobile.

“Può accadere, monsieur, soprattutto in momenti turbolenti della nostra vita, credo,” rispose con cautela la ragazza, evitando di alzare gli occhi dal foglio. “Tuttavia, i prati, gli alberi, il sole, la luna e il mare sono sempre al loro posto. Sono lì ad aspettare che torniamo a notarli.”

“Certamente, ma essi non sono altro che la cornice del quadro, per usare una metafora artistica. Sono i singoli istanti della vita a creare le esperienze più belle, ma una volta passati, sono finiti per sempre.”

Questa volta Hélène sollevò lo sguardo, riportando una ciocca di capelli neri, sfuggita allo chignon, dietro l’orecchio. “Perdonate, ma non sono sicura di capire, monsieur.”

L’uomo sorrise, ma era un sorriso amaro, carico di nostalgia.

“Nei miei quarantasei anni di vita, posso dire di essere stato testimone di molti avvenimenti, sia lieti che tristi. Ma è con rammarico che mi rendo conto di averne realmente vissuti pochi, poiché ero presente con il corpo e con la mente, ma non con il cuore. Talvolta, gli occhi e la logica non sono sufficienti.”

“Mi dispiace che siate triste, monsieur.”

“Al contrario, Hélène, non lo sono affatto. Questo è, difatti, uno di quei momenti che avrei rischiato di perdere, se tu non mi avessi chiesto di posare per te: mi sarei perso il tepore degli ultimi raggi del sole, il profumo dei fiori della sera, il suono delle onde che si infrangono sulla riva… e la felicità che tinge le gote di una fanciulla intenta a fare ciò che più la appassiona. Pertanto, ti ringrazio.”

Hélène cambiò posizione sullo sgabello, imbarazzata, rigirando la matita tra le dita. “Non occorre che mi ringraziate per questo, monsieur. Sono io a ringraziare voi, per avere acconsentito alla mia richiesta.” Aveva parlato con un filo di voce, quasi un sussurro appena al di sopra della brezza marina che, in un soffio più deciso, smosse l’orlo del suo abito e le ciocche ribelli dei suoi capelli.

Il marchese si volse verso la pianta di ibisco che cresceva accanto alla veranda e colse un fiore rosso. Lo osservò per qualche istante, forse in contemplazione di un ricordo lontano, poi lo posò con delicatezza sul blocco da disegno della ragazza.

“Conservalo per me, in memoria mia e di questo momento.”

Hélène, assolutamente sorpresa da quel gesto e da quel piccolo dono, si portò d’istinto una mano al petto, all’altezza del cuore. Dovette socchiudere e dischiudere le labbra un paio di volte prima di riuscire a mormorare: “Lo farò, monsieur. Grazie.”

L’uomo la guardò dritto negli occhi per qualche istante, come a siglare un tacito patto, e annuì.

 

Il percorso attraverso la boscaglia caraibica era impervio, si apriva stretto tra le alte piante da liana e i bassi, larghi arbusti tropicali. La luna piena illuminava a malapena il sentiero, coperto da una fitta volta di foglie, e Hélène afferrò la mano Cécile per non inciampare sulle radici che spuntavano dal terreno.

“Non manca ancora molto, siamo quasi arrivate,” la rassicurò la ragazzina, che conosceva quei luoghi così bene da poterli percorrere anche a occhi chiusi.

Poco dopo, infatti, giunsero ad una radura al cui centro si trovava una cascata di acqua dolce. Hélène capì che il torrente nel quale si riversava l’acqua era lo stesso che serpeggiava silenzioso attraverso la foresta, fino a sfociare nel mare poco lontano dal porto di Anse-à-Veau. Aveva sentito dire dai domestici della mansione che quell’acqua fosse maledetta, poiché in molti avevano trovato la morte, dopo averne bevuto qualche sorso. Tuttavia, il marchese aveva fornito una spiegazione molto più razionale: il fondo limaccioso del torrente, unito ai minerali presenti nel suolo, rendeva l’acqua non potabile, se questa non veniva precedentemente bollita. Hélène, fedele ai lumi della ragione di cui aveva sentito tanto parlare in Francia, non era incline a credere alle superstizioni, alle maledizioni e agli spiriti, ma la sua naturale curiosità l’aveva portata quasi a supplicare Cécile di portarla con sé in una visita segreta a Maman Felicité, la sacerdotessa vudù, guida spirituale degli schiavi neri del posto.

Le due ragazze costeggiarono la radura fino a ritrovarsi dietro la cascata stessa, la quale nascondeva un antro roccioso illuminato da due deboli torce. All’interno della grotta sedeva, su uno sgabello di paglia intrecciata, un’anziana donna nera di notevole stazza, vestita interamente di bianco e dal volto dipinto di azzurro e bianco. In grembo teneva un piccolo tamburo consunto, sul quale batteva le mani a ritmo regolare: tump-tump-tump…

“Buona sera, Maman Felicité. Ti ho portato un’offerta e… un’amica.” Cécile posò davanti alla donna una piccola sacca contenente del pane e qualche frutto.

L’anziana sorrise, un sorriso dai denti stranamente candidi e regolari per la sua età e condizione, e annuì. “Vi stavo aspettando, bambine. Sapevo che sareste venute a farmi visita stanotte.”

Con sorpresa, Hélène si rese conto il quel momento che gli occhi della donna erano anch’essi completamente bianchi, del tutto privi di vista.

