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Autore: lainil    01/04/2022    1 recensioni
~ It's Koko's birthday!
"Mikey distoglie lo sguardo dal ragazzo, notando come nessuno l’abbia visto e come potrebbe semplicemente lasciare tutto lì e richiudersi in camera, nel suo luogo sicuro.
Poi pensa che Kokonoi sembra così felice di essere lì, così felice che il suo compleanno sia rilevante per qualcuno e un po’ se ne pente.
Sente un leggero senso di colpa quando si rende conto che Kokonoi è deluso dalla sua reazione, che non si aspettava salti di gioia, abbracci o baci, ma una semplice compagnia che cerca da quando ha lasciato Seishu indietro per il bene di entrambi."
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Oppure
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La Bonten fa del suo meglio per far passare a Koko un compleanno felice, perché è grazie a lui se sono ancora vivi.
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[KokoxMikey, ma è molto implicito]
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Haitani Ran, Hajime Kokonoi, Haruchiyo Sanzu, Manjirou Sano
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ciao a tutti.
Ho scritto questa fanfiction in tre quarti d'ora scarsi, ma amo la Bonten e odio il fatto che Wakui non ci abbia offerto neanche un content su di loro e sui rapporti che hanno, quindi ci ho pensato io.
Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori grammaticali o di battitura e mi auguro che i personaggi non risultino (eccessivamente) OOC.
La verità è che volevo solo inserire un paio di mie headcanon soft su questa piccola famiglia mentalmente a pezzi, tenuta in piedi dalla calma di Kakucho e dalla compostezza di Koko e ho colto l'occasione del suo compleanno per farlo.
Buona lettura :)

 
Titolo: It Wasn't So Bad After All;
Genere: commedia, hurt/comfort,
slice of life;

Rating: giallo;
Personaggi: Hajime Kokonoi, Manjirou Sano,
Haruchiyo Sanzu, Ran Haitani,
Rindou Haitani, Kakucho,
Kanji Mochizuki, Takeomi Akashi,
Ken Ryuguji (Draken)(citato);
Parole: 4122.

 

Quando Kokonoi doveva sistemare le spese mensili, capitava si chiudesse nel suo ufficio per ore intere, arrivando a saltare i pasti, se necessario. Per questo motivo, da qualche mese, Kakucho aveva preso l’abitudine di assicurarsi che facesse almeno il pranzo e la cena, a volte fermandosi a mangiare con lui, altre volte limitandosi a lasciargli il vassoio sul tavolino dell’ufficio o fuori dalla porta.

Di solito era Kokonoi a prendersi cura dell’alimentazione della Bonten.

Lo faceva sottilmente, assicurandosi che tutti facessero almeno tre pasti al giorno: contava le tazze nel lavandino, controllando che ci fossero tutte e otto, la sua compresa; a pranzo e a cena era sempre il primo a sedersi e l’ultimo ad alzarsi, mangiando con calma e avendo la certezza che tutti finissero i loro piatti e nessuno nascondesse cibo o mangiasse quello di qualcun altro.

Era successo che Ran, qualche mese prima, cercasse di evitare il pranzo o che Rindou lo aiutasse, facendosi passare sotto il tavolo alcuni pezzi di cibo e, se anche questo non era possibile, capitava che nascondesse il tutto in un tovagliolo o fingesse di mangiarlo per poi sputarlo malamente una volta alzatosi.

Non che Ran avesse problemi con il cibo, di quello Kokonoi ne era sicuro ed era grato non fosse così, ma alcune cose non riusciva a mangiarle, gli davano il voltastomaco e la nausea e, non essendoci mai comunicazione su quel piano, tra i membri della Bonten, nessuno se n’era reso conto.

Nessuno escluso Kokonoi che, scoperta questa cosa, si era assicurato di chiedere a tutti quale cibo riuscissero  o si sentissero a proprio agio a mangiare e quale no. E così si erano tolte le uova dal menù di Ran e si era aggiunta più verdura a quello di Mikey, si era sottratto il pesce a Rindou mettendolo nel piatto a Sanzu che, a differenza dell’Haitani, ne aveva davvero bisogno.

E quella storia del cibo era finita lì e tutti mangiavano ciò che potevano e riuscivano.

La stessa cosa era a cena.

Anche se era più facile che alcuni membri la saltassero. Takeomi era il più propenso a farlo, passava il pomeriggio ad allenarsi e la sera crollava sul letto, stanco, anche per via della sua età non giovane quanto quella degli altri, e al tavolo non era presente.

Oppure anche Mikey che, sopraffatto dal vuoto e dall’inutilità che provava nello stare al mondo, si rifugiava nel sonno e nelle calde coperte del suo letto e si raggomitolava in queste stringendo gli occhi fino ad addormentarsi. Capitava ci rimanesse dalle otto alle quattordici ore e nessuno aveva il coraggio o anche solo la voglia di disturbarlo.

La depressione, e in generale i disturbi mentali, erano un qualcosa con cui più o meno tutti i membri avevano avuto a che fare, ma nessuno si era mai preso la seria briga di informarsi o di prendersene cura.

Kokonoi era uguale a loro su questo piano.

Akane e Seishu non avevano mai avuto a che fare con qualunque tipo di disturbo, di conseguenza non era sua priorità interessarsene, aveva i soldi a cui pensare, l’economia, il ricevere e dare in cambio, non aveva il tempo di istruirsi anche in quello.

Eppure, piano piano, lo aveva fatto.

Aveva ipotizzato che Mikey soffrisse di depressione e si era informato, ma il mondo dietro questo disturbo era troppo grande e di portarlo in terapia non se ne parlava e, di conseguenza, con una strana e silenziosa alleanza che aveva sviluppato con Sanzu, Ran e Kakucho, cercava, nel suo modo, di sostenere Mikey.

Kokonoi lo aiutava a vestirsi, si assicurava si lavasse i capelli, i denti e il viso, lo pettinava quotidianamente e gli tingeva i capelli quando necessario.

Mikey non gli diceva niente e non lo ringraziava, lo lasciava però fare senza opporsi, non perché trovasse qualcosa di Draken in lui, ma perché, in qualche modo, Kokonoi lo faceva sentire al sicuro, più di quanto facessero gli Haitani, sadici come lui, più di quanto facesse Sanzu che si sarebbe ucciso davanti a lui se solo glielo avesse chiesto.

Kokonoi con lui non era trasparente, ma non c’era nemmeno cattiveria o la richiesta di qualcosa in cambio dietro quelle azioni. Le faceva perché voleva farle, punto. E Mikey apprezzava questa cosa.

Alla fine del mese, però, queste abitudini con Kokonoi cessavano per qualche giorno e a Mikey mancavano.

Rindou era abituato ai capelli di Ran, quindi prendeva lui il posto di Hajime per pettinarglieli, ma le sue mani non erano gentili come quelle del ragazzo, erano ruvide, più dure e andavano più in profondità, mentre l’altro era delicato, andava piano, sembrava non volerlo mai ferire in alcun modo.

Ran, invece, si assicurava che Mikey non si dimenticasse della sua igiene personale, tra denti, viso, capelli, quando necessario, e corpo, ma il più piccolo lo trovava fastidiosamente invadente nel suo parlare. Kokonoi era silenzioso quando si metteva nel lavandino a fianco a lui a lavarsi i denti e il viso, non commentava il profumo della crema che gli aveva preso, si limitava a mettergliela in viso con movimenti calcolati e circolari, quasi rilassanti e non lo obbligava a lavarsi con attenzione, si fidava, gli lasciava il bagnoschiuma, lo shampoo e il balsamo e lo aspettava fuori dal bagno per pettinarlo e sistemarlo.

Ran no.

Ran era appiccicoso, fastidiosamente appiccicoso.

Mikey si domandava se fosse a causa della sua crescita con Rindou, d’altronde sembrava comportarsi nello stesso modo con il fratello, quindi quella era l’unica spiegazione.

E a Mikey non piaceva sentirsi un secondo Rindou.

Kokonoi non lo faceva mai sentire un secondo Seishu o chi per lui.

Ran sì, quindi era fastidioso prendersi cura di sé in compagnia di quel ragazzo caotico.