“Non temere, bambina: i miei occhi sono ciechi, ma la mia mente e il mio spirito vedono più in là degli occhi di molti uomini,” disse Maman Felicité a Hélène, la quale rimase per qualche istante a bocca aperta per la sorpresa. “Hai fatto un lungo viaggio dalla terra dei bianchi, e con te hai portato ciò che loro ti hanno insegnato; ma stanotte, tu vuoi sapere cosa ti riserverà questa terra, dico bene?”

“In realtà, credo di essere soltanto curiosa,” ammise Hélène, con una piccola alzata di spalle. “Ho sentito molto parlare del vudù da quando sono arrivata a Santo Domingo, e la gente dice che è magia nera. Che sia vero o meno, però, volevo constatarlo da me.”

Tump-tump-tump…

“Forse questo è ciò che credono i bianchi, ma il vudù è molto più di questo, bambina. Il vudù è l’essenza di ogni cosa, e pertanto della vita stessa. Può ferire, certo, ma può anche guarire, rigenerare e far rinascere: non è forse questo, il senso della vita?”

“Ecco… sì, immagino di sì.”

Il sorriso di Maman Felicité si allargò. “Lascia che te ne dia una dimostrazione.”

La donna si alzò a fatica dal suo sgabello e si avvicinò ad una delle torce, quella più prossima alle due ragazze. Cécile, senza dire una parola, posò una mano sulla schiena dell’amica per invitarla ad avanzare di qualche passo. Quando entrambe si trovarono l’una di fronte all’altra, ai due lati della torcia, la sacerdotessa estrasse un sacchetto di strane erbe dalla manica del suo abito e lo porse a Hélène.

“Getta queste foglie nel fuoco, e attendi il responso.”

La ragazza esitò: “Non occorrono delle domande, per ottenere un responso?”

“Lo spirito del fuoco già conosce le tue domande. Ora tocca a te ascoltare cosa esso ha da dirti.”

Ancora un po’ scettica, Hélène rovesciò il contenuto del sacchetto sul fuoco. Subito le fiamme si alzarono, e sprigionarono una strana nube bluastra che odorava di sostanze sconosciute, arcaiche. Maman Felicité inspirò a fondo e, quando tornò a parlare, la sua voce era mutata: suonava più cupa, più roca, quasi un’eco lontana che rimbalzava sulle pareti dell’antro roccioso.

“Sei nata in catene che una tempesta troppo violenta per durare ha strappato; guardati dai bagliori del giorno, e non dalle ombre della notte. Tre morti hai avuto, e altre tre ne avrai; di queste, solo una potrai salvare, ma ad un prezzo molto alto da pagare.”

Quando Maman Felicité ebbe finito di parlare, anche la fiamma tornò alle sue dimensioni e colore precedenti, e la nube scomparve.

Hélène scosse la testa, tra stupore e incredulità: “Ma cosa…?”

“È incredibile, non è vero?” Le sussurrò all’orecchio Cécile, entusiasta.

“Tutto questo è assurdo, non ha alcun senso. Forse è solo un sogno.” La giovane francese si pizzicò un braccio per verificare se fosse sveglia, ma anche così, tutto intorno a lei rimase invariato.

Tump-tump-tump…

Maman Felicité era tornata a battere sul suo tamburo, immobile come una statua sullo sgabello come se nulla fosse accaduto. Hélène avanzò di un passo.

“Mi puoi spiegare cosa è successo? Cosa significa quello che hai detto?”

L’anziana donna si limitò a curvare gli angoli delle labbra in un sorriso enigmatico, l’unica traccia di vita su un volto che appariva statico e antico come la pietra della grotta.

“Maman Felicité?” La chiamò la ragazza muovendo una mano davanti al volto della sacerdotessa nel tentativo di ottenere risposta, dimentica del fatto che quest’ultima non potesse vederla.

“Per stanotte non c’è altro,” le disse Cécile, prendendole l’altra mano e tirandola indietro. “Vieni, torniamo a casa.”

 

Girandosi e rigirandosi nel letto nel tentativo di prendere sonno, Hélène non riusciva a smettere di pensare a quanto aveva appena assistito. Si domandava da cosa fossero scaturite quelle strane fiamme e quella nube blu che aveva cambiato la voce di Maman Felicité. La ragazza era scettica a credere che si trattasse realmente di magia, ed era certa che il signor marchese sarebbe stato in grado di fornire una spiegazione perfettamente logica anche a questo, ma non poteva certo parlargliene: l’aristocratico, profondamente cattolico, avrebbe sicuramente pensato che lei fosse una ragazzina ignorante e superstiziosa che si era fatta affascinare da pratiche barbare, e avrebbe perso ogni considerazione nei suoi confronti.

Più pensava alle parole della sacerdotessa vudù, però, e più le pareva che non fossero del tutto prive di senso come le erano parse inizialmente. Le catene e la tempesta sembravano riferirsi alla condizione di povertà in cui era nata, e alla Rivoluzione che aveva cambiato le sorti del suo paese; le tre morti già avvenute erano quelle di suo padre, sua madre e suo fratello. Ma come poteva Maman Felicité essere a conoscenza di tutto questo? E le altre tre morti, quelle che ancora dovevano avvenire? In che modo doveva guardarsi dal giorno, e non dalla notte? Mentre dubbi e domande si rincorrevano senza sosta nella sua mente, a Hélène parve ancora di sentire in lontananza il suono del tamburo:

Tump-tump-tump…

  
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