Mentre su Kakucho, che si prendeva la responsabilità di assicurarsi che si cambiasse e non restasse in pigiama tutto il giorno, non poteva dire nulla. Faceva il suo dovere: gli piegava i vestiti, glieli lasciava sul bordo del letto e, in fondo alla stanza, gli aveva sistemato la cesta dei panni che passava quotidianamente a controllare, così da assicurarsi che l’intimo fosse sempre cambiato.

Sì, Kakucho gli ricordava Kokonoi, ma Kokonoi era sempre più gentile e disponibile. Abbinava per bene i vestiti, gli faceva sottili complimenti per avercela fatta a cambiarsi, senza farglielo pesare in alcun modo, a volte si vestiva simile a lui per farlo sentire a suo agio e spesso gli lasciava un biglietto o una nota per ricordarsi di lasciargli i vestiti da lavare, senza essere in alcun modo invadente.

Kakucho era molto più formale e distante da lui.

Alla fine del mese, Kokonoi mancava a Mikey.

Però non glielo avrebbe mai detto, perché, comunque, Kokonoi non era Draken, non era Baji, non era Takemichi e nemmeno Emma e, quindi, di farsi vedere debole o umano, non aveva proprio voglia.

Si appostava però, sulla porta a volte lasciata socchiusa dell’ufficio di Kokonoi e lo spiava da lì.

Osservava il ragazzo fare calcoli, sistemare fogli sulla scrivania, mettersi gli occhiali da vista più belli che avesse e scrivere tanto sia a computer che a mano, lamentandosi quando qualcosa non tornava.

Era professionale, elegante, dritto sulla schiena e con un’espressione seria e composta che non lasciava mai trasparire il nervosismo e la stanchezza che, sicuramente, provava.

Mikey lo guardava per ore intere, passava e ripassava da quella porta per assicurarsi, infondo, che stesse bene, sgattaiolando via quando, sapeva, Kakucho gli avrebbe portato da mangiare.

Non voleva farsi vedere, non voleva sentire i commenti fastidiosi degli Haitani e le difese, non richieste, che avrebbe preso Sanzu, per non parlare delle critiche pungenti di Mochi o degli sguardi di Takeomi.

No, Mikey non doveva venire scoperto.

Eppure quando Kakucho gli parla, mentre lui sta osservando Koko che guarda la città dalla trasparenza delle sue vetrate, non gli dice nulla e lo ascolta:

“Domani è il compleanno di Hajime. Volevamo organizzargli qualcosa.”

Mikey lo fissa con noia.

Neanche sa che giorno compia gli anni Kokonoi. A dire il vero, le cose che sa su Kokonoi sono estremamente limitate, conosce le sue abitudini in quei giorni, ma non ha idea del suo colore preferito, di quale stagione viva meglio o se preferisce la notte o il giorno. Il compleanno è un ennesimo tassello importante per conoscere una persona, ma che lui ignorava, fino a quel momento almeno:

“Cosa vuoi da me?”

“Chiederti il permesso per farlo.”

“Mi sembra una stronzata e una perdita di tempo.”

Risponde annoiato, mettendosi le mani nelle tasche della tuta, superando Kakucho e ritornando nella sala principale, solo per trovare la scena più surreale di quei mesi:

“Mikey!”

Gli sorride Sanzu, come se non lo vedesse da mesi, quando, invece, si erano incontrati quella mattina a colazione, ma ormai Mikey neanche ci fa più caso, inoltre, il suo sguardo è fermo su una scatola che il ragazzo e Ran stanno trascinando per il pavimento:

“Cosa state facendo?”

Chiede stanco, portandosi la mano sul viso, desiderando solo di tornare nel letto e svegliarsi, forse, per cena, lontano da queste persone con le quali non ha altro se non interessi comuni:

“Organizziamo una festa per Kokonoi.”

E l’emozione che il rosa gli vorrebbe trasmettere mostrandogli alcune decorazioni a tema infantile riservate a Kokonoi, è bastata a Mikey per farlo girare sui suoi piedi e per percorrere al contrario la strada fatta per arrivare lì, puntando alla camera, suo luogo sicuro in quella base che puzza di falso e tradimento.

Kokonoi non vorrebbe mai una cosa del genere, quindi perché è passato per la testa di quei tre – Rindou, Mikey ne è sicuro, è incluso perché quel trio agisce sempre insieme – un’idea del genere?

“A Hajime piacerebbe, ne rimarrebbe stupito.”

Kakucho sembra volerlo convincere a tutti i costi e Mikey, sul serio, non capisce perché ci tenga tanto:

“È una cosa imbarazzante. Glielo hai permesso tu?”

Lo guarda con uno sguardo infastidito, colmo d’odio e non comprende neanche lui perché. Perché ci tiene così tanto che Kokonoi non veda quella scena? Perché gli sembra tutto così fuoriluogo? Perché teme che il ragazzo non si potrebbe sentire a suo agio?

A lui non dovrebbe neanche importare:

“Hajime non ha mai vissuto un compleanno. Merita di festeggiare i suoi diciott’anni come gli adolescenti normali, non trovi?”

“Adolescenti normali?” Mikey è nervoso e sente il sangue ribollirgli nelle vene: “Kakucho, cosa abbiamo noi da spartire con degli adolescenti normali? Queste stronzate fanno schifo.”

“Kokonoi ne ha bisogno.”

Mikey si zittisce quando Takeomi fa la sua apparizione nel corridoio, sicuramente interessato a chiudersi in camera ad allenarsi oppure diretto all’uscita per uscire a camminare, in alcun modo coinvolto volontariamente in questa situazione. Si è trovato lì e ha sentito il bisogno di dar voce alla sua inutile bocca:

“Si prende cura di voi…” Fa una leggera pausa di riflessione, seguita da un sospiro di accettazione: “…Di noi, di tutti noi, da mesi. Ha sempre, costantemente, un occhio vigile sulle nostre abitudini e sull’assicurarsi che tutti stiamo bene e affrontiamo al meglio la nostra vita. Non ha mai un secondo per lui e, quei momenti che passa da solo, li vive chinato su una scrivania a fare calcoli, sempre per noi.

Questo è il loro ringraziamento.”

E indica alle sue spalle, la stanza che si sono lasciati dietro, dalla quale provengono le urla di Sanzu, i grugniti infastiditi di Mochi e le risate di Ran per i rimproveri, sicuramente verso il ragazzo dai capelli rosa, di Rindou:

“Saranno anche stupidi come ragazzi, ma sanno quanto Kokonoi li aiuti e quanto importante sia la sua figura per tutti noi. Secondo me dovresti lasciarli fare.”

“Mi sembra che nessuno abbia chiesto il tuo parere.”

Lo fredda Mikey con lo sguardo e l’uomo non risponde, alza le spalle e, com’è arrivato, se ne va, lasciandosi indietro i due, soprattutto Kakucho che, comprendendo come Mikey non li supporterà mai, è pronto a far fermare i quattro:

“Fate ciò che volete.” Decide, infine, Mikey: “Basta che non mi coinvolgete, non voglio saperne nulla.”

E, senza dargli possibilità di risposta riprende a camminare, dirigendosi nella camera in cui si chiuderà per tutto il giorno dopo, il giorno del compleanno di Kokonoi.

 

 

Quando Mikey si sveglia, l’orologio segna le cinque di pomeriggio e il cielo è ancora chiaro, con il sole che si sta abbassando e le nuvole che diventano rosse per via del tramonto.

Mikey ama quella stanza, ama il fatto che lì il sole non sorge mai, ma tramonti e basta, ama quei colori e osservarli quando può anche se, ormai, è diventata un’abitudine.

Si mette a sedere, perché la pancia gli brontola, avendo già saltato tre pasti e accettato la richiesta di se stesso di mangiare almeno qualcosa.

Così si alza, dirigendosi alla porta, trovando sulla mensola dove tiene alcune foto con la Toman che sono sfuggite al suo strapparle con rabbia, un biglietto elegantemente ripiegato, che può appartenere unicamente ad una persona:

“Domani mattina passerò a ritirare la cesta, lasciami anche i vestiti che indossi oggi.

Kakucho mi ha detto che ti sei cambiato in questi giorni, ottimo lavoro boss.”

E sotto la firma di Kokonoi, abbreviata in “Koko”, statica e fredda come suo solito.

Non ha dubbi Mikey: a Kokonoi non importa del suo compleanno, non c’è emozione in quella scrittura, nulla che faccia anche solo pensare che se ne sia ricordato.

Con un colpetto leggero della mano, il foglio vola fino al muro della mensola, dove rimarrà fino a oltre la cena, se non al giorno dopo.

Quando apre la porta, Mikey trova una fastidiosa sorpresa.

Un vassoio è a terra, con una cloche estremamente casalinga, formata da un piatto sopra un altro e due pasticcini lasciati sopra un tovagliolo, accompagnati da un foglietto, la cui scrittura storta e con qualche cancellatura, urla in tutti i modi il nome di Sanzu:

“Buon appetito Mikey, spero tu stia bene”

È quello che riesce a tradurre da quelle due righe, chiuse da ciò sembra essere un cuore.

I miglioramenti di Sanzu nella scrittura si vedono e, anche se pochi, ci sono.

Kokonoi lo aveva aiutato in quello.

Alcune sere Sanzu andava nel suo ufficio e imparava a leggere e scrivere insieme al ragazzo.

Era un qualcosa del quale Sanzu provava grande vergogna, il non essere bravo a leggere e l’incapacità nello scrivere una frase senza fare errori banali anche solo nella direzione delle lettere.

Mikey ricorda bene come Ran e Rindou non facessero altro che prenderlo in giro, specialmente Ran, che veniva messo a tacere quando Sanzu gli ricordava di quando aveva chiuso gli occhi ad un Kakucho sveglio e lucido, credendolo morto. Agli altri non importava di questa sua incapacità, era Kokonoi quello che si occupava della comunicazione, Sanzu era irrilevante in fatto di scrittura.

Kokonoi non si era offerto volontario, era stato Sanzu e chiederglielo, semplicemente gli era andato bene.

Anche questo Mikey aveva visto durante una delle sue notti insonni.

Li aveva trovati, alle due e quaranta minuti, nello studio di Kokonoi, con una piccola luce accesa e un vecchio libro di favole aperto sulla scrivania, con Hajime che ascoltava Sanzu leggere.

Sanzu leggeva le parole tenendo il dito sotto queste per seguire la riga e leggeva piano, mentre Kokonoi lo correggeva nella pronuncia o nel tempo di attesa in presenza di segni di punteggiatura.

L’aveva trovata, Mikey, una scena estremamente casalinga e materna, senza giudizi o voglia di sminuire qualcuno: non era una priorità di Kokonoi insegnare a Sanzu come scrivere e leggere, ma si era ugualmente preso la briga di farlo perché, immaginava il ragazzo, poteva distrarsi da quei numeri, leggendo favole, fiabe e racconti semplici per bambini, distogliendo la mente dalle formule.

Quando poi Kokonoi aveva regalato dei fumetti a Sanzu, Mikey ricorda perfettamente la sua felicità e quanto li abbia stretti al petto come se fossero il suo tesoro più prezioso e non è ancora certo se quell’emozione derivi da quel semplice regalo o dal fatto che il protagonista, a detta sua, assomigliasse proprio a Mikey.

Che poi lo abbia paragonato ad uno stupido topo non l’ha mai commentato, ma non se ne è nemmeno mai dimenticato, ma preferisce evitare il discorso:

“Boss, sei sveglio.”

La voce piatta e senza espressione di Rindou lo richiama, portandolo al presente, distraendolo dal bigliettino e trovandolo con in mano un piatto di plastica con una fetta di torta tagliata male:

“Cos’è?”

“La torta che Takeomi e Mochi hanno preparato per il compleanno di Hajime.”

Mikey lo analizza dalla testa ai piedi e le loro espressioni sono identiche anche se quella di Rindou è più annoiata contro quella più giudicante dell’altro:

“Se vuoi…” Riprende a parlare Rindou, sospirando, annoiato come suo solito: “…Stiamo per aprire il regalo che abbiamo fatto a Hajime, sicuramente gli farebbe piacere vederti.”

E gli lascia il piatto con la torta in mano, riservandogli un’ultima occhiata e ritornando nella sala principale.

Mikey non capisce perché, ma i suoi piedi si muovono, forse a causa della curiosità, e la sua mano afferra pigramente la forchetta, portandosi un pezzo di torta alla bocca, mentre fa il suo ingresso nell’ampia stanza da cui sente provenire i rumori.

La musica è bassa, lasciata di sottofondo ai sette membri, ora otto con lui, presenti nella sala, alcuni rilassati sui tre divani, mentre altri, Ran e Sanzu per l’esattezza, sono fermi davanti a quel tentativo di radio che sono riusciti a rubare in una delle loro fughe. Kakucho, infine, è dietro un tavolo rovinato, coperto da una tovaglia a festa, dove ci sono alcuni spuntini e ciò che rimane della torta che Mikey stesso sta mangiando:

“Ken-Chin avrebbe odiato queste cose.”

Parla a bassa voce, più con se stesso che con altri, mentre deglutisce l’ennesimo pezzo con rabbia, sentendo la mancanza del suo vecchio amico e persona più fidata, rendendosi conto di come gli stiano tornando alla mente vari frammenti di bei momenti vissuti con la Toman.

Ma soprattutto un vecchio compleanno di Emma in cui erano tutti felici, tutti pieni di gioia, Emma così piccola e con gli occhi così grandi davanti alla sua torta, Ken pieno di felicità e di vita nel vederla così serena, e poi Mitsuya con la fotocamera in mano, Pah che osservava da lontano la torta e Baji che rideva rumorosamente per lo stupido regalo che le avevano fatto in cinque.

La rabbia si impossessa del corpo di Mikey a ricordare quei momenti che sa non riuscirà a buttare fuori con le lacrime, e la voglia di tornare in camera è forte, combattuta con quella di distruggere questa festa, perché odia le grida, odia la felicità, la musica, la torta, i regali, i sorrisi sui volti di persone che non riconosce come sue amiche, odia tutto, odia tutto questo, vuole solo scappare, alienarsi, isolarsi dal mondo:

“Capo.”

Il suo corpo e la sua mente si bloccano quando sente la voce familiare di Kokonoi parlargli, alza lo sguardo e lo trova davanti a lui, imbarazzato come poche volte l’ha visto, con uno stupido cappellino viola a festa tra i capelli bianchi tinti, un sorriso forzato, ma lo sguardo di chi si sta assicurando che tutto sia okay e che Mikey stia bene:

“Sono felice di vedere che sei riuscito ad alzarti.”

Si complimenta con lui, notando poi la forza con cui Mikey stringe il piatto di plastica, liberandolo dalle sue mani e accarezzandogliele poco per rilassarlo:

“Vuoi qualcosa da mangiare o preferisci sederti e basta?”

“Vorrei solo tornare in camera.”

Cerca di mascherare la rabbia, ma è sicuro che Kokonoi l’abbia recepita chiaramente, vedendo i suoi occhi spegnersi per un attimo, per poi tornare professionale come al solito:

“Va bene, come vuoi. Spero la torta e i pasticcini ti siano piaciuti. Hanno fatto tutto gli altri quindi non so cosa abbiano cucinato o acquistato.”

Mikey distoglie lo sguardo dal ragazzo, notando come nessuno l’abbia visto e come potrebbe semplicemente lasciare tutto lì e richiudersi in camera, nel suo luogo sicuro.

Poi pensa che Kokonoi sembra così felice di essere lì, così felice che il suo compleanno sia rilevante per qualcuno e un po’ se ne pente.

Osserva come le decorazioni rimangano appese per miracolo, come il palloncino a forma dell’”1” del “18” sia mezzo sgonfio e fissato con dello scotch alla base, come le bandierine sui panini siano storte o distrutte, come le bevande non sembrino poi così intriganti o attraenti da bere e come quello sembri tutto fuorché una festa.

Eppure Kokonoi è felice.

Il suo volto, per quanto imbarazzato, è sereno, è a suo agio in quell’ambiente, è felice che qualcuno gli abbia comprato una stupida decorazione da mettersi in testa che hanno anche tutti gli altri, Mochi e Takeomi compresi, è onorato che qualcuno si sia ricordato di quel giorno e abbia speso del tempo a realizzare tutto questo.

Sente un leggero senso di colpa quando si rende conto che Kokonoi è deluso dalla sua reazione, che non si aspettava salti di gioia, abbracci o baci, ma una semplice compagnia che cerca da quando ha lasciato Seishu indietro per il bene di entrambi.

Quando Sanzu finalmente lo nota e attira l’attenzione di tutti su di lui, per poi sbattere i pugni sul tavolo e dire che: “Ora che anche Mikey c’è possiamo finalmente aprire i regali, Hajime vieni che ti ho scritto io il biglietto e gli Haitani te l’hanno impacchettato.” con tutta la felicità di questo mondo, perché non vede l’ora di mostrare i suoi miglioramenti a Kokonoi, Mikey pensa che non sia così male essere ancora vivi.

Che forse Ken non è più con lui, che ora sarà in un’altra stanza, piena di persone e continuerà ad essere felice anche se al suo fianco lui non c’è più da settimane, da mesi, da anni; che sta iniziando a scordare la sua voce e la forma del suo viso, la grandezza del tatuaggio e la lunghezza della sua treccia.

E pensa non ci sia niente di male.

Non c’è niente di sbagliato nel non visitare più quotidianamente la tomba di Emma, Shinichiro e Baji, nell’andare là, sedersi e non riuscire nemmeno a piangere, perché di lacrime non ne ha più da versare per loro, che le loro morti lo hanno già svuotato abbastanza quando sono successe e lui non ha potuto salvare nessuno di loro.

E pensa non ci sia niente di male.

Pensa anche che se gli altri sono felici, se la Toman ancora viene riconosciuta e ricordata, se tutti hanno seguito i loro sogni, lasciando solo lui nelle gang, nel giro della droga e della prostituzione, nel buio di quegli anni che gravano sulle sue spalle, vada comunque bene, lui ha scelto questa vita perché, all’altezza o meno, non c’erano altre strade percorribili.

E pensa non ci sia niente di male.

Pensa che non è l’unica persona sfortunata in quella vita, ma che con lui ci siano anche le persone da cui è circondato: da Takeomi che ha fatto solo errori fino a arrivare a quel punto, da Sanzu che l’ha sempre seguito come un cane obbediente perché vedeva una strana luce brillare attorno a lui, dagli Haitani che sono sempre insieme nel bene e nel male e anche in quel vuoto in cui sono entrati scegliendo la Bonten, da Mochi che non ha mai trovato un posto adatto nel mondo ed è finito così e da Kakucho che il suo posto nel mondo l’ha perso diversi anni fa e ora sta cercando di ricostruire le mura di una casa distrutta in cui poter tornare a vivere.

E pensa non ci sia niente di male.

Neanche in Kokonoi che lo guarda con gli occhi più spenti di anni prima, che non ha mai superato l’addio a Seishu pur avendolo fatto per proteggerlo e per continuare ad auto sabotarsi che, a conti fatti, è l’unica cosa che gli viene bene, oltre a contare i soldi, imparare formule e ripeterle all’infinto, e che è distrutto tanto quanto lui, solo che il male viene affrontato da tutti in maniera diversa e questo è il suo modo.

E pensa non ci sia niente di male.

Nemmeno quando si sforza di sorridere, facendo stupire Kokonoi e facendo brillare gli occhi di Sanzu, lasciando che tutti si godano quell’atmosfera pacifica che si è creata attorno a loro e che Mikey può, almeno per quel giorno, accettare.

Abbassa poco la testa, avendo notato, da prima, come il ragazzo davanti a lui tenga timidamente un cappellino da festa, sicuramente riservato a lui unico che non lo indossa ancora, invitandolo a metterglielo:

“Sei sicuro che posso Mikey? Non ti infastidisce?”

“Non per stasera.”

Glielo permette, guardando le sue mani sistemaglielo tra i capelli bianchi e facendogli passare il filo elastico sotto il mento e dietro le orecchie, sistemandogli le ciocche per non fargli male:

E pensa non ci sia niente di male.

Quando alza lo sguardo e sorride, come può, a Kokonoi:

“Auguri Hajime.”

   
 
